Vaniloquio del lockdown

 

post 199

 

Credo che il fondo si tocchi quando inizi a parlare da solo.

Parlavo di questa cosa con il Mentore non troppo tempo fa, di come è buffo considerare pazzi quelli che parlano da soli, mentre se scrivi, e va da sé che lo fai da solo, e in un certo senso parli con te stesso, invece no. Invece no.

Così ecco che torno qui. Così ascoltare musica con le cuffie anche se sono da sola e parlare con me stessa mi sembrerà meno folle.

Certo meno folle di tutto ciò che mi circonda in questo periodo, anche se non è proprio vero che mi circonda, sono le pareti a circondarmi. Direi quindi che il termine più appropriato è insinuarsi. La follia che c’è lì fuori si insinua nella mia vita, passa dalle finestre, dallo schermo, passa anche la mascherina. Nulla tiene contro questa sensazione di sterilità che sembra aver assunto la vita.

Io non sono una sostenitrice dell’andrà tutto bene, mai stata una persona con occhiali positivi, figuriamoci quando per vedere non c’è nemmeno bisogno delle lenti.

Oggi pensavo a come ho vissuto la mia vita. Pensando alla morte è una congiunzione che ti viene spontanea. Intendiamoci, non che della morte io abbia paura, certo mi girerebbe morire ora, ma non la temo in sé per sé. È solo che la morte è la protagonista di questa nuova e straordinaria situazione che cambierà le nostre vite per molto tempo. e allora mi è venuto da pensare: io ho avuto una vita felice?

È una domanda più difficile di quanto si possa pensare. La felicità non potrebbe esistere senza una buona dose di dolore. Dobbiamo fare il confronto, sennò che senso ha? Quindi pensare a una vita tutta ricca di felicità è impossibile per logica. Potremmo parlare al limite per prevalenza, ma anche qui il termine felicità andrebbe un po’ a soffrire. Dopotutto la felicità è vedere realizzati i propri desideri. Quindi partiamo da qui: chi conosce tutti i propri desideri da realizzare? No, dico, sin dal principio. Fin da sempre. Io ho sempre pensato che mi sarei accontentata di una vita tranquilla. E poi ho scoperto che no, non era la tranquillità che volevo. Non mi bastava. Così ho iniziato a pensare all’amore. Volevo amare. E l’ho fatto. Ho amato. Ma no, non mi ha reso felice. Anzi, spesso mi ha distrutto. Certo, va detto che questa distruzione mi ha aiutato a ricompormi in modo diverso, come quando smonti una casetta della Lego e la rimonti cambiando la posizione dei pezzi. Sono sempre gli stessi, i pezzi, ma sembra un’altra cosa.

No, quindi io non so cosa voglia dire questo senso di compiutezza che sembra porti la felicità.

Perché il fatto è questo. Che la felicità non sta nascosta dietro alla realizzazione dei desideri, ma all’accettazione.  Dall’accettazione di ciò che si ha, dal goderne. E io che sono senza spiritualità ho ancora molto da lavorare qui.

Quindi ho vissuto una vita felice? Ho avuto dei momenti di felicità, sì, alcuni molto intensi anche. E sono sinceramente soddisfatta di ciò che sono stata in grado di fare finora. Sono mediamente soddisfatta di me, salvo alcuni tristi momenti di autocommiserazione.

Ma no, non vorrei che fosse tutto qui.

Mi piacerebbe avere più momenti fatti di piccole cose e riuscire a vederlo. E a ricordarlo.

Perché i ricordi che scegliamo di tenere sono quelli che ci aiutano a plasmare ciò che saremo domani.

E io continuo a tenermi una pila di brutti ricordi…

Intanto, nel Moonverso…

post 117

 

Di solito prima scrivo e poi metto il titolo a quello che ho scritto. Un po’ a casaccio, come i tags. Ma stamani mentre facevo le pulizie al Ristorante (una cosa che mi piace, lavoro ripetitivo, che non implica la presenza del neurone solitario del mio cervello) mi è venuta fuori questa frase e eccola lì che ve la propino oggi. Perché io sono figlia di quello di cui sono figlia, televisione e fumetti.

Quindi:

Intanto, nel Moonverso…

Sabato pomeriggio mi arriva un messaggio da TDL. Ha finito un racconto, Per favore mi dai un occhiata? (sì, senza l’apostrofo, quando voglio posso essere una vera stronza, lo so, me ne rendo conto, ma non lo faccio apposta… no, non è vero, faccio la stronza apposta. Ma almeno posso dire che non mi fa sentire meglio).

Passa il sabato. La domenica lo vedo, lui fa un accenno al racconto, io gli dico che appena posso lo leggo, lui fa la faccia da cane bastonato, io quella da cane che ringhia.

Lunedì riprendo il file in mano. È un racconto che ho già letto in buona parte perché lui la aveva usata come scusa prima per cercarmi (Ah, tu scrivi? Allora ti volevo chiedere…eccetera). È una storia fantasy, e ho già scritto forse quanto io sia lontana da quel genere, manco Tolkien ho finito, e va detto, Tolkien è Tolkien… comunque non è certo il motivo per il quale esito. Tutta questa storia mi puzza di altro. E appena sento quell’odore io mi incazzo. Ne parlo con lo Shogun. Che mi dice che forse non sono la persona giusta per questo lavoro. Io concordo, ma per motivi diversi. Solo che mi rompe da morire non fare un lavoro che mi piace (eh, sì, ognuno è malato a modo suo) perché ho paura di non essere obiettiva. Nel caso specifico ho paura di essere troppo stronza. Che già lo sono, quindi… insomma, mi dico, tu sei in grado di essere professionale. Se di professionalità si può parlare. Esito, apro, chiudo, riapro e mi decido.

Appena vedo il testo già mi salta un nervo: mi ha rubato il carattere! Ora, questa storia del Courier (che è il mio carattere, che voi non vedete perché l’editor di WordPress mi ha messo questo altro e io sono pigra e non lo cambio) l’ho già scritta qui da qualche parte. So che sono stata io la prima a rubarlo al Mentore, quindi da ladra a ladro… ma no. Un conto è rubare e un conto essere derubati, specie se hai il sospetto che il motivo sia lo stesso.

Ma rimetto a posto il nervo saltato e proseguo (professionalità! Eccheccazzo!). la storia la ricordo molto bene, il pezzo che ha aggiunto chiude bene, la trama si regge, non è male. Non mi entusiasma, ma è il genere stesso a non farlo. Solo che noto l’aggiunta di qualche descrizione che prima, sono sicura, non c’era. Della co-protagonista, per l’esattezza. Ma siccome non voglio fare la paranoica, apro il vecchio file che mi ha mandato più di anno fa e confronto. Certo, ho ragione io. E beh, ok, chiudo tutto, invio due righe poco specifiche sulla funzionalità della trama (aggiungendo che è un cumulo di refusi e imperfezioni che vanno corrette) e stop.

Lui poi chiede se posso aiutarlo anche in quello, segnando in rosso gli errori.

Cazzo!

Ok, TDL, lo faccio, ma senza fretta, ho un romanzo, una causa di affido, una vita privata.

Ma io ho fretta!

Eccheccavolo! Farò il possibile… (e qui la domanda nasce spontanea: perché diamine hai detto ok? Come fai a infilarti sempre in queste stronzate?)

E vabbè, qui andrebbe steso il classico velo pietoso su quanto sono scema e su quanto troppo disponibile sia (l’Amico Speciale diceva servizievole, magari aveva ragione lui).

Ma ciò a cui pensavo stamani in realtà era proprio la descrizione di TDL del suo personaggio. Era chiaro che avesse voluto inserire quella descrizione per me. E che voleva che la leggessi. Solo che la tizia, lì, veniva descritta come apparentemente algida. Una donna dura, che non si lascia sfuggire sorrisi se non in rare occasioni. E in una settimana è già la seconda volta che mi viene detta la stessa cosa. Il mio ex Lex (questa è una storia moooolto lunga che chissà se mi capiterà mai di raccontare per intero. Vi basti sapere che, come Superman, avevo un personale Lex Luthor che ce l’aveva con me per motivi personali di non chiara natura, e con il quale, proprio questa settimana pare che io abbia chiarito. Sì, lo so, ci sono tanti forse e ma ancora, è la mia natura diffidente, diciamo che ok, mi fido, ma sto ancora con le orecchie dritte, come ogni volta che non capisco bene le cose) ha detto che sembro insensibile. Ora, questo apparentemente e questo sembrare significano che ai loro occhi ok, forse non lo sono davvero, algida e insensibile, ma resta il fatto che per chi non mi conosce io appaia così. E questa cosa mi sconvolge. Tanto. Perché io credo sempre di essere socievole e solare, mentre invece sembro la matrigna di Biancaneve.

E allora giù seghe mentali, come da copione. E stamani sorridevo a 100 denti, quasi da paresi, e mi sono sentita dire da una cliente, Ehi, biondina (questo vizio ce l’hanno tutti, di chiamarmi biondina, maschi e femmine) come sei seria!

Ma cavolo!

E sì che mi sembra di non aver mai sorriso tanto alla vita come adesso. Sono proprio felice, cavolo, e a quanto sembra questa cosa si nota solo perché sono più bella. E ok, mica è un male se me lo dicono, il Mago del computer, un amico, mi ha detto anche che sono più alta! Ma io voglio sembrare quello che sono, diamine!

Più felice!

Domani mi attacco in fronte uno smile…

La vita va sorrisa

post 112

 

Lunedì, giorno di festa, mi sveglio intorpidita, ma con una strana (per me) sensazione di relax. Quante cose accadono in tre giorni, penso.

Ho notato che l’universo desidera che io abbia delle overdose di felicitàdi recente, e così mi manda lo Shogun a sorpresa insieme alla mail di un’altra rivista che pubblicherà un altro mio racconto i primi di Aprile. Una diversa versione della Teoria dell’Universo dice che è il mio momento (devi sfruttarlo). Un’altra ancora dice che lo Shogun porta fortuna. Fatto sta che io ho ricevuto in regalo tanta bellezza, di nuovo, e mi dico, Beh, Moon, goditela finché dura. Che già lo sai che le seghe mentali sono sempre in agguato, nonostante tu abbia coscienza che sono seghe mentali. E infatti ho rispolverato un libercolo di un certo G.C.Giacobbe giusto per ricordarmi come sono fatte, le seghe mentali, e tentare di smantellarle sul nascere. Il libercolo mi è utile ai fini pratici, ma va detto che lo avevo già letto, capito e accettato. E poi nulla, come se non fossi del tutto io a comandare il cervello. Una sensazione frustrante. Un po’ come il film di Black Mirror su Netflix, Bandersnatch: tu sei consapevole che non vuoi fare una cosa, sai anche perché non la vuoi fare, ma poi la fai. Frustrante, ripeto. Mi fa pensare che l’evoluzione stia facendo un passo indietro con me.

In ogni caso ho creato una Parola d’Ordine (P.O.) che da qui in avanti utilizzerò nei momenti di sega mentale più acuti, quelli in cui il panico dilaga e la razionalità fa il dito medio.

Con tutti questi accorgimenti pratici mi sento più tranquilla, ma ancora poco evoluta, va detto, dove poco evoluta va letto come: un po’ stupida e un po’ paranoica.

Pensando alla paranoia, mi viene in mente la nervosi e beh, sì, lo sono, lo sono, nevrotica, rientra proprio nel mio nome/acronimo, quindi TDL ci aveva visto lungo (su questo).

Ma il punto di questa giornata non è la mia (conosciuta) nevrosi, né le mie (conosciute) seghe mentali, quanto piuttosto al mio rinnovato desiderio di cambiare queste due cose. Non si possono fare miracoli, certo, ma si può arginare con P.O. e qualche accorgimento razionale.

Ad esempio, perché andare a cercare guai? Spiego: quando stai particolarmente bene, come io oggi dopo la tre giorni di felicità, hai l’irrazionale pensiero che tutto può andare nel verso giusto solo perché tu sei felice. Il che a volte è vero (è una questione di relazione all’interno della comunicazione, di atteggiamento nei confronti dell’altro), ma non lo è necessariamente. Quindi ti prende quell’euforia da Risolvo hic et nunc tutti i miei conflitti con gli altri, perché ora sto bene e posso affrontare anche una discussione dolorosa, magari.

Stronzate.

Perché, mi dico, andare ora in cerca di guai?

Forse è il mio (latente?) masochismo che mi fa fare certi pensieri. Al masochismo ci sto lavorando, anche quello con P.O. e altro. Per la risoluzione dei conflitti, ogni cosa a suo tempo, non forzare la mano.

E ricorda il mantra del giorno:

la vita va sorrisa.

Bliss

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Manco da quanto qui? Mi sembra una vita. E forse lo è, una vita, la mia Moonvita che sta cambiando, io che mi sto smussando, tutti quegli spigoli e asperità che si stanno limando.

Ma guarda cosa fa la felicità… ma guarda che era davvero tanto che non mi sentivo così stupidamente felice, così tanto che non mi ricordo l’ultima volta. Sul serio però. Non ricordo. E tutti se ne stanno accorgendo, ed è la cosa più divertente di tutte, questa, questo esternare attraverso il corpo, attraverso il viso. Il Rappresentante del caffè, stamani, mi ha chiesto se mi fossi fatta i capelli.

No, Fabio, ho sempre lo stesso nontaglio da anni.

Ma sei diversa, più luminosa.

Ho sorriso e gli ho detto la verità: è che sono felice.

La felicità ti dona.

Ha ragione, Fabio, la felicità mi dona molto. E se ne era già accorta la ragazza del Bar quando sono andata con lo Shogun a prendere un caffè di mezzanotte. Sei abbronzata, ha detto. Macchè, tesoro, questo è il colore dello stare bene.

E quindi la mia vita sta cambiando insieme al mio corpo e la ragione è solo una.

E allora tutto sembra poter andare bene, certo, il mio ex che abbaia (con me e con Little Boss) sembra solo un rumore lontano, al lavoro le cose vanno a gonfie vele, il sole è più caldo, i libri più belli, il cibo… no, vabbè il cibo è quello di sempre, ma i caffè sono migliori.

Sono solo un po’ spaventata, a volte, la felicità lo fa quando ti investe. Le cose belle hai sempre paura di perderle, no? E mi sforzo di godermi il momento, sto imparando anche, ma quanto mi sento brava.

Ed ecco che quindi mi costringo a cavalcare l’onda, stare bene così è una rarità, non facciamocela scappare questa opportunità, mi sono iscritta a un corso di cazzeggio, che per favore, non ditemi che non ho bisogno di corsi, lo so già da sola, ma questo è solo una scusa per tentare di guadagnare qualche stimolo in più per scrivere, vediamo come va.

Sulla scia decido anche di mandare altri racconti ad altre riviste. E tirare fuori nuovi racconti da mandare. Scrivo note in giro per casa, un po’ dove capita, anche sulla scatola di un medicinale, idee, progetti, mi sento così, progettuale, butto nel calderone un sacco di cose e attendo paziente di scoprire quale andrà in porto, magari tutte, magari nessuna, non mi interessa ora, ora devo progettare, fare, pensare, dire, baciare, lettera e testamento. Tutto.

La primavera mi aiuta facendo capolino un po’ prima del previsto, anche se io la primavera non è che l’abbia mai amata tanto, amo di più l’autunno, che è la mia stagione, ma questo 2019 mi sta dando una bella primavera, ringrazio Venere, Zefiro, Cupido e tutti gli altri amici che intervengono alla festa.

E mentre finisco di scrivere le parole zuccherine di oggi, mi viene in mente la Mansfield, una grande scrittrice, amica nemica della Woolf. Mi viene in mente un racconto che ha scritto e che avevo scaricato in audiolibro insieme ad altri racconti di Carver e che tenevo in una chiavetta in macchina. Quello della Mansfield lo avevo imparato quasi a memoria. Felicità. Gran bel racconto. Ecco, oggi mi sento un po’ Bertha…

Solo più povera.

Le considerazioni di base

post 58A volte mi capita di notare le coppie.

Non spesso, a dire il vero, ma capita. Sopratutto quelle non più giovani, diciamo non giovanissime.

Ne vedo passare tante al Ristorante.

Ne vedo passare tante anche per la strada.

Sono così orribile che spesso li guardo e penso a cosa ci sia di storto in loro, per cosa litigano, per cosa si odiano a vicenda,  per cosa si lanciano i piatti. Per cosa non si rivolgono parola per giorni.

Sono così orribile che non vedo mai l’amore, anche quando mi viene raccontato non ci credo.

Ok. Non ci credo alle coppie felici.

Non ne ho mai conosciuta una in intimità, forse, ma quello di cui sono sicura  è che a me non è mai successo di essere felice davvero con un’altra persona accanto.

Ora, questo potrebbe sembrare molto triste, molto Poverina, non hai mai incontrato quello giusto, ma noi sappiamo, vero? Lo sappiamo.

Vediamo, allora, di partire da quello che so io tanto per cominciare.

So che ho una predisposizione innata nel mandare a puttane le relazioni, sopratutto quelle che mi pare possano sboccare in una sicurezza e in una tranquillità che potrebbe anche prevedere il tenersi mano nella mano passeggiando in un prato, magari. Non necessariamente, ma ci stiamo intesi.

So che ho una predisposizione particolare nel togliermi ciò che mi fa bene, perché questo mi fa sentire in colpa, come se il mio cervello dicesse: Stai sfruttando quella persona, Moon, lo fai per il tuo bene, non per il suo.

So che ho una predisposizione particolare nell’infilarmi nei casini perché tendo a dire quello che sento in quel momento senza pensare alle conseguenze. E oltre a ciò, intendo, se ciò non bastasse, non sono capace di stare sola, lo desidero, nel senso che desidero uno spazio mentale solo mio, in cui io penso a me e Little Boss e basta, ma non succede mai, non è mai successo da quando ho , boh, quindici anni? Mai stata sola.

Ma non solo.

Mai stata lasciata.

Mica ho avuto chissà quanti uomini, ma sebbene con estrema fatica e sofferenza, come nei casi recenti, sono sempre rotolata via.

Ciò ti porta a pensare, vero?

Mi porta a pensare tante cose, tantissime, cose che ho già pensato e credevo di aver superato, ma no, si vede che è il mio modus operandi , sono una serial killer delle mie occasioni di felicità.

E non capisco perché.

Sono cinica, ok, non voglio ammettere che la felicità esista, da qualche parte.

Ma c’è di più.

Trovo sempre un sistema per soffrire.

Non riesco ad accontentarmi. Ma nel senso specifico: non riesco a farmi contenta. E allora spero che lo facciano gli altri. Il che è assurdo per definizione. Specie per una cinica come me.

Per essere felici basterebbe cederci, alla felicità. Non crederci.

Che cedere sia proprio il termine giusto. Lasciarsi andare.

Ma per una come me significherebbe solo arrendersi al fatto che la vita fa anche schifo. E che la felicità è come la solitudine, non una condizione, ma uno stato d’animo.

Non ci sono ancora arrivata a queste considerazioni di base.

Il puzzle della vita

post 41

 

Dopo quattro giorni di assenza di TDL mi stavo quasi abituando.

Tante cose per la testa, lavoro, Little Boss (compleanno andato benissimo, la piccola felice, il cibo tutto esaurito, stanchezza tollerabile), paturnie del mio ex. E poi l’Amico Speciale. Che ultimamente sta premendo un po’ può pedale del riconoscimento fidanzato ufficiale. Più lui preme, più io mi blocco. È come se ci stessimo creando una routine, un vissuto. Ma io non sono fatta così, non più, non posso cedere al vissuto insieme per creare un futuro. L’ho già fatto ed è stato un disastro. Quindi mi nego. Lascio in giro tracce di altre vite. Perché a parole gli ho già detto tutto. E la situazione tra noi non può evolvere.

E tutto questo lo penso perfino ora, che ho rivisto dopo giorni TDL. E ho notato un cambiamento positivo: le mie reazioni fisiche stanno diminuendo: le gambe tremano meno, mi distraggo meno, il cuore ha un’andatura regolare. Mi riservo sempre qualche battuta al veleno per lui, per fargli capire che sì, sono arrabbiata: non si può entrare come un elefante in una cristalleria e sperare di non rompere nulla. Lui ha rotto qualcosa. Qualcosa che io gli ho concesso con troppa fretta, senza dubbio. Non si torna indietro. 

Insomma: la botta spaventosa credo stia guarendo. 

Ho una cosa da rendergli, un libro. Lo tengo sul comodino da mesi, lo spolvero, ma non lo ho mai letto. Era la mia scusa per poterlo tenere, solo che ora non lo voglio più. Credo sia arrivato il momento di renderglielo. Ed ecco che gli ho mandato un messaggio proprio ora. Questo capitolo deve chiudersi prima possibile.

E non lo so, sarà il pomeriggio piovoso che mi sta uccidendo, sarà che ogni volta che piove penso un po’ a lui, come ho detto, riempio la parola Amore, perché ogni volta che sono stata con lui stava piovendo, ed ecco, quello era un Segno: neanche il cielo voleva che stessimo insieme. Io l’ho frainteso e adesso devo svuotare di nuovo la parola e trovare un sistema per riempirla da capo. 

E quindi nulla. Nulla. Come sempre. Come sempre più spesso accade anche qui, quando scrivo e non riesco a fare quello che di solito mi viene bene, riordinare il caos, mettere ordine tra le idee. 

Ma forse sono solo stanca. 

Tutto mi appare sfocato, lontano, come se non accedesse a me.

Ma forse sono solo malnutrita.

Mangio a caso, appena ho tempo, appena mi ricordo, non so da quanto non ho lo stimolo della fame, solo con Little Boss mi obbligo a una regolarità.

Ma forse sono solo disillusa. 

Non capisco cosa vogliono gli uomini da me.

Ma forse sono solo stupida.

Non vedo le cose perché non le voglio vedere.

Ma forse sono solo maledettamente stufa.

Non sempre riesco a far vincere l’ottimismo.

Che poi alla fine non sono infelice.

L’infelicità l’ho toccata con mano, mi ci sono fatta un male cane. So di cosa stiamo parlando. So cosa significa la disperazione. Ne conosco le curve, i dettagli, potrei disegnarla a memoria come faceva mio nonno con il suo campo di prigionia in Russia. 

Tutto ciò che ci ha distrutto ci resta nel cuore come una cartolina.

È il puzzle del nostro Viaggio.

È il puzzle della nostra Vita.

 P.s. 

Di solito numero i miei post in ordine nella cartella sul Mac, scrivo il titolo  e poi i giorni che mancano alla fine. Oggi decido che vi inondo: che non mi frega più nulla del mio countdown. Che voglio ricongiungere il Tempo. Quindi piano piano ci riesco. Piano piano il Tempo di scrittura dovrà equivalere a quello di pubblicazione.

Auguri.