Mi sono appena sparata un mese di silenzio stampa non voluto.
E soprattutto senza un vero perché.
Ci sono momenti della vita in cui ti rendi conto che scrivere non è ciò che ti occorre, che va messa un po’ di distanza tra te e il tuo cervello. E io questo ho fatto, ho messo un quotidiano muro fatto di nulla, ma non per questo meno arduo da scalare. Adesso arrampicarmici o, ancora peggio, cercare di distruggerlo, mi fa un po’ paura: potrebbe voler riversare tutto il contenuto che esiste al di là in una soluzione unica e, ipoteticamente, affogarmi.
Quindi scrivo lentamente, soppesando le parole, giusto per non fare mosse sbagliate.
Sono rientrata a lavoro giusto in tempo per capire che un mese e mezzo ferma non fa per me. L’ultima settimana di ferie l’ho vissuta come un secondo e personale lockdown, nonostante avessi qualcosina da fare, più che altro le solite beghe burocratiche che altri si erano offerti di fare al posto mio, ma che alla fine se non te le fai da sola col cavolo. Quindi sì, viva il lavoro, anche se valutare me stessa così, come una tossicodipendente, non è che proprio mi faccia impazzire. In ogni caso i miei due coinquilini, l’Amico Speciale e Little Boss, hanno capito l’antifona: ho passato l’estate a dir loro che sì, sono nullafacente ora, approfittatene finché potete, che quando rientro a lavoro avrò meno tempo, tornerò a casa tardi e le lavatrici non si fanno da sé, la cena non è una magia che si materializza sulla tavola alle otto. E così l’altro giorno sono tornata e l’A.S. stava cucinando, mentre Little piegava il bucato e metteva a posto i piatti dalla lavastoviglie. La vera magia è questa. Alla fine la mia è una famiglia un po’ storta, ma è comunque bellissima.
Nonostante tutti i buoni propositi e i programmi che avevo fatto per le ferie, alla fine non ho concluso nulla: il mio romanzo è sempre dentro alla carta, il mio spagnolo è sempre basico (per non dire inesistente) e via dicendo. L’unica cosa che ho ingigantito nel mese di agosto è stata la conoscenza del True crime, ma non credo possa servirmi a un granché, fatta eccezione di qualche conversazione con gli amici, anche se non so quanto sia bello esordire così durante una cena: ma lo sapete che nel 19… (che le date non le ricordo mai), in Australia hanno pescato uno squalo tigre che aveva mangiato uno squalo più piccolo che aveva mangiato a sua volta un braccio umano? E che questo primo squalo una volta messo dentro un acquario ha vomitato il tutto davanti ai clienti paganti?
Non so. Ho l’impressione che non sia argomento da cena.
Vabbè. In ogni caso l’universo ancora mi sta indicando la strada della scrittura, lancia segnali. Dopo l’eventuale (perché siamo fermi lì, ancora non ho notizie nuove) pubblicazione del mio racconto in un’antologia scolastica, arrivo in finale a un concorso letterario. Tutti a fare wow, ma in realtà sono tra i 35 di 100, insomma, non è un granché. Anche se il primo premio sono soldi, quindi… Non conto di arrivare sul podio, ma andrò lo stesso alla premiazione (mi regalano una copia dell’antologia e avrò un drink gratis). E poi l’altro giorno in edicola ho trovato una collana della Holden, un corso di scrittura cartaceo che mi sto accaparrando settimana dopo settimana. Anche questo un segnale.
E se i segnali mi indicano da una parte, io in realtà sto ancora cercando di fare il primo passo, ma la lentezza mi caratterizza. Intanto la vita prosegue, alti e bassi.
E io un mattoncino, da quel muro, l’ho tolto.