Grice-comunicatrice

La mia gestione di questo blog è alquanto squilibrata. Nessun articolo per giorni e giorni e poi due di fila. So che non si fa così, che dovrei cadenzarli, ma io mi sento piena di libertà, qui, quindi me ne sbatto. 

O meglio, me ne sbatticchio.

Dopo aver incontrato, per caso, durante la bellissima iniziativa del mio piccolo comune di pagare la metà dei libri comprati sotto l’albero, Vera Gheno. Non l’ho incontrata dal vivo (avrei potuto se solo fossi andata il giorno prima, ma si vede prima dovevo leggerla e poi allora vorrò vederla e ascoltarla), ma ho incontrato, con enorme piacere, i suoi libri. Per ora due, Potere alle parole e Le ragioni del dubbio. Ma dubito (ho imparato subito, visto?)che resteranno da soli sullo scaffale della libreria. 

Era tanto che non provavo entusiasmo per un libro. Mi ha ricordato il buon vecchio D.F. Wallace che in effetti cita a profusione. 

Ma i contenuti mi hanno fatto vacillare alquanto. 

Leggendola mi sembra di dover camminare sulle uova ogni volta che prendo la penna in mano. Io, che qui sono la regista del mio piccolo mondo lunare, che scrivo non correggendo i refusi, che improvviso, che butto qui e là acronimi incomprensibili e neologismi improbabili, che, insomma, sono una scrittrice confusionaria, mi sono sentita colpita nel vivo. Sebbene io creda di essere comprensibile ai più, il dubbio, che finora avevo ignorato, mi morde le caviglie. 

E quindi ecco che torno, grazie a Vera, alla mia elletta Pragmatica della comunicazione, che tanto mi aveva dato ai tempi del caro Watzlavick. Ma oggi arriva a gamba tesa Grice (Herbert Paul), di cui ignoravo l’esistenza. Il che mi fa riflettere sulla marea di cose che ancora non so e mi sgomento perché so che non riuscirò mai a colmare un cavolo, sono troppe e io non ho la capacità cerebrale (complice il mononeurone) per contenere tutto. Già contengo moltitudini, citando Walt, non Disney, ma Whitman, e qui lo spazio non è accogliente. 

Comunque, tornando a bomba, ci sono quattro massime conversazionali enunciate da Grice. Le analizzerò con voi e le riferirò al Moon World.

  1. La massima del modo. Ovvero, ricerca la maggior chiarezza possibile, trova la parola giusta, un po’ come fa fare Murakami a tre quarti dei suoi personaggi (che sono gli unici che hanno il tempo di star lì a cercare le parole giuste prima di parlare: a voi capita mai? A me di rado. Al limite se mi viene un attacco di afasia). Beh, ne ho già parlato: uso acronimi senza ragione (TDL, AS, per esempio), sono prolifica di forestierismi non necessari, uso a volte parole desuete (ma lo faccio per amore, non per posizionarmi). Scelgo le parole come faccio i sorpassi: a istinto. Quindi? Bocciata!
  2. Massima della relazione. Occorre imparare a stare sul pezzo, a non scrivere strabordando. Occorre selezionare ciò che serve e ciò che non serve. L’unica inerenza che vedo nei miei scritti è quella che sono usciti dalle mie dita… Bocciata!
  3. Massima della quantità. Forse mi salvo, almeno un po’? non essere né troppo stringati né troppo prolissi. Una giusta via di mezzo. Beh, se ci rientro è un caso. Riesco a concentrarmi al massimo per due paginette. Poi mollo. Una mezza vittoria? Mah…
  4. La massima della qualità. Ovvero Sii sincero. Credevo di vincere almeno sul punto quattro. Ma poi, pochi giorni fa, ho parlato con il Mentore (vi rimando qui se non ve lo ricordate, perché non lo vedevo e sentivo da tanto). E lui mi dice: Moon, manchi di sincerità nel tuo blog, devi rompere il vetro. Non sei tu, continua. Vero. Questo blog è solo una parte di me. Me differenti per momenti differenti. La totale sincerità è possibile? In ogni parte della giornata e della vita? Dove con Sincerità non si deve leggere banalmente dire o non dire bugie. Cosa significa essere se stessi? Cosa significa rompere il vetro? Dirvi il mio nome e cognome? Il mio profilo social? O farvi vedere anche tutti gli altri lati di me, anche quelli più oscuri? Oppure scrivere qui, per me, è come darmi una visione di ciò che vorrei essere sempre e non solo quell’oretta che mi metto a pesticciare sulla tastiera? Questa è una versione edulcorata di me o la versione che voglio disegnarmi? 

Se io fossi una brava comunicatrice, una Grice-comunicatrice direi, mi capireste di più. Ma soprattutto, io mi capirei di più? Non è che manco di comunicazione interiore, fallisco alla fonte, quindi? Non mi so comunicare? 

Non mi faccio queste domande a caso. Sono frustrata a livello comunicativo di recente. Forse perché parlo molto ( o provo a parlare) con il mio collega Osaro, che ancora non sa l’italiano e non capisce un tubo; parlo con mio padre che dopo una visita geriatrica ammette: non c’ho capito un tubo di quello che ha detto; parlo con la badante nigeriana di mio padre che, anche se l’italiano lo sa, a volte qualcosa gli sfugge. Mi manca essere capita al volo, mi manca la facilità. E quindi non vorrei farlo a nessuno, questo torto: essere contorta. 

Ma mi piace così tanto giocare con le parole… 

Magari il corso della Holden mi farà, tra le altre cose, tornare in carreggiata. 

O magari posso rinunciare a essere una Grice-comunicatrice e mettermi nell’angolo, dietro la lavagna, sopra i ceci. Rinunciando all’idea di aver fatto il mio dovere a livello comunicativo, ovvero di sviluppare circostanze che sono utili per l’altro. La grande legge che regola la vita nel cosmo è quella della collaborazione tra tutti gli esseri viventi, scrive Roberta Covelli.  

Con questo articolo ho fallito anche la massima numero 3: bocciata! Sto arrivando!

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E quindi ieri…

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…era (di nuovo) il mio compleanno. Ormai sono nell’ordine del 40 e più. Cintura nera, primo dan.

Devo dire che è stata una giornata di probabilità e imprevisti.

Le probabilità erano per lo più del lavoro: turno massacrante e infinito, ma che devo dire è volato grazie alla mia collega. Sulla lavagna del Ristorante ha scritto appena arrivata Auguri Moon! , e in tutto il giorno non ha perso occasione per ricordare a tutti di farmi gli auguri: un traguardo è un traguardo, vecchietta, ha commentato. E così la giornata è passata con la classica domanda: quanti anni fai?

14!

Sì, per gamba!

Magari

E poi è stata la volta degli imprevisti. Tipo la visita a sorpresa di mio padre all’ora di pranzo. Ora, mio padre non vive vicinisssimo, un’ottantina di chilometri da casa mia, e inizia ad avere più di 70 anni, quindi, beh, non è nemmeno più di primo pelo. Mi sono resa conta che sta invecchiando, oltre che ingrassando pericolosamente, e i suoi riflessi non sono più quelli di un tempo. anche il suo cervello è diventato più pigro e ora si concentra molto su cose che mi fanno fare fatica a riconoscerlo: il meteo, le fake news, le amministrazioni comunali… tra poco sarà uno di quei pensionati affacciati oltre le recinzioni dei Lavori in corso, teso a giudicare il buon andamento della spesa pubblica.

Ma insomma, nonostante questo, il fatto che mi abbia fatto una sorpresa (e un bel regalo) mi ha reso felice. Mi rendo conto che per lui è stato un piccolo sforzo. E per me lo è stato il selfie che ha preteso con me, rubato nella mia micro pausasigaretta, dove sfoggio un sorriso tiratissimo: chissà cosa hanno pensato gli amici a cui lo ha inviato…

E dopo un pranzo di fine turno al Ristorante che, come ha detto Micro(bo), Ma che è, Natale? (eravamo tutti, più mio padre, 8 quindi. Ho messo le tovaglie vere, niente tovagliette di carta, e i bicchieri da vino per brindare. Mancava il dolce, ma tanto io sono a dieta…), proprio mentre stavo per tornare a casa (erano quasi 11 ore che stavo lì dentro), è arrivato il secondo imprevisto: il Mentore.

Il Mentore ha letto il blog e ha deciso che la parola Eliminazione non faceva al caso suo. Nostro, anzi. E devo dire che parlandone con lui, beh, mi tocca dargli ragione. Devo dire che il suo, di regalo, è stato graditissimo: mi ha tolto da una fissa un po’ bambinesca (che io invece ho reputato da persona matura)e ha riassestato un equilibrio diverso. E quindi no, nessuna discussione, nessuna spiegazione, solo una chiacchierata tra amici, un aggiornamento tra le cose, qualche risata di gusto, un bell’abbraccio. Eravamo stanchi entrambi, per motivi diversi, ma mi ha fatto bene.

E quindi sono uscita dal Ristornate dopo più di 12 ore di soggiorno e ho raggiunto l’Amico Speciale a casa mia (che nel frattempo aveva fatto le sue cose da maschio: stuccare e imbiancare il suo nuovo appartamento). Siamo usciti a festeggiare, cena al ristornate messicano, io in una nuvola di semi incoscienza che solo l’entrada extra piccante ha un pelino dissolto, lui con ancora qualche macchia di vernice sulle mani, mi ha stretto le mani sopra il tavolino e mi ha detto: vecchietta!(ieri mi è toccato spesso questo appellativo, lo so…) Il tuo regalo arriverà prima delle fine del mese. E di nuovo, ogni volta, penso che lui non ha mai fatto regali, che non è il suo stile, fare regali per le ricorrenze, lui è Il matto (come lo chiama sua madre). Ho sorriso. Ed ero felice. E allora ha ragione la mia collega quando, mentre gli parlavo di lui, a un certo punto ha gridato: Capo!! Abbiamo perso Moon! E vabbè, mi avranno persa, ma io non mi sento affatto perduta.

E Little Boss? Nulla. La chiamo alle 6 del pomeriggio e mi fa, prima di dire Pronto: lo so, ma io gli auguri te li voglio fare di persona! E vabbè, crediamole… tanto oggi non mi scappa. Abbiamo l’appuntamento per mettere l’apparecchio di mattina e nel pomeriggio andiamo in Città a vedere una mostra sui Futuristi. È il mio compleanno, no? Decido io come festeggiarlo.

E quindi la giornata si è conclusa prima delle dieci, mi sono trascinata fino al letto, mi sono buttata addosso all’Amico Speciale, ho iniziato a vaneggiare su cose improbabili che nascondo nel cassetto sotto al letto e gli ho chiesto: mi racconti una storia? La cosa incredibile è che lui l’ha fatto. Ma io ho ascoltato solo le prime parole. Stavo già dormendo.

Equilibrata?

Un piccolo ritaglio di tempo senza significato, questo, che chissà se finirà in circolo nella vena del blog, dipende quanto di quello che voglio scrivere riuscirò a scrivere. 

È che tra lavori in corso dell’Amico Speciale* (mi sa che sarà il bianco a dominare quelle pareti, soprattutto dopo aver visto i video di alcuni tizi indiani che il muro lo facevano impazzire con le loro tinte forti e i loro disegnini con pettini e calzini), prenotare la visita dal cardiologo (ora vedremo se il mio cuore è davvero così sano… ho il terrore che lo troverà rappezzato e un pelino indurito), andare a chiedere info in palestra (ho chiesto se esistono esercizi da parete: cioè, io sto alla parete a guadare, preferibilmente seduta), pagare l’affitto (la mia nuova padrona di casa non sa come mi chiamo, sbaglia nome ogni volta e la scelta del nome devo dire che ha del paradossale…)e andare da  a farmi i capelli (ecco, ora, siccome sono 5 mesi che non lo facevo, mettere piede in un salone, le persone non mi riconoscono proprio. Della serie, Ma dove sono finite le tue sfumature grigie?) la settimana è volata e siamo già a sabato, in pratica, che poi arrivare a domenica è un attimo e di nuovo da capo. 

E in tutto questo andare e venire, corri dal dentista, vai a portare la cartellina a Little Boss, che si dimentica anche la testa, a casa, ritaglia due ore per il sesso eccetera, ho comunque trovato il tempo per riflettere su una cosa che è già un po’ che mi gira nella testa. 

Non sono più così disposta a stare dietro a persone che non mi fanno solo ed esclusivamente bene. Così come non sono più disposta a fare cose che non mi piacciono (tranne a lavoro: lì sono obbligata, ma devo dire che le cose che non mi piace fare sono poche). Sembra banale, ma non è mai così, non è mai banale. Tirare fuori la vena egoistica mi ha sempre fatto sentire una merda, Pensi solo per te e mai per gli altri, e allora giù a darsi mazzate su mazzate, Sei insensibile, Sei Stronza, Sei una nullità, SeiSeiSei. Oggi invece l’ho fatto e mi sono sentita bene. Finalmente. Come se mi fossi fatta una carezza. Una sensazione che mi fa bene, che mi rende orgogliosa, quasi. 

Oggi ho pensato prima a me. 

Ho pensato che non avevo voglia di entrare nel turbine di spiegazioni su spiegazioni, di rinvangare il passato per scoprire che non sarà mai più così (come se non lo sapessi già…), di tentare di reiventare un rapporto che non funzionerà mai. 

Il Mentore (è di lui che sto parlando) è stato tanto per me, ma ci sono rapporti che non possono continuare se non con molta fatica, se non con molte spiegazioni, molti Ricalcolo. Non tutti i rapporti possono e si devono salvare. C’è un Tempo per tutto. E per me è ora di dire addio al Mentore. Se fosse una Storia, questa, sarebbe la sua logica conclusione. 

E quindi devo rivedere un po’ le mie linee guida (e devo dire che è maledettamente bello poterlo fare, mi fa sentire più matura, in un certo senso, e in effetti lo sono per età): ci sono persone che nella mia vita hanno fatto la differenza, non ultimo lo Shogun, o il Mentore, appunto, ma è che è bene che non siano più nel mio Cerchio. Escludere l’ho vissuto per un periodo di tempo come qualcosa di automutilante, senza fare il dovuto discernimento. 

A volte, quando arrivo a queste conclusioni che immagino naturali in una persona adulta, potete immaginare cosa provo…

In ogni caso sembra che io appaia diversa da come mi sento, visto che pochi giorni fa il mio Capo mi ha chiesto un consiglio personale iniziando così: Senti, visto che tu sei una persona equilibrata…

Giuro che ci è mancato poco che le scoppiassi a ridere in faccia. 

Ma devo essere onesta: ho sentito una punta di orgoglio. 

 

* Devo fare una precisazione. Continuo a chiamare l’Amico Speciale Amico Speciale anche se non lo è più. Sono restia a etichettare un uomo che mi sta accanto con i termini classici (che evito di scrivere, per me stessa più che altro). Lui di me parla come la Donna Che Lo Sopporta (DCLS), io sono restia a definirlo l’Uomo che mi Sopporta, perché so che non è così. Lui non mi sopporta, mi vuole davvero bene e sa il cielo se me lo ha dimostrato in più occasioni. Non me lo dice mai, e va bene così, ma poche persone mi hanno dimostrato affetto come lui. E io? Per me continua ad essere quello che era, una persona con cui sto bene, e ora che sono riuscita a fare il passo in avanti ammetto che è meglio di come immaginassi. Scopro o riscopro cose di lui che non sapevo o avevo dimenticato (ci conosciamo da quasi 20 anni)e anche lui si sta aprendo sempre di più con me, una cosa che non avrei creduto possibile. Quindi: chi è ora l’Amico Speciale? Devo continuare a chiamarlo così? Lo farò solo perché qui ha sempre avuto quel nome, ma non è più un Amico. Ora sta diventando solo Speciale. Anche qui, se questa fosse una Storia, sarebbe il giusto finale. Non sembra?

Il lettore ideale

post 150

 

Chiunque scriva è d’accordo su una cosa: si scrive per un lettore ideale. Una persona sola, unica, che probabilmente è entrata nel nostro cuore con prepotenza e lì è rimasta a stazionare per giorni, mesi, anni. Diversi anni fa il mio lettore ideale era il Mentore. Lo è stato per tantissimo tempo, c’era questo tra noi, una scrittura fatta di sangue, alla Hemingway, Soffri era il nostro motto, vedrai che qualcosa di buono ne esce, Scava, era il mio personale, e cavolo se l’ho fatto, ho scavato tanto da consumarmici le unghie, un’archeologa disperata, Desperate archaelogist, una serie tv del tutto priva di sorrisi. Non so se ne è uscita buona letteratura, ma di sicuro ne è uscita tanta, di roba.

Ma esattamente cosa fa, il lettore ideale? Beh, anche nulla, a parte leggere. È solo una persona di cui sai il gusto letterario, che, un po’, assomiglia al tuo, ma che non è te. Perché si sa, tu sei il peggior giudice di te stesso eccetera. È una persona di cui ti fidi, una persona che sai che ti dirà sempre la verità, almeno sulla tua produzione. King aveva sua moglie (il lettore ideale per antonomasia, almeno fino al loro divorzio), Virginia Woolf aveva Leonard, suo marito (che le aveva regalato una casa editrice: questo sì che è un regalo, mica un banale anello). Giusto per citarne due che ricordo.

Mi manca un lettore ideale.

Alla fine sono diventata io il mio lettore ideale, ed è una cosa che non esiste, che non sta in piedi, io scrivo per me, e non posso farlo, infatti ogni cosa che scrivo mi sembra adeguata non appena la scrivo, per poi cadere subito in disgrazia come un nobile sfortunato. Mi rileggo e non sono abbastanza brava come la Postorino o la Di Pietrantonio, non ho il piglio della Bender, non ho la fantasia della Nothomb, la profondità di Carver, il genio di Wallace, la capacità linguistica di Meads, l’incredibile sguardo della Homes.

Mi manca un lettore ideale.

Sogno di trovarlo in un angolo di strada, in un tombino, nascosto nelle pieghe della mia vita piatta come il seno della Knightley, tento conversazioni di letteratura con chiunque, ma nessuno soddisfa i requisiti, i pochi lettori che trovo… leggono, appunto. Mica se la vogliono smazzare con i sogni assurdi di lettori ideali, con fabula e intreccio, con similitudini, anafore, allitterazioni, con punto di vista del narratore.

Mi manca un lettore ideale.

Che poi non è mica vero che il lettore ideale debba darti un giudizio e smazzarsi con figure retoriche e tecniche di narrativa. Deve solo darti lo stimolo per scrivere, perché hai bisogno di raccontare quella storia a lui/lei. Alla sua unicità. Perché, come tante cose della vita, la scrittura parte dall’amore.

Alla mancanza di questo lettore ideale non sopperisco.

La prendo come cosa acquisita, come una mancanza, appunto, si fa anche con un arto meno, con un senso meno, ci si abitua, si rinuncia. Si inventano modi nuovi.

Io non invento nulla, vado avanti turandomi il naso, sperando di fare alla fine qualcosa di decente, ma mica per dimostrare qualcosa a qualcuno, solo per dimostrarlo a me, che le ore perse dietro a queste lettere non sono state sprecate, che non è stato come fare un Sudoku.

Nessuna medaglia, se non la mia.

Nessuno, a parte me.

(Che poi, che buffo, è proprio il contrario di Tutti, tranne me, il titolo della mia prima raccolta di racconti ormai smembrata).

Le cose cambiano. Accettare certi cambiamenti è dura anche per me che la mia zona confort è restare fuori dalla zona confort.

Ma è già qualche giorno che riesco ad alzarmi alle 5. E a scrivere almeno 1000 parole al giorno.

Qualche santo aiuterà

post 33

 

Ed eccomi finalmente qui, di nuovo, a cercare di parlare dell’Evento.

Solo una pazza Moon come me poteva farsi tre ore di viaggio A/R dopo X ore di lavoro per andare a sentire due o tre persone che consigliano agli scrittori perdenti come me cosa fare per essere un po’ meno perdenti. Aperitivo con gli amici? Naaa. Un cinemino rilassante? Figurati. Una bella Fiera delle riviste e della piccola editoria? Wow!

E così ho chiamato il Mentore e me lo sono trascinato dietro, che il Mentore per queste cose è il compagno ideale perché è l’unica persona che conosco(nel senso, che non sia già morto, come la Woolf o Carver) con la quale posso parlare di scrittura senza difficoltà: ci capiamo al volo su quell’aspetto. Anche perché tante cose me le ha insegnate lui, quindi…

Arriviamo a Firenze in orario, ci sediamo ad ascoltare un Tizio di una Piccola Casa Editrice molto in gamba, simpatico pure, un oratore, diciamocelo, si sente quando qualcuno è abituato a parlare oltre che a scrivere. La domanda è: cosa deve fare un esordiente per farsi notare e pubblicare?

La verità è che sono anni che penso a questa cosa, a pubblicare. E passo dei momenti in cui mi dico: se scrivi qualcuno dovrà leggere, no? E altri in cui: ma che mi importa, a me interessa solo scrivere bene, migliorare, andare avanti. Insomma, la storia del Viaggio. Ma forse me le racconto per non deludermi… 

In ogni caso il Tizio della PCA è stato molto chiaro: è come se si fosse rivolto solo a me, dicendo: Moon, cara, quello che hai fatto finora va benino, certo, ma se non ci metti un po’ di impegno resterai sempre lì dove sei, ferma ( su questo mi sono sentita punta per tanti motivi, visto che sono bravissima a stare ferma, io). Quello che devi fare, Moon, è dare i tuoi racconti alle riviste (ok, fatto!), ma non una sola (ok…), a tante, e diverse. (ok…). Quando hai pubblicato cinquanta racconti sulle riviste (cinquanta???) allora forse hai una chance di essere notata. 

Benissimo. Mi sa che sono di scrittura lenta, allora, perché io non ho cinquanta racconti di qualità da dare alle riviste. Ho solo milioni di parole scritte di getto, storie che non si concludono, robetta da perdenti. E quel che è peggio è che il Censore lavora instancabilmente da due anni, tagliando storie e idee. 

A volte ho la terribile sensazione che non uscirò mai da questa impasse: voler scrivere e non essere capace di farlo. 

Ma Eventi come quello a cui ho assistito mi ridanno la carica. È come se avessi bisogno che qualcuno o qualcosa giri la mia chiavetta sulle spalle. Il Tizio della PCA lo ha fatto. E lo ha fatto anche il Ragazzo della Rivista 1 che ho sentito alla conferenza successiva, e che sono stata felice di conoscere dal vero, dato che avevamo collaborato tramite mail per un mio racconto. 

Ecco, diciamo che tutti loro, l’Evento in sé, mi ha dato Speranza. Qualcosa del tipo: non sarà facile, ma non è impossibile come credi. E allora ok, diamoci alla pazza gioia, programmiamo sessioni di scrittura giornaliere, come ai vecchi tempi, e mettiamoci a lavoro. 

Come dice sempre l’Amico Speciale: qualche santo aiuterà.

Like a New Born

Post 31E nulla, mi sono installata una nuova routine, quasi fosse un’applicazione: esco da lavoro, torno a casa, passo dal bar qui sotto a prendermi una coca (possibilmente zero, anche se non ce l’hanno quasi mai), mi metto al pc e accendo una sigaretta. E scrivo. 

Scrivo un pezzo di nulla ogni giorno, mi tengo in allenamento, mi costringo a pensare nel modo giusto, senza avvitarmici troppo. 

Stamani ho ricevuto una mail di Ale. Il mio piccolo tesoro nel cuore…

Mi parlava di Pilastri. E cercava di spiegarlo a me, ma prima di tutto a se stessa. I grandi Pilastri delle relazioni umane. Gesù, se è un casino. 

Per fare una casa occorrono fondamenta e cemento. 

Per fare una relazione occorrono Parole che abbiano un significato comune. Rispetto, Fiducia, Sincerità, ad esempio.

Io e Ale, che alla fine abbiamo ragionato un sacco a come riempire queste Parole, ci troviamo ancora a cercare di infilarci tutto a caso, ci infiliamo le persone, i fatti, perfino il meteo (so che sembra assurdo, ma ogni volta che piove io riempio un pezzetto della parola Amore). Ma poi quando ci troviamo a dirle, a scriverle, ecco che di nuovo si vuotano di senso, ecco che avremmo bisogno di ricominciare da capo. 

Quasi sempre. 

Perché Fiducia si riempie alla perfezione quando pensiamo l’una all’altra. Così come Rispetto e Sincerità. 

E mi ci è voluta Ale, di nuovo, per capirlo, per capire che se una relazione è giusta tutte queste parole si riempiono senza sforzo. 

La mia piccola amica sta imparando bene la Magia e me la sta trasmettendo. 

Le sue parole sono riuscite a far scomparire quel nuvolone nero che attraversa ogni tanto il mio cielo.

Dopo l’ultima domanda che ho fatto a TDL (Cosa siamo, ora, noi?)lui è scomparso. Nemmeno una capatina al Ristorante. Nessun messaggio. Riesce ogni volta a svuotare la mie Parole. Ogni volta. 

Ma oggi non mi sento così triste per questo. 

Oggi c’è Ale.

Oggi c’è anche un Nuovo Amico Atipico (NAA) che non credevo così facile da trovare. 

Oggi c’è David Gilmour, anche, che danza proprio davanti a me. 

E domani. Domani c’è un evento su racconti brevi e riviste on line al quale parteciperò e non vedo l’ora di esserci. Sarò con il mio Mentore, quindi l’entusiasmo raddoppia. E alla fine mi accontento di poco. 

Solo di sentirmi me stessa. 

Quindi rispolvero il mantra che avevo timidamente tirato fuori in questi mesi. L’ho girato ieri al NAA. 

E lo collego in maniera del tutto arbitraria al titolo di una canzone che ho sempre amato.

Quindi, Moon, muovi il culo.

E sarà finalmente Like a New Born.

Al Mentore

post 28

Ho trovato una vecchia lettera mandata a un vecchio amico. Un amico indubbiamente speciale, chiaro, lo chiamo amico, ma è stata una persona importante, lo è tutt’ora anche se in modo diverso, è stato un sacco di cose per me, un Mentore prima di tutto, un Mentore per molte cose, forse troppe, con lui parlavo un sacco, parlavamo di libri, di scrittura, insomma, avevamo un mondo di carta tutto nostro. Con lui, in quella lettera, ragionavo del tempo. Anzi, del Tempo. 

Io ho sempre calcolato ogni cosa in relazione al Tempo, non so perché. Ogni azione è associata, nel mio cervello malato, al Tempo che impiego per farla. A volte anche al Tempo medio che impiegano gli altri, con relative sottrazioni. Ora mi direte: hai davvero scoperto che la terra è tonda. A parte il fatto che pure per quello ci è voluto qualche migliaio d’anni, saperlo e saperlo sono due cose diverse. 

Quindi ora ci faccio più caso, no? Tempo impiegato per fare la doccia? Con lavaggio capelli in inverno: quindici minuti; senza lavaggio capelli in estate:cinque al massimo. In estate quindi guadagno Tempo. Ho mediamente 7 minuti in più ogni sera. E potrei passare alla fase due: come spendo questi 7 minuti in più? Mi faccio un aperitivo mentre fumo una sigaretta? Oppure pulisco il bagno? Sono domande che una donna si fa, spesso…magari pure un uomo, però single, che l’ammogliato è un po’ restio a fare pensieri sul Viakal, credo. 

Poi ovviamente c’è un argomento principe che riguarda il Tempo. O almeno lo è per me in questo periodo. Il sonno. Quante ore consigliano gli esperti? Se vado a letto sapendo già che ho la sveglia puntata e poi non prendo sonno, quel Tempo dove finisce? Il Tempo perso ad addormentarmi, dico. Lo posso guadagnare in riposo generico, tipo la pennichella del dopo pranzo? Quando ne ho il Tempo, ovvio. Quindi che faccio…lo considero oppure no? 

E sì, entrare nel mio cervello che ragiona sul Tempo è quasi un trip. Mi viene in mente un film, del tizio che entra nel cervello di John Malkovic. Che ha infatti il titolo Essere John Malkovic. 

Mi chiederete perché pensarci, perché scriverlo. Perché se guardo attentamente e lavoro di cesello, anche scrivendo questo post spreco Tempo. Vuoi perché tutto ciò ha senso solo per me, quindi scriverlo è come far andare il gatto libero sulla tastiera (cosa che se avessi un gatto qui farebbe volentieri, ma non c’è, non ho più spazio per i gatti); vuoi perché il Tempo di scrivere  trecentocinquantadue parole (milleeseicentocinquantaquattro  caratteri spazi esclusi e duemiladue  spazi inclusi) forse è superiore alla risposta in sé. Che ha invece cinque parole (ventidue caratteri spazi esclusi e ventisei inclusi). 

Ed è questo che dicevo al mio amico, al mio Mentore. 

E non lo sa, oppure sì, ma se sono qui a rompere le balle a tutti con queste parole è solo colpa sua. È stato lui a farmi conoscere Carver. Murakami. Hemingway. La splendida Aimee Bender (non lo ringrazierò mai abbastanza, e forse non l’ho fatto). È stato lui a farmi entrare nel mondo di carta. A farmelo amare. Io, che aspettavo solo la spinta giusta. E lui che me l’ha data nel modo giusto. E se ancora sento che tutto questo è importante, lo devo solo a lui. Al mio Mentore. 

Grazie, Mentore, per avermi vista. 

Grazie, Mentore, per avermi aiutata. 

Grazie, Mentore, di essere ancora qui a leggermi.