Moon nude

Cose che non dovrei fare: 

  1. Fumare in camera
  2. Avere mal di stomaco da ansia
  3. Ascoltare musica triste su Spoty

Cose che dovrei fare:

  1. Fare un bagno rilassante?
  2. Finire di vedere il film Emma?
  3. Finire il maldetto libro?

Mi rispondo sempre da sola. Le cose che mi vieto sono sempre imperativi. Le cose che mi concedo sempre un interrogativo.

Presa da un impulso da sabato sera triste ho acquistato un corso on line di self help. Forse l’attrattiva principale era solo il titolo: Scrivi la tua storia. Insomma. Dai. Beh. Se non sono io quella giusta per questo corso. Tale è la disperazione che non ho neanche considerato la cifra (io che sono così tirchia) e ho detto: fanculo, tentiamola. Mi sono sentita come quel sabato mattina in cui ho lasciato il mio ex, con dentro un grido silenzioso che ripeteva: devi provare, devi provare, sennò sono cazzi. 

Non ho fatto passare nemmeno un giorno, come invece avevo inizialmente programmato. La domenica pomeriggio ero già lì che dicevo all’Amico Speciale, appena tornata dal lavoro: sì, tesoro, tu vai un’oretta a dormire, io sto qui un’oretta a vedere cosa viene fuori. Questo corso dovrebbe prevedere un minimo di dieci minuti di scrittura al giorno. Ma io lo sapevo che non mi bastava. Dopo un’ora (e molte parole) ho guardato l’orologio e mi sono fermata perché avevo detto all’A.S. che lo avrei svegliato. Sono andata in camera, mi sono spogliata e mi sono messa con lui sotto le coperte. Che dopo aver vomitato mille ricordi d’infanzia-spero-terapeutici, quello di cui hai bisogno sono solo abbracci caldi e baci. Ha funzionato anche la seconda terapia: stanotte ho dormito senza mai svegliarmi. Ho salutato l’Amico Speciale con un bacio fin troppo spinto questa mattina e mi sono girata dall’altra parte. Dopotutto era il mio day off, come direbbe Ale dal Paese dei Folletti. Ha suonato la sveglia. L’ho spenta. Ho suonato di nuovo. L’ho spenta di nuovo. Non volevo alzarmi. Forse perché sono una sensitiva e sapevo che sarebbe andato tutto a schifìo anche oggi. Ho fatto accesso al corso. Un’altra ora a scrivere. Va detto che non so, a questo punto, se scrivere così tanto, per una come me, che analizza anche le briciole cadute in terra dopo aver mangiato una pizza, sia un bene. Il tizio el corso avvisa: attenzione a non scavare troppo. Eccheccazzo! Come faccio a sapere se è troppo? Io so solo che sono sempre stata un’archeologa, scavo scavo fino a che non trovo il centro della terra. 

Comunque. Prima di mezzogiorno avevo già la mia dose di notizie di merda che non vi riferirò per timore di tediarvi. 

Ma alle dodici e quaranta ero alla scuola di Little. Lei sale in macchina e mi saluta, radiosa con la sua nuova capigliatura blu elettrico, e mi chiede: che si fa?

Sushi?

Ed eccoci al Fish nude, un altro dei mille locali sushi della Cittadina. Posto splendido, cibo ottimo, musica direttamente dallo Studio Ghibli (che amiamo entrambe), un’ora di pausa dalle rogne. 

Ma poi, anche se non volevo, il pomeriggio si è riempito della solita merda. Io volevo solo vedere Emma, il film, una bela trasposizione del romanzo della Austen. Non ci sono riuscita. Il passato che volevo dimenticare è come se avesse aperto un vaso di Pandora tutto suo. Sta tornando tutto indietro. la vita che credevo di aver passato oltre, dimenticato, superato, torna indietro con gli interessi. La cosa buffa è che non riguarda direttamente la mia vita, ma quella dei miei genitori: i loro errori mi si riversano contro come un Blob. 

Ed è quando una ragazza gentilissima di un centro Vodafone di una Città qui vicino si offre di aiutarmi che crollo. Mi metto a piangere al telefono. Lei non ha nessun vantaggio ad aiutarmi in una cosa rognosa di chiusura di un contratto di mio padre di cui non so nulla (e lui, ovvio, non si ricorda più nulla e non ha traccia cartacea). Lei non è tenuta ad aiutarmi, se neanche il call center della Vodafone lo fa. Lei ha solo un negozio Vodafone. Oltretutto lontanissimo da casa mia (ma è stato l’unico centro Vodafone che mi ha risposto). Ma mi rassicura, domattina mi farà sapere tramite mail quello che devo fare o pagare. Mi manda il modulo lei. Me lo compila lei e io devo solo inoltrarlo. Le lacrime escono a fiumi. Qualcuno che mi aiuta…

Lasciami una bella recensione, dice lei.

Mille stelle, giuro, dico io singhiozzando.

Ho ancora 28 giorni di corso. Ho ancora chissà quanti giorni di beghe da risolvere. 

Sono sempre scappata dalle cazzate che hanno fatto i miei genitori.

Ora non posso scappare più. 

Sono alla resa dei conti.

Sono Moon nude.

Un passo per volta

Come al solito, le cose che devo ancora fare superano le cose già fatte. È una maledizione, stile criceto che gira sulla ruota e gira e gira e non arriva mai. 

Certo, due traslochi in un anno non me li sarei mai aspettati, nemmeno da me, la Ragazza con la Valigia in mano. Eppure. 

Ok, ok, non devo traslocare di nuovo io, ok. devo traslocare mio padre, dichiarato ufficialmente in sofferenza ischemica e rispedito a casa con due raccomandazioni: smettere di fumare e stare a dieta. Seriously? Basta così? Nel senso, pure a me, che sto bene e non soffro di perdite di memoria casuali, non confondo le persone e non sono incontinente, il medico mi raccomanda le stesse cose: dieta, movimento, smetti di fumare. 

Sarà più dura del previsto se questo è il meglio che offre il SSN. 

Inoltre in questa causa sono sola. 

Oggi chiamo mia sorella (che ok che è ok, come direbbe Little, e ok che non ha un buon rapporto con mio padre, ma finora non si è mossa di un millimetro: io le visite mediche, io la casa nuova, io la casa vecchia, io tutto, in pratica) e le chiedo come fare per il trasloco.

Ah, boh, mi dice. 

Nel senso, io non posso alzare pesi, ho l’artrosi cervicale, al lavoro neanche i cestelli della lavastoviglie mi fanno alzare, non posso fare il lavoro sporco, dico. 

Silenzio. 

Nel senso, insisto, magari troviamo qualcuno che lo fa per una cifra onesta, un paio di uomini con il furgone, le cose non sono mica tante, non ci sono mobili… 

Ah, perfetto! Informati!, dice lei.

E attacca. 

Nel senso, penso io, nemmeno questo? Nemmeno una mano per il trasloco?

Mi verrebbe da ricordarle che ha gli stessi doveri che ho io, in quanto figlia pure lei, ma poi sto zitta e chiamo Pronto Pro. 

Intanto sono riuscita a fare l’impensabile: prendere due giorni di permesso a lavoro. Oggi e venerdi. E forse anche un altro giorno, chissà… il futuro appare roseo. Se non fosse che per prendermeli devo lavorare a tutta velocità nei giorni in cui ci sono.

Il Capo mi dice: ok, Moon, se mercoledi non ci sei allora oggi, martedì, devi fare: gelato, sacher monoporzione, sacher torta, mignon al cocco, che sono finiti, i biscotti decorati, che stanno finendo…

Ehi! Ma ho solo 3 ore!, dico allarmata (poi devo trasferirmi al Ristorante, per il mio turno da cameriera). 

Appunto! Inizia! , fa lei.

Il risultato è che martedì pomeriggio esco da lavoro con il collo in fiamme (tipo ora, dopo una mattinata a fare scatole) e la voglia di iniziare a farmi di eroina. Ma invece devo fare altro, tipo i contratti di luce e gas per mio padre, trovarmi con l’agente immobiliare per il contratto. E poi c’è Little. Dentista, lezione di canto, rivedere un testo per italiano… 

Il fatto è che sono stufa di essere sempre da sola per tutto. e, oltre a lamentarmi, non so che altro fare.  

Sono tornata in modalità Moon Brontolo. Pentolina, appunto. 

Eppure se c’è qualcosa che è vero è che Barcollo ma non mollo

Quindi, in modalità Barcollo, per ora, faccio l’unica cosa possibile: un passo per volta. 

Intanto continuo la mia impossibile dieta, che prevede un’assidua presenza di Moon in cucina. E tanta fantasia. Il farro con zucchine e zafferano? Che ne dite? Potrebbe andare, no? In cima alla classifica però c’è lui, il salmone (che due volte a settimana posso mangiare). Quindi la mia cena preferita resta la piadina di farro con crema tartufo e funghi, salmone e spinacini. La versione Moon del fast food. 

Alla fine aprirò un blog con sole ricette per poveri malati di artrosi che non possono prendere medicine (tipo Aulin o morfina) e sono costretti a curarsi con la sola dieta. 

Potrebbe essere un business. 

Non ridete. 

Prendiamola a ridere

Notare che non mi fido e mi faccio mandare la foto della pressione di mio padre…

È un’ora tarda per me, le nove e venti.

Conscia del fatto che non terminerò stasera questo mio scritto, sento comunque la necessità di scrivere. Bene, mi dico. Stai tornando umana. 

È che sono fissa a risolvere un problema, quello di mio padre. Un uomo relativamente giovane per i tempi odierni (73 anni, non vi sembra giovane?) che si comporta come un novantenne senza speranze. Un uomo vitale, molto attento a se stesso, attaccato alla vita, egocentrico fino all’estremo limite ( tanto che spesso ha messo la sua vita di fronte a quella delle sue figlie, causando non pochi problemi di botta o di rimbalzo), un uomo vivo, insomma, trasformato in un Dead Man Walking in poco tempo, un anno per lo più. La causa ancora parzialmente sconosciuta. 

Una figlia non può che intervenire in maniera decisa in questi momenti. Facendo da genitore, insomma. Programmando visite, prendendo decisioni difficili… insomma, il solito tour dei Figli Di Genitori Malati (FDGM). 

Ma resta che sono anche Madre, vera, di un’adolescente. 

Insomma, mi trovo in quell’età bastarda in cui mi devo preoccupare sia dei figli che dei genitori. Tempo per sé pari a zero. Con resto. 

Oggi mi chiama Little a lavoro. Chiama di rado, quasi mai. Si affida a Whatsapp più che latro.

Mami, dice, c’è una lente a contatto nel cesso.

Lo so, dico, l’ho buttata io stamani perché era finita (le porto anche più del dovuto, Ndr, prima o poi divento cieca per un’infezione sconosciuta dovuta al portare troppo una lente a contatto).

Sì, ok, ma ti serve?

In che senso Bambi? (nomignolo che le affibbio random, quando per lo più voglio chiederle qualcosa oppure dirle che le voglio bene oppure, come nel caso, farle capire che non sto capendo)

Nel senso, posso farci sopra la pipì o vuoi recuperarla?

Che dire. 

Non diciamo nulla. 

E poi, più tardi, chiamo mio padre. 

Ciao, come ti senti?

Bene! Perché?

Sì, ok, la pressione la hai misurata?

Sì, la massima è 190. Non male vero? 

Come non male???? È alta! Babbo, dovresti tenerla sotto 160 almeno!

Ah sì? E chi lo dice? 

Tipo il tuo medico?

Ah, ok, ok. me lo dice sempre anche Moon.

Babbo…sono io Moon…

Ahahaha. Fa lui. Ahahaha. 

Ma io dico? Che te ridi?

Che poi, sì, lo ammetto, ci rido anche io. 

Ridiamoci su, che è meglio. 

Intanto la mia artrosi cervicale si fa sentire. Quella che un tempo chiamavo la Carogna. Da qualche parte l’ho già scritto, ma non so dove. 

Il mio ortopedico mi dice che peggiora con lo stress. E quindi ci provo a non stressarmi, tra i messaggi del Poeta (il mio ex ora lo chiamo così, il Poeta, anzi Er Poeta, dato l’ermetismo dei suoi scritti che neanche Ungaretti), mio padre con l’arteriosclerosi e mia figlia con le crisi di adolescenza e il lavoro con le crisi sempre e la mia cervicale con le sue crisi cicliche. 

Ci provo. Eh.

Intanto sono riuscita a finire di scrivere qui. 

Un traguardo. Sono le nove e quarantacinque. In ritardo di un’ora sulla tabella di marcia di Morfeo. 

Morfeo mi scuserà. Spero.

E sì che ero brava a scuola con i riassunti…

Bene bene bene.

La mia idea era di riassumere questi sei mesi, ma si sa, un riassunto è sempre una questione personale, di PDV, direi io. E di immagini, di fotografie, quelle che restano impresse nella nostra pellicola mentale. Avrei voluto solo belle foto, o foto belle. Vediamo cosa ne esce.

Febbraio:

C’è un furgone stipato di roba smontata: un letto contenitore dell’ikea, una cucina intera, rossa, di buona fattura, specchi, lampade, una scala con scalini di vetro fatta su misura, materassi, zanzariere comprate on line. No. Non è il mio furgone del trasloco. Io ho traslocato con la mia macchina, Winny, le scatole con i libri e tutto il resto occupano poco spazio. È la roba che viene portata via dalla mia vecchia casa: viene svuotata per motivi terzi ed è inutile che ve li dica: troppo lungo e complicato. Ma soprattutto non sono affari miei. Ci sono io, in piedi sopra il parquet, guardo le stanze tinteggiate da me sei anni fa completamente spoglie: la casa che mi ha accolto, il mio rifugio dalla tempesta, la spettatrice della mia rinascita ora è nuda, inerme. Le dico addio in silenzio.

Ale di fronte a me. Dall’altra parte del tavolo. È lì con me, allungando una mano la posso toccare, la vedo, con la sua nuova aria da folletto, come a dimostrarmi che è lì, nel paese dei folletti, che vuole stare. E io lo so che sebbene ci provi fino all’ultimo giorno, sebbene pensi pure di sabotarla, non posso fare a meno di amarla tanto da lasciare che se ne vada. Così da dimostrarmi che l’amore non è sempre egoista, dopotutto. 

Marzo:

I colori dell’arcobaleno volteggiano sulla mia testa. E sul mio lavoro. Vai a lavoro? Stai a casa? Ormai è solo una questione di scelte, non di obbligo. Mi dico: vai a lavorare almeno ti distrai. Credo sia la prima volta che lo penso. 

Aprile: 

Una Pasqua tutta per me. Nella mia nuova casa le vocine delle mie nipoti, i regali, il sole, i sorrisi. Un pranzo in famiglia che ho organizzato io, finalmente, senza stress. Ogni tanto essere in zona rossa è un bene.

Per l’occasione sto friggendo i supplì. Le polpettine di riso saporite sono dorate quando le scolo, finalmente lo scettro è passato dalle mani di mia madre, la Regina dei Supplì, alle mie: continuo così la tradizione di famiglia, con una ricetta, il riso e il pangrattato. 

Maggio: 

A Maggio nemmeno una foto. Né mentale né fisica… deve essere stato un mese pieno di lavoro.

Giugno: 

Io che guardo il carroattrezzi portarsi via la macchina di mio padre mentre mi scuso con i vigli urbani per lui, Si deve essere dimenticato l’assicurazione, scusate, ripeto. Ma so che c’è qualcosa di più. Decido di fare una cosa non proprio etica ma salvifica per il momento: nascondere la testa sotto la sabbia in stile struzzo e rimandare tutto a dopo l’estate.

Luglio:

Un castello stregato, un pranzo pieno di leccornie, una bella giornata di sole. Io e Little Boss ci prendiamo una giornata di respiro e ce ne andiamo a Fosdinovo con tanto di visita guidata, sulle tracce del fantasma che respira. O così dicono gli esperti fantasmologi… spettrologi? Occultisti? Ma come si chiamano? Ah: ghostbuster! Pranzo poi a Colonnata: slurp! E basta, solo slurp. 

Agosto: 

io e Little Boss al mare, a fare le signore, con pranzo al ristornate sulla spiaggia, lettini e tutto il contorno del mare che per una giornata spedi 100 euro. Semel in anno…, dicevano. Anche se il riferimento era per il Carnevale, se non erro.

Agosto però è anche la mia foto su un altro lettino, quello del Tizio che Che mi Scrocchia (T.C.S.) come diceva una mia collega (che non nominerò con nomignoli, tanto è già sparita: è durata come un gatto in tangenziale al Ristorante. Così va la vita). Al TSC ho lasciato un bel mucchio di soldi per nulla. ma va detto che in quell’ora di sedute da lui dormivo che era un piacere. Insomma tra Luglio e Agosto iniziano i miei problemi che portano, oggi, le mie papille gustative a tentare il suicidio: la dieta vegana! (ma la mia dieta non è solo vegana: ha altre restrizioni. Pure!). 

Agosto mi vede anche poco insieme all’Amico Speciale: quando io dormo (ogni volta che non lavoro in pratica) lui è sveglio; quando io sono sveglia, lui è a lavoro; quando io lavoro… bhe, lavoro. Quindi un gran casino. 

Settembre: 

Ahhh ( di sollievo). Le ferie. 

Le ferie mi vedono in Sicilia. Porto io lì la zona gialla. Ma chi se ne frega, Palermo è bellissimissima. Un clima rilassato, giornate perfette (né caldo né freddo, mai pioggia), chili e chili di fritto (panelle e crocchè, arancine), cannoli come se non ci fosse un domani, acqua talmente limpida che potevo vedere i pori del mio piede, edifici come la Cattedrale, il Palazzo dei Normanni… insomma: è stato un antipasto, cara Sicilia. Tornerò per il primo, il secondo e pure il dessert!

Settembre mi vede però anche impegnata in tutto quello che ho voluto tralasciare nei mesi passati. Mio padre è in cima alla classifica. E quindi un’altra foto di me mi vede in macchina fare su e giù due volte a settimana tra il Paesello sperduto dove abito e la Grande città di mare dove invece abita lui (3 ore di auto tra andata e ritorno). In questa immagine io guido la macchina come Fred dei Flinstone: avete presente, no? 

Il mese finisce con me una Moon disagiata, stanca e dolorante, che nel frattempo, oltre a una dieta, ha iniziato anche una cura farmacologica che spera funzioni (le altre cure provate? Acqua fresca. Sennò non tentavo il TSC o la dieta). 

Ottobre è appena iniziato. Già si preannunciano tuoni e fulmini, reali e metaforici. 

Certo, se viene giù metaforicamente l’acqua come realmente è venuta giù qui ieri sera… affogherò di sicuro! 

Un riassunto un po’ lunghetto, questo. La prof di italiano di Little mi darebbe un due. Spero che WP non dia i voti…

Genitori incazzati

Con l’inizio del nuovo anno scolastico le cose stanno radicalmente cambiando a casa Moon. 

Prima di tutto Little Boss non va più alle medie al paesello, ma al liceo alla cittadina, che dista un bel po’ ed è quindi costretta a prendere, come dicevo, il pullman e farsi un’ora di viaggio all’andata e un’ora al ritorno. Nulla di nuovo da queste parti se non fosse per il Covid-caos.  

E quindi, mentre a scuola le cose sembrano essere regolari (nel limite del possibile) con distanziamenti, mascherine fornite ogni 2 ore ai ragazzi e alcuni divieti logici (tipo non usare la palestra perché viene utilizzata promiscuamente anche da associazioni sportive esterne), sul pullman le cose cambiano. E molto.

L’Azienda Trasporti (che cercherò di evitare di insultare) non sta facendo proprio il suo dovere. Avrebbe dovuto incrementare le corse a causa della riduzione dei posti all’80%, ma non lo ha fatto. Mi riferisce Little Boss che sul suo, di pullman, spesso i ragazzi stanno addirittura in piedi, stretti come sardine. Gli autisti che fanno salire i ragazzi nonostante i posti siano esauriti rischiano. E tanto. 

Ma mai quanto l’autista che due giorni fa, causa pullman pieno all’80% come da regola, ha lasciato a piedi mia figlia. L’ha lasciata lì, nella cittadina, all’uscita di scuola. Il pullman successivo è alle 17.30. Little Boss non ha ancora 14 anni. e lui l’ha lasciata lì. 

Mia figlia è, grazie al cielo, abbastanza sveglia e subito si è diretta in un’altra corsia e ha preso un altro pullman che, sebbene non l’abbia riportata a casa, l’ha perlomeno avvicinata a casa. Tutto risolto, quindi? 

Col cavolo! Sono incazzata come una mina. 

Non è una questione di IoPago, ma di logica: tu, Azienda Trasporti, non puoi lasciare a 25 chilometri di distanza da casa una ragazzina di 13 anni. 

Allora ho fatto ciò che andava fatto: ho scritto una bella letterina all’Azienda e poi ho chiamato il numero della Regione che si occupa dei trasporti, segnalando l’accaduto. E mentre la Regione (la ragazza al centralino è stata gentilissima) mi ha risposto, perlomeno, come di dovere, dicendo che no, la situazione non va bene e che avrebbe fatto un esposto anche alla Provincia e all’Azienda stessa, l’Azienda Trasporti mi ha risposto così: 

Diamo debito riscontro alla sua segnalazione per informare che, dai dati aziendali in possesso, dall’inizio dell’anno scolastico, non risultano situazioni di affollamento che abbiano potuto impedire l’accesso al servizio. Preme inoltre informare che, al fine di compensare la ridotta capacità di trasporto come da DPCM del 7 settembre u.s. che consentono l’accesso sul bus fino all’80% dei posti previsti dalla carta di circolazione, sono state previste corse aggiuntive in orario di entrata/uscita delle scuole.

Disponibili per ulteriori ed eventuali chiarimenti l’occasione è gradita per inviare cordiali saluti.

Cara Azienda, vuoi la guerra? La vuoi? Perché io sono pronta a fartela. 

Prima di tutto vorrei far notare l’illogicità della risposta: dall’inizio dell’anno scolastico non risultano situazioni di affollamento che abbiano potuto impedire l’accesso al servizio. 

Ma non è ciò che ti ho segnalato io? Se non avevi dati prima te li sto fornendo io, no? 

E poi la chiusura della discussione, un po’ del tipo: ma dai, stai solo esagerando, noi abbiamo fatto tutto ciò che dovevamo, ti stai inventando il problema. 

Parliamo di comunicazione, ora. Non avrebbero fatto figura migliore se avessero risposto che avrebbero monitorato e controllato la cosa? Poi, come di consueto, non avrebbero fatto nulla, ma intanto accettavano la mia segnalazione. E io mi sarei zittita fino a nuovo problema.

Ma con questa risposta mi stai aizzando. 

Così ho detto a Little Boss di fare dei filmati sul pullman quando è strapieno. Poi oscureremo i volti e li manderemo all’Azienda, tanto per iniziare. 

E se il mio fosse un problema isolato lo capirei pure. Ma sul giornale locale stanno uscendo decine di articoli del genere, lettere di famiglie, denunce per aver lasciato a piedi dei ragazzi sotto la pioggia. 

Mi sa che l’Azienda Trasporti non ha capito con chi ha a che fare: genitori incazzati.

Se Little continuerà ad andare a scuola (stanno mettendo in quarantena molte classi anche del suo stesso istituto) vi farò sapere come va a finire…

De familia *

* questo perché Little Boss sta iniziando a studiare latino prima di iniziare il liceo, e io sto ripassando con lei

 

post 218

Qualche anno fa girava un video: cosa succede se regali un’Ipad a tuo padre. Se non lo avete visto o non ve lo ricordate ecco qui.

Guardandolo oggi mi sento libera di dire: magari fosse stato solo così!

I miei genitori, entrambi, ma ognuno a modo suo, hanno preso il peggio dalla tecnologia.

Inizio con mia madre. Una donna che vivrebbe volentieri nel 1800, più precisamente in romanzo dalla Austen, a ricamar merletti e fare chiacchiere all’ora del the, tuttalpiù per darsi un tono le classiche vacanze a Bath. È una perfetta donna degli anni ’50 (che sono i suoi): casalinga, ama cucinare (ma non lo sa fare), ama starsene in casa a cucire, vive una vita ritirata (non ha sentito cambi di corrente con il Covid). Ma da quando gli è stato messo in mano il primo Iphone (mia sorella ama cambiarli spesso e dona gentilmente gli smessialla famiglia, me compresa) è cambiata. In peggio. Della tecnologia ha preso il lato peggiore. Si informa su Facebook (attenzione! Questo mi era stato personalmente preannuciato dal direttore del Tirreno – noto(?)giornale locale- Barnabò ben 10 anni orsono: i giovani si informano solo su Facebook. Ma dei vecchi non diceva nulla e io mi chiedo se non sia stato ottimista). Dato che le sue news viaggiano solo un canale che lei stessa sceglie senza esserne consapevole, ovviamente si infervora sempre più, sentendosi dare ragione praticamente ogni minuto da gente che scrive : habbiamo vinto! E sebbene lo snobismo sia di famiglia, si vede, ciò non la frena dall’esaltazione.

In pratica sta sempre appiccicata alla sua terza mano: le ricette? Su Pinterest! I libri? Su ibs! I video divertenti sui cani? Su Youtube!

Salvo poi non capire la differenza tra le tre.

E qui entro in gioco io.

Mi stampi questo disegno da Pinterest?

Mi prenoti questo libro su Ibs?

E, il peggiore: guarda questo video su Youtube! (con tanto di Memojipersonalizzata di Apple, che mi chiederà di modificare appena si taglia i capelli).

Ma se poi le dai la dritta super dritta, stile Scarica Spotify e potrai sentire tutta la musica che vuoi, da Baglioni a Cocciante, allora si ritira come un riccio (si vede che non segue i miei consigli, ma solo quelli di mia sorella, che è senza dubbio la figlia migliore delle due) e per dispetto compra pure un giradischi. Uno vintage, color pastello. Per sentire i suoi vecchi vinile. Pur di non darmi retta… (non fraintendetemi: io, appassionata di vintage fino all’osso, sono anni che vorrei un aggeggino come quello. Ma poi penso sempre alla bolletta dell’acqua, alla spesa. E sapete com’è: non ne faccio mai di nulla).

E poi c’è mio padre…

Ultimo modello di Iphone (eh sì, è una degenerazione familiare, ci stanno studiando), non si perde un messaggio, una foto, un vocale. Ogni tre secondi il suo telefono trilla: sono gli amici di Torino, quelli di Grosseto, quelli di Livorno…

Se non trilla nessun problema: si collega a Facebook (così guarda i video divertenti sui cani) oppure mette le foto superfighe su Instagram (lì mia madre, ancora non c’è arrivata). Appena andiamo a trovarlo è già lì che parte con i video o con i selfie da inviare a mezza Italia. In metà ho la faccia da pesce lesso. Dopotutto sono fotogenica come un mocassino usato.

Se non usa il telefono ha il suo Macbook, dal quale ascolta la sua Playlist preferita su Youtube (nulla, Spoty, il mio amore, lo scartano tutti tranne Little Boss), oppure si legge l’ultimo Roth sul suo nuovo Kindle.

Eh sì.

Vecchi e supertecnologici.

Eppure vecchi.

Sarà un momento, sarà che vedo anche me tanto invecchiata (la pelle, soprattutto la pelle), sarà che il tempo passa anche per loro, non solo per la mia Little e me.

Ma oggi mio padre l’ho visto davvero male. Lento, sconsolato, impaurito dal Covid.

Mentre mia madre la sento sempre più acida, autoconclusiva in un certo senso, dimentica le cose per ricordarsi solo ciò che la aggrada (quindi non me).

Magari è solo questo momento mio, che ho la percezione del mondo in nero.

Magari invece stanno invecchiando sul serio e devo iniziare a farmene una ragione: non sono più da anni i miei genitori (fonte di consigli, simbolo di protezione eccetera), ma da qui a essere io la loro badante a tempo sperso ce ne corre.

Ma soprattutto, come si fa a bilanciare le cose? Come si può essere figlia comunque (facendo la parte della figlia) e prendere anche il ruolo opposto, quello di assistere?

Ho paura che non mi ci vorrà molto a scoprirlo…