Come prosegue questa storia

Oggi torno all’Rsa dove lunedì ho messo mio padre, gran bella struttura, dico davvero, un tempo era un albergo. La camera di mio padre è vista mare, quando l’ho detto ad Ale lei mi ha suggerito di prendermici quindici giorni di ferie a settembre. Non sarebbe un’idea malsana. 

Ieri ho chiamato per sapere come era andata, ho parlato con la fisioterapista, il personale l’ho trovato qualificato, gentile, disponibile. Devo dire che sono molto tranquilla. Oggi vedrò con i miei occhi se lo è anche lui. 

Nel frattempo ho messo a lavoro Badante 3, per ripulire la casa, buttare via le cose ormai inutili (come ad esempio i completi di mio padre, che non gli stanno più da eoni), lavare il lavabile, metter via le altre poche cose di proprietà che gli restano. Ancora non so che fine fargli fare, a queste cose, come i libri, per esempio. Sono molti e non posso portarli da me, tanti sono doppioni e quelli che non. Sono doppioni non mi interessano, come i libri di cucina. Magari regalo tutto. e poi ci sono gli oggetti affettivi. Pochi, molto pochi, in realtà. Giusto due: la macchina da cucire di sua madre (che non le ho mai visto usare, a mia nonna) e una lampada che era di suo padre, mio nonno. È una lampada orribile, ma se lui ci tiene non posso disfarmene. La fortuna è che perlomeno mio padre non è mai stato un accumulatore seriale come mia madre, per svuotare la casa di quella donna non basterà una vita. 

Badante 3 mi ha chiesto di non buttare alcune cose, ma di poterle tenere per mandarle in Georgia: una vecchia stampante laser, alcuni coltelli in ceramica che valgono come il due di briscola, una valigia (mio padre ne ha almeno sette: tre le ho tenute per lui, una l’ho presa io, ma questo vi dà l’idea di come sia stata la sua vita: sempre in viaggio). Nel pomeriggio ci torno per vedere cosa ha combinato, che Badante 3 è quasi una mina vagante, non riesco mia a capire se non capisce quello che le dico per via della lingua o della sua tara mentale, così come a volte non riesco a tradurre i suoi messaggi perché non scrive le parole in modo corretto e vai a vedere quale carattere sbaglia! 

Le notti le passo ancora malino, l’ansia prende il sopravvento appena spengo la luce e a nulla valgono i miei pensieri di laghi e prati, la testa torna sempre ai problemi che ci sono e che potrebbero esserci: non riuscire più a pagare la retta della casa di riposo, avere problemi con la padrona di casa (che è una testa di), Little, che di recente litiga sempre con suo padre e non si trova più bene nella scuola dove è, e vuole cambiarla. Il mio lavoro. Neanche io mi trovo più bene dove sono e voglio cambiarlo. Quello che non riesco a definire è se tutto ciò è una reazione a catena della situazione di mio padre oppure no. Devo fare un passo alla volta, vedere che succede. La direzione è quella, ma mi sento lenta. 

Intanto però preparo le ginocchiere. Lunedì all’Rsa c’era una canetto (chiamarlo cane è un eufemismo) chiuso nella stanza della direzione. Quando ho provato ad aprire la porta la direttrice mi ha detto: attenta al cane! E io credevo volesse dire che il cane non doveva uscire. Invece no, quel piccolo bastardo mi ha morso. Mi ha attaccato proprio. Un bel morso sul ginocchio (più in lato non arrivava). Fortuna che a settembre ho comprato dei Levi’s e tutti sappiamo che il jeans Levi’s è tosto. Ne sono uscita senza sangue, solo con un bel livido. Ma stavolta, canetto, vengo pronta. Potrei perfino rubare uno dei bastoni degli ospiti: attento a te! 

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Dhe, oh, varda ua’ com’è leggero!

Ho quaranta minuti, la cottura del dolce che ho fatto, un cioccolato e mele, rivisitazione dei poveri di cioccolato e pere, che non avevo. Oggi invito a pranzo mio padre e la badante georgiana, più che altro perché così evito di insegnarle a fare il ragù (lo farò, eh, che mio padre ormai associa la domenica al ragù) e approfitto di essere a casa, una domenica ogni tanto. 

Ieri ho comprato lo scooter per Little. Un piccolo affare (o una piccola fregatura, chi può dirlo? Dopotutto era nelle premesse il fatto che non me ne intendo). Il giorno prima chiamo questo numero che è su Subito. Mi risponde un ragazzo giovane, mi dice che il mezzo che avevo adocchiato lo ha già venduto, ma ne ha un altro, un po’ meno potente, ma adatto alle ragazze (proprio così dice lui) perché leggero. Mi manda le foto: carino, in effetti, sella nuova, colore celeste, gomme nuove, revisionato, cinghia rifatta, 12 mesi di garanzia. Vecchiotto, ma prezzo buono. 

Prima di andare a vederlo faccio un altro giro di telefonate ai concessionari. Avete scooter 125 usati, cambio automatico?

Si susseguono una serie di no. Solo nuovi. E poca scelta, ovvio, solo Piaggio, qui siamo nella culla della Piaggio. Della serie: o Liberty o Liberty. Quindi io e l’A.S. partiamo per andare a vedere questo benedetto scooter. Non so per quale motivo intraprendiamo una strada tra le colline che mi fa risuonare in testa per tutto il tempo la voce di max Pezzali. Rotta per casa di Dio. Arriviamo dopo 40 minuti e 400 curve strette. Google ci dice dove è questo rivenditore e noi non lo vediamo: niente cartelli, nulla. girottoliamo a caso nel paesino per dieci minuti, chiediamo info: nessuno sa nulla. Alla fine oltrepassiamo il cancello di una villa, per chiedere, e vediamo lo scooter. Il rivenditore non è altro che un ragazzetto che da anni armeggia ai motorini e ne ha fatto una specie di lavoro dentro casa: compra, sistema, rivende. E stop. Ci fa provare il motorino, ci spiega diligentemente le caratteristiche (deh, oh, varda ua’ com’è leggero!) e poi aspetta. Io lo comprerei anche solo per mancanza di alternative, ma poi ci penso ancora su e decido che in effetti per Little è perfetto: non nuovo, visto che sa andare solo in bici per ora, leggero, un po’ meno potente. E in pronta consegna (a casa) la settimana prossima con foglio di circolazione provvisorio e pure un bauletto nuovo. Ci stringiamo la mano e la decisione è presa. 

Io e l’A.S. andiamo a mangiare il sushi.

Nel pomeriggio arrivano i primi messaggi: Little che è contenta oltremodo (per lei l’importante è avere qualcosa da guidare per essere autonoma) e gli improperi del mio ex, come da copione perché Fate sempre come vi pare, voi. Ebbene sì, stavolta ho fatto come mi pare, visto che lui non ha fatto nulla, come mi ricorda giustamente Little, che è la prima a schivare i suoi proiettili. Al limite non mi darà la metà dei soldi, ma per ora non me ne frega, visto che intesto il mezzo a me. 

E così sapremo cosa fare il sabato pomeriggio da qui in avanti. Prove su pista, sperando che non cada troppe volte. 

Alexa mi dice che al mio timer del dolce mancano dieci minuti. Il profumo è buono, il vecchio gradirà. Se non avessi il dolore al fianco sarebbe pure una bella giornata.

Little e la patente

Little sta prendendo la patente. Non l’AM, che sarebbe quella del motorino, ma l’A1, per il 125. Ora, questa scelta, per me inizialmente assai discutibile per varie ragioni, lei invece me l’aveva argomentata bene.

Se prendo la patente A1, poi, quando prendo la B, non devo più fare la teoria, ma solo la pratica. Infine (quando vuole convincermi adotta parole raffinate, ben lontane dai turpiloqui che le sento in bocca quando sta con i suoi nuovi amici) a 17 anni, dopo X guide, posso guidare la macchina, se accompagnata. 

Devo dire che l’ultimo punto mi ha convinto. In pratica può esercitarsi con me per un anno e alla fine con altre poche guide aggiuntive e l’esame di pratica a 18 anni avrà la sua patente. Le spese grosse le sostengo ora invece che poi. 

Devo dire che mi ha sorpreso la rivoluzione delle patenti. Quando avevo la sua età (e no! Non ci provate a sfottermi, lo so cosa sembro quando lo scrivo!) non c’era la patente per prendere il motorino. Lo prendevi e lo guidavi. Se volevi guidare più di un cinquantino, allora prendevi la A. Stop. Con la B guidavi tutto, tranne i 250. E insomma, le leggi sulla patente erano già cambiate. Mi ricordo che il mio ex suocero mi disse una volta che a un certo punto qualcuno, lì in campagna, arrivò per rilasciare le patenti (lui era un bambino). Chiese a tutti cosa sapessero guidare e assegnò così i vari documenti. Un modo semplice, in effetti. Non ho mai dubitato fosse la verità, questa storia mi piace tanto.

E insomma, prima di dare il via alle varie lezioni di teoria, Little ha dovuto chiedere a suo padre. Come al solito ha storto la bocca (non si capisce mai il perché lo faccia, lui non argomenta mai le sue varie incazzature con discorsi sensati), ma alla fine ha ceduto con il suo solito: fate come vi pare, dove il fate  si riferisce all’entità che Little-Moon che vive solo nel suo cervello. Little non si è lasciata scappare il secondo: la sera stessa si è fatta portare alla scuola guida per fare l’iscrizione. In soli due mesi (il tempo minimo) si è fatta iscrivere all’esame di teoria e l’ha, ovvio, passato (sebbene stia faticando un po’ a scuola quest’anno, la sua secchioneria non molla e per le cose che le interessano viene sempre fuori). Adesso bisogna iniziare con la pratica. E Little è un po’, come dire… un sacco di patate. È la bambina meno fisica che io conosca. Non è mai stata una bambina da sport (danza, pallavolo, nuoto, tutte mollate), non è mai stata una che si arrampicava, che si buttava, che correva. In bicicletta ha imparato ad andare tardi e tardi si è fatta togliere le rotelle. Quindi non è che io sia preoccupata che avrà sotto il sedere un 125, ma insomma. Il fatto è che io non so guidare un motociclo. Mai guidato neanche un Ciao, non sono capace di insegnarle. Così come non mi intendo affatto del mezzo in sé. Ecco perché, sin da subito, ho pensato di chiederlo a suo padre, un aiutino: trovi tu il mezzo? Le insegni tu ad andarci?

Credevo che per una volta avrebbe fatto il suo dovere. 

E invece ora, che il foglio rosa ce l’ha e potrebbe iniziare a fare pratica, lui ancora non si è mosso. Ha iniziato a inveire per messaggio nel suo modo criptico e alla fine ha ributtato indietro la palla a me: che ci pensi tua madre, così come ti compra le gonne e i calzini, ha scritto a Little. 

E l’Amico Speciale, quando glielo ho detto, mi ha guardato. E ci siamo capiti senza dire nulla. Ci penseremo  io e lui a trovare il mezzo (dopo 10 minuti già aveva tirato fuori un paio di idee da marketplace) e ci penserà lui a insegnarle (ha tutte le patenti che uno può avere sull’asfalto, gli manca solo la nautica e la licenza di volo). Sembrerebbe un lieto fine, e in parte lo è. L’A.S. è una figura di riferimento per Little e alla fine si sta formando questa nuova famiglia, ma. Ma lei un padre ce l’ha e non fa il padre. E questo mi rattrista molto. Ché se lei è in questa situazione è colpa mia. 

In ogni caso: qualche consiglio su un 125 cambio automatico?  

Forse un giorno imparerò

Torno a scrivere dopo una lunga settimana di lavoro che seguiva una lunghissima settimana di lavoro. 

Non so perché, ma ultimamente lavorare mi richiede degli sforzi notevoli. Non mi alzo volentieri, quando sono lì sono meno concentrata del solito, i rapporti con i colleghi li trovo difficoltosi, soprattutto con la Figlia del Capo, che a volte è insopportabile. Il Capo invece è stanco, confuso, sbaglia di continuo. Ho l’impressione che si senta un pesce fuor d’acqua e siccome mi sento così anche io ci deve essere qualcosa che non va. 

Tutti questi pensieri, che mi assillano giorno e notte (ed è il mio maledetto difetto, quando mi fisso su una cosa…) mi portano, la mattina, a guardare sempre e solo annunci di lavoro. Ho, è vero, il Progetto Comune, ma sto studiando poco e le prove sono rimandate a data da destinarsi e io spero sempre che un annuncio salvi la mia quotidianità. 

Eppure so che sono solo io a dover muovere qualcosa, senza dover aspettare che mi scenda giù dal cielo. 

Ed ecco perché, approfittando di un’altra settimana di ferie che avrò a fine mese (sì, lo so, a voi sembra che sia sempre in ferie, in realtà devo smaltire ancora 94 giorni delle suddette, sono più di tre mesi, e un giorno qui e una settimana là non assottigliano affatto la fetta) ho deciso di prendermi tre giorni per me. Me ne vado via, anche se sono ancora indecisa sulla destinazione. 

(E siccome sono solo le nove di mattina di un lunedì e mia madre mi ha chiamato tre volte e mio padre mi ha mandato quattro messaggi, direi che scappo in una terra dove non esistono ripetitori).

Quando l’ho detto a mia madre mi ha chiesto: e l’Amico Speciale cosa dice che vai via da sola?

E che deve dire? Mi deve forse autorizzare? L’ho chiesto a Little, se per lei andava bene, e tanto basta, no?

Quella sua semplice domanda, fatta senza pensare, mi ha però fatto capire delle cose. Che poi ho scritto parzialmente in un commento qui in giro. 

Essere nati e cresciuti dentro la mente del patriarcato a volte ti rene difficile capire che ci sei dentro. Cerco di spiegarmi. Mi sono sempre ribellata all’idea che dovesse comandare qualcuno in famiglia, salvo poi rendermi conto che avevo una famiglia esattamente così. Dove eri già fortunata se tuo marito ti permetteva di, che ne so, fare un corso di scrittura (pagato con i tuoi soldi) o riprendere a studiare (sempre con i tuoi soldi). Queste sono state le parole esatte del padre del mio ex quando l’ho lasciato. Ma dopotutto il suddetto padre ha i suoi anni, insomma è di un’altra generazione. Peccato che anche il mio ex al tempo se ne uscì con una frase simile. E lo stesso fece mia sorella. In quel periodo credevo di essere pazza, nessuno la pensava come me, tutti mi dicevano di restare con mio marito perché alla fine lui non mi aveva mai picchiato e mi aveva permesso di fare quello che volevo. Nessuno che mi chiedesse se l’amassi ancora o lo rispettassi o lui rispettasse me. Addirittura, un conoscente una mattina mi chiese perché avessi la faccia lunga. Dopotutto, disse, hai un bel lavoro, una bella casa, una bella famiglia. Non risposi. Ma mi riproposi di non fare mai quello che stava facendo lui, giudicare una vita senza conoscerla. 

Forse sono stata sfortunata, forse mi sono cercata quello che mia madre mi aveva sempre detto tra le righe di cercare, non saprei. Resta il fatto che ora, purtroppo, sono invece passata sull’altra sponda (o bianco o nero, Moon, giusto?) e non tollero più che mi si dica quello che devo fare. se ho imparato qualcosa dalla storia con il mio ex è stato essere autosufficiente. E lo sono. Non solo, ho cresciuto praticamente da sola Little, per anni l’ho tirata su solo con il mio stipendio e sono arrivata al punto di essere io la donna e l’uomo di casa. 

E quindi l’Amico Speciale perché dovrebbe autorizzarmi a prendermi una vacanza di tre giorni? 

Ora, lui, l’A.S., ovviamente mi dice che esagero. Di lasciar perdere mia madre. Ma io sono approdata all’altra sponda. E a lasciar perdere ho paura di tornare indietro. 

Forse arriverà anche il giorno in cui riuscirò a stare con i piedi in mezzo al fiume, né su una sponda, né sull’altra. Sì. Forse un giorno imparerò. 

Lo spirito giusto del Natale

Ho lo spirito giusto e la musica giusta per scrivere un post di Natale, che ci siamo quasi e quando uscirà questo mio breve e sconclusionato scritto lo sarà per davvero. Beata pianificazione…

Natale. Dunque. Come sarà quest’anno a casa Moon? Ricco di sorprese, a quanto pare. Vediamo… Ho passato giorni a pianificare tutto: cena con mio padre il 24 sera, cena con mia madre e mia sorella il 25, pranzo di Natale per me a casa di mia suocera, che Little è da suo padre e io dovrei finire di lavorare alle 13, tardino, ma sempre nella fascia pranzo, così evito di passare il Natale da sola come una scema (una volta l’ho fatto, il pranzo di Natale da sola: ho mangiato una piadina e pianto in vestaglia. Tristissimo). Mio padre invece lo avevo piazzato da mia sorella per il pranzo, soluzione perfetta, vero che mi è toccato chiederglielo, mica si offriva, la stronza, ma fa lo stesso perché mio padre era talmente felice di vedere sua figlia e le nipoti che è una settimana che mi scassa le balle: 

Mi aiuti a preparare la tavola per Natale?

Certo, babbo

Allora vai

Ma è lunedì, Natale è domenica! 

Poi mi manda messaggi e mi chiede: 

Ma il vino l’hai preso? Il dolce c’è? 

C’è tutto! 

Non lo trovo

(Sì, perché li ho nascosti, ah ah, sennò apri la bottiglia e ti mangi il dolce prima del 25) Tranquillo, babbo, avrai tutto…

Organizzazione quasi perfetta, no?

E poi arriva la mazzata. Il mio Capo mi fa: ma per Natale se abbiamo bisogno per il pranzo resti?

Cioè. Fammi capire. Ci sono tre cameriere in sala, tre persone in cucina, una al banco per fare i conti e hai bisogno che io ti faccia 12 ore per Natale?

No, se non puoi… non importa, mi fa. Quindi, no, non lavoro a pranzo, ma forse sì. Della serie, riuscirò ad andare via? Perché le 13 o le 14 fanno differenza per un pranzo. Della serie arrivi e tavola e mangi gli avanzi e tutti ti guardano con gli occhioni e con un po’ di fastidio perché hai turbato la cronologia degli eventi. 

E poi mia sorella manda un messaggio a mia madre e le dice che sono tutti malati. Tutti con l’africana, l’asiatica o come cavolo si chiama. Quindi salta il pranzo da mio padre e la cena da mia madre? Non si sa. Vediamo come stiamo, dice lei. Che per tutte le persone normali va bene, ma non per me, non per Moon. Moon deve organizzarsi, cazzo. Perché se non va mia sorella da mio padre, devo saperlo, sennò resta senza cibo. E io sono a lavoro. 

Quindi. Natale. Una festa zero stressante. Perché farci tanto chiasso? 

Ma è ovvio che ci sono le eccezioni. Per esempio, arriva Little a casa, come ora, sente che ho messo su musica di Natale e si mette a ballare e cantare. E poi mi fa: allora cena e PLL? (Pretty Little Liars, una serie che guardiamo da due eoni e stiamo, finalmente, per concludere. Ho attaccato anche a lei il gusto per gli acronimi).  

Qualcuno qui ha detto che il Natale è solo per i bambini, che è bello solo per loro. Io invece credo che diventi speciale solo per chi ama. Se hai qualcuno da amare e che ti ama, allora tutto diventa più nataloso (so che i vostri occhi non l’ardiscon di guardare, ma se la Crusca ha passato petaloso, io mi passo questo). 

Quindi: un Natale di amore per tutti.