Torno qui come sempre di lunedì, il mio giorno libero, anche se oggi di libero non vedo neanche il cielo. È grigio, preannuncia pioggia, è in linea con la giornata, forse.
Oggi è il gran giorno, si parte per Montenero, ma non per accendere un cero, come ho fatto per gli esami di maturità (insieme a: andare a buttare il sale in mare e toccare la lucertola in piazza dei Miracoli).
Dopo una lunga lotta interiore e giornate e giornate di ripensamenti, alla fine ho deciso che una struttura sia la cosa migliore per mio padre. Lì avrà tutte le cure che servono, persone che lo assistono ventiquattro ore su ventiquattro, e pure un bel giardino dove passare un po’ di tempo e prendere aria. Adesso è piantato in mini appartamento che non è neanche casa sua, lo è solo da un anno, da quando l’ho portato qui vicino a me, non può uscire perché non ce la fa a muoversi e l’appartamento ha le scale, sta tutto il giorno con un’estranea che non parla neanche la sua lingua (dice ancora Martini invece che Martedì) e che a occhio non sa cucinare, visto che, come dicevo al mio nuovo amico Kas, sta attaccando a mio padre la sua fissa di non mangiare.
Per l’occasione ho chiamato anche mia sorella, che ha una macchina più spaziosa e dobbiamo caricarci tutto, dalla sedia a rotelle al deambulatore. L’Amico Speciale pure viene con me, si è preso un giorno di ferie. Ho deciso di mandare a quel paese la mia reticenza nel chiedere aiuto, ricomincio domani, eh, oggi voglio tutto l’aiuto possibile.
E quindi fra due ore andiamo. Sono un po’ nervosa, ma so di aver fatto la scelta giusta. È strano come a un certo punto della tua vita ti ritrovi a dover decidere della vita di un altro essere umano. E neanche lo hai chiesto. Anche con Little in effetti a volte l’ho fatto: la decisione di metterla al nido, per esempio. Ma socialmente non fa la stessa impressione, vero? Tutti ti dicono che non è un parcheggio, il nido, che fa bene al bambino, socializzare. Mentre nell’opinione comune una Rsa è una discarica. Ma su questo ho lavorato e sto lavorando con la mia nuova Psi (lei è Unabrava) e ho deciso di fidarmi. L’altra settimana mi ha dato un compito: scrivere. Quando l’ha detto sono quasi scoppiata a ridere. Mi chiede: lo hai mai fatto? E io, timida: sì, a volte. Ma delle decine di quaderni che ancora conservo, in perfetto stile Natalie Goldberg (Scrivere zen, ve ne dovrei avere già parlato), non ho fatto parola. Forse ci vuole un po’ di mistero potrebbe fare bene alla psicoterapia. In ogni caso sto cannando il compito a casa, come potete vedere anche dalla frequenza dei miei post. Certo, ho buttato giù qualche riga nell’ennesimo quadernetto, ma lo sento che non sta funzionando. Troppe cose da fare. l’Inps che mi richiede un documento per la domanda della 104, l’avvocato che me ne chiede cento per la pratica di amministratore tutelare, l’Rsa che mi chiede un foglio firmato dal medico e l’etichettatura con nome e cognome di tutti i vestiti, la sanitaria che mi chiede il collaudo del busto ortopedico che indossa, il neurologo che mi chiede l’appuntamento per il controllo. Meno male che, come diceva (ora non dice quasi più nulla) mio padre io, con questi ditini, sul cellulare e sul pc so muovermi bene, sarei una perfetta Badante Digitale. E in effetti quando Badante 3 ieri mi ha chiesto di ricaricarle il telefono ho ringraziato il cielo di avere Satispay che mi ha permesso l’operazione in due secondi. Lei si è messa a ridere e mi ha scritto un messaggio in georgiano che, buttato su Google traduttore suonava così: ti voglio bene buona zucca. Mah. Il concetto comunque è quello, immagino.
L’Amico Speciale si è alzato. Stamani canta Sei un mito, degli 883. Io spero sia per me e ne esco lusingata. È comunque meglio del Lady Oscar che cantava qualche mattina fa, soprattutto perché non ricorda mai le parole e poi mi tocca correggerlo vanificando, come lui stesso dice, l’effetto liberatorio del canticchiare appena sveglio. Sarà che io appena sveglia voglio solo il caffè. E al limite scrivere qualcosa qui.
Me lo dico da sola: in bocca al lupo, Moon, per questa settimana.