
È un’ora tarda per me, le nove e venti.
Conscia del fatto che non terminerò stasera questo mio scritto, sento comunque la necessità di scrivere. Bene, mi dico. Stai tornando umana.
È che sono fissa a risolvere un problema, quello di mio padre. Un uomo relativamente giovane per i tempi odierni (73 anni, non vi sembra giovane?) che si comporta come un novantenne senza speranze. Un uomo vitale, molto attento a se stesso, attaccato alla vita, egocentrico fino all’estremo limite ( tanto che spesso ha messo la sua vita di fronte a quella delle sue figlie, causando non pochi problemi di botta o di rimbalzo), un uomo vivo, insomma, trasformato in un Dead Man Walking in poco tempo, un anno per lo più. La causa ancora parzialmente sconosciuta.
Una figlia non può che intervenire in maniera decisa in questi momenti. Facendo da genitore, insomma. Programmando visite, prendendo decisioni difficili… insomma, il solito tour dei Figli Di Genitori Malati (FDGM).
Ma resta che sono anche Madre, vera, di un’adolescente.
Insomma, mi trovo in quell’età bastarda in cui mi devo preoccupare sia dei figli che dei genitori. Tempo per sé pari a zero. Con resto.
Oggi mi chiama Little a lavoro. Chiama di rado, quasi mai. Si affida a Whatsapp più che latro.
Mami, dice, c’è una lente a contatto nel cesso.
Lo so, dico, l’ho buttata io stamani perché era finita (le porto anche più del dovuto, Ndr, prima o poi divento cieca per un’infezione sconosciuta dovuta al portare troppo una lente a contatto).
Sì, ok, ma ti serve?
In che senso Bambi? (nomignolo che le affibbio random, quando per lo più voglio chiederle qualcosa oppure dirle che le voglio bene oppure, come nel caso, farle capire che non sto capendo)
Nel senso, posso farci sopra la pipì o vuoi recuperarla?
Che dire.
Non diciamo nulla.
E poi, più tardi, chiamo mio padre.
Ciao, come ti senti?
Bene! Perché?
Sì, ok, la pressione la hai misurata?
Sì, la massima è 190. Non male vero?
Come non male???? È alta! Babbo, dovresti tenerla sotto 160 almeno!
Ah sì? E chi lo dice?
Tipo il tuo medico?
Ah, ok, ok. me lo dice sempre anche Moon.
Babbo…sono io Moon…
Ahahaha. Fa lui. Ahahaha.
Ma io dico? Che te ridi?
Che poi, sì, lo ammetto, ci rido anche io.
Ridiamoci su, che è meglio.
Intanto la mia artrosi cervicale si fa sentire. Quella che un tempo chiamavo la Carogna. Da qualche parte l’ho già scritto, ma non so dove.
Il mio ortopedico mi dice che peggiora con lo stress. E quindi ci provo a non stressarmi, tra i messaggi del Poeta (il mio ex ora lo chiamo così, il Poeta, anzi Er Poeta, dato l’ermetismo dei suoi scritti che neanche Ungaretti), mio padre con l’arteriosclerosi e mia figlia con le crisi di adolescenza e il lavoro con le crisi sempre e la mia cervicale con le sue crisi cicliche.
Ci provo. Eh.
Intanto sono riuscita a finire di scrivere qui.
Un traguardo. Sono le nove e quarantacinque. In ritardo di un’ora sulla tabella di marcia di Morfeo.
Morfeo mi scuserà. Spero.