Somethimes they come back (devo organizzarmi)

post 68

Eccomi qui, dall’intervento non sono passate nemmeno 24 ore e io già mi sto rompendo le scatole.

Devo organizzarmi.

Sto alla grande (vabbè, non esageriamo, facciamo che tutto è relativo), alla fine, Barbara, comunque, avevi ragione, come ho già detto (scusate questo treno di virgole…)

La mia Doc era in gran forma ieri. Spippolava su un Samsung maledicendosi per aver infilato il suo iPhone dritto nel cesso, parlava di case in affitto al mare, di appuntamenti con uomini, tutte cose di cui onestamente non poteva importarmi nulla, ma che in effetti mi hanno distratto mentre compilava  fogli, mi faceva firmare fogli, stampava fogli.

Posso ascoltare la mia musica mentre…?

Perché no, che ascolti?

Radiohead

Rilassante…

La mia Doc ha un bel sorriso.

Mi sono fatta girare il monitor e mentre Thom cantava le sue canzoni, io mi sono vista tutto in diretta, meglio che un programma su Focus.

Qui dovrei sentire qualcosa se sentissi?, le ho chiesto.

Sì, certo.

Ho tirato un sospiro di sollievo: anestesia? Funziona.

E poi nel giro di mezz’ora ero già fuori, Magari aspetta un pochino prima di andare, ma c’era un odore di paura in quella sala d’aspetto e io me ne sono venuta alla svelta, nonostante le proteste dei coccolatori (avevo tutto un team con me, che sembrava dovessi partire per la guerra).

E il pomeriggio è stato in effetti un po’ fumoso, con tutta quella gente intorno, nemmeno la pentola dell’acqua mi hanno fatto mettere sul fuoco, e poi Non puoi dormire da sola, stanotte, e così è rimasto l’Amico Speciale, ci siamo visti due commedie in tv, Certo che così non ci si capisce più nulla, se dormiamo insieme. Sono d’accordo. Ma stanotte ho dormito benissimo.

Ci penserò domani. Firmato: Rossella.

E domani è già oggi, ho cercato di non far tornare i coccolatori, ma ci sono riuscita al 50%. Con la smorfia telefonica di mia madre.

(Omissione della conversazione con TDL di questa mattina: continuo a essere brava?)

E ho tutte queste giornate in cui non devo fare nulla che già mi spingono all’angoscia, meno male che devo scrivere il racconto, mi ci infognerò per benino, e poi mi rimetto in pari nel leggere qualche articolo qui, e poi magari finisco il libro che ho comprato, e poi magari…

Riposati, rilassati, riguardati: santocielo che incubo!

No, no: devo organizzarmi…

Riposarsi, rilassarsi, riguardarsi

post 67

 

Il giorno prima dell’intervento. Cioè oggi.

Ultimo giorno di lavoro, cerco di farmela prendere bene, mi godo i miei clienti, li coccolo e in cambio ricevo, come sempre, grandi sorrisi. Ci sono volte che amo le persone.

Una ex collega viene a trovarmi, l’ha saputo, resta a pranzo con noi, si scherza su cosa dovrò fare domani, ci facciamo tutti delle grasse risate, siamo a tavola in sei, oggi (di solito siamo in tre, ma si è aggiunta una collega fuori turno e la nuova aiuto cuoca), il mio Boss tira fuori una bottiglia di vino (riserva) e si brinda.

Avrei preferito brindare dopo, Boss, gli dico.

Ma questo è un augurio, risponde.

Un sorriso al Boss.

Passa un amico a trovarmi, sta lavorando qui vicino, mi dice. Io nel frattempo ho finito il turno, mi chiede come sto, mi dice che domani alla Normale c’è il traduttore di Haruf. Che cazzo di sfiga! Non posso. E gli racconto tutto. Ma alla fine mi metto a ridere anche con lui, questa cosa si vede che è divertente e io non lo sapevo, ma sì, me la rido. Un grande abbraccio, in bocca al lupo, in culo alla balena, auguri, e io non so mai che rispondere, ma mi prendo tutti queste parole, che sono parole per me, mi prendo tutti questi abbracci e questi baci, e questi Ci vediamo martedì!, Mi raccomando!, e questi Ma per avere cinque giorni di festa tutta questa storia dovevi inventare? , e rido, e sorrido, e va a finire che ho finito il turno da due ore e sono ancora lì. E intanto iniziano a chiamarmi mio padre e mia madre.

In questa cosa sono unitissimi, si chiamano da giorni, organizzano, A prenderti a casa ci vango io (mamma), Io faccio il brodo (babbo), che verrebbe da dirgli, mica ho l’influenza, eh!, Devi prendere le ciabatte, Posso restare a dormire io…

Torno a casa e mi gira la testa.

Chiama l’Amico Speciale che, vi ricordo, ho mollato impunemente.

Domani ho preso un giorno di festa, ti rompe se ci sono?

Ma come cavolo fai a pensarlo, che mi rompe.

Ho mollato proprio un bravo ragazzo…

E mentre gli altri pensano, si affannano (la spesa ce l’hai? Il certificato va fatto dove? Chi dorme con te domani notte?) io per una volta questa cosa la vivo passiva.

Quello che mi interessa davvero è vedere almeno per un’ora la mia piccola creatura, domani, avrò bisogno del suo abbraccio, dopo, non posso non vederla. E allora per quello mi arrabatto, chiedo, mando messaggi, domando: voglio solo questa sicurezza. E la voglio in maniera del tutto egoistica. Sono una madre di merda, pazienza. Io di lei ho bisogno come l’aria. Perché sa farmi ridere, sa consolarmi, lei è magica, e una come me non se la merita una figlia così, ma a me è toccata e allora me la godo, come stamani che mi ha chiesto, prima di alzarsi, se restavo con lei abbracciata solo per un minuto…

E quindi ho paura? Sì. Non dell’intervento, mi rendo conto oggi, ma del dopo. Perché dopo dovrò, almeno per un po’, girare un po’ più lenta, come un motore che ha qualche valvola da regolare o che so io. E dovrò riposarmi, mi dicono tutti. Gesù…ma come si fa?

Riposarsi, rilassarsi, riguardarsi. Iniziano tutte per ri. E non ne so fare una. Forse il mio è un problema etimologico…

(Sono stata bravissima a non parlare di TDL in questo articolo: vedete come sono brava? Non che lui non ci sia stato nel giorno stesso e nei precedenti: c’è stato eccome. Ma io sono di parola e non ne scrivo, non ne parlo. Mi applaudo da sola!)

Imparare

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Ho ancora un’ora prima dell’appuntamento telefonico con la Psicologa del gruppo di scrittura, che (molto disponibile, disponibilissima)risponderà alle mie domande sul narcisista covert, questa figura a me (ora parzialmente) sconosciuta.

Il mio racconto è già partito, Arianna, la protagonista e mia nuova figlia, sta facendo quello che deve fare e ricordando quello che deve ricordare. La sua storia è già scritta, in un certo senso, i racconti si scrivono da soli, noi siamo solo il braccio, le dita e qualche correzione di sintassi e grammatica, se la conosciamo. Ho sempre pensato che quando un personaggio nasce, poi fa come gli pare. Tu vuoi fargli fare un’altra scelta? E no, lui si impunta e tornerà al punto di partenza, perché decide lui, è la mia vita, sembra dirti, tu devi solo registrare, le scelte me le faccio da solo

Buffa, a volte, questa cosa della scrittura…

Ma non era questo che volevo dire, oggi.

È che ieri sera prima di dormire mi sono segnata una cosa sul foglio che ho sul comodino, ho segnato questo verbo: imparare. E stamani me ne ero dimenticata, ma poi ho letto una cosa che me lo ha fatto ricordare e quindi ho fatto tutte le cavolo di cose che dovevo fare questo lunedì mattina, Little Boss al pulmino, passaggio all’asl, spesa, fotocopie e poi di nuovo asl, un brindisi con cornetto e cappuccino, me ne sono tornata a casa e ho ripreso il foglio.

Pensavo a tutte le cose che ho imparato nella vita. E a come le ho imparate.

Avevo cinque anni quando mi resi conto che mia sorella con le sue amiche andavano più veloci di me in bicicletta. E mi lasciavano sempre indietro.  Loro viaggiavano su due ruote, io su quattro. Così decisi di imparare. Eravamo al campeggio e davanti alla nostra roulotte c’era questa strada lunga e grande (che ora posso dire che era solo un viottolo, ma la tempo mi sembrava una quattro corsie), tutta ricoperta di ghiaia. Mi ci misi la mattina, dopo che mio padre ebbe tolto le due rotelline. A sera avevo imparato, ma avevo dei buchi sanguinanti su entrambe le ginocchia. Uno lo vedo ancora.

Mio padre mi ha sempre detto che prendo troppo dal mio corpo, io ho sempre pensato di essere il classico mulo da soma. È così che faccio tutto, che imparo tutto: me lo metto in testa e sgobbo come una dannata fino a che non ho imparato. Con sudore, sangue (anche reale) e fatica. Sono ostinata, dopotutto. E se una cosa la voglio imparare la imparerò, se una cosa la voglio fare, la farò.

E va da sé che non tutto quello che ho imparato l’ho voluto, non volevo imparare il dolore, per esempio, ma è successo.

Ma poi ci sono cose che, nonostante gli sforzi, non sono riuscita mai a imparare. E quando me ne rendo conto mi sento spiazzata. Tutta la mia sicurezza sul mulo da soma eccetera. Ho sempre ripetuto a me e agli altri una frase che pare uscita da un manuale di autoaiuto per negati: se vuoi, puoi.

Eppure. Eppure ho sperimentato che non è affatto così. Certo, non sto parlando di cose banali: se voglio imparare a cucinare le cime di rapa in salmì lo farò, d’accordo.

Ma non ho imparato ad esempio a prendermi cura di me. O a gestire una relazione. O a essere meno impulsiva. E tante altre cose.

Una parte di me mi dice che se queste cose non le ho imparate è perché non voglio impararle davvero, perché non me ne frega nulla. Questo dà ragione alla mia teoria del Se vuoi, puoi, dopotutto, e il mio senso logico ne esce vittorioso. Ma c’è sempre un piccolo dubbio che mi non mi fa depositare la questione nel cassetto in alto del mio cervello.

In ogni caso stamani imparerò qualcosa. Tra meno di mezz’ora.

E il risultato sarà, di nuovo, Moon+1. Un’operazione che spero tenda all’infinito.

Il Moonverso

post 65

 

Mi sono imposta una dieta. Una cosa che dura da poche ore, a dire il vero, e chissà se mai riuscirò ad arrivare a ventiquattro. Conoscendomi, ne dubito. Quindi posso già parlare di dieta? No. (No! Devo essere ottimista!)

La mia dieta prevede: evita di non mangiare, per favore; evita di affogare qualsiasi cosa in una salsa al colesterolo (l’altra sera ho mangiato patate lesse in salsa di: fontina, mascarpone, panna, emmental e parmigiano. Con tanto pepe); evita di mangiare solo pasta, che lo so che fai presto a fare le linguine in bianco, ma insomma…

In pratica la mia dieta si risolve in: cucina anche per te. E mangia. Magari anche qualche verdura.

Visto che per un mese avrò una prescrizione medica che mi proibisce di fare attività fisica (praticamente il sogno della mia vita), almeno la dieta va corretta.

Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per Moon (eh sì, non ho resistito, scusate).

Quindi sono qui che mi preparo una tisana al posto del bicchiere di vino, ascolto lo sciacquettio della lavastoviglie con un orecchio e una canzone dei Cake a ripetizione, Frank Sinatra, una gran bella canzone. E pensavo che più o meno ho fatto un sacco di cose anche oggi. Mi sono rimessa in pari con qualche progetto arretrato, anche se non ho ancora finito. E ho pensato al racconto che devo scrivere e finire (prima bozza) entro la fine del mese. E di cui ho già sognato il finale. Sognato nel senso di sognare. Da addormentata. E quando mi sono svegliata tutto era così chiaro. Era chiara la direzione che il mio protagonista doveva seguire ed era chiara la sua strada, come se la luna la avesse rischiarata per tutto il tempo (mi sto autocitando stasera, chiedo venia).

E devo dire che siccome di solito le grandi idee per i racconti le ho mentre guido, questa è una modalità che differisce moltissimo. E quindi la prendo come un maledetto Segno. Il Segno, per essere precisi, è che questa storia deve venire fuori. Ora. È il suo momento. E non sentivo questa sensazione da anni, non sentivo il richiamo di una storia dall’ultima Laura di cui ho scritto (e che ho messo qui, su WordPress, sul blog di Circolo 16).

Una bella sensazione.

Ed ecco che, finalmente, allora, stasera, ora, sarò breve. Perché dopo essermi rimessa parzialmente in pari con gli impegni(completare racconti a due mani –Franck, ho terminato il mio pezzo proprio oggi. Devo solo trascriverlo ora, come ti dicevo-; revisionare un racconto dello Scrittore; pagare tutti i bollettini; dare comunicazione agli altri genitori della riunione a scuola- con relativo sondaggio per una gita al Fico-; insegnare alla collega come scrivere sulle torte in mia assenza) ecco che sono pronta a dedicarmi alla narrativa.

E ho un biglietto sulla mia bacheca. Lo scrissi ad Agosto, prima di aprire questo blog. C’è scritto sopra: i Segni dicono che devi ricominciare a scrivere.

Prendo molto sul serio i Segni.

Una volta un tizio, un musicista, mi disse: quando fai un cambiamento positivo l’Universo si muove per aiutarti.

Il mio Moonverso si sta muovendo.

Vediamo come risponde l’Universo.

Zen e narcisismo

post 64

 

Non so se vi è mai capitato di andare in quei centri benessere, qualcosa tipo Spa, per intenderci. C’è una cosa simile vicino a me, lo chiamano Thermarium, entri (dopo aver lasciato la mamma come garanzia), ti accoglie una signorina vestita di bianco, hai la sauna, il bagno turco, la doccia sensoriale, la tisana e, sopratutto, quel profumo di Patchouli e la musica: uccellini, flauti, eccetera.

Ed ecco che proprio oggi, primo giorno di lavoro dopo la mia dichiarata tregua (che per me significa anche: rilassati cara, distendi i nervi, prenditi tempo e tutte quelle cose lì) entro in cucina e sento, accanto al microonde, un suono strano. Sono uccellini, ne sono certa. Fuori fa parecchio freddo: qualche passerotto in cerca di riparo? Ispeziono gli scaffali, cerco ancora e trovo…un telefono. La nuova aiuto cuoca ama la musicoterapia si vede e infatti eccola che mi spunta alle spalle (sempre sorridente, sempre pulita, sempre calma) e mi chiede: ti piace?

Ma sì, why not? Un po’ di aiuto non può che far bene.

E quindi oggi escono piatti zen, volteggio tra i tavoli, nemmeno mi incazzo per le due spagnole che ci mettono cinquanta minuti (!) per finire un piattino di formaggio in due. Che solo quello hanno ordinato. Un piattino di formaggio in due.

Ma ho altro da pensare, alla svolta, no? Prima di tutto ora sono decisamente single(1), me lo ha detto ieri lo Scrittore (si sarebbe incazzato se lo avessi chiamato così prima. Ma ora posso, dato che ha pubblicato il suo primo libro). Mi ha telefonato verso le dieci per chiedermi come sto, l’esame eccetera e poi, alla fine, mi ha parlato di un progetto, qualcosa che mi risvegli dal torpore, lo so che lo fa per me di farmi entrare in questa cosa. Si tratta di scrivere un racconto incentrato sulla figura del narcisista covert. Ovvio che io non ho idea di cosa sia, al più arrivo al narcisismo, ma più per il mito che altro,  e quindi sono già due giorni che leggo (anche qui su WordPress), mi informo e cerco di capire. E alla fine, leggi leggi, qualcosa è arrivato.

E allora mentre sto andando alla riunione della scuola (alla quale arriverò all’orario sbagliato trovandomi costretta a riorganizzare tutto il pomeriggio in tre minuti e la cosa, ovvio, funzionerà un po’ male e dovrò correre per riuscire ad arrivare in tempo, quello giusto, trovandomi davanti il culo di un cinghiale che per un pelo eviterò) penso che questo progetto mi serve. 25000 battute in dieci giorni. Su qualcosa che non conosco. Ma che mi piace da morire…

Non lo so perché ma i disturbi mi attraggono. Nel senso che ci scrivo volentieri. E ci ho scritto. Perché è quell’essere in bilico tra normalità e patologia. È quella parte nascosta che sta in ognuno di noi. Le paure, le ansie…

Ognuno è disturbato a modo suo. Io per prima.

E quindi nulla, alla fine ho accettato.

E dopo trenta secondi ecco che faccio parte di un gruppo che ha a che fare con fave letterarie (no, non lo chiedo il motivo) e mi arrivano un sacco di benvenuta! Buon lavoro! Info gruppo, riunioni… oddio! Speriamo di riuscire a farcela.

Ma sì! Io so scrivere bene! Verrà un racconto formidabile! Sono brava, diamine, so scrivere!

Ecco, visto? Mi sto già calando nella parte del narcisista.

Overt, però.

(1) Il fatto di sentirmi chiamare single mi ha dato da pensare. Prima non lo ero? Insomma, con TDL lo ero, lui aveva un’altra… e con l’Amico Speciale lo stesso, non c’era nulla di definito. Quindi cosa ho, una medaglietta, ora? Mi fanno gli sconti? Ma sopratutto, non è che single significhi sola. Perché io sola non lo sono. Sono piena di amici, di persone che mi vogliono bene e a cui io voglio bene. Persone che vanno e vengono. La mia famosa rete. Quindi, esattamente, cosa significa essere single? Che non vado a letto con nessuno? Ma quello me lo ha prescritto il dottore, quindi…

Tregua?

 

post 63

Così gli ho detto in macchina a TDL: mia figlia è l’unica cazzata che io non abbia fatto nella  vita.

Non mi capacito di come ancora possa amarmi dopo tutti gli errori, dopo tutta la sofferenza. Dopo tutto.

L’ho detto a lui per dirlo anche a me.

Devi pensare a te, dice l’ospedale.

Non posso pensare a me senza di lei.

Ed ecco che allora ci pensiamo insieme, ragioniamo sulla mia convalescenza. Io e lei. Non potrò fare sforzi per un mese, le dico. Guarda che le casse dell’acqua le posso portare su io, mi risponde. E poi per la spesa la fai un poco ogni giorno. E non devi più prendermi in braccio come quando ero piccola. 

Incontrovertibile.

Non ci pensare, dice la mia piccola Boss.

Io invece ci penso.

Penso alla dottoressa con gli occhi chiari che faceva casino con i fogli (non me li scombinare!, rideva l’infermiera), stai tranquilla, mi ha detto, non è una spada di Damocle, è un tumore. Noi lo leviamo e le possibilità che ti torni è bassissima.

Io so che ha ragione. Lo so perché ho letto. Lo so perché mi sono informata. Lo so perché io non ho paura di morire. Non è la morte che mi spaventa. E poi non ci muoio per questa cosa. Nel senso, se non lo tolgono magari anche sì, ma la prevenzione funziona (Funziona, capito? Fateveli i controlli: fine della pubblicità progresso).

Penso al lavoro: dovrò fare meno palestra del solito (ricordate? la pesistica alzando i fusti della birra? I piegamenti eccetera?), sarò quindi meno efficiente e mi gireranno un po’ le scatole. Sarò più lenta, maledizione, e io detesto essere lenta.

Penso anche al sesso. Zero per un bel po’. Non conta che io che non abbia più l’altra parte, è l’idea. Clausura. Clausura indotta: se non è questo un Segno

Poi, ovvio, penso: e se non lo tolgono tutto? O ritorna? Altro intervento? E poi: per dieci anni devo fare controlli, e pensarci?

Certo, ok, come ho detto a Barbara, qui: è una gran rottura di scatole. Era meglio vincere alla lotteria, che lo so che dovrei iniziare a giocarci, prima, altrimenti non posso certo vincere, ma fa lo stesso.

E tra poco più di una settimana farò l’intervento, e via, chiuderò un altro capitolo.

E poi si aprirà qualcos’altro, magari.

O magari non si apre nulla e io avrò finalmente la mia tregua.

Sì, ci credo poco anche io.

Le testine come me trovano sempre il sistema per complicarsi la vita…

Nota:Come promesso ho ricongiunto il Tempo. Ho un po’ corso, devo dire, per poterlo fare, soffocando il blog di articoli. Ma ci sono riuscita. Quindi la tregua è anche per voi. Se vi va bene non riuscirò più a scrivere un articolo al giorno. Magari la mia vita diventerà così piatta che non avrò più nulla da scrivere. Forse… chi può dirlo? 

Il punto simbolico

 

post 61 e 62

 

Sono già due giorni ormai. Nel mentre sono successe altre cose, come sempre, quando do il gas alla mia vita la mia vita risponde con l’accelerata: mi pare logico, anzi, meccanico.

Ho messo il punto simbolico. E l’ho messo chiamandolo proprio così: punto simbolico. Ho avuto venti minuti, anche meno di mezz’ora, siamo scesi dalle macchine e poi nel bar di fronte per un caffè e lui mi chiede, mentre aspettiamo la tazzina, dimmi tutto, e, giuro sulla testa di mia figlia, in sottofondo c’era questa canzone, Dancing in the moonlight, e io mi sono messa a ridere, cosa ridi?, Nulla, è che questo posto non va bene, usciamo per favore. L’asfalto sarà una scenografia perfetta.

Gli ho chiesto di non parlare. E lui l’ha fatto, ha ascoltato e basta, ha ascoltato mentre gli dicevo che non ha funzionato nulla, nemmeno odiarlo, che però sono stanca, non ce la faccio più, e allora eccolo, il punto simbolico, che è vero che potevo farlo anche senza dirglielo, ma l’ho già fatto e non ha funzionato, quindi…

Una fine.

Non risolve.

Ma aiuta.

Smetti di tirarmi le trecce, gli ho detto.

Posso anche non venire più al Ristorante, se lo vuoi.

Non serve, non risolverebbe nulla, ho già provato a evitarti, ma non è questo, non è evitarti, è metterci un punto, quello che mi serve.

Fai sempre tutto da sola, dice.

Forse, penso, ma non rispondo più.

Scendo dalla sua macchina per evitare di piangergli davanti, lui mi prende per la mano, chiamami quando starai meglio, voglio ancora sentirti parlare.

Sono stata previdente. Il maglione ha protetto il freddo, le scarpe mi hanno impedito di inciampare. E il trucco si sarebbe sciolto.

E quindi cercherò di smettere almeno di scriverci su (li sento gli applausi e le grida di giubilo: era ora! Finalmente!).

Mi ci vorrà forse ancora tempo per risarcire questa ferita.

E tanto nel mentre ho altre cose a cui pensare…

Quando parlo di Segni parlo proprio di questo: l’ospedale mi ha dato un Segno bello grosso: ora devi pensare a te, smetti di circumnavigare il tuo cuore. Pensa al tuo utero…

Prima di

post 61 e 62

Sei qui per mettere un punto simbolico. Quindi fallo. Questa storia non può avere seguito, quindi tanto vale che abbia una fine.

E tanto vale che la fine la scriva tu anche se sai che con i finali non sei brava, mai scritti dei bei finali nei tuoi racconti, tendi a far morire la gente, tuo padre te lo diceva sempre leggendoti. Poi ha smesso di leggere. Tu non glieli hai più dati e lui non li ha più chiesti. Troppa fatica, Moon, sembrava volerti dire.

Quando avevi sedici anni ti sei presa una cotta per un ragazzo, siete usciti poche volte, poche, prima che tu ti stancassi. Ma quei primi giorni eri eccitata all’idea di vederlo, la prima storia un po’ vera, i primi baci seri, le mani ovunque, quell’aspettarsi sempre qualcosa di più. E allora per calmarti prima di uscire facevi una doccia bollente e ti preparavi una camomilla. Lo hai fatto anche stasera prima di uscire, prima di incontrare lui, ma non è più eccitazione, è paura quella di cui cerchi di lavarti le tracce, che affoghi nella camomilla. E ora te ne stai qui, in questo parcheggio, la torcia attaccata al volante, aspetti. E scrivi. Ché una cosa l’hai imparata da quando avevi sedici anni, una cosa l’hai capita: scrivere ti fa bene, è il tuo massaggio, il primo sole sulla pelle  a primavera.

E ora, ora che stai per assistere al funerale di una parte di te, quella che crede e che ha creduto, quella che spera e che ha sperato, hai bisogno di cose che ti facciano bene. 

Il battito rallenta mentre ti chiedi per la centesima volta perché hai scelto questo posto, uno squallido parcheggio, qualcosa di talmente lontano dal bellissimo parco in cui vi siete imparati a conoscere. Ma forse sono gli inizi a scegliere i posti, così come le fini. Non scegli tu, scelgono loro.

Non ti sei truccata stasera, nemmeno il filo di mascara che ti metti di solito perché lo sai che quando ripartirai, quando tornerai a casa, non potrai non piangere. E ti congratuli con te almeno per questo, almeno per i dettagli: la maglia pesante per non sentire freddo, le scarpe comode per non inciampare, carta e penna per alleviare la tensione.

Manca poco, una manciata di minuti.

Non sono pronta.

Ho paura.

Ma dopo non potrai che stare meglio. 

Il Simposio: qualcosa che ho già vissuto sbarca qui, sulla Luna

post 60

Stamani mi sono svegliata in un’altra città.

Stamani mi sono svegliata sul mare e già questo è il piccolo miracolo di cui il mio corpo e neurone solitario avevano bisogno.

Mi sono svegliata in un’altra città sul mare con Little Boss. E qui suona tutto: ho fatto il super bonus, ho vinto!

Il sole, la colazione fatta alle dieci nella pasticceria più famosa della città, un giro in libreria (non sono riuscita a tenere le mie mani lontano da Roth… sono pessima, una tossica di libri…) e il mare. Una splendida giornata, alla Vasco. Vedete poi come mi accontento di poco, non voglio mica la luna! (ora la smetto con le citazioni musicali, una cosa che faceva sempre mia madre quando ero piccola).

TDL arriva alle quattro del pomeriggio. E vabbè, avevo torto: non si è dimenticato, non vuole non vedermi (perdonate questa litote orribile), mi dice: domani?

E io domani ho solo mezz’ora per stare con lui. E così penso se rimandare ancora. Ma poi no, ma che rimando. Mezz’ora basterà per fare quello che voglio fare, tanto non riuscirei in ogni caso a dirgli tutto quello che ho dentro, tutto quello che vorrei sapesse, nemmeno se avessi una giornata intera, e allora forse è meglio, avere solo mezz’ora, no? Mezz’ora è sufficiente per mettere il mio punto simbolico, per rendergli il suo libro di modo che io non abbia più scuse, che non abbia più ganci a cui appigliarmi per chiamarlo. È l’ultima cosa che ho di lui, quel suo libro. E la maglietta me la tengo, punto.

E in tutto il giorno non ho fatto altro che pensare alle relazioni, alle forme di amore, a Platone, ho invaso spazi altrui (scusa CG) e tutto questo mi ha riportata a uno spettacolo che ho visto con Little Boss a casa di un amico, un discorso sul mito, in particolare sul Simposio. E mentre sono qui che penso che devo rileggerlo, mi rendo conto che l’ho già pensato anche allora e poi non l’ho fatto. Ma ho un piccolo resoconto, che è poi una lettera che ho mandato a TDL dopo la serata. E ne lascio un pezzo qui.

Beh, la serata era nella cantina di Furio, un tipo strano che ho conosciuto un annetto fa perché aveva letto cose mie e voleva che creassi un evento (o collaborassi a crearne) nella sua cantina. La cantina è uno spazio privato aperto alla cultura: musica, teatro, cose così, che lui organizza per lo più per gli amici. Non mi ricordo se te ne ho parlato, se mi ripeto scusa. Insomma. Io ho fatto uno spettacolo con i miei racconti nella sua cantina e lui adesso ogni tanto mi invita ai suoi nuovi eventi. E stasera era il turno dei un attore, Vittorio.

Lo spettacolo era sul mito. Discorso sul mito. Vittorio lo conosco a casa di Giorgio, prima dello spettacolo: incurvato, un pugliese con accento romano (tutto il teatro si impara a Roma) , innamorato del mito. Eh. Ha scoperto l’acqua calda. Pure Jung si rifaceva al mito per spiegare la psiche. Perché il mito non è altro che la storia dell’uomo. Il mito spiega tutto e tutto si spiega con il mito. Quindi parte, da bravo amante fittonato a parlarmi dell’Orlando furioso (mentre io cerco tento di capire quale mito origini la banshee, protagonista della serie tv Teen Woolf che ho visto con Little Boss); e lui parla, parla un casino, si commuove appena sente nominare Afrodite e Proserpina, poi passa a raccontare degli Argonauti, e poi mi dà delle indicazioni per capire che Goldrake in realtà era la rappresentazione del Minotauro e che le sette stelle sul petto di Ken Shiro sono quelle che gli imperatori dovevano avere per salire al cielo come divinità. Infine mi dice che I guerrieri della notte (il film del 1979) sono una trasposizione moderna dell’Anabasi di Senofonte. (in queste occasioni dovrei avere l’emoticon giusto…)

Insomma, Little Boss è lì che adocchia il salame sul tavolo dell’aperitivo (ancora inviolato), già sbuffa e io vorrei sapere se anche Heidi è una trasposizione di qualche dea, magari Era. Dopo un’ora di ritardo parte l’aperitivo. E la piccola si placa per un po’. Certo, ha ragione, siamo circondati da vecchi e qualcuno del settore, qualche attore, tutta gente che non conosco, ma ho visto e mi hanno visto, chissà quando e come (ma sì, Moon, eppure sei una faccia conosciuta…mah). Quindi, mentre io ascolto con il bicchiere di vino l’incredibile storia di un’ingegnere di nome Marina che a 30 anni ha mollato lavoro e marito per dedicarsi al teatro e ora vive a metà tra Francia e Italia (nel senso che la Francia la fa campare con il teatro e l’Italia no) , Little Boss spippola sul telefonino (che non prende, per nulla) sbuffa e mi dice: ma dobbiamo proprio restare?

Panico!

Cribbio, sì che dobbiamo!

Ecco, le previsioni si avverano, mi odierà.

Dai, le faccio, aspetta ancora un pochino, ora comincia. E per fortuna pure Vittorio si è stancato di fumare sotto l’acqua e rientra e prende posto sulla sedia e le luci si spengono e facendo girare il suo carillon comincia.

Racconta.

Racconta e basta.

Racconta partendo con questa frase: Il fatto è che noi non ci occupiamo più di anima. Mentre i Greci lo facevano. E lo facevano con il mito.

C’è un dialogo di Platone, il Simposio, forse il più conosciuto, che narra di una festa a casa di un poeta, Agatone, a cui sono invitati un po’ tutti: Fedro, Alcibiade, il guerriero, Aristofane, il commediografo, Pausania, lo storiografo, e, naturalmente, Socrate. Tema della serata? Eros, Amore. Le domande sono quelle: che cos’è? (ah, ah! Che risate che mi sono fatta!) , come funziona? È buono o cattivo? Ci fa bene o ci fa male?

E per tutta la sera ognuno dice la sua, fino a che non arriva il turno di Socrate, che dice, senza mezzi termini che Eros non è un dio, ma un daimon, un demone. Eros lo sciogli membra, lo chiama. Nato dall’unione di Povertà e Abbondanza sarà sempre in bilico tra queste due forze. E se Eros possederà il corpo, nascerà una creatura di carne e sangue; ma se possederà l’anima, nasceranno le idee. Solo chi ama crea. E wow!, mentre sono lì che mi scrivo alcuni punti, ecco che a questa frase mi fermo, inebetita, a ragionare che no, cazzo, me lo devo rileggere, il Simposio (magari non tradurlo, che palle, tradurlo, poi ti perdi il senso, e poi chi ci riuscirebbe più?) , e insomma sono lì che ascolto e Little Boss mi prende la penna e il foglio e mi guarda contrariata. Scrive la frase: Solo chi ama crea. Della serie, che fai? Non ti segni queste cose importanti? E lì capisco quanto la amo. Lei, che se ne voleva andare, ora è incollata agli occhi dell’attore sul palco, è attentissima. E Vittorio continua a raccontare, parla della nostra capacità di infuturarci , proiettare una relazione nel futuro, e io, io sola, so quanto vorrei perdere questa capacità che invece, a parer suo, fa muovere il mondo.

E poi passa a Tiresia, a Narciso, Europa, Teseo, Dioniso, è tutto un turbinio di racconti che si intrecciano, vanno avanti tornano (questa cosa che vanno avanti e tornano me l’ha detta Little Boss e, cribbio, io non ci avevo pensato, e allora come non può sciogliermi il cuore?) , tornano per raccontare dell’uomo, dell’uomo attraverso il mito ed è pure divertente, specie quando parla di Zeus che è un erotomane (che è vero). E il tempo in queste storie non conta, lo dice più volte, ed è vero, perché sono storie di allora e sono storie di ora, di mai e di sempre.

E conclude con la domanda che Aristofane fa durante il Simposio: perché per tutta la vita non facciamo altro che cercare di abbracciare un altra persona? E qui parte il mito per cui gli uomini un tempo erano doppi: quattro gambe, quattro braccia, due teste, due sessi. E poi Zeus, l’erotomane, siccome erano tracotanti e volevano sterminare gli dei, che fa? Li divide in due. La storia dell’anima gemella, sai? Quella lì. E per tutta la vita li condanna a cercarsi. Ah, e certo, di mezzo poi c’è lo zampino di Eros.

E mi chiedo quanto caso ci sia in tutte queste sincronicità junghiane.

E mi chiedo, tanti sono mai i miti, e i dialoghi che Vittorio poteva fare sul mito(mica fa sempre il solito, mi ero informata) che mi chiedo perché io sia andata a vedere proprio questo. C’è chi mi dice che io vedo i segni un po’ come cazzo mi pare. Vero. Lo faccio. Ma poi… boh. Forse guardiamo davvero solo ciò che vogliamo vedere. O forse c’è della magia da qualche parte. O forse la vita è questa, è piena di segni ovunque che ci vogliono indicare la strada. Tutto accade per caso nello stesso istante in cui tutto non accade per caso.

Uff. Chissà che noia, eh? Prima o poi riuscirai anche a dirmelo 🙂

Per ora ti dico grazie. Perché solo scrivendolo a te mi sembra di averlo vissuto davvero. E adesso questo è un altro tassello della mia vita, che si va ad aggiungere a tutti i tasselli. E un tassello sei tu.

Buonanotte”

Volevo essere breve. Cazzo

post 59

E mi piacerebbe che poteste sentire questa canzone mentre leggete, ma non so come funzionano davvero i video qui, su WordPress.

Mica perché sia una bellissima canzone, anche se devo dire che Spoty l’ha trovata per me e quindi va da sé che mi piace, solo che scrivo queste parole con queste note in loop, perché se una canzone mi piace faccio così e la ascolto in loop, perché se una canzone mi piace significa che mi fa stare bene(o male, fa lo stesso) e io voglio sentirmi in quel modo il più a lungo possibile. Voglio sentire, provare, toccare tutto quello che mi fa sentire viva.

E stasera sto (stranamente) bene con me stessa, cavolo quando sto bene, mi guardo allo specchio e mi piacciono quelle linee viola sotto gli occhi, il pallore da enfisema, lo zeroseno sotto la maglietta, i capelli bianchi, pure quelli (prima o poi ci vado dal parrucchiere a sfruttare il buono che mi hanno regalato i colleghi). E mi piace il mio sorriso.

Perché sto bene? Sarà questa canzone? Santeria?

O sarà il cielo nuvoloso? Il turno doppio? Il mio ex che si incazza perché ho deciso di non mandare a scuola Little Boss lunedì per poter stare un po’ di tempo con mio padre? L’ospedale che chiama per dirmi che sì, c’è bisogno di fare due parole, ma non puoi dirmelo ora? No, non si può, la privacy eccetera , devi aspettare giovedì. Sarà TDL che non mi chiama per il nostro famoso incontro?( Ma mi manda messaggi per cose inutili, cose che sa già, diamine, gatto e topo!) Ormai sarà la prossima settimana, mancano due giorni a lunedì, il lunedì che dà il via alla settimana prossima, e lui nulla, non fa quello che ha detto, non mi fa sapere, cosa che mi aspettavo, certo, lui si fa da parte, è un gentleman, dirà così, cavolo, I Known my Chickens, li conosco bene. Che poi è solo un modo per prendere tempo, crede che io sia una stupida? Lui non sa che io so. Ma sì, va bene così, il punto che voglio metterci alla fine lo metterà lui in questo modo vigliacco, ma conta il fine, giusto?

E pensavo a una cosa, questa cosa della Sfera e del Cubo, Vittorio mi hai fatto pensare, maldetto dramma quotidiano, il mio pensiero, amico-nemico della mia vita, che poi penso davvero a caso, a volte, confondo la realtà con i sogni, non i sogni ad occhi aperti, proprio quelli che si fanno la notte, e ieri ho sognato di nuovo di nuovo di nuovo TDL, che mi incrociava e non mi guardava, non mi riconosceva nemmeno, che poi so perché l’ho sognato, il mio subconoscio mi sta mandando dei segni belli grossi di recente, potrei ignorarli e fare di testa mia, ma alla fine ci faccio i conti.

Divago. Come sempre. Pessima questa mia abitudine di perdere il segno, di smarrirmi e dover ricominciare da capo.

Pensavo alla Sfera e al Cubo, dicevo. Sì, ok, sono la Sfera: sempre in movimento e sempre la stessa faccia, la mia natura è rotolare via, ma non da tutto. Per molte cose sono un Cubo stabile: lo sono per il lavoro (mi serve, devo essere meno rotolosa possibile), lo sono per Little Boss (cerco comunque di essere una buona madre, di darle degli esempi discreti, non buoni, magari, ma io ho ceduto alla dura realtà dell’imperfezione e mi preme che impari questo, che impari a non pretendere la perfezione da se stessa, questo le salverà il coca button – tradotto: culo-), lo sono per… basta. Ho finito. Per il resto resto una Sfera.

Ed ecco, se c’è una cosa che mi piace di questo posto è questo: l’interazione. È come essere in un posto dove vuoi stare e parlare con chi vuoi parlare. Sono sincera: non credevo funzionasse così. Credevo che avrei scritto e basta. Libera il Censore, Moon. Ma qui le persone leggono. Non tutti, ma chissefrega, molte leggono davvero quello che scrivo. Il che per me è sorprendente. E io leggo. Leggo tanto. E assolutamente leggo. Nel senso che non metto mai un tic a niente che io non abbia effettivamente letto. Preciso perché qualcuno, giustamente, a volte polemizza su questo. Ma io leggo tutto quello che tocco con il mouse. Poi magari non ho un cazzo da dire e meno sto zitta, ma leggo (Sembra quasi un’intimidazione…scusate). Leggo perché quello che mi interessa siete voi, mi interessa il Dentro della gente, mi interessa capire e qui a volte, se stai attento, certo, se  stai attento lo vedi, un po’ di Dentro. Lo vedi anche fuori, certo, ma ti ci vuole più sbatti sbatti. Serve Tempo. Serve fiducia. Cose che non sono facili da ottenere.

Volevo essere breve.

Cazzo.

ps: i tag di questo articolo sono davvero a caso: perdono?