E Martedì l’ho fatto: come è andata con le Erinni

Quando sono arrivata al Ristorante l’altra mattina ho visto il Capo e l’ho chiamata da parte.  

Devo parlarti, dico. 

Lei mi guarda e dice: Devo preoccuparmi?

Beh, dipende. Me ne vado.

Credevo mi avrebbe detto che le dispiace, che mi avrebbe chiesto se c’era qualcosa che non andava, insomma, sono lì da quasi 10 anni. Ma no. La prima cosa che mi ha chiesto è stata: Non sarà mica per il lavoro, vero? perché il lavoro è sempre stato così, lo sai. 

Ora. Qualcuno mi ha detto che avrei dovuto togliermi qualche sassolino dalla scarpa, ma io, prima di parlare mi chiedo sempre: serve? 

A me serve dirle che sì, è perché il lavoro è cambiato, il clima è cambiato, siamo sempre tutti nervosi e contrariati, sua figlia è insopportabile eccetera? Ottengo qualcosa? Direi di no, a parte forse qualche discussione nei miei ultimi giorni di lavoro. 

A lei serve che io glielo dica? Potrebbe migliorare il lavoro, farle capire che la direzione non è quella giusta se uno dei suoi migliori dipendenti se ne va, che il problema non è la competenza dei suoi dipendenti, ma la stronzaggine di sua figlia che, nonostante le sue “competenze” da pasticcera ancora non sa riempire una sac a poche? No, perché tanto non vuole vedere le cose come stanno. La prenderebbe solo come una critica non costruttiva, un modo per darle la colpa delle mie dimissioni. E lei, come si capisce dalla sua frase iniziale, non vuole questa responsabilità. 

Quindi ho detto una mezza verità, con tutta calma. Non mi interessa più, ormai, delle sorti del Ristorante. Anzi, rabbrividisco per i miei colleghi pensando a questa estate… 

E poi ci sono loro, i miei colleghi. Quando l’ho detto al Nuovo Micro(bo) ha sgranato gli occhi e ha risposto: Te ne vai e mi lasci qui da solo con quelle due? (Capo e Figlia Del Capo litigano tra loro un giorno sì e l’altro pure). Os, il mio collega nigeriano di cui ho già parlato, si è quasi messo a piangere. I’ll miss you much. Very much. E anche lui ha accennato alla F.D.C. un’altra mia collega è in ferie, così l’ho chiamata io per dirglielo. Fai bene, ha detto, potessi lo farei anche io

E così si chiude una porta. Tra meno di due settimane. Saranno settimane impegnative perché non staccherò mai dal lavoro (maledetta Pasqua! Ma sarà l’ultimo anno che mi prenderai!), ma poi inizierò a rifiatare. 

Il nuovo lavoro porta con sé delle belle novità, ma ha degli svantaggi: meno soldi e più distanza. Quindi nei prossimi 4 mesi dovrò valutare se tengo botta con entrambi. Poi deciderò.

Nel frattempo, siccome lo sapete, se mi muovo l’Universo si muove con me, mi hanno chiamato ieri anche per un altro lavoro.  Un tizio che diceva di conoscere mia sorella. Gli ho detto no, grazie, ho già trovato, ma siccome sono una scimmietta, ho chiamato anche mia sorella per un parere. Stranamente è stata disponibile e onesta: no, Moon, secondo me è un posto dove non rifiati mai, quello, inizi alle 5 del mattino e non sai quando finisci, zero riposo, Capi quasi fuori di testa dalla stanchezza perché hanno aperto da poco e ci lavorano tutto il giorno

Beh, grazie sorrellina, ogni tanto sei utile anche tu.

Quindi zero ripensamenti e vado avanti così. 

Intanto oggi torno da mio padre, a Montenero (mi fa sempre effetto scriverlo, come se lo avessi lasciato in un santuario, avessi acceso un cero e me ne fossi andata sperando in Dio). Porterò le carte e farò una mini bisca tra vecchietti, che tanto vinco sempre io, lì quasi tutti hanno difficoltà con i conti. Potremmo scommettere succhi di frutta. Mi farò una bella scorta per il viaggio di ritorno.

P.s. F.D.C. è malata tutta la settimana: sono una dannata ragazza fortunata

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Domani lo faccio

L’ho fatto.

Cioè. 

L’ho quasi fatto. 

Diciamo che lo farò domani.

Mollo il lavoro.

Come sono addivenuta a questa conclusione? 

Semplice: al Ristorante ero arrivata al limite. E dopo un anno decisamente sotto stress (molto stress) il mio corpo e la mia mente mi hanno imposto il freno a mano. Fermati, Moon, o muori.

E siccome mi pare presto per morire e, grazie al cielo, non ne ho neanche tanta voglia, ho deciso di mollare il lavoro.

Ora. Non lo mollo senza paracadute, nel senso che ne ho già trovato un altro, con un orario light e sabati e domeniche a casa. Guadagno meno, ma il posto è piccolo e tranquillo, il Nuovo Capo è uno apposto, me lo ha presentato un amico di cui mi fido moltissimo e già solo questo mi tranquillizza. Certo, il lavoro è lavoro e non divertimento, ma per me la ristorazione è casa ormai e sì, se l’ambiente di lavoro è tranquillo è anche divertimento. 

E quindi basta con i Tipi da Bar (mi mancheranno, non c’è dubbio) e basta con il Ristorante. Chiudo un capitolo che è durato quasi 8 anni e ne apro un altro di lunghezza ancora indefinita. Vedremo come va. 

Il nuovo posto di lavoro non è vicino e quindi andrò a ingrassare il nutrito gruppo dei pendolari. Quelli che viaggiano con il treno, per intendersi. Bestemmierò anche io per gli scioperi e i ritardi e toccherò di nuovo con mano come è usare i mezzi pubblici. Ci saranno delle imprecazioni, qui. 

E domani affronterò anche il Capo, e le sue ire, senza dubbio. Ma un po’, beh, se l’è cercata. Anzi, se l’è cercata parecchio. 

Quello che conta è che, dopo tanto tempo, mi sento bene, di aver fatto la scelta giusta in tante parti della mia vita, non sarà facile, soprattutto all’inizio, ma me la caverò. Ogni tanto mi fido di me. 

Chiudo qui questo post, anche perché, rinnovata nello spirito, oggi ho fatto una cosa che di recente faccio poco: cucinare. E la mia torta ha bisogno di me, immagino prima che il forno la carbonizzi e io vanifichi l’effetto liberatorio di aver cucinato (che per me è un atto d’amore, più che altro, quindi oggi mi voglio bene).

P.s. (ho tirato fuori la torta, tranquilli) sto leggendo il libro di Alice (Spiga), ma non dirò nulla fino a che non lo avrò terminato. Poi mi sentirò libera di farci una recensione o una Non-recensione (Una dovrei averla scritta anche qui, di Non-recensione, spiegando cosa è e di chi è l’idea. Se trovo un link, linko) 

Come prosegue questa storia

Oggi torno all’Rsa dove lunedì ho messo mio padre, gran bella struttura, dico davvero, un tempo era un albergo. La camera di mio padre è vista mare, quando l’ho detto ad Ale lei mi ha suggerito di prendermici quindici giorni di ferie a settembre. Non sarebbe un’idea malsana. 

Ieri ho chiamato per sapere come era andata, ho parlato con la fisioterapista, il personale l’ho trovato qualificato, gentile, disponibile. Devo dire che sono molto tranquilla. Oggi vedrò con i miei occhi se lo è anche lui. 

Nel frattempo ho messo a lavoro Badante 3, per ripulire la casa, buttare via le cose ormai inutili (come ad esempio i completi di mio padre, che non gli stanno più da eoni), lavare il lavabile, metter via le altre poche cose di proprietà che gli restano. Ancora non so che fine fargli fare, a queste cose, come i libri, per esempio. Sono molti e non posso portarli da me, tanti sono doppioni e quelli che non. Sono doppioni non mi interessano, come i libri di cucina. Magari regalo tutto. e poi ci sono gli oggetti affettivi. Pochi, molto pochi, in realtà. Giusto due: la macchina da cucire di sua madre (che non le ho mai visto usare, a mia nonna) e una lampada che era di suo padre, mio nonno. È una lampada orribile, ma se lui ci tiene non posso disfarmene. La fortuna è che perlomeno mio padre non è mai stato un accumulatore seriale come mia madre, per svuotare la casa di quella donna non basterà una vita. 

Badante 3 mi ha chiesto di non buttare alcune cose, ma di poterle tenere per mandarle in Georgia: una vecchia stampante laser, alcuni coltelli in ceramica che valgono come il due di briscola, una valigia (mio padre ne ha almeno sette: tre le ho tenute per lui, una l’ho presa io, ma questo vi dà l’idea di come sia stata la sua vita: sempre in viaggio). Nel pomeriggio ci torno per vedere cosa ha combinato, che Badante 3 è quasi una mina vagante, non riesco mia a capire se non capisce quello che le dico per via della lingua o della sua tara mentale, così come a volte non riesco a tradurre i suoi messaggi perché non scrive le parole in modo corretto e vai a vedere quale carattere sbaglia! 

Le notti le passo ancora malino, l’ansia prende il sopravvento appena spengo la luce e a nulla valgono i miei pensieri di laghi e prati, la testa torna sempre ai problemi che ci sono e che potrebbero esserci: non riuscire più a pagare la retta della casa di riposo, avere problemi con la padrona di casa (che è una testa di), Little, che di recente litiga sempre con suo padre e non si trova più bene nella scuola dove è, e vuole cambiarla. Il mio lavoro. Neanche io mi trovo più bene dove sono e voglio cambiarlo. Quello che non riesco a definire è se tutto ciò è una reazione a catena della situazione di mio padre oppure no. Devo fare un passo alla volta, vedere che succede. La direzione è quella, ma mi sento lenta. 

Intanto però preparo le ginocchiere. Lunedì all’Rsa c’era una canetto (chiamarlo cane è un eufemismo) chiuso nella stanza della direzione. Quando ho provato ad aprire la porta la direttrice mi ha detto: attenta al cane! E io credevo volesse dire che il cane non doveva uscire. Invece no, quel piccolo bastardo mi ha morso. Mi ha attaccato proprio. Un bel morso sul ginocchio (più in lato non arrivava). Fortuna che a settembre ho comprato dei Levi’s e tutti sappiamo che il jeans Levi’s è tosto. Ne sono uscita senza sangue, solo con un bel livido. Ma stavolta, canetto, vengo pronta. Potrei perfino rubare uno dei bastoni degli ospiti: attento a te! 

Da Montenero con furore

Torno qui come sempre di lunedì, il mio giorno libero, anche se oggi di libero non vedo neanche il cielo. È grigio, preannuncia pioggia, è in linea con la giornata, forse.

Oggi è il gran giorno, si parte per Montenero, ma non per accendere un cero, come ho fatto per gli esami di maturità (insieme a: andare a buttare il sale in mare e toccare la lucertola in piazza dei Miracoli). 

Dopo una lunga lotta interiore e giornate e giornate di ripensamenti, alla fine ho deciso che una struttura sia la cosa migliore per mio padre. Lì avrà tutte le cure che servono, persone che lo assistono ventiquattro ore su ventiquattro, e pure un bel giardino dove passare un po’ di tempo e prendere aria. Adesso è piantato in mini appartamento che non è neanche casa sua, lo è solo da un anno, da quando l’ho portato qui vicino a me, non può uscire perché non ce la fa a muoversi e l’appartamento ha le scale, sta tutto il giorno con un’estranea che non parla neanche la sua lingua (dice ancora Martini invece che Martedì) e che a occhio non sa cucinare, visto che, come dicevo al mio nuovo amico Kas, sta attaccando a mio padre la sua fissa di non mangiare. 

Per l’occasione ho chiamato anche mia sorella, che ha una macchina più spaziosa e dobbiamo caricarci tutto, dalla sedia a rotelle al deambulatore. L’Amico Speciale pure viene con me, si è preso un giorno di ferie. Ho deciso di mandare a quel paese la mia reticenza nel chiedere aiuto, ricomincio domani, eh, oggi voglio tutto l’aiuto possibile. 

E quindi fra due ore andiamo. Sono un po’ nervosa, ma so di aver fatto la scelta giusta. È strano come a un certo punto della tua vita ti ritrovi a dover decidere della vita di un altro essere umano. E neanche lo hai chiesto. Anche con Little in effetti a volte l’ho fatto: la decisione di metterla al nido, per esempio. Ma socialmente non fa la stessa impressione, vero? Tutti ti dicono che non è un parcheggio, il nido, che fa bene al bambino, socializzare. Mentre nell’opinione comune una Rsa è una discarica. Ma su questo ho lavorato e sto lavorando con la mia nuova Psi (lei è Unabrava) e ho deciso di fidarmi. L’altra settimana mi ha dato un compito: scrivere. Quando l’ha detto sono quasi scoppiata a ridere. Mi chiede: lo hai mai fatto? E io, timida: sì, a volte. Ma delle decine di quaderni che ancora conservo, in perfetto stile Natalie Goldberg (Scrivere zen, ve ne dovrei avere già parlato), non ho fatto parola. Forse ci vuole un po’ di mistero potrebbe fare bene alla psicoterapia. In ogni caso sto cannando il compito a casa, come potete vedere anche dalla frequenza dei miei post. Certo, ho buttato giù qualche riga nell’ennesimo quadernetto, ma lo sento che non sta funzionando. Troppe cose da fare. l’Inps che mi richiede un documento per la domanda della 104, l’avvocato che me ne chiede cento per la pratica di amministratore tutelare, l’Rsa che mi chiede un foglio firmato dal medico e l’etichettatura con nome e cognome di tutti i vestiti, la sanitaria che mi chiede il collaudo del busto ortopedico che indossa, il neurologo che mi chiede l’appuntamento per il controllo. Meno male che, come diceva (ora non dice quasi più nulla) mio padre io, con questi ditini, sul cellulare e sul pc so muovermi bene, sarei una perfetta Badante Digitale. E in effetti quando Badante 3 ieri mi ha chiesto di ricaricarle il telefono ho ringraziato il cielo di avere Satispay che mi ha permesso l’operazione in due secondi. Lei si è messa a ridere e mi ha scritto un messaggio in georgiano che, buttato su Google traduttore suonava così: ti voglio bene buona zucca. Mah. Il concetto comunque è quello, immagino. 

L’Amico Speciale si è alzato. Stamani canta Sei un mito, degli 883. Io spero sia per me e ne esco lusingata. È comunque meglio del Lady Oscar che cantava qualche mattina fa, soprattutto perché non ricorda mai le parole e poi mi tocca correggerlo vanificando, come lui stesso dice, l’effetto liberatorio del canticchiare appena sveglio. Sarà che io appena sveglia voglio solo il caffè. E al limite scrivere qualcosa qui.

Me lo dico da sola: in bocca al lupo, Moon, per questa settimana. 

Riordinando

La settimana passata è venuta mia zia a trovare mio padre. Pure lei si è resa conto che la situazione ormai è al limite della disperazione. Come è arrivata mio padre ha avuto una crisi, il che non mi sorprende. Pure Badante 3 ha avuto una crisi, povera donna, torchiata perché la tovaglia non era pulita e i vetri sporchi. Io non guardo a queste cose, capisco che passare tutto il giorno con una persona malata che non dorme possa un pelino accasciarti e pulire i vetri lo metto all’ultimo posto.

Come una meteora, il giorno dopo se ne è andata, con grande gioia di tutti. Dietro di sé ha lasciato una scia di numeri di telefono di Rsa, così, per ripulirsi la coscienza, si vede, ma ha lasciato a me la decisione finale, ovviamente, il suo aiuto è stato decisamente marginale. Anche se è stato sempre più di quello di mia sorella che, avvisata del peggioramento ormai da tre settimane buone, ancora non si è vista e, quando l’ho chiamata per dirle dell’Rsa ha risposto: ah, ok ok. Punto.

Ma qualcosa di buono c’è sempre, credo. Tutta la pesantezza della condizione personale svanisce quando sono a lavoro e mi permettono di fare quello in cui sono più brava: il lavoro al banco. 

Questa settimana il mio collega, il Nuovo Micro(bo), come lo chiamo io, era in ferie e ho preso il suo posto. Il lavoro al banco del bar scorre fluido e veloce, non ci sono mai tempi morti, devi stare sul pezzo, non perdere il passo e questo richiede molta concentrazione, ma è una concentrazione buona perché io so quello che devo fare e ottimizzo ogni passaggio. In più c’è la componente sociale, al banco, anche se il tempo è poco, puoi conversare con i clienti che, solitamente, se vengono a fare colazione al bar, sono ben disposti, felici. Insomma, non sono mica in fila alle Poste. 

Devo dire che, nonostante voglia licenziarmi ormai un giorno sì e uno no (letteralmente), mi piace il mio lavoro. Mi piace perché sono brava, sono brava perché mi piace. Ma, c’è un ma. L’ambiente di lavoro a volte, con i colleghi, ma soprattutto con il Capo e la Figlia del Capo, è insostenibile. Il clima è pesante, carico di critiche per le piccole cose, mentre per le grandi non c’è alcun occhio. L’unico rifugio sono, appunto, i clienti. Adoro stare in mezzo a loro e adoro renderli felici, perché immagino sia quello che cercano. Questa settimana faccio il turno serale, come cameriera al Ristorante. Non amo lavorare la sera, soprattutto ora, che ho problemi a dormire e questo turno mi costringe ad andare a letto tardi, incasinando la mia regolarità. Ma almeno avrò poco a che fare con Capo e niente a che fare con Figlia del Capo. Non vedrò l’Amico Speciale fino a sabato, immagino. Così non litighiamo, mi dice lui sorridendo. In realtà mi mancherà tantissimo, è di grande aiuto negli ultimi tempi, riesce sempre a sdrammatizzare tutto, mi aiuta molto nelle cose pratiche, mi abbraccia forte quando ne ho bisogno. 

Questo post è stato un post più per me che per voi. Come ai vecchi tempi, mi è servito per rimettere in ordine il cervello. Parlare non mi fa questo effetto, parlare mi confonde ancora di più, scrivere invece ha quella forma particolare, sono in silenzio, posso farmi trascinare nella direzione più consona, senza distrazioni. Posso rimettere tutto in ordine con i miei tempi. 

Nei periodi bui scrivere mi è sempre stato di conforto. Nel caso specifico oggi ho capito alcune cose. E quindi ringrazio anche voi, che siete qui a leggere le mie elucubrazioni. 

Sempre nella speranza di tornare a una vita pressoché normale, 

vostra Moon