T.D.B. richieste specifiche

E dopo un argomento un po’ ansioso e deprimente, tornano i T.D.B. 

Che diciamocelo, sono la mia consolazione… 

RICHIESTE SPECIFICHE

Il Preciso

C.P.: Buongiorno, vorrei due etti di pasticceria mignon fresca

Io: va bene, cosa metto?

C.P. faccia lei… anzi no, due con il cioccolato, due con la crema, no, non quello, l’altro, no, di quello solo uno, sì, l’altro ce lo levi…

Io: va bene così? Sono due etti e mezzo

C.P: no, allora ne tolga qualcuno. Quello con la crema, non quello, l’altro, con la frutta, sì, quello.

Io: Ora sono un etto e novanta. Va bene?

C.P: no, metta un’altra panna cotta, ma non quella in fondo, quella in cima che mi piace di più. 

(Io vado alla cassa ripetendo: amo il mio lavoro, amo il mio lavoro…)

L’esteta 

C.E: Vorrei una torta

Io: certo, signora, quanti siete?

C.E: Mah, saremo… mi faccia pensare… cinque! Sì

Io: allora avrei questa, con la crema, poi il cheesecake, il tiramisù, la sacher…

C.E: non saprei… volevo una torta tonda

Io: … signora, sono tutte tonde…

C.E: sì, ma non tonda così… non glielo so spiegare…

Io: ne voleva una con la panna sopra? Un Pan di spagna, un millefoglie?

C.E: no… questa mi piace (indica il cheesecake), ma non c’è più tonda? 

Io: più alta? Più grande?

C.E: no, più tonda! 

Io: no, signora, più tonda di così mi sa che deve chiamare Giotto, eh!

 E per finire…Lo sboccato

C.S: Vorrei ordinare una torta di compleanno. Per un amico

Io: Benissimo, cosa aveva in mente?

C.S: un pene

Io: …come?

C.S: sì, un pene, un cazzo, insomma. Si può fare?

Io: …beh, sì… ok, posso fare un Pan di spagna ricoperto di panna…

C.S: bene. La torta è per sei persone. Sopra ci vorrei la scritta Mettitelo nel c*** (ma senza asterisco)

Io: ma è sicuro che sia un suo amico?

So che vorreste vedere la foto della torta dello sboccato… direi che è venuta anche bene, alla fine. Devo dire che per ora vince la classifica delle richieste più assurde nel laboratorio di pasticceria… 

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Rivoluzioni e anarchia

Siccome anche la volta scorsa ho parlato di lavoro, mi pare carino restare in linea. 

In questi mesi abbiamo visto passare diverse crisi. Dopo una pandemia di certo la crisi energetica non è stato il massimo per la nostra attività (vi basta leggere qualche post su Facebook de Il barista incazzato per capire che siamo tutti un po’ traballanti). Comunque il colpo di grazia lo ha dato il commercialista che, a settembre, è venuto fuori con questa frase: il costo del lavoro in questa attività è troppo alto. Il mio Capo, che si spaventa non con i fatti, ma solo con le parole, è affondata nel panico. E noi di conseguenza, visto che siamo il lavoro che costa troppo. Immaginavamo già teste tagliate, straordinari non pagati o peggio: stipendi non pagati. Ma qui è arrivata la Figlia del Capo. Come saprete ma non vi ricorderete la F.D.C. ha fatto scuola di alta pasticceria da millemila euro e ha lavorato in laboratori prestigiosi durante lo stage. Quindi si è offerta di riorganizzare il lavoro rendendolo più efficiente. 

Il mio settembre e il mio ottobre sono stati da incubo.

Non tanto per la riorganizzazione in sé, che comunque mi chiedeva di fare sempre più cose in sempre meno tempo (e io sono già una scheggia), ma soprattutto perché la F.D.C. non ha idea dei tempi che mi occorrono per fare le mie preparazioni. E io, beh, li conosco, ma spesso devo mettere in cantiere varie ed eventuali: nel momento in cui devo usare l’impastatrice magari è occupata, qualcuno al bar mi chiama per dare una mano o prendere l’ordine di una torta, il dannato barattolo della marmellata è finito e devo andare in magazzino a prenderne uno nuovo. Insomma, non è facile stabilire i tempi al millesimo. Prima mi sono sempre organizzata da sola. Impastatrice occupata? Mi metto a coppare i biscotti. Mi chiamano dal bar? Metto in cantiere il lavoro che sto facendo per il giorno dopo. Ma dover rendere conto a lei è stato frustrante, soprattutto perché la F.D.C. e il Capo hanno litigato per due mesi di fila proprio per queste questioni.

F.D.C: no, Moon non può venire al banco del bar, deve finire il suo lavoro.

Capo: ma ci serve, c’è pieno di gente!

F.D.C: Dovete organizzarvi al bar da soli, come io organizzo la pasticceria

E da qui partivano gli insulti reciproci. Risultato? Il bar pieno di gente costretto ad ascoltare i loro improperi e Moon al banco a sostituire il Capo che litiga con F.D.C. (e che quindi non finisce il suo lavoro)

Scene come questa un giorno sì e uno no (con relativo gelo nella stanza una volta finita la lista degli insulti) ti fanno venire voglia o di consumare droghe pesanti o di andare via. Io sono sempre stata rispettosa della legalità (e poi sono una a cui piacciono le dipendenze, quindi meglio non iniziare) e ho optato per cambiare lavoro. Basta sabati e domeniche a lavoro! Voglio fare la segretaria, la bibliotecaria…l’impiegato comunale! Ecco che arriva un concorso e mi inscrivo. E vabbè, è un progetto a lungo termine, lo capisco appena mi arriva il libro da mille pagine che devo studiare, non sarà facile imparare il diritto e come funzionano le P.A., dovrò studiare per mesi, organizzarmi, ma lo reputo un buon piano. 

Nel frattempo le cose al lavoro cambiano di nuovo. La F.D.C. dopo due mesi di prova non solo non porta risultati rivoluzionari (dire è più facile che fare), ma litiga a morte con il Capo che si riprende tutto il potere decisionale che aveva prima. Ovvero nessuno. 

Quindi ora la pasticceria è di nuovo in regime di anarchia. E funziona. Dopo i mesi di ottobre e novembre pure l’allarme costo del lavoro è cessato perché abbiamo lavorato tanto, incassato tanto (complice la stagione turistica che si è allungata in modo anomalo) e il Capo è tranquillo. 

Che lezione si può trarre da questa storiella? Semplice: se una cosa ha funzionato per anni, seppur in modo distorto e non organizzato, può continuare a funzionare ancora. Basta avere un obiettivo comune. Anche io ho un obiettivo comune. E ora vado a studiare. 

Storia di un jolly in carriera

Mentre il mio pane cerca di lievitare (le farine che devo usare non sono molto collaborative con il lievito…)ripensavo al mio lavoro.

Sono anni che lavoro al Ristorante e le mie mansioni lì sono cambiate nel corso del tempo. Assunta per fare cocktail e rinnovare l’Happy hour, mi sono presto ritrovata a scrivere comande e portare piatti. Dopo pochi mesi sono stata riciclata (il termine, fidatevi, è corretto) per fare caffè e cappuccini la mattina presto. Da lì sono passata al laboratorio di pasticceria per aiutare a farcire biscotti e riempire bignè. Poi ho fatto un salto in pizzeria, imparando a fare impasto, stendere pizze, condirle e infornarle nel forno a legna. Poi un altro passo: aiuto cuoca (insalate e primi per lo più), poi lavapiatti. Ed ecco che poco dopo mi ritrovo di nuovo a prendere ordinazioni e servire ai tavoli. 

Se ve lo state chiedendo sì: tutto nello stesso locale. Ci sono stati dei giorni che passavo da un reparto all’altro tanto velocemente che mi sembrava di essere Clarke Kent che si cambia nella cabina telefonica: metti il grembiule bianco della pizzeria, toglilo e vai al banco a fare caffè, rimettilo e vai in cucina… 

Non mi sono mai lamentata (con i miei capi, almeno), ma in modo subdolo cercavo di migliorare nel settore in cui volevo lavorare davvero: la pasticceria. 

La pasticceria è un’arte, è alchimia, ha qualcosa di magico. 

Così mi sono scavata una nicchia. Con il tempo, ovvio. E gli eventi mi hanno aiutato: il corso di gelateria non doveva essere per me, ma beh, io c’ero, al contrario della Figlia del Capo (F.D.C.). 

Passo indietro: conosco la FDC da quando aveva 13 anni, ora ne ha 37. Non ci sono sempre andata d’accordo, ha un carattere particolare, se così vogliamo dire. Altri direbbero che è una stronza con il patentino, ma io di solito tendo a giustificare i comportamenti di tutti. 

Comunque la FDC (un po’ parecchio viziata dal Capo e dal Boss, questo sì) a un certo punto ha sclerato e ha convinto i genitori a farle fare una scuola di pasticceria con i controcazzi. Una scuola moooooolto costosa. Una scuola dove a valutarla c’era Massari, per intenderci. E insomma, ve la faccio breve, dopo anni di irrisolti con il parentame alla fine la tregua l’ha decisa un cosetto piccolo e soffice: il primo nipote, sfornato dalla FDC (e dal nostro pizzaiolo: sia mai che le cose non abbiano lo spirito della telenovela argentina, in questa storia). Risultato? La nostra FDC è entrata da qualche mese a lavorare nel laboratorio di pasticceria. 

Il mio primo pensiero è stato: vai, sei fregata. Questa ti soffia il posto ed ecco lì che di tutti i tuoi progetti Mi faccio dare un aumento, mi faccio cambiare mansione, ti resta in mano solo un pugno di mosche.  Capitemi: mi sono fatta il mazzo per anni per arrivare a sapere quello che so, per fare proposte, per farmi la nicchia, insomma. 

All’inizio le cose sembravano ormai decise: riposizionata. Eccomi che torno al banco a fare caffè. Ero sul punto di licenziarmi. 

Ma poi il mio lavoro nel corso degli anni ha prevalso. Era la FDC a chiedere le cose a me, a chiedermi se era fattibile fare una cosa piuttosto che un’altra. 

In pratica ora collaboriamo. E sebbene io sia ancora diffidente (stringere alleanze con la FDC può nuocermi in molti modi), il suo progetto coincide con il mio: farmi restare il più possibile in pasticceria. 

Pare che la nostra strategia stia funzionando, almeno in parte. 

Riusciranno i nostri eroi?

Beh, se non si licenzia qualcun altro, se non ci sono altre emergenze pandemiche, se… forse il mio ruolo di jolly andrà a sparire. 

Intanto godetevi la foto del nostro cheesecake ai frutti di bosco. 

Davvero buonissimo. Fidatevi.

(E con millemila euro di scuola di alta pasticceria se non era buonissimo il Capo e il Boss erano investitori del cavolo!)

Love your mom

Ed eccomi qui con il mio the verde (rigorosamente in infusione nella tazza con la scritta Chocolate is always a good idea), dopo una sessione di cucina casalinga. Perché, se è vero che voglio credere che la dieta che sto seguendo funzioni, lo è altrettanto che cucinare, per me, is not always a good idea… Ma sono costretta. Come diceva ieri il cuoco vegano del ristorantino che ho scovato vicino alla scuola di Little Boss, un conto è farsi una fettina in padella all’ultimo minuto, un altro è farsi piacere il tofu al naturale preso e messo lì. 

Va detto che sto studiando (la cosa che in assoluto amo di più fare). Cerco di creare un ricettario su misura per me: piatti veloci ma gustosi. E giorno dopo giorno il Libro Vegano (L.V.) cresce.

Sulla meditazione invece sono un pelino più capra (Sgarbi dixit). Tento di farla dopo cena, sdraiata sul letto, così se mi rilasso tanto da addormentarmi sono già lì. Ma spesso non tengo a bada i pensieri, mi si imbizzarriscono proprio, e faccio una gran fatica. E mi deprimo perché non ne sono capace. Che poi, siccome la meditazione Mindfulness prevede che non mi giudichi, finisce solo che mi giudico anche per essermi giudicata: un macello. 

Nel libro che sto leggendo sull’argomento (Guida alla meditazione della consapevolezza) c’è anche una sezione dedicata a un Progetto Mindfulness: si tratta di prendersi cura di… indovinate? Una pianta! Questo perché una pianta ha bisogno di osservazione, attenzione e cure. E disciplina. Ottimo, ottimo, ma io, come ho già scritto, sono una con il pollice verso, uccido qualsiasi cosa verde anche solo avvicinandomi (come Maga Magò nella Spada della roccia: presente?). Non voglio mietere altre vittime, non ora almeno, che sono così…principiante! Così ho trovato una soluzione alternativa: il lievito madre. Molti sapranno di cosa parlo, ma nel caso vi faccio un riassuntino: il lievito madre è il lievito che usavano le nostre nonne (o bisnonne o trisnonne, dipende dall’età di chi legge); trattasi semplicemente di acqua e farina fermentata in modo spontaneo grazie ai microorganismi presenti nelle materie prime. E questo, più o meno, lo sanno tutti. Quello che io invece non sapevo è che il lievito madre, contrariamente al suo nome, si comporta come un figlio. Anzi. Un neonato. Prima di tutto deve essere risvegliato, poi bisogna fargli il bagnetto, infine deve essere messo a letto. Il tutto solo per non farlo morire. Un Tamagotchi ante litteram. Se poi lo si vuole usare allora dobbiamo procedere a fargli vari bagnetti (i rinfreschi) ogni tot ora, deve essere fasciato in un certo modo, con tessuto di lino superpulito e corda apposta (sì, questa cosa della corda per legarlo non è proprio da infanti, ma concedetemi la licenza). Inoltre bisogna saperlo guardare e annusare con attenzione: se ha un odore troppo acido allora va lavato con lo zucchero, se gli alveoli sono troppo radi non va bene, se non ce ne sono troppi non va bene… insomma, un gran cavolo di lavoro per sfornare una pagnotta! Quindi per ora ho deciso solo di tenerlo in vita: il bagnetto una volta a settimana. Poi quando sarò più grande penserò al modo migliore per usarlo. Sempre che non muoia, ovvio. 

Nel frattempo, anche per il lievito, studio. Perché il Ristorante sta diventando sempre più Pasticceria (aggiungi aggiungi, un biscotto nuovo qui, una monoporzione lì ) e quindi progettiamo di fare il mitico Panettone per Natale. Con, ovvio, il lievito madre. Credo che nei prossimi mesi avrò da impratichirmi, col piccoletto. 

Mi ero messa seduta qui, in realtà, proprio per fare un riassunto di tutte le cose che sono successe a lavoro da sei mesi a questa parte, ma come al solito Va’ dove ti porta la tastiera ha prevalso. 

Sarà per la prossima volta, eh…

Vado a fare uno snack con la maionese vegana alla paprika (buonissima, ve la consiglio anche se siete uovivori, è stata la prima ricetta del L.V.)

La battaglia del sonno

post 215

 

 

Il mio turbine di pensieri sta prendendo forma, ma ciò non mi impedisce di vomitarne ogni sera di nuovi.

E quindi, mentre l’altra sera ero qui che scrivevo di nuove ricette da provare per il Ristorante e di cose da aggiungere o cambiare al romanzo, oggi sono qui per dire che sì, ho provato le mie ricette e sì ho scritto le mie (spero) migliorie.

Il risultato? Un gran mal di gambe (le piccole erano ferme da tanto, vanno capite, e poi ho accumulato in tre giorni le ore di lavoro che di solito faccio-dovrei fare– in una settimana e mezzo) e anche un po’ di sonno, visto che non voglio mollare il romanzo.

Ma il sonno lo tolgono anche le preoccupazioni.

Come sarà riaprire post Coronaquarantena?, Riuscirò a lavorare ancora come prima?, Come devo tagliare le Sacher per renderle più belle?, Riuscirò a pagare l’assicurazione della piccola Winny?, Riuscirò di nuovo a vedere l’Amico Speciale senza crollargli in braccio dalla stanchezza?, e via dicendo.

Tutti questi sassolini non riesco a toglierli dalla scarpa (metaforica) e la sera prima di dormire, già nel letto e già con Morfeo dolce che sta per prendermi tra le sue braccia dopo la lettura di trepaginetre di libro, ecco che tornano a tormentarmi. Che fare? Camomille? Sonniferi? Botte in testa?

Questo è l’ultimo tentativo che mi offro dopo 3 episodi di Gossip Girl insieme a Little Boss (dopo aver visto l’ultima stagione di Dark guardare Gossip Girl fa male al cuore: come dico sempre, cosa non si fa per amore).

L’Amico Speciale lo sto vedendo come in quarantena: mai. Domani sera sarebbe la nostra serata, ma io sabato ho il Gran Galà delle debuttanti, debutto sul palco del Ristorante, e invece della tastiera immaginaria che scrive parole sognerò bavaresi al mirtillo (che mi sono venute speciali) e mignon alle nocciole.

La piccola Boss invece è speciale come sempre: tifa per me, mi sostiene e capisce al volo quando non tira aria per chiedermi di fare gli straordinari anche a casa: si accontenta di una pizza surgelata per cena e non si lamenta se al posto delle sfoglie al cioccolato autoprodotte trova i biscotti del Mulino Bianco. Anzi, del discount. È una piccola santa. Da suo padre, il Re degli Inferi parte prima, ha preso solo gli occhi.

In questi giorni, già concitati di suo, ci ha messo il carico da undici, inondandomi di messaggi (l’ultima tranche è stata di ben 25 uno dopo l’altro) e costringendomi così a sfogarmi: dovevo parlarne con qualcuno. Ma siccome tutti quelli che mi conoscono sono arcistufi di sentire sempre le stesse cose (e anche di dirmi sempre le stesse cose) e, inoltre, ogni volta che mi manda fuori di testa io mi incazzo principalmente con me stessa e ciò non mi piace affatto, mi sono risolta per il 1522. Devo dire che ho fatto una bella scoperta. In pratica quelle donne (porette) stanno lì solo per sentire gli sfoghi di altre donne che sono troppo inette per fare la cosa giusta (come lo sono io). Ma ora so che se voglio sfogarmi e urlare che lui è un demente e che è un prepotente eccetera, posso fare 4 semplici numeri. È una cosa che devo tenere presente.

Io non so come Little possa essere così fantastica: nata da una madre inetta e un padre stronzo.

Quando si dice che la natura fa miracoli…

Adesso devo proprio andare.

Ora sono curiosa di sapere chi vincerà stanotte: le parole sulla tastiera o un’ipotetica mousse al mango?

Chi vivrà vedrà.

Non esiste (per me )saggezza

post 197

 

 

Dell’ordinario in un mondo straordinario ho già parlato.

Ma dubito che ci sia molto altro da scrivere, arrivati a questo punto.

Passo la mia vita ad inventarmi occupazioni. Poi il gran culo che ho a volte vuole che non sia a trovarmele, ma altri. Il mio Capo, per la precisione, che mi ha regalato un bel corso on line di Montersino, un corso professionale di pasticceria, che io sto seguendo pedissequamente.

Imparo quindi (o reimparo?) la gestione degli impasti base, ma soprattutto imparo (quasi da zero) i trucchi chimici che mi permettono di non sbagliare le ricette. Cosa significa: che lo zucchero si sciole nel 33% dei liquidi, che un semifreddo, per essere mangiabile a -18, deve avere il 23% di zuccheri, che i grassi e gli zuccheri aumentano la conservabilità, che esistono termini come sineresi, in pasticceria, e io che credevo fosse una figura retorica…  (sì, ok, l’ho confusa con la sinestesia, scusate, mi sento totalmente inabile in ogni campo, adesso, dal tedesco che sto imparando -mio padre lo sa e mi manda mille frasi per me indecifrabili ogni sera- alla grammatica, finirò con scrivere Ho, senza acca, il mio cervello si scinderà in tanti piccoli atomi inutili e tutto il mio sapere – che è davvero poco- tenderà a volatizzarsi, un po’ come le varie parti di me che avevo descritto pochi giorni fa).

Ho generalmente poca fiducia nelle mie capacità. È innata, come cosa, potremmo freudianamente ascriverla al comportamento di mio padre, che mi fa sempre sentire un’ignorante quando non so le cose che sa lui (ma quando io so cose che non sa lui allora il discorso cambia, ovvio: sono io che so cose che non servono, inutili. Così come sono sempre io che amo scrittori che a lui non piacciono, come sono sempre io che faccio le cose che lui non approva. Il discorso sarebbe lungo e complesso. E tedioso. Come le nostre attuali conversazioni). In ogni caso so cosa mi piace: imparare. Anche se poi non so bene cosa posso ricavarci (vedi il tedesco), a me imparare piace.

Il mio Boss disse una volta che amavo fare la maestrina. Nonostante la cosa al tempo mi ferì lievemente, e incredibilmente fece restare attoniti i presenti (forse imbarazzati per me), io in realtà so che ha ragione. Al meglio delle mie capacità io so che amo imparare per insegnare. Amo apprendere, la ricerca che implica, l’impegno che ci vuole. Così come, una volta appresa una cosa (che però, attenzione: deve darmi gioia- ma di solito lo fa-)amo dirlo al mondo intero.

Così ora vorrei potervi fare una bella lezione sulle creme di base, dalla crema pasticcera alla namelaka, passando un secondo per i semifreddi (senza giungere al gelato, che vorrebbe un po’ di ripasso teorico).

Ma se c’è un’altra cosa che ho imparato ( e questa l’ho imparata empiricamente) è che alla gente spesso non frega un cazzo di quello che al momento frega a te. Ed è giusto. Comprensibile. Io stessa mi registro così sul mondo.

Quindi c’è sempre questa estenuante ricerca di chi ti comprende in un momento in cui vuoi essere compresa esattamente nella stessa misura in cui lo vuoi e per cosa vuoi in quel momento.

Va da sé che questa ricerca è deleteria. Anche questo imparo a livello empirico.

E quindi come concludo? Che non esiste saggezza, direbbe qualcuno. Carofiglio, per essere esatti.

Io, poi, di saggezza, so davvero ben poco…