Aspettando che smetta di piovere

Ieri sera ho un po’ sbroccato e mi sono ricordata perché il mio acronimo è Moon (QUI). 

Il 2022 è iniziato proseguendo allegramente il 2021, quindi trascinandosi dietro tutto il peso accumulato. 

C’è mia figlia che ha le crisi per un 7 a Fisica (voleva 9, così, dice le si abbassa la media… questo per dire che Gintoki aveva ragione, mi sa, nel suo post), tanto che mi è toccato dirle che se lo rifà la costringerò a non studiare per una settimana. Ma dico, che cazzo! Qualche altro genitore ha mai pronunciato queste parole? Mah.

C’è mio padre, che si lamenta se la badante lo sgrida. Lo fa per il tuo bene, gli dico. Speriamo, fa lui, ma io ci resto male. Mi si spezza un po’ il cuore e gli chiedo per cosa lo aveva rimproverato. Perché non voglio fare la doccia, dice lui, candido. Little sta crescendo, ma un altro figlio ce l’ho lo stesso, di età imprecisata, ma va dai 5 ai 7. Conoscevo una canzoncina, cantata da un gruppo locale di artisti per bambini; faceva: doccia, doccia, tu non sai quanto mi scoccia… dovrò rispolverarmela per proporla a lui, come facevo con Little. 

C’è mia madre, la no vax ora vaxcinata, che non vuole capire che la domenica per è un giorno di guerra, in stile ‘15-‘18, cioè proprio un corpo a corpo, e che poi la sera non è che mi va proprio di ricambiarmi e andare a cena da lei. Lei sfodera la sua frase preferita quando le cose non vanno come dice lei: per me non hai mai tempo, lo sapevo (sottointeso c’è: per tuo padre hai sempre tempo). Vorrei dirle che quando inizierà a farsela addosso andrò a cambiare pure lei, ma come ho già detto con mia madre ho imparato a mordermi la lingua sennò non se ne esce. 

 E poi c’è l’Amico Speciale. Non che lui sia un problema, lo è un po’ la convivenza. Ma nemmeno la convivenza in quanto tale. È il cambiamento. Insomma, dopo sei anni di completa indipendenza, all’inizio alquanto dura, non è facile ricominciare da capo. Soprattutto se, come me, durante la convivenza passata (con il padre di Little) si è sofferto come bestie. Mi ci vuole un bello sforzo ogni giorno per ripetermi che non sarà la stessa cosa. A volte però…capitolo. Soprattutto quando sono stanca. E così ieri sera ho offerto a l’A.S. tutto il repertorio della Nevrotica. Lo avevo quasi spinto a rifare i bagagli. Poi ok, è andata a finire tutto in tarallucci e vino, come diceva mia nonna. Ma mi sento come l’Arno dopo dieci giorni di pioggia ininterrotta. E l’A.S. è lì che mette i sacchi di sabbia sulle spallette, allontana la gente dai ponti, qualcuno fa un servizio in diretta su Canale 50, il livello è pericoloso, se continua a piovere così anche stanotte…, dice la giornalista. E io per abbassare il livello dell’acqua non posso che piangere e sperare che quelle gocce tirate fuoricontribuiscano a ripristinare il livello dentro. Certo va detto. L’A.S. con i lavori manuali è bravissimo e i sacchi di sabbia li sa mettere alla perfezione.

Ora non resta che aspettare che la pioggia cessi. 

Grice-comunicatrice

La mia gestione di questo blog è alquanto squilibrata. Nessun articolo per giorni e giorni e poi due di fila. So che non si fa così, che dovrei cadenzarli, ma io mi sento piena di libertà, qui, quindi me ne sbatto. 

O meglio, me ne sbatticchio.

Dopo aver incontrato, per caso, durante la bellissima iniziativa del mio piccolo comune di pagare la metà dei libri comprati sotto l’albero, Vera Gheno. Non l’ho incontrata dal vivo (avrei potuto se solo fossi andata il giorno prima, ma si vede prima dovevo leggerla e poi allora vorrò vederla e ascoltarla), ma ho incontrato, con enorme piacere, i suoi libri. Per ora due, Potere alle parole e Le ragioni del dubbio. Ma dubito (ho imparato subito, visto?)che resteranno da soli sullo scaffale della libreria. 

Era tanto che non provavo entusiasmo per un libro. Mi ha ricordato il buon vecchio D.F. Wallace che in effetti cita a profusione. 

Ma i contenuti mi hanno fatto vacillare alquanto. 

Leggendola mi sembra di dover camminare sulle uova ogni volta che prendo la penna in mano. Io, che qui sono la regista del mio piccolo mondo lunare, che scrivo non correggendo i refusi, che improvviso, che butto qui e là acronimi incomprensibili e neologismi improbabili, che, insomma, sono una scrittrice confusionaria, mi sono sentita colpita nel vivo. Sebbene io creda di essere comprensibile ai più, il dubbio, che finora avevo ignorato, mi morde le caviglie. 

E quindi ecco che torno, grazie a Vera, alla mia elletta Pragmatica della comunicazione, che tanto mi aveva dato ai tempi del caro Watzlavick. Ma oggi arriva a gamba tesa Grice (Herbert Paul), di cui ignoravo l’esistenza. Il che mi fa riflettere sulla marea di cose che ancora non so e mi sgomento perché so che non riuscirò mai a colmare un cavolo, sono troppe e io non ho la capacità cerebrale (complice il mononeurone) per contenere tutto. Già contengo moltitudini, citando Walt, non Disney, ma Whitman, e qui lo spazio non è accogliente. 

Comunque, tornando a bomba, ci sono quattro massime conversazionali enunciate da Grice. Le analizzerò con voi e le riferirò al Moon World.

  1. La massima del modo. Ovvero, ricerca la maggior chiarezza possibile, trova la parola giusta, un po’ come fa fare Murakami a tre quarti dei suoi personaggi (che sono gli unici che hanno il tempo di star lì a cercare le parole giuste prima di parlare: a voi capita mai? A me di rado. Al limite se mi viene un attacco di afasia). Beh, ne ho già parlato: uso acronimi senza ragione (TDL, AS, per esempio), sono prolifica di forestierismi non necessari, uso a volte parole desuete (ma lo faccio per amore, non per posizionarmi). Scelgo le parole come faccio i sorpassi: a istinto. Quindi? Bocciata!
  2. Massima della relazione. Occorre imparare a stare sul pezzo, a non scrivere strabordando. Occorre selezionare ciò che serve e ciò che non serve. L’unica inerenza che vedo nei miei scritti è quella che sono usciti dalle mie dita… Bocciata!
  3. Massima della quantità. Forse mi salvo, almeno un po’? non essere né troppo stringati né troppo prolissi. Una giusta via di mezzo. Beh, se ci rientro è un caso. Riesco a concentrarmi al massimo per due paginette. Poi mollo. Una mezza vittoria? Mah…
  4. La massima della qualità. Ovvero Sii sincero. Credevo di vincere almeno sul punto quattro. Ma poi, pochi giorni fa, ho parlato con il Mentore (vi rimando qui se non ve lo ricordate, perché non lo vedevo e sentivo da tanto). E lui mi dice: Moon, manchi di sincerità nel tuo blog, devi rompere il vetro. Non sei tu, continua. Vero. Questo blog è solo una parte di me. Me differenti per momenti differenti. La totale sincerità è possibile? In ogni parte della giornata e della vita? Dove con Sincerità non si deve leggere banalmente dire o non dire bugie. Cosa significa essere se stessi? Cosa significa rompere il vetro? Dirvi il mio nome e cognome? Il mio profilo social? O farvi vedere anche tutti gli altri lati di me, anche quelli più oscuri? Oppure scrivere qui, per me, è come darmi una visione di ciò che vorrei essere sempre e non solo quell’oretta che mi metto a pesticciare sulla tastiera? Questa è una versione edulcorata di me o la versione che voglio disegnarmi? 

Se io fossi una brava comunicatrice, una Grice-comunicatrice direi, mi capireste di più. Ma soprattutto, io mi capirei di più? Non è che manco di comunicazione interiore, fallisco alla fonte, quindi? Non mi so comunicare? 

Non mi faccio queste domande a caso. Sono frustrata a livello comunicativo di recente. Forse perché parlo molto ( o provo a parlare) con il mio collega Osaro, che ancora non sa l’italiano e non capisce un tubo; parlo con mio padre che dopo una visita geriatrica ammette: non c’ho capito un tubo di quello che ha detto; parlo con la badante nigeriana di mio padre che, anche se l’italiano lo sa, a volte qualcosa gli sfugge. Mi manca essere capita al volo, mi manca la facilità. E quindi non vorrei farlo a nessuno, questo torto: essere contorta. 

Ma mi piace così tanto giocare con le parole… 

Magari il corso della Holden mi farà, tra le altre cose, tornare in carreggiata. 

O magari posso rinunciare a essere una Grice-comunicatrice e mettermi nell’angolo, dietro la lavagna, sopra i ceci. Rinunciando all’idea di aver fatto il mio dovere a livello comunicativo, ovvero di sviluppare circostanze che sono utili per l’altro. La grande legge che regola la vita nel cosmo è quella della collaborazione tra tutti gli esseri viventi, scrive Roberta Covelli.  

Con questo articolo ho fallito anche la massima numero 3: bocciata! Sto arrivando!

Acronimi

post 5

Diciamo che a questo punto avete un’infarinatura della mia vita, una base da cui partire, anche se non mi sono ancora presentata. Mi chiamo Moon che non è, ovvio, il mio vero nome. Mia madre è strana, ma non fino a questo punto. Questo nome me l’ha affibbiato TDL quando, un giorno, parlavo di acronimi per acronimi. Gli ripetevo la solita tiritera sul Novecento, che è il secolo degli acronimi: O.N.U., N.A.T.O, E.U.R. e chi più ne ha più ne metta. E così via gli ho snocciolato tutta una serie di acronimi che uso ogni tanto, il P.D.V. (Punto di vista) del narratore, F.S.F. (Francis Scott Fitzgerlad), D.F.W.(David Foster Wallace) e altri. Non so perché, ma gli acronimi fanno proprio al caso mio, che non ho mai tempo da perdere quando parlo di qualcosa che mi appassiona. E così lui ha risposto: tu sei M.O.O.N , Molto Ostinata O Nevrotica, oppure sei Moon, come luna, e il tuo lato in ombra non me lo mostri mai. 

Forse ora capite perché mi sono innamorata di TDL. Le donne si fanno fregare da cose come queste. Almeno. Io mi ci faccio fregare alla grande.

Il fatto che io non stia insieme a TDL, cantando canzoni mentre facciamo la doccia insieme o scrutando il cielo di Agosto per beccare una stella cadente(che io, tra l’altro, non ho mai visto in vita mia e quando la vedrò la prima volta sono certa che urlerò come una bambina, oppure diventerà il mio più grande rimpianto)  invece che scrivere su questo blog non è facile da spiegare. Oppure sì: lui ha un’altra. E non un’altra a caso, ma un’altra donna di cui è innamorato. Fine del lieto fine, tutti a casa, sarà per la prossima volta, Moon. 

Ma. 

Ma. 

Ma. 

E la vita è tutta una serie di Ma uno in fila all’altro, tipo locomotiva e vagoni.

Ma al mio cuore non gliene importa un fico secco.

Mi ero sempre chiesta come si potesse amare un uomo e non essere ricambiata. Credevo che l’amore fosse un flusso continuo tra due persone, uno scambio etico e solidale, come i prodotti della Coop, io ti amo, tu mi ami e il mio amore cresce grazie al tuo e viceversa. E poi ho scoperto che non funziona così. Funziona che tu incontri una persona che ti piace, ci parli e ti piace ancora di più, lo sfiori e senti della roba che se non avessero abolito l’elettroshock saresti convinta di essere al manicomio, lo vedi da lontano e le gambe iniziano a tremare, ci parli e il respiro fatica a uscire. E ti ritrovi al sera sotto le coperte a pensare che vita magnifica sarebbe la tua al suo fianco, che no, con una persona così la quotidianità, killer di ogni rapporto di coppia, non riuscirebbe nemmeno a fare un graffietto, che vorresti fosse il padre dei tuoi figli, che ne vorresti ancora, di figli, solo per dargli lui come padre, che una sera a casa a guadare la tv con lui seduto accanto a te sul divano potrebbe essere come scoprire che esiste Shangri-La. Insomma. Capite la follia? Capite come sono messa, maledizione? E chi non vorrebbe disfarsi di pensieri così, dopo una militanza di quarant’anni nel Partito dei Cinici? 

Ho ancora 292 giorni, mi dico. Forse qualcosa meno. Poi il mio cervello andrà automaticamente in blackout, il sistema si riavvierà, e io potrò tornare a essere una militante perfetta.