Togliendo mattoncini dal muro

Mi sono appena sparata un mese di silenzio stampa non voluto. 

E soprattutto senza un vero perché.

Ci sono momenti della vita in cui ti rendi conto che scrivere non è ciò che ti occorre, che va messa un po’ di distanza tra te e il tuo cervello. E io questo ho fatto, ho messo un quotidiano muro fatto di nulla, ma non per questo meno arduo da scalare. Adesso arrampicarmici o, ancora peggio, cercare di distruggerlo, mi fa un po’ paura: potrebbe voler riversare tutto il contenuto che esiste al di là in una soluzione unica e, ipoteticamente, affogarmi. 

Quindi scrivo lentamente, soppesando le parole, giusto per non fare mosse sbagliate.

Sono rientrata a lavoro giusto in tempo per capire che un mese e mezzo ferma non fa per me. L’ultima settimana di ferie l’ho vissuta come un secondo e personale lockdown, nonostante avessi qualcosina da fare, più che altro le solite beghe burocratiche che altri si erano offerti di fare al posto mio, ma che alla fine se non te le fai da sola col cavolo. Quindi sì, viva il lavoro, anche se valutare me stessa così, come una tossicodipendente, non è che proprio mi faccia impazzire. In ogni caso i miei due coinquilini, l’Amico Speciale e Little Boss, hanno capito l’antifona: ho passato l’estate a dir loro che sì, sono nullafacente ora, approfittatene finché potete, che quando rientro a lavoro avrò meno tempo, tornerò a casa tardi e le lavatrici non si fanno da sé, la cena non è una magia che si materializza sulla tavola alle otto. E così l’altro giorno sono tornata e l’A.S. stava cucinando, mentre Little piegava il bucato e metteva a posto i piatti dalla lavastoviglie. La vera magia è questa. Alla fine la mia è una famiglia un po’ storta, ma è comunque bellissima. 

Nonostante tutti i buoni propositi e i programmi che avevo fatto per le ferie, alla fine non ho concluso nulla: il mio romanzo è sempre dentro alla carta, il mio spagnolo è sempre basico (per non dire inesistente) e via dicendo. L’unica cosa che ho ingigantito nel mese di agosto è stata la conoscenza del True crime, ma non credo possa servirmi a un granché, fatta eccezione di qualche conversazione con gli amici, anche se non so quanto sia bello esordire così durante una cena: ma lo sapete che nel 19… (che le date non le ricordo mai), in Australia hanno pescato uno squalo tigre che aveva mangiato uno squalo più piccolo che aveva mangiato a sua volta un braccio umano? E che questo primo squalo una volta messo dentro un acquario ha vomitato il tutto davanti ai clienti paganti? 

Non so. Ho l’impressione che non sia argomento da cena. 

Vabbè. In ogni caso l’universo ancora mi sta indicando la strada della scrittura, lancia segnali. Dopo l’eventuale (perché siamo fermi lì, ancora non ho notizie nuove) pubblicazione del mio racconto in un’antologia scolastica, arrivo in finale a un concorso letterario. Tutti a fare wow, ma in realtà sono tra i 35 di 100, insomma, non è un granché. Anche se il primo premio sono soldi, quindi… Non conto di arrivare sul podio, ma andrò lo stesso alla premiazione (mi regalano una copia dell’antologia e avrò un drink gratis). E poi l’altro giorno in edicola ho trovato una collana della Holden, un corso di scrittura cartaceo che mi sto accaparrando settimana dopo settimana. Anche questo un segnale. 

E se i segnali mi indicano da una parte, io in realtà sto ancora cercando di fare il primo passo, ma la lentezza mi caratterizza. Intanto la vita prosegue, alti e bassi.

 E io un mattoncino, da quel muro, l’ho tolto.

Del mio romanzo e altre quisquilie e pinzillacchere

Sono di nuovo circondata dai mei quaderni, pagine e pagine del manoscritto che, ho promesso, devo almeno tentare di sistemare. Per ora ho solo concluso che non avevo concluso, mi mancano dei pezzi, degli anelli di congiunzione, non è una trascrizione, ma un montaggio, una cosa che non ha bisogno di creatività, ma di testa. 

Ci sono cose, poi, che mi spingono in quella direzione: il tempo ritrovato, una scommessa fatta, una telefonata. La telefonata è arrivata due giorni fa, una rivista sulla quale avevo pubblicato un racconto ha ricevuto una mail dalla Zanichelli che chiedeva di poter pubblicare un mio racconto su un’antologia per ragazzi delle superiori. Accidenti, mi sono detta, la Zanichelli, mica fichi! Sarò odiata da centinaia di adolescenti? 

Sacchi?(qui si vede il mio essere Generazione X) Venga alla cattedra, che la interrogo. Cosa mi sa dire del racconto assegnato, quello di Moon?

Ma io… non l’ho letto…

Sacchi? Tre!

E Sacchi, una volta tornato a casa, strapperà la pagina e brucerà il racconto, mentre lancia vari anatemi.

Certo, la cosa mi rende orgogliosa, gli anatemi non sono per tutti, ma mi chiedo più che altro il perché. Cioè, questi curatori perché hanno scelto il racconto di una sconosciuta? La prima cosa che penso è perché sanno che non pagheranno nulla per pubblicarlo. Ma in generale le antologie non pagano il diritto d’autore perché è per fini di insegnamento (se ho capito bene quello che ho letto). Perché scegliere me? Insomma, quanti racconti ci saranno, mi chiedo, sul web? Come sono arrivati al mio? La rivista in questione non è mica così famosa. 

Vabbè, mi sa che non avrò mai risposte a queste domande. So solo che a volte accadono cose che sembrano indicarti, con una mega freccia gialla, la direzione da prendere. Di nuovo, l’Universo mi sta dicendo qualcosa, e io devo dargli retta. 

Così il mio progetto rilanciato assume un significato diverso, non stai solo impegnando il tuo tempo libero, ma stai andando nella tua direzione. Peccato avere questa bassa autostima, mi dico a volte; peccato, invece, avere una grande consapevolezza, mi dico alte volte. Il fatto è che io so quando canno a scrivere, quando un brano funziona e quando no, quando le pagine sono buone oppure sono solo un riempitivo e finora, rileggendo, sono molte le pagine-riempitivo. Alla fine di ogni brano di questo tipo ho annotato anche: più o meno è così, oppure, questo va rivisto. Questo lavoro è di sicuro solo agli inizi. 

E allora la domanda, quella vera che dovrei farmi è: quanto ci credi in questa cosa? Quanta paura hai di fallire, di non essere all’altezza delle tue aspettative? Perché diciamocelo, questo romanzo non riuscirà mai ad essere come tu lo vuoi. Non sarà mai all’altezza delle tue aspettative. Non si avvicinerà neanche al progetto che conservi nella tua testa. Nonostante questa consapevolezza, quanto ancora puoi crederci?

Ho sempre teorizzato che per fare lo scrittore fosse necessaria una grande egosfera. Io non riesco a tenermici dentro. Quando arriva una telefonata come quella di due giorni fa allora sì, entro nella egosfera, salvo poi uscire di nuovo poche ore dopo (più o meno quando ho finito di diffondere la notizia), tanto che ieri sera, che ero a cena da mia madre con mia sorella, lei mi fa: io non gli ho detto nulla, a tua sorella, aspettavo che lo facessi tu. Era così eccitata. Io ci ho pensato un secondo, non riuscivo a capire di cosa diavolo stesse parlando. E infatti ho chiesto: cosa devo dire?

Avevo già dimenticato. Pessima Moon…

Comunque ok, ho un mese di tempo per dare una forma digitale al manoscritto. Il passo successivo seguirà il progetto originale, trovare un editor e poi inviarlo al Calvino l’anno prossimo. 

Ale me lo dice sempre che nelle mie cose sono lunga. 

Ha ragione lei, dopotutto. 

Dialoghi, Paolo Giordano: un non reportage

No, qui Giordano non era ancora arrivato: non cercatelo

C’è stato un tempo in cui facevo cose.

Dopo anni di sonnambulismo, un giorno mi sono svegliata e ho cominciato a scrivere (con risultati mediocri all’inizio), leggere (cose diverse da quelle che leggevo prima), frequentare corsi (di scrittura) e andare in giro ad ascoltare scrittori (ricordo Erri De Luca, Ascanio Celestini, Martina Testa su David Foster Wallace, Marco Malvaldi, solo per citarne alcuni). Quel tempo brulicava di cose. 

Poi la separazione, una nuova vita da ricostruire, ho smesso piano piano. Avevo troppe incombenze per prendermi cura della mia anima.

Ma le cose, lo sapete, stanno cambiando. Così quando un mesetto fa ho visto il programma dei Dialoghi sull’uomo di Pistoia mi sono detta: why not? Ho preso la chiusura dell’evento, la domenica sera con Paolo Giordano. Tema di questo anno l’emergenza climatica (cosa altro poteva essere?).

Non sono una fan di Giordano. Ho letto solo La solitudine dei numeri primi che mi ha lasciata, devo dire, tiepida. Poi sì, qualche articolo sul Corriere. Nulla di che. Ma comunque è sempre uno scrittore, l’argomento è attuale, voglio sentire cosa ha da dire, ho bisogno di stimoli eccetera eccetera. 

Prendo due biglietti e per un intero mese chiedo prima a Little poi all’Amico Speciale. Entrambi sono entusiasti come prima di una purga. Nessuno mi dice di no, per non farmici rimanere male, ma rispondono: bho, vediamo. Alla fine (e se dico alla fine significa proprio la domenica mattina) l’Amico Speciale si offre di accompagnarmi, con un sorriso tirato a tal punto che ho paura che si strappi. 

Arriviamo a Pistoia per tempo, ci facciamo una bella passeggiata, c’è il sole, è caldo e Pistoia è carina, diciamocelo. Quando inizia la conferenza sotto al tendone l’A.S. calcola che ci siano almeno 800 persone (fa il conto delle sedute così, per passare il tempo). Giordano arriva puntuale, sale sul palco e dice: quanti siete! Di solito non amo fare queste cose, non mi piace la solitudine del palco. E in effetti non gli piace, il palco, lo ripete più volte durante l’ora in cui parla, tra un bicchiere d’acqua e un Non me lo ricordo, l’ho scritto qua ma non lo trovo. 

Giordano è uno scrittore, non un relatore. E il suo impappinarsi, bevendo ettolitri di acqua, ne è il manifesto. Non promuove direttamente il suo ultimo libro (anche se lo cita, ovvio), ma parla dell’ambientalismo, per fortuna, per lo meno sta sul pezzo quasi sempre. Parte dal lavoro di Rachel Carson, biologa americana che si batté per far eliminare il famoso DDT, lavoro racchiuso in un libro intitolato Primavera silenziosa e fatto ristampare di recente con la prefazione di indovinate chi? Yess! Io il libro non l’ho letto e neanche la prefazione, non sono certa che mi interessi davvero la storia del DDT, seppur interessante. Ho altre cose da fare. Poi il nostro Paolo si sposta sul nucleare, citando Moravia con L’inverno nucleare e la Morante con Pro o contro la bomba atomica.

Insomma sì, non posso dire che è stato noioso (l’A.S. può dirlo invece, a una certa si alza e esce), ma il tema dell’ambientalismo lo prende talmente alla larga e parte da talmente lontano che fatico a seguirlo. Certo, si sente che è un sapiente, ma non coinvolge, se non quando, verso la fine, legge un racconto, Il tunnel (Durrenmatt, scusate non ricordo come fare la U con dieresi), claustrofobico e catastrofista abbastanza da lasciare il segno. Se riuscite leggetevelo e capirete il punto di vista di Giordano sull’emergenza climatica. 

Dopo la conferenza avrei voluto dilungarmi al banchetto/libreria lì fuori, ma ho dovuto premiare l’A.S. con un panino con il lampredotto. 

Sono stata sfortunata, lo so, ma comunque ne è uscita una bella serata. Sempre meglio che stare a casa a guardare la tv. Chissà se la prossima volta l’A.S. mi dirà di nuovo sì…

Correzioni e predizioni

Stamani ho iniziato la giornata sul sito dell’Inps. Che è sempre un buon modo per iniziare la giornata, no? Ora, tra tutti i siti istituzionali non è neanche il peggiore, salvo che è come un labirinto e spesso ti trovi in un vicolo cieco e devi tornare indietro. Se poi utilizzi il telefono invece del pc, allora sei fregato.

Sei fregato perché il telefono ha quell’odiosa funzione della correzione automatica e, soprattutto, della predizione. Che già la parola stessa mi inquieta, vedo il mio telefono come una donna sui sessanta e un turbante in testa che dice: so io cosa vuoi digitare, fallo fare a me.  

E invece no. Se le do retta finisce che scrivo fischi per fiaschi.

La cosa è particolarmente fastidiosa con i messaggi. La lettera più incriminata è la e. Vorrei scrivere La cena e e lui corregge con La cena è.  Allora devi tornare indietro e correggere manualmente. Oppure vuoi scrivere Ce ne andiamo? E lui: C’è ne andiamo? Oppure l’altro giorno volevo scrivere Sì, mi arrendo e invece (questo è un mistero) scrive Sì, mi Sto arrivando! Infine c’è questo suo bisogno vintage di scrivere tutto al passato remoto: guardò, arrivò, al posto di guardo e arrivo. Ma chi lo usa più il passato remoto, santi numi! 

Il meglio lo dà (anche il  correttamente accentato è difficile da ottenere: a volte lo suggerisce subito, altre volte invece devi scorrettamente apostrofarlo, così ti dà un ibrido- dà’– che tu nuovamente devi correggere a mano) con le parolacce. Ci deve essere una sorta di prete virtuale che ci bacchetta ogni volta che vuoi scrivere coglione e lo trasforma nel ben più noto ciglione. Oppure cazzoin cazzò (cazza la randa, marinaio!). 

C’è ancora un’altra cosa che detesto: quando mi consiglia un’emoji al posto di una parola. Se scrivo aereo allora subito mi appare il disegnino di un aereo, lo stesso con tutto il resto. Triste: faccina che piange; felice: faccina che ride. Insomma, perché mai dovrei preferire un’emoji a una parola? Al limite le uso per enfatizzare una frase (per far capire il tono). 

Insomma, sembrerebbe, detta così, che scrivere un messaggio con il correttore e il testo predittivo sia alquanto complicato. Ma non è del tutto vero. Il correttore si può disinserire, prima di tutto. Però è più comodo, no? A volte ho fretta e mi basta digitare la B per scrivere Buongiorno (cosa che faccio almeno due volte ogni giorno: a mia madre per farle sapere che sono ancora viva, a mio padre per sapere se è ancora vivo). Oppure possiamo istruirlo. Se scrivo diverse volte la parola stronzo alla fine non me lo correggerà più come stronzio (che in effetti perché non parlo di chimica con i miei amici?), mi lascerà libera di offendere come e quanto voglio. 

Oppure posso sempre mandare un vocale.

P.s. Per Word, che è ciò che uso per scrivere, ho disabilitato la correzione automatica. Ma ancora mi dà suggerimenti (e siccome io scrivo alla cazzum, me li dà spesso: cazzum, ad esempio, mi dice che è sbagliato: avrebbe preferito cazzame, che non so cosa possa significare)

Le richieste di WordPress

Finalmente i miei giorni da reclusa stanno per terminare, il dolore si sta affievolendo e sabato ricomincio a lavorare. Bello rientrare di sabato: lavoro due giorni e poi di nuovo a casa. 

Nel frattempo mi districo tra un malato di demenza e una georgiana che non sa l’italiano, così la mia confusione è massima. Badante 3 mi manda un messaggio in georgiano e io butto su Google traduttore: Ciao, sto cercando qualcosa, per favore scrivimi.

Rispondo: cosa stai cercando? (sempre con Google traduttore)

Chiedi a tuo padre, scrive lei. 

Così chiamo mio padre. Che mi risponde alla quarta telefonata.

Nulla, mi fa, non trova la pentola. 

Che pentola?

Per i funghi.

Consapevole che non è certo la pentola per i funghi che non trova, gli rispondo di usare la padella e attacco. Mi ci vuole un po’ per uscire dalla sensazione di essere Alice nel Paese delle Meraviglie che parla col Brucaliffo in stereofonia.

Che poi nel pomeriggio ci passo e capisco cosa stava cercando, un bavaglio pulito per mio padre. Vabbè, diciamo che non è molto facile comunicare a distanza con quella casa.

Tornata a casa entro qui, su WP, e scopro una cosa a cui non avevo fatto caso: le richieste di WP.  

Sì, lo so, magari sono tonta, ma non le avevo mai viste. E già son lì a chiedermi: chi fa queste richieste? Il sito o gli utenti? Comunque, nel tentativo di capirci qualcosa me ne leggo un po’. E siccome sono una dissidente, non rispondo a una al giorno, come immagino andrebbe fatto, ma a tutte quelle che posso in un’unica soluzione. Quindi, via!

Parto dalla fine:

Quali libri vuoi leggere?

Facile: tutti quelli che posso e che mi prendono. Non ho un genere, al limite qualche preferenza autore, ma sono per lo più onnivora.

Cosa faresti se vincessi alla lotteria?

Intanto direi che è un pelino strano, visto che non ci gioco mai. Ma se proprio deve essere credo che li investirei in una attività, anche in perdita, che visto che ho i soldi chissenefrega. Mi piacerebbe una libreria indipendente che organizza corsi di scrittura e reading e gruppi di lettura. Lo so, non ho ambizioni. 

Quali sono i tuoi sport preferiti da guadare e giocare?

Difficile. Da guardare credo il calcio per mondiali e europei e al limite quello strano sport invernale di cui non ricordo il nome che si fa spazzando davanti a un disco o una roba del genere. Solo perché è ridicolo e quindi mi diverte. Da giocare? Nessuno, grazie, sono antisport. 

Di cosa ti lamenti di più? 

Anche questa è facile: di tutto. Sono una piagnona senza confini, da sempre faccio come Paperino e sbatto il cappello a terra dicendo: maledetta sfortuna! ( e poi guardo Gastone tutta invidiosa)

Qual è la cosa che hai più paura di fare? Cosa ci vorrebbe per convincerti a farlo?

Anche qui spazio: ho paura di fare un sacco di cose, ma di solito il mio atteggiamento è quello di superare le mie paure affrontandole di petto. Un esempio? Paura dell’altezza? Fatti un salto nel vuoto con il paracadute, vedrai che ti passa. Quindi alla seconda domanda posso rispondere: ci vuole solo che mi stufi di avere paura.

Scrivi del tuo primo computer.

Era un orribile affare che mio padre aveva salvato dalla spazzatura e che aveva il sistema operativo DOS. Un tuffo negli ottanta alla soglia dei 2000. 

Qual è la cosa che preferisci cucinare?

A me cucinare in generale non piace, ma se devo dirla tutta a volte ci prendo gusto e sono anche decente. Di solito preferisco i piatti superveloci e dove non devo sporcare mille ciotoline. Sono bravissima a cucinare la pizza surgelata, per esempio. 

Qualcosa nella tua “lista delle cose da fare” che non viene mai fatto.

Quel mai mi inibisce. In realtà evado sempre la mia lista. Magari però mi ci vuole del tempo. se dico: lo farò la settimana prossima, magari ci metto tre mesi. Ma poi lo faccio.

E ora una delle migliori: In che modo la morte cambia la tua prospettiva? 

Direi che, siccome è una cosa che sai appena nasci, più o meno, e della quale prendi sempre più consapevolezza con il passare del tempo, visto che io ormai spero di essere entrata appieno nella seconda metà della mia vita, non ci penso molto, ancora, non la temo e non mi cambia nessuna prospettiva. 

Descrivi la tua giornata perfetta dall’inizio alla fine.

È molto tempo che non la passo, ma se dovessi scegliere direi che è una giornata passata con Little tipo al mare, a fare bagni e giocare a Machiavelli. Nessuno che mi chiama, nessun messaggio. Tornare a casa, cucinare una pizza surgelata, bere una birra ghiacciata e guardare con lei un film. Non chiedo molto dalla vita, soprattutto non chiedo cose irrealizzabili. 

L’invenzione più importante della tua vita è…

Non mi risulta che io abbia mai inventato nulla. Al limite ho messo a punto cose già inventate da altri adeguandole alle mie necessità. Se avessi inventato qualcosa lo saprei, immagino. 

E ora vi chiedo: ma voi sapevate di queste richieste? Avete mai scritto nulla a tal proposito? E, soprattutto, sapete perché sono lì e chi ce le mette? 

Narrami o musa (G.R.C.V., ovvero il Grande Romanzo Catartico della mia Vita)

Di nuovo qui, a parlare di un mio vecchio e caro amico che credevo si fosse addormentato, che mi avesse lasciata in pace per sempre, e invece…

E invece il furbetto stava solo aspettando il momento giusto per rimettersi a lavoro, per tornare a tormentarmi. 

Sì. Sto parlando proprio di lui: il Censore, l’”amico” (qui le virgolette ci stanno più che bene) grazie al quale ho iniziato a scrivere questo blog. 

Quindi insomma, il Censore, che per anni è stato quieto, lo è stato solo perché, beh… non scrivevo davvero. sì, ok, ho scritto un pessimo romanzo lampo, forse un paio di racconti e centinaia di pagine farlocche. Ma ora che ho iniziato questo corso alla Holden eccolo che mi bussa alla spalla con il suo dito scheletrico e puntuto (proprio in quel punto della Carogna, per intenderci) e mi fa:

Quindi ora sei convinta di stare per scrivere un romanzo catartico… (risatina sotto ai baffi, anch’essi scheletrici e puntuti) 

Chetati, rispondo (più sono incazzata e più il mio dialetto esce)

Sì, sì, io mi cheto, come dici tu. Ma sai che ormai sono anni che non scrivi più con quella voce, vero? ora sei solo capace di buttare tre righe qui, in un blog che nessuno legge e dove scrivi cose che nessuno capisce perché sei troppo autoreferenziale. 

Ringhio un po’.

E poi, continua lui (mano sul fianco, dito puntato come se fosse in una sit-com americana ambientata nel Queens), non sei neanche riuscita a capire il compito! Dovevi scrivere il soggetto del tuo romanzo e invece hai scritto…cos’è che hai scritto?

Oh, va bene! È solo che credevo di dover scrivere il soggetto a grandi linee, lui, il docente del corso, mica ce lo aveva spiegato, eh! Sono un po’ risentita, ma in realtà ho cannato alla grande sin dal primo passo: bella prova, Moon…

Insomma, mi vuoi dire che stai scrivendo il grande romanzo catartico, che vuoi scrivere questo e poi basta e che sei talmente dilettante da non sapere come si scrive un soggetto per un romanzo? Insomma, guardati: fai pena. E fa per andarsene. 

Ehi, non provare a darmi le spalle, lo richiamo. Tu sei qui per umiliarmi e sbeffeggiarti di me, quindi hai il dover di sentire anche la mia parte!

Eccolo che torna. Si ferma, mi fissa. 

E io zitta.

‘mbeh?, mi incalza.

Faccio spallucce. 

Non sei ancora pronta per scrivere il grande romanzo catartico della tua vita, conclude lui prima di sparire.

Detesto dar ragione al Censore, ma stavolta… 

Comunque ok, nel mio acronimo c’è la parola Ostinata. E anche se da questo corso non verrà fuori il grande romanzo eccetera almeno devo provarci. E per provarci basta che sia furba quanto il Censore. 

Basta che smetta di ripetermi ogni cinque minuti che questo sarà il Grande Romanzo Catartico della mia Vita…

C’ho l’ansia

Ho quasi finito questa settimana di ferie che è giunta del tutto all’improvviso. Il sabato mattina il mio Capo mi fa: Allora martedì sei in ferie fino alla fine della settimana, ok?

Ok… giusto il tempo di organizzarsi qualcosa, penso. 

Ma vabbè, godiamoci questo tempo rubato (che poi è ampliamente dovuto).

Mi faccio una lista di cose da fare: sistemare l’armadio, andare dal parrucchiere, cose così. Mercoledì ho già finito di fare tutto. a allora: cucino.

Io non amo affatto cucinare, è tra gli obblighi quotidiani in assoluto quello che più detesto, ma mi rendo conto che a volte mi serve. Metto in moto le mani, è un lavoro che distrae la mente. Così inizio: ragù, tagliatelle fresche, salsa di fegatini, una torta cioccolato e pere (vegana) per me, una per mio padre, i nuggets di pollo fatti col pollo vero, la pizza a lunga lievitazione (che non so perché ma non vuole riuscirmi come3 cristo comanda, sono una frana con i lievitati, sarà che ho poca pazienza?). Finisco ieri sera con una crostata che l’Amico Speciale spolvera in quattro bocconi. Quell’uomo è un pozzo senza fondo. 

In realtà ho cucinato tanto perché sono impallata con il romanzo. Ho iniziato venerdì il corso di scrittura della Holden (sul romanzo, appunto) e il mio compito per la prossima settimana è scriverne il soggetto. Già sapevo che sarebbe stato quello il compito, così ho iniziato a pensarci già mesi fa. 

Conclusione? 

Voglio scrivere una storia autobiografica che non lo sia troppo però, qualcosa che sento, qualcosa che conosco, ma che non mi faccia troppo male rinvangandolo. Insomma, una tragedia. Il soggetto più confuso di tutti i tempi. 

Ma non demordo. Appena finita la lezione mi metto giù di brutto a scrivere e scrivere. Butto lì tre righe, cerco la Domanda Drammaturgica Principale, ok, ce l’ho, mi dico, può funzionare. Rileggo. Di una banalità allarmante. Ok, ci metto un po’ di pepe? Vai, ce lo metto! Riscrivo. Rileggo. Deboluccia, ‘sta trama, ma l’idea di fondo c’è. Ok. Può andare. 

Iniziano ad arrivare sulla mail gli altri soggetti, quelli degli altri 25 iscritti. Li leggo. Cazzo. Praticamente uno specchio del mio. Cazzo. 

Perfetto, cambiamo tutto. Inizio la riscrittura del soggetto (la decima?). Finito. Rileggo. Ok, così ci può stare. Arriva un altro soggetto sulla mail. Cazzo, cazzo! La prima cosa che mi viene in mente è: ma siamo tutte Desperate Housewife qui?

Pare di sì. 

Ok che alla fine, come diceva Forster, le trame sono solo due (Un uomo parte per un viaggio e Uno straniero arriva in città), ma insomma…

Rileggo il mio soggetto: ci sono entrambe le trame e questo mi sa che non va bene. 

Ma non demordo. Sarà il modo in cui racconto la mia storia a cambiare tutto! Sarò super originale, ci so fare con queste cose, no? Scriverò il mio romanzo come se fossero tanti generei diversi a seconda dell’argomento che tratterò capitolo per capitolo. Per intenderci: la mia idea è quella di scrivere un capitolo come fosse un romanzo rosa, un altro come fosse un giallo eccetera, mescolando i generi. 

Rileggo la mia super idea geniale. 

Evvabbè, Moon. Tu NON SAI come si scrive un romanzo di genere. Mi sa che è un progetto un po’ ambizioso, eh? 

Però l’idea era carina. 

Cazzo!

(Scusate il turpiloquio, ma c’ho l’ansia. Credo che andrò a fare le lasagne)

Grice-comunicatrice

La mia gestione di questo blog è alquanto squilibrata. Nessun articolo per giorni e giorni e poi due di fila. So che non si fa così, che dovrei cadenzarli, ma io mi sento piena di libertà, qui, quindi me ne sbatto. 

O meglio, me ne sbatticchio.

Dopo aver incontrato, per caso, durante la bellissima iniziativa del mio piccolo comune di pagare la metà dei libri comprati sotto l’albero, Vera Gheno. Non l’ho incontrata dal vivo (avrei potuto se solo fossi andata il giorno prima, ma si vede prima dovevo leggerla e poi allora vorrò vederla e ascoltarla), ma ho incontrato, con enorme piacere, i suoi libri. Per ora due, Potere alle parole e Le ragioni del dubbio. Ma dubito (ho imparato subito, visto?)che resteranno da soli sullo scaffale della libreria. 

Era tanto che non provavo entusiasmo per un libro. Mi ha ricordato il buon vecchio D.F. Wallace che in effetti cita a profusione. 

Ma i contenuti mi hanno fatto vacillare alquanto. 

Leggendola mi sembra di dover camminare sulle uova ogni volta che prendo la penna in mano. Io, che qui sono la regista del mio piccolo mondo lunare, che scrivo non correggendo i refusi, che improvviso, che butto qui e là acronimi incomprensibili e neologismi improbabili, che, insomma, sono una scrittrice confusionaria, mi sono sentita colpita nel vivo. Sebbene io creda di essere comprensibile ai più, il dubbio, che finora avevo ignorato, mi morde le caviglie. 

E quindi ecco che torno, grazie a Vera, alla mia elletta Pragmatica della comunicazione, che tanto mi aveva dato ai tempi del caro Watzlavick. Ma oggi arriva a gamba tesa Grice (Herbert Paul), di cui ignoravo l’esistenza. Il che mi fa riflettere sulla marea di cose che ancora non so e mi sgomento perché so che non riuscirò mai a colmare un cavolo, sono troppe e io non ho la capacità cerebrale (complice il mononeurone) per contenere tutto. Già contengo moltitudini, citando Walt, non Disney, ma Whitman, e qui lo spazio non è accogliente. 

Comunque, tornando a bomba, ci sono quattro massime conversazionali enunciate da Grice. Le analizzerò con voi e le riferirò al Moon World.

  1. La massima del modo. Ovvero, ricerca la maggior chiarezza possibile, trova la parola giusta, un po’ come fa fare Murakami a tre quarti dei suoi personaggi (che sono gli unici che hanno il tempo di star lì a cercare le parole giuste prima di parlare: a voi capita mai? A me di rado. Al limite se mi viene un attacco di afasia). Beh, ne ho già parlato: uso acronimi senza ragione (TDL, AS, per esempio), sono prolifica di forestierismi non necessari, uso a volte parole desuete (ma lo faccio per amore, non per posizionarmi). Scelgo le parole come faccio i sorpassi: a istinto. Quindi? Bocciata!
  2. Massima della relazione. Occorre imparare a stare sul pezzo, a non scrivere strabordando. Occorre selezionare ciò che serve e ciò che non serve. L’unica inerenza che vedo nei miei scritti è quella che sono usciti dalle mie dita… Bocciata!
  3. Massima della quantità. Forse mi salvo, almeno un po’? non essere né troppo stringati né troppo prolissi. Una giusta via di mezzo. Beh, se ci rientro è un caso. Riesco a concentrarmi al massimo per due paginette. Poi mollo. Una mezza vittoria? Mah…
  4. La massima della qualità. Ovvero Sii sincero. Credevo di vincere almeno sul punto quattro. Ma poi, pochi giorni fa, ho parlato con il Mentore (vi rimando qui se non ve lo ricordate, perché non lo vedevo e sentivo da tanto). E lui mi dice: Moon, manchi di sincerità nel tuo blog, devi rompere il vetro. Non sei tu, continua. Vero. Questo blog è solo una parte di me. Me differenti per momenti differenti. La totale sincerità è possibile? In ogni parte della giornata e della vita? Dove con Sincerità non si deve leggere banalmente dire o non dire bugie. Cosa significa essere se stessi? Cosa significa rompere il vetro? Dirvi il mio nome e cognome? Il mio profilo social? O farvi vedere anche tutti gli altri lati di me, anche quelli più oscuri? Oppure scrivere qui, per me, è come darmi una visione di ciò che vorrei essere sempre e non solo quell’oretta che mi metto a pesticciare sulla tastiera? Questa è una versione edulcorata di me o la versione che voglio disegnarmi? 

Se io fossi una brava comunicatrice, una Grice-comunicatrice direi, mi capireste di più. Ma soprattutto, io mi capirei di più? Non è che manco di comunicazione interiore, fallisco alla fonte, quindi? Non mi so comunicare? 

Non mi faccio queste domande a caso. Sono frustrata a livello comunicativo di recente. Forse perché parlo molto ( o provo a parlare) con il mio collega Osaro, che ancora non sa l’italiano e non capisce un tubo; parlo con mio padre che dopo una visita geriatrica ammette: non c’ho capito un tubo di quello che ha detto; parlo con la badante nigeriana di mio padre che, anche se l’italiano lo sa, a volte qualcosa gli sfugge. Mi manca essere capita al volo, mi manca la facilità. E quindi non vorrei farlo a nessuno, questo torto: essere contorta. 

Ma mi piace così tanto giocare con le parole… 

Magari il corso della Holden mi farà, tra le altre cose, tornare in carreggiata. 

O magari posso rinunciare a essere una Grice-comunicatrice e mettermi nell’angolo, dietro la lavagna, sopra i ceci. Rinunciando all’idea di aver fatto il mio dovere a livello comunicativo, ovvero di sviluppare circostanze che sono utili per l’altro. La grande legge che regola la vita nel cosmo è quella della collaborazione tra tutti gli esseri viventi, scrive Roberta Covelli.  

Con questo articolo ho fallito anche la massima numero 3: bocciata! Sto arrivando!

Inutile post sul romanzo

Ieri sera mi sono addormentata incazzata come una mina. 

Ho appena terminato un libro bello, di Ilaria Tuti (Fiore di roccia), letto dopo un soporifero Kawaguchi, a sua volta letto dopo un bellissimo Cambiare l’acqua ai fiori. Quindi il resoconto è, per ora: Uno sì e uno no

Sabato sono andata in città con Little Boss. Le volevo comprare qualche vestito nuovo per la scuola (la ragazza cresce e ha già superato di una taglia la mia biancheria intima, se capite a cosa mi riferisco)e invece lei, di nuovo, voleva passare in libreria. Questa estate ha letto come un treno, con una media di un libro ogni due, tre giorni. Ha le sue interminabili saghe, il ciò comporta una spesa elevata a ogni passo dentro una libreria, perché Come posso prendere solo il primo libro? Mi serve tutta la saga insieme! E se poi non trovo la stessa edizione? (per questo la ragazza non ha preso da me: io i libri li vivo, lei li venera). Va beh, comunque il succo è che mentre lei si sceglieva dei libri di Stephen Fry, io accarezzavo le copertine all’entrata, con le nuove uscite. E ho visto Ozpetek. I suoi film li ho amati tutti, quelli che ho visto, una grande delicatezza nell’affrontare temi un po’ scottanti, una bella profondità. E così l’ho preso. E ieri sera l’ho iniziato, con Grandi Speranze. 

E poi mi sono addormentata incazzata come una mina. 

Con me, ovvio. Avrei dovuto leggere almeno le prime pagine, darci un’occhiata. Se è vero che ciò che conta (per me) in un libro non è solo lo stile o solo la trama, ma le emozioni che ti trasmette, è altrettanto vero che se volevo leggere una sceneggiatura la compravo. 

Ora, so che non posso incazzarmi con Ferzan, lui scrive come vuole. Solo che certe dinamiche all’interno di una pagina mi fanno davvero imbestialire. Detesto le descrizioni dettagliate dell’abbigliamento, della stanza in cui si trovano i personaggi, dei movimenti che fanno, se non sono utili a capire ciò che sta dentro al personaggio. Io voglio capire cosa c’è nei loro cuori, non sulle loro tavole imbandite. 

Forse sono ancora troppo rigida. E questa rigidità nei confronti dei romanzi che leggo si rispecchia, centuplicata, nel mio. Ho scritto una novella carina, ma senza cuore. Leggibile. E non mi basta. Come posso odiare Ferzan e poi scrivere di peggio?, mi dico. È incoerente. Ieri mettina, dopo una lettera fiume a Ale, mi sono messa a rileggerlo, il mio romanzo-fast. Scorre bene, è divertente in molti punti, come dicevo ad Ale, ma è monco. 

Forse dovrei accontentarmi, terminarlo per bene e lasciarlo andare per mettermi a fare qualcosa di nuovo. La sera mi dico che dopotutto è la mia opera prima, che deve essere monca, immatura eccetera, che solo continuando a scrivere posso arrivare lì dove voglio. Questa è la buona teoria. 

Ma la pratica, come sempre, stenta. 

In ogni caso, visto che ora la mattina mi devo comunque svegliare alle 5.30 per Little Boss e visto che fino alle 9 non entro a lavoro, credo che dovrò almeno provarci. 

E quindi vado, vediamo se prima o poi combino qualcosa…

21 Giugno: fine del mondo e del romanzo

Sono le 8.49 di una domenica mattina.

Anche stamani mi sono alzata presto. Siamo agli sgoccioli, tra poco, dopo 4 mesi di fermo obbligato, riprenderò a lavorare. Domani abbiamo un’altra lezione del corso HACCP, poi martedì si parte con le pulizie, sanificazioni eccetera. Ci vorranno forse dieci giorni, vista la mole di lavoro. E poi: l’ignoto: come sarà lavorare alle nuove condizioni? Riuscirò a resistere con la mascherina (che il mio Capo ha fatto fare per tutti in stoffa e con il logo, che in effetti fa più figo) per sei, sette, otto ore? A, proposito di ore, quante ne farò? riuscirò a racimolare qualche straordinario come prima o la mia busta paga sarà sottile? Certo mai quanto la cassa integrazione, che ancora fatica a trovare la strada del mio conto corrente.

Queste, e molte altre, sono le domande che da un bel po’ mi frullano nel cervello (e credo di averne pure già scritto).

Ma.

Ma.

Ma.

In ogni caso c’è sempre qualche nota positiva.

E non è solo perché Little ha finito gli esami di terza media e ora è una diplomata a tutti gli effetti. Questo però influisce: non averla nervosa in giro per casa è già una buona cosa. Sapere che ha ancora la possibilità di prendere la borsa di studio, nonostante gli scivoloni durante la didattica a distanza, anche.

È che alle 8.49 del giorno 21 giugno 2020 ho terminato la prima bozza del mio unico romanzo.

Dopo anni di tentativi falliti, di mortificazioni autoinflitte, di rinunce e poi nuovi inutili slanci, alla fine ce l’ho fatta.

Non avrei mai pensato di scrivere una roba come quella che ho scritto. E credo che se leggessi questo romanzo senza saperne nulla, scritto da un’altra persona, lo ridurrei a brandelli. Io so essere molto caustica nelle recensioni. Anche un po’ stronza, diciamocelo. Senza pietà. Ebbene non ne avrei nemmeno per il mio.

So di non aver scritto letteratura, anche se mi ero ripromessa di scrivere solo quello: letteratura. Eppure lo stesso, questo romanzo mi ha dato e mi dà soddisfazione. Solo per il fatto di averlo terminato, credo. Portato in fondo. Concluso. Finito. Fertig (e usiamole quelle tre parole di tedesco che ho imparato con Duolingo in questo lockdown).

E poi…volete mettere riuscire a finire un progetto tanto desiderato proprio prima che finisca il mondo? (Oggi, secondo i nuovi calcoli)

Vado a festeggiare con il secondo caffè.

Mi resta solo una domanda. ma l’ha già posta Liga…