Czarne Lusterko

Date un’occhiata…

Ormai relego la scrittura di questo blog solo al sabato mattina e neanche sempre. Ieri ne parlavo con la mia Psi, lei mi dice che ho sempre usato la scrittura in modo catartico (non è un segreto, qui) e quindi, ora che sono in equilibrio, non ne ho più bisogno. Un po’ questa cosa mi rende triste. Non sentire la necessità di sciogliere le dita sulla tastiera. Che poi se mi ci metto, tipo ora, non è che non scrivo, come si vede. 

In ogni caso c’è una buona notizia: sto bene. No, non è che mi ci volesse la Psi per saperlo (in realtà mi ci sono volute cinque paginette scritte a mano, come sempre), ma sono felice di aver concluso anche questa cosa. Ora sto in piedi con le mie gambette, senza stampelle. 

La vita mi si srotola più o meno in modo lineare, senza alti o bassi particolari, impegno le mie giornate lavorando, seguendo gli altri impegni, come andare a trovare mio padre all’Rsa o fare la spesa, e i miei weekend socializzando, andando a teatro o alle feste. Insomma per la prima volta (dice la mia Psi) sto vivendo la mia vita. Wow.

E infatti invece di essere concentrata sulla mia vita, sono spesso concentrata su altre cose: ascolto podcast, come ho detto, leggo giornali, spippolo spesso per cercare cose. E dopo aver visto in tempo record la nuova stagione di Black Mirror (che da una parte mi è piaciuta, ma dall’altra sta iniziando un po’ a deludermi)spippola spippola ho trovato una specie di spin off polacco, dal titolo Czarne Lusterko. Tradotto significa Piccolo schermo nero, ovvero Little Balck Mirror. È una serie prodotta dal Netflix polacco e non c’è sulla piattaforma italiana. Però esiste invece su YouTube, in lingua originale con sottotitoli. Sono quattro episodi brevi, uno addirittura di soli 8 minuti e ricalcano il tema principale di B.M., il rapporto uomo- tecnologia. 

Devo dire che mi ci sono approcciata in modo cauto (della serie: è polacco, chissà com’è, maledetto razzismo televisivo!) e mi ha sorpreso. Si passa da Separazione, la storia di due youtuber che affronta il tema della popolarità sui social, a 1%, che3 parla della bioetica. C’è poi il cortissimo 69.90, tema: solitudine. Infine il mio preferito, Calcolo della felicità. Questo episodio parla di un’app che un fidanzato frustrato si fa impiantare. Questo marchingegno analizza il soggetto in questione (la fidanzata) e dà suggerimenti sulle cose da dire o fare per renderla felice. Ottimo no? Ho trovato l’inizio molto molto istruttivo (per me): lui si dimentica di un impegno nel weekend, lei se la piglia (non mi ascolti mai o peggio: non mi capisci), lui per farsi perdonare il giorno dopo torna a casa e pulisce tutto l’appartamento per lei, lei torna a casa, manco ci fa caso e si precipita in camera a prepararsi per una cena di lavoro o qualcosa di simile (che lui, di nuovo, ha dimenticato), dopo poco scende inviperita perché non trova un orecchino (si vede che era un orecchino importante) e si capisce che forse lo aspirato lui mentre puliva ( e poi lo ha buttato via insieme al resto), lei si incazza di nuovo (era meglio se non facevi nulla!). Ecco, questa dinamica iniziale, che spingerà poi il tizio a farsi installare l’app, è decisamente riconoscibile, seppur ovviamente esagerata. Siamo fatti così, come direbbero i nostri amici francesi. Mi ricollego dunque, di nuovo, alla Moon querelle per dire: non c’è modo di renderci felici a vicenda senza compromessi. Direi che, grazie a questo corto polacco, mi sono risposta. E sono felice di aver compiuto anche questo. In ogni caso vi consiglio questa miniserie, in tutto vi impegna un’oretta scarsa. Buona visione e buon weekend. Io costringo l’Amico Speciale a andare al mare, giusto per fare compromessi! 

The playlist

Alla fine ci sono riuscita e mi sono presa, dopo settimane, un giorno e mezzo di ferie vere. Ferie che significano non dover fare nulla, ma scegliere cosa fare. Un lusso. Quindi ieri pomeriggio, dopo un pranzo tardivo con un panino, decido di accendere Netflix per addormentarmi sulla prima cosa che capita. E così faccio: scelgo la prima cosa che mi visualizza, senza neanche guardare cosa è. È una miniserie, vedo in alto. Inizia e noto che non è una serie americana. C’è questo ragazzetto bruttoccio (mi perdoni, ma il taglio di capelli non si può vedere)che fa l’informatico ed è super bravo, a detta pure dei suoi capi che gli fanno il culo perché vuole hackerare Google. E insomma il ragazzetto lascia il lavoro e si mette in proprio, sviluppa un programma di advertising rivoluzionario, lo vende per dieci milioni a una compagnia di giovani soci e si gode i suoi bei soldi comprando Ferrari e Rolex. Inizio carino, recitato in modo degno e magistralmente diretto, fermo e leggo: Svezia. Interessante. Io che, fino a qualche anno fa non mi discostavo dagli Usa per le serie tv e i film in questi anno sto scoprendo nuove realtà: Dark (Germania) e ora 1899 (stesso autore), The rain (Danimarca), Osmosis (Francia), Unorthodox (Germania) eccetera. Questa in particolare la apprezzo molto perché parla di un mio vecchio amore: Spoty. Ed è proprio sulla nascita di Spotify che si basa questa serie, dalla sua ideazione a carico di Daniel Ek (il giovane programmatore con i capelli brutti), alla sua realizzazione passando per le inevitabili difficoltà causate dall’industria musicale. Ma cos’è Spotify? Beh, qualcuno ricorderà The pirate bay. Io sì perché lo usavo moltissimo. Quando l’ho scoperto, nei primi anni 2000, scaricavo tantissimo e un po’ di tutto, compresi quegli album che avevo già fisicamente, ma che non potevo mettere sul mio lettore Mp3 (li ricordate? Esisteranno ancora?). e io, con il lettore Mp3, ci stavo tutto il giorno in pratica: una cuffietta sì e una no in ogni occasione: mentre lavavo i piatti, mentre facevo la spesa, mentre lavoravo, la musica in quel periodo era parte integrante della mia vita. Ma in effetti Il pirata aveva delle magagne: per scaricare ci voleva un po’, alcuni file erano corrotti… comunque in mancanza di meglio marito vecchio, giusto? Ma il nostro amico bruttoccio invece ha l’idea del secolo: un infinito jukebox on line, con tutte le canzoni del mondo, in streaming, senza doverle scaricare, quindi, legale e gratuito. Certo, un azzardo, ma dovete pensare al tempo: allora in Svezia andava avanti il processo contro Il pirata e beh, la Sony svezia stava perdendo milioni di corone ogni anno a causa loro. E il processo, invece di fermarlo, rendeva Il pirata ancora più forte e capillare. Daniel propone la soluzione per salvare capra e cavoli, anche se gli occorrerà un po’ meno idealismo e un po’ più concretezza da parte del suo legale, Petra, per arrivare al successo planetario. E proposito di Petra: cavolo se la adoro! Insomma, come va a finire The playlist lo sappiamo tutti e lo ascoltiamo ogni giorno. Perfino io, dopo anni di Spoty gratis, mi sono lasciata convincere a passare al Premium, trovandolo davvero eccezionale, devo dire. 

Ve la consiglio, sono solo 6 episodi. 

E alzi la mano chi sapeva che Spoty è un’invenzione svedese! Accidenti a me, cresciuta negli anni ’80 e sovrastata dal fascino dell’America. 

Ma c’è sempre tempo per cambiare…