Diluvio di parole in una giornata col grugno

Ci riprovo.

Avevo già tentato sabato di scrivere qualcosa e dopo un tentativo fasullo mi sentivo spinta, garosa e pronta ad essere eloquente su carta fittizia, con tutte le congetture del caso quando mi chiama mia zia: incantesimo spezzato, articolo gettato al vento. 

Meglio per voi four cats, direi.

Ma peggio, peggissimo, per me. 

Settimane dure? Intense? No, ormai non dovreste più stupirvi, giusto?

Ho preso una grande decisione, da qualche giorno. Una decisione importante per me. Dopo aver inutilmente tentato di prendere la borsa di studio per la scuola Bellville (una borsa bella robusta, che mi avrebbe permesso di frequentare gratis un corso annuale), adesso devo aprire il borsello. Fai qualcosa per quel piccolo angolo rimasto della vecchia Moon. Lo so, è un angolo irrancidito, che è stato schiacciato da un tentativo fallimentare dietro l’altro, dal primo rifiuto di una rivista all’ultimo romanzo compiuto, ma indegno; è il mio angolo scrittrice, il mio angolo confuso, del Vorrei ma non Posso che spesso si traduce in Vorrei ma non Voglio. L’angolo, in sintesi, che resta al buio per praticità, per tempo (mentale), per coscienziosità fittizia. 

Ma il piccolo angolo deve essere nutrito. Sennò il Buio DILAGA (e questa è una citazione da un film imperdibile negli anni ’80, La storia infinita, perdibilissimo invece ad oggi, visto che gli effetti speciali sono inguardabili. Consiglio? Leggetevi il libro)

E quindi mi compro un corso alla Scuola Holden. 

Eccheccazzo, Moon, direte voi, tutte queste storie per un corso on line?

Sì. Perché fino a ora l’ho sempre e solo sognato senza mai avere il coraggio di spendere, per me, tale cifra. Mica è un cifrone, ma fino ad ora metteva in discussone il famoso budget familiare. Ora non lo mette più in discussione? Un po’, ma con Little siamo rimaste che possiamo fare economia su altro. Per due, tre, quattro mesi. 

Detto ciò, stasera mi chiama l’Amico Speciale, che tra poco, di comune accordo e con accordo di Little Boss diventerà (fiato alle trombe!!!!): l’Amico CONVIVENTE. Sì, ok. ci ho messo un po’. Troppo per mia madre, troppo poco per me, giusto per Little. 

Forse ci ritorno, su questa parte. Anzi, di sicuro.

Ma stasera vado avanti.

Mi chiama e mi chiede come è andato il pranzo di lavoro al SuperMegaRistornteStellatoDelGolf di C. (bel posto, per chi non c’è stato, esteticamente ineccepibile, direi). 

Non ho mangiato quasi nulla, rispondo.

Perché?

All’antipasto mi ha chiamato la badante di mio padre che un tizio li ha aggrediti fisicamente e verbalmente per una fornitura di pannoloni

CHE???

Eh, gli faccio. In pratica l’Asl ha consegnato a un unico indirizzo la fornitura di due abitazioni. Mio padre l’ha portata in casa senza controllare (chi lo farebbe???) e quello del piano di sotto, che ha problemi mentali, ha aggredito la badante di mio padre. Con tanto di carabinieri e il resto.

… (è la riposta dell’Amico quasi Convivente)

Poi aggiunge:

Ma scusa, ma che corso alla Holden vuoi fare? Scrivo della tua vita e il romanzo viene da sé!

Magari lo pensano tutti. La mia vita è interessante. Ma in realtà ammorbiamo il mondo con inutili aneddoti o giri di parole. Ho seguito una lezione di Siti (che a quanto pare conoscono in pochi, ma a me piace) sullo Scrivere di sé. Lui, beh, ne ha fatto una carriera. Ne sono rimasta delusa per molti versi. Ma su un punto aveva ragione. L’autobiografia deve avere alcune regole generali da seguire: partire da se stesso ok, ma bisogna allargare il discorso o a un’intera classe sociale o all’essenza dell’essere umano. La letteratura è più importante dello scrittore. 

Quindi no, scrivere della mia vita e basta, fare un resoconto delle supermegacazzole che mi sono capitate (maggiori magari di qualcuno, sicuramente minori di altri) non è il mio scopo. Posso scriverle per espiarle, come percorso terapeutico, come faccio qui. Posso ispirarmici, come ho fatto in passato. 

Ok.

La mia vita chiama.

Little chiama.

Quindi questo è un posto senza capo né coda, senza fronzoli e foto. 

Solo u. diluvio di parole in una giornata con il grugno.

Kiss and hugs (che a dispetto di Vera Gheno, fa ancora un po’ figo)

Ps: di Vera Gheno ve ne parlerò ancora…

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Cosa vorrei da Babbo Natale

Non so perché mi è venuta voglia di scrivere di questa giornata, che poi non è stata grandiosa, splendida. E nemmeno terribile, terrificante. È stata media. Una giornata media che ha visto una me media. 

Mi sono svegliata con un mal di testa che sembrava mi avessero infilato il cervello in una centrifuga per insalata e la netta sensazione di essermi persa: che giorno è? Martedì, dice l’Iphone. Ma è festa, ha risposto il mio cervello strizzato, quindi è come una domenica. Ma una domenica in zona arancione, specie per chi lavora in un Bar, non è una vera domenica, facciamo che è come un sabato stiracchiato, un sabato di Febbraio, per giunta (chi lavora nella ristorazione forse può capire a cosa mi riferisco).

Al lavoro in effetti è stato così, a parte un paio di tizi divertenti (come sempre), uno dei quali insisteva a parlare della Civilissima Svizzera (sì, come no? La Civilissima Svizzera è stata l’ultima nazione a concedere il voto alle donne, tra le altre cose…), l’altro che insisteva a dirmi che sedici euro per sei paste da dessert era troppo. Ma ne ha prese dodici, ho risposto, due vassoi da sei fanno dodici paste. Nulla, questo il cervello più che strizzato lo aveva mandato in ferie (si può fare solo questo, oggi, in Italia: tu in ferie non puoi andarci, per via del Covid, ma il cervello invece sì, e lo fanno in tanti). Alla fine si è convinto, anche se credevo di dover tirare fuori la calcolatrice e fargli vedere…

E poi nulla, la giornata di lavoro a un certo punto è finita, ho preso le mie cose e sono tornata a casa. Little era a pranzo da suo padre e io. Mi sono sentita sola. Perché si sa che la solitudine è una sensazione, non una realtà oggettiva. Avrei voluto uscire, andare a trovare qualcuno (perfino mia madre, questo la dice lunga su quanto mi sentissi sola) e invece me ne sono rimasta lì a aspettare che l’orologio segnasse l’ora in cui dovevo recuperare Little da suo padre. 

In macchina lei mi ha detto un sacco di cose (come sempre mi intasa il cervello di info e guai a dimenticare che lei ti ha detto che la prof di Italiano ha rimandato il compito di lunedì prossimo). E poi mi ha detto che suo padre era tranquillo, che le ha chiesto di quel ragazzino con cui sta, il Little Nerd, che si è offerto di portarla nella cittadina per vederlo se dovessero cambiare le condizioni di colore. Lei era confusa e felice, come avrebbe detto Carmen Consoli, e io anche. Sembra che le cose stiano migliorando, da quelle parti. Si vocifera che forse, il mio ex, abbia trovato una. Dopo soli cinque anni e passa. Forse la svolta? Forse davvero smetterà per sempre di mandarmi messaggi alla cazzo (perdonate il termine, ma se aveste letto i suoi messaggi in questi anni direste di peggio). Bene, benone: una buona mezza notizia. 

E poi una telefonata dell’Amico Speciale. Devi portare la macchina dal meccanico, portiamola ora così domani la guarda, ti do la mia macchina, mi dice. Tutto verissimo, la macchina mi avverte già da un po’ con il suo countdown che mi mancano pochi chilometri al tagliando, giusto stamni mi mancavano 57 chilometri, ma lo sento dalla sua voce che così almeno abbiamo una scusa per vederci, fosse anche per pochi minuti. Assicuro Little a casa, riparto, faccio due chilometri e la macchina mi dice che è l’ora, l’ora del meccanico, mi accende la spia con la chiave inglese. Non so perché questa cosa mi riempia di gioia, come se io e la macchina fossimo in una strana sintonia. O forse è più in sintonia con l’Amico Speciale, chi lo sa. 

Riporto l’Amico Speciale a casa, Ti fermi per una birretta?, chiede. Why not? Illegali per illegali (lui vive in un comune diverso, a soli due chilometri dal mio, ma ciò non ci impedisce di essere illegali). E mentre siamo lì lui inizia a dirmi che sarebbe bello dividerci la vita, alzarci insieme, cucinare per tre invece che per due (Little è sempre compresa, ovvio). Mi dice che quando (non se) saremo sposati allora forse dovremo trasferirci in una casa più grande, io ribatto che la mia futura casa ci permetterà di dormire insieme, qualche volta, anche se c’è Little Boss in casa (ora non è possibile per via degli spazi), che sarebbe una prova di convivenza ideale eccetera. Insomma, parliamo, progettiamo, in sintesi facciamo quello che a me riesce sempre benissimo, progettare, a lui invece resta ostico. E sono felice, mi sembra che tutto si stia costruendo bene, come quando monti il Galeone della Lego e non ti avanzano pezzi. 

Rimonto in macchina (la sua) e collego Spoty. Sulla mia non si può fare, sulla sua è un piacere vedere Moon’s Iphone sul display. Sono di casa anche lì, nella sua macchina, sono parte della sua vita e lui della mia. Avevo giurato che non sarebbe successo più, che non mi sarei fatta fregare più da un uomo con la storia del possesso e del Sei Mia e tutto il resto.  Ma non è così che mi sento. Non mi sento sua, mi sento una parte della sua vita, così come sento che sono una parte della sua. Non c’entra mai il possesso, c’entra la voglia di condividere, di esserci, e mi si sta aprendo davanti un mondo sconosciuto e bellissimo. 

E poi poco prima di parcheggiare ecco che attacca questa canzone: 

e inizia a piovere. Piccole gocce che spazzo via dal vetro. 

E mi sento felice sul serio. Mi sento completa, piena. 

Quindi sì, giornata media che ha visto una me media. 

Ma è quando ti senti felice in una giornata media che ha visto una te media che ti accorgi che le cose iniziano a decollare. 

Anche se so che è impossibile, vorrei chiedere a Babbo natale di portarmi tanti giorni così. Il più possibile. 

Se la notte è fatta per dormire e poi non lo fai

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La notte dormo male. Ho provato a prendere qualche integratore, ma ancora nulla, forse ci vuole più tempo, ma intanto ho dimezzato la scatola. Ormai è un po’ di notti, a dire il vero, che faccio incubi, che mi sveglio alle due o alle tre di notte, fatico a riaddormentarmi, mi scatta il pensiero.

Va da sé che il giorno viaggio un po’ più rincoglionita del solito, Micro(bo) dice che la differenza non si nota, ma io lo sento sulle spalle il peso delle mie nottate storte.

Ieri sera prima di dormire mi sono appuntata questa frase: innamorarsi è una chiavica. Si vede che ero scoraggiata da qualche pensiero fugace, di quelli che ogni tanto fanno un riassunto veloce della mia vita, qualcosa tipo: nelle puntate precedenti… e mi sa che non mi è piaciuto. Il riassunto non mi piace mai. Forse è per questo che mi deprime tanto il mio lutto, quello che tengo per la Morte della Speranza. Perché se non mi tengo almeno la Speranza… speranza che le cose cambino, che le persone smettano di odiare e inizino ad amare, che domani non sia faticoso come oggi, che prima o poi io possa davvero smettere di combattere…

So che lo è per tutti, una lotta continua, quindi mal comune mezzo gaudio, dovrei dire, ma non mi viene. Alla fine non viene mai a nessuno, giusto?

Tengo duro, sopporto con un dolore alla bocca dello stomaco che mi fa perdere cinque minuti buoni davanti alla vetrina delle paste al bar, per poi rinunciare, prendendomi solo il caffè.

Il mio capo mi chiede: prima campavi solo d’amore, ora di cosa campi?

Di resilienza. Ora vivo di questo, mi concentro su questo, giorno dopo giorno.

Mi infastidisce tutto in giorni come questo: la cafonaggine dei clienti che dicono: e se per favore può fare alla svelta, che dobbiamo lavorare, noi. Io no, invece, sto qui come volontaria. E dai, Moon, che almeno il per favore l’hanno detto!

Mi infastidisce il cliente che mi chiede: ma io e te quando ce lo prendiamo un aperitivo insieme? Si può rispondere Anche maisenza risultare scortesi? Ma mica perché il ragazzo non mi piaccia, solo che non ne ho davvero voglia. Non ho voglia di conoscere gente nuova, non ho voglia di dare la possibilità a un’altra persona di entrare nella mia vita, che le ultime volte che l’ho fatto è stato un disastro. Voglio stare accucciata in una zona confort per un po’ di tempo. È così grave?

Mi infastidisce il sole. Eccheccazzo, mi infastidisce perché non lo posso prendere, forse, perché lo perdo, come tante altre cose nella mia vita.

Mi infastidisce l’appuntamento con il dentista per Little Boss, mi infastidisce la rivista a cui non ho voglia di inviare un altro racconto, mi infastidisce Missiroli con Fedeltà, che non riesco a finire.

Mi infastidisce non arrivare a nessuna conclusione, qui, oggi, e usare questo spazio solo per lamentarmi.

Vorrei solo sdraiarmi sul letto e farmi accarezzare, come faceva mia madre quando ero piccola, chiudere gli occhi e dormire. Senza sogni.

 

 

 

 

Invece di dormire

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Ci sono momenti che la musica serve per riempire.

Silenzi. Vuoti. Mente. Anima.

Ci sono momenti che la musica serve. E basta.

Serve per non arrampicarsi sui bicchieri, per non scivolare sotto le coperte, per ricordarti di respirare, per guardarsi davvero, per farti sentire vera, per amarti.

Ed ecco che, su queste note (metaforiche), cado dentro Spoty, il mio amante virtuale, e gli chiedo aiuto, come sempre.

Sono arrivata al Daily mix 6, ma il 4 è quello che può farmi stare bene, stasera, che il mio cervello funziona a strappi. No, meglio, funziona a frammenti. Un po’ come Il libro dell’Inquietudine, ma senza tutta la bellezza. Senza la poesia.

Io non lo so cosa diavolo ho che non va.

Mi sento inabile. Credo sia questa la sensazione che provo adesso. Di essere inabile a vivere alcune cose. Tipo i momenti di felicità. Forse è per questo che mi hanno consigliato caldamente un libro dal titolo Mindfullness. Che poi è facile. Cioè. Lo sembra. Definisco: Per mindfulness si intende un’attitudine che si coltiva attraverso una pratica di meditazione sviluppata a partire dai precetti del buddhismo e volta a portare l’attenzione del soggetto in maniera non giudicante verso il momento presente.

Goditi il maledetto momento è un buon riassunto.

Io sono inabile, appunto.

E sì, lo so, siccome sono una persona razionale, basterà che passino alcune ore e tutto tornerà sui binari e i Foo Fighters non l’avranno vinta, e io ricomincerò il mio viaggio, sarò tranquilla, che poi è quello che sono, tranquilla, io sono una luna tranquilla, la luna lo è per definizione, sta ferma lì e riflette.

Non fa mica nulla, la luna.

È una cosa ferma.

Tutto questo domani finirà.

E io tornerò nei binari.

E sarà grazie alla musica.

E alle ore di sonno forse.

O forse la felicità non fa per me. Ci avevo già pensato?

La voglio, ma poi sono qui che la distruggo.

E allora do il via libera a tutte quelle frasi-frammento che ho nel cervello.

Magari mi fa bene. Anche se non hanno senso. Ma alla fine non c’è nulla che abbia un senso se non siamo noi a darglielo.

 

Siamo il risultato della somma di ciò che (ci) è stato.

 

Respirare è vivere non evadere dalla vita.

 

Una volta che comincio a scrivere non riesco più a fermarmi.

 

Sono in bilico tra sogno e realtà.

 

Ho una paura fottuta.

 

Riconosco le carezze d’amore.

 

Ho bisogno di respirare.

 

Sono pronta ad amare, ma non ad essere amata.

 

C’è un terremoto qui dentro.

 

Come è possibile che mi piaccia una canzone di Michael Bublè?

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