
Ed eccomi qui con il mio the verde (rigorosamente in infusione nella tazza con la scritta Chocolate is always a good idea), dopo una sessione di cucina casalinga. Perché, se è vero che voglio credere che la dieta che sto seguendo funzioni, lo è altrettanto che cucinare, per me, is not always a good idea… Ma sono costretta. Come diceva ieri il cuoco vegano del ristorantino che ho scovato vicino alla scuola di Little Boss, un conto è farsi una fettina in padella all’ultimo minuto, un altro è farsi piacere il tofu al naturale preso e messo lì.
Va detto che sto studiando (la cosa che in assoluto amo di più fare). Cerco di creare un ricettario su misura per me: piatti veloci ma gustosi. E giorno dopo giorno il Libro Vegano (L.V.) cresce.
Sulla meditazione invece sono un pelino più capra (Sgarbi dixit). Tento di farla dopo cena, sdraiata sul letto, così se mi rilasso tanto da addormentarmi sono già lì. Ma spesso non tengo a bada i pensieri, mi si imbizzarriscono proprio, e faccio una gran fatica. E mi deprimo perché non ne sono capace. Che poi, siccome la meditazione Mindfulness prevede che non mi giudichi, finisce solo che mi giudico anche per essermi giudicata: un macello.
Nel libro che sto leggendo sull’argomento (Guida alla meditazione della consapevolezza) c’è anche una sezione dedicata a un Progetto Mindfulness: si tratta di prendersi cura di… indovinate? Una pianta! Questo perché una pianta ha bisogno di osservazione, attenzione e cure. E disciplina. Ottimo, ottimo, ma io, come ho già scritto, sono una con il pollice verso, uccido qualsiasi cosa verde anche solo avvicinandomi (come Maga Magò nella Spada della roccia: presente?). Non voglio mietere altre vittime, non ora almeno, che sono così…principiante! Così ho trovato una soluzione alternativa: il lievito madre. Molti sapranno di cosa parlo, ma nel caso vi faccio un riassuntino: il lievito madre è il lievito che usavano le nostre nonne (o bisnonne o trisnonne, dipende dall’età di chi legge); trattasi semplicemente di acqua e farina fermentata in modo spontaneo grazie ai microorganismi presenti nelle materie prime. E questo, più o meno, lo sanno tutti. Quello che io invece non sapevo è che il lievito madre, contrariamente al suo nome, si comporta come un figlio. Anzi. Un neonato. Prima di tutto deve essere risvegliato, poi bisogna fargli il bagnetto, infine deve essere messo a letto. Il tutto solo per non farlo morire. Un Tamagotchi ante litteram. Se poi lo si vuole usare allora dobbiamo procedere a fargli vari bagnetti (i rinfreschi) ogni tot ora, deve essere fasciato in un certo modo, con tessuto di lino superpulito e corda apposta (sì, questa cosa della corda per legarlo non è proprio da infanti, ma concedetemi la licenza). Inoltre bisogna saperlo guardare e annusare con attenzione: se ha un odore troppo acido allora va lavato con lo zucchero, se gli alveoli sono troppo radi non va bene, se non ce ne sono troppi non va bene… insomma, un gran cavolo di lavoro per sfornare una pagnotta! Quindi per ora ho deciso solo di tenerlo in vita: il bagnetto una volta a settimana. Poi quando sarò più grande penserò al modo migliore per usarlo. Sempre che non muoia, ovvio.
Nel frattempo, anche per il lievito, studio. Perché il Ristorante sta diventando sempre più Pasticceria (aggiungi aggiungi, un biscotto nuovo qui, una monoporzione lì ) e quindi progettiamo di fare il mitico Panettone per Natale. Con, ovvio, il lievito madre. Credo che nei prossimi mesi avrò da impratichirmi, col piccoletto.
Mi ero messa seduta qui, in realtà, proprio per fare un riassunto di tutte le cose che sono successe a lavoro da sei mesi a questa parte, ma come al solito Va’ dove ti porta la tastiera ha prevalso.
Sarà per la prossima volta, eh…
Vado a fare uno snack con la maionese vegana alla paprika (buonissima, ve la consiglio anche se siete uovivori, è stata la prima ricetta del L.V.)