Per fare un tampone, non ci vuole il Covid, per fare il Covid, ci vuole poco

Era molto tempo che non scrivevo di mattina. 

Sarà che i miei giorni liberi ultimamente li ho sempre passati rincorrendo questo o quello. 

E ora sono di nuovo a casa, il Ristorante ha chiuso i battenti per mancanza di personale, tutto sottoposto a quarantena preventiva. Un eccesso di zelo, direi, dato che per adesso nessuno dei contatti dei miei colleghi è ancora risultato positivo. I tamponi non si trovano, le asl sono intasate, i medici non rispondono al telefono perché oberati di richieste. Siamo il risultato dei titoli dei giornali di questi giorni: l’economia bloccata dalla quarantena di gente che in realtà sta bene. 

Ieri mattina io e Little siamo partite per farci un tampone. Avevo chiamato la sera prima la farmacia e, dopo sei tentativi, sono riuscita a parlare con qualcuno.

Salve, le faccio una domanda che di rado le faranno in questi giorni. Tamponi?,ho chiesto.

Lei ha riso e ha detto: può venire dalle… alle… senza prenotazioneLa fila è lunga ma scorre.

Esaustiva al punto giusto.

E in effetti la fila era lunga, invadeva tutto il parcheggio, a occhio e croce avremo avuto una sessantina di persone in fila davanti a noi. Io e Little ci siamo messe buone buone ad aspettare, Little cercava di leggere il suo libro, io mi sono trovata a far conversazione con quella davanti e quelli dietro. Dietro di noi c’era una coppia di persone anziane, lui sordo come una campana, lei mite e silenziosa. Dopo poco ho sentito lui dire, Non hai messo la mail sul foglio! Devi tornare dentro (la farmacia, NdR)per prendere la penna

Allora io, che non mi faccio mai i cazzi miei e ho un esercito di penne nella mia super-borsa-arma contundente-che può uccidere all’occorrenza, le ho porto la mia. La signora ha scritto la mail appoggiata al muro, me l’ha resa, l’ho rimessa nella borsa. 

Nel frattempo la ragazza davanti a noi parlava al telefono con mezza Toscana, più o meno. Incazzata come una mina e con un cappottino peloso rosa pastello che lei stessa ha definito da Diva, sentivo che parlava di uscire dalla quarantena.

Ma dai che ho solo avuto un po’ di febbre, ora faccio il tampone ed esco, eccecavolo! Non possono tenerci in galera! Si gira verso di me e fa l’occhiolino. Sorrido forzata e faccio un passo indietro. nessuno mantiene le distanze, nessuno le fa mantenere. Solo in quel momento realizzo che la ragazza davanti a me potrebbe essere ancora positiva. Facendo il passo indietro mi trovo più vicina alla coppia di vecchietti Sordo-Mite. Sordo mi dice che loro hanno tre dosi, ma vogliono essere sicuri, fanno un tampone solo di controllo. Sa, noi vediamo i nipoti, aggiunge. Giusto, gli untori, i no vax non per scelta ma per mancanza di possibilità (per ora), l’anello debole della catena vaccinale. 

Durante l’attesa qualche animo si scalda (scusate la banalità da tabloid), una donna urla contro il personale che fa i vaccini, loro rispondono a tono, ma mi perdo gran parte della baruffa perché sto cercando con Little la traduzione di moose in inglese e non ci torna che un moose (alce) possa entrare nella dispensa di Rapunzel (Sta leggendo un libro in inglese che pare sia la trasposizione letteraria del cartone animato, Rapunzel; o forse è il cartone animato a essere la trasposizione cinematografica del libro, non lo so, non abbiamo approfondito). E mentre le dico che forse gli è scappato un refuso e la parola è mouse (topo), Sordo mi batte sulla spalla e mi chiede: che ha detto?

Non ero attenta, scusi. 

Eh, fa lui, la gente ora è nervosa, non vorrei essere nei panni di quelle infermiere (che forse infermiere non sono, ma vabbè, non puntualizzo). 

E sa quale altro mestiere non farei? Il barista. Essere barista ora…

Eh già, rido sotto i baffi. Lo so bene!

Ah, scusi! Lei fa la barista?

Tra le altre cose…

Ha sbagliato lavoro! Se faceva l’infermiera ora aveva il lavoro assicurato!

Sorvolo sull’illogicità delle sue ultime battute e tocco ferro di nascosto per la gufata sul lavoro. 

Finalmente tocca a noi. Due minuti e siamo fuori entrambe. Ci appostiamo lì vicino per attendere il risultato. 

Nel mentre notiamo uno schema ricorrente: alcuni vengono chiamati a gran voce dall’interno della tenda. Per altri un operatore esce e comunica sottovoce qualcosa con la faccia seria. Anche l’ultimo degli stupidi capirebbe la differenza. Quando chiamano il mio nome a gran voce tiro un sospiro di sollievo. Riprendo la tessera sanitaria e aspetto il risultato di Little. Nel mentre viene chiamato Sordo (non li processano in ordine). Sordo non sente il suo nome, ovvio, Mite lo redarguisce, Sordo esce dalla tenda e dice: olè, sono apposto. Poi esce il tizio compassato e chiama Mite. Le sussurra qualcosa, i due spariscono nella loro utilitaria rossa e sgommano via. 

Little Boss!, urlano da dentro la tenda.

Ok, siamo salve. Per ora.

La penna, mamma, buttala via, dice Little. 

Confesso: mi sono lasciata impanicare per almeno mezz’ora. Poi grazie al cielo il cervello ha ricominciato a girare in senso orario. 

Ma al gruppo whatsapp del lavoro ho mandato un vocale che era più o meno così:

ok, io e Little siamo negative. Ma quella dietro di noi era positiva. Ergo: si rischia più ad andare a farsi un tampone che ad andare a lavorare.

Detto ciò io sono libera da impegni di lavoro e quarantena. Ma in ogni caso stamani non mi decido a uscire…

Pubblicità

Grice-comunicatrice

La mia gestione di questo blog è alquanto squilibrata. Nessun articolo per giorni e giorni e poi due di fila. So che non si fa così, che dovrei cadenzarli, ma io mi sento piena di libertà, qui, quindi me ne sbatto. 

O meglio, me ne sbatticchio.

Dopo aver incontrato, per caso, durante la bellissima iniziativa del mio piccolo comune di pagare la metà dei libri comprati sotto l’albero, Vera Gheno. Non l’ho incontrata dal vivo (avrei potuto se solo fossi andata il giorno prima, ma si vede prima dovevo leggerla e poi allora vorrò vederla e ascoltarla), ma ho incontrato, con enorme piacere, i suoi libri. Per ora due, Potere alle parole e Le ragioni del dubbio. Ma dubito (ho imparato subito, visto?)che resteranno da soli sullo scaffale della libreria. 

Era tanto che non provavo entusiasmo per un libro. Mi ha ricordato il buon vecchio D.F. Wallace che in effetti cita a profusione. 

Ma i contenuti mi hanno fatto vacillare alquanto. 

Leggendola mi sembra di dover camminare sulle uova ogni volta che prendo la penna in mano. Io, che qui sono la regista del mio piccolo mondo lunare, che scrivo non correggendo i refusi, che improvviso, che butto qui e là acronimi incomprensibili e neologismi improbabili, che, insomma, sono una scrittrice confusionaria, mi sono sentita colpita nel vivo. Sebbene io creda di essere comprensibile ai più, il dubbio, che finora avevo ignorato, mi morde le caviglie. 

E quindi ecco che torno, grazie a Vera, alla mia elletta Pragmatica della comunicazione, che tanto mi aveva dato ai tempi del caro Watzlavick. Ma oggi arriva a gamba tesa Grice (Herbert Paul), di cui ignoravo l’esistenza. Il che mi fa riflettere sulla marea di cose che ancora non so e mi sgomento perché so che non riuscirò mai a colmare un cavolo, sono troppe e io non ho la capacità cerebrale (complice il mononeurone) per contenere tutto. Già contengo moltitudini, citando Walt, non Disney, ma Whitman, e qui lo spazio non è accogliente. 

Comunque, tornando a bomba, ci sono quattro massime conversazionali enunciate da Grice. Le analizzerò con voi e le riferirò al Moon World.

  1. La massima del modo. Ovvero, ricerca la maggior chiarezza possibile, trova la parola giusta, un po’ come fa fare Murakami a tre quarti dei suoi personaggi (che sono gli unici che hanno il tempo di star lì a cercare le parole giuste prima di parlare: a voi capita mai? A me di rado. Al limite se mi viene un attacco di afasia). Beh, ne ho già parlato: uso acronimi senza ragione (TDL, AS, per esempio), sono prolifica di forestierismi non necessari, uso a volte parole desuete (ma lo faccio per amore, non per posizionarmi). Scelgo le parole come faccio i sorpassi: a istinto. Quindi? Bocciata!
  2. Massima della relazione. Occorre imparare a stare sul pezzo, a non scrivere strabordando. Occorre selezionare ciò che serve e ciò che non serve. L’unica inerenza che vedo nei miei scritti è quella che sono usciti dalle mie dita… Bocciata!
  3. Massima della quantità. Forse mi salvo, almeno un po’? non essere né troppo stringati né troppo prolissi. Una giusta via di mezzo. Beh, se ci rientro è un caso. Riesco a concentrarmi al massimo per due paginette. Poi mollo. Una mezza vittoria? Mah…
  4. La massima della qualità. Ovvero Sii sincero. Credevo di vincere almeno sul punto quattro. Ma poi, pochi giorni fa, ho parlato con il Mentore (vi rimando qui se non ve lo ricordate, perché non lo vedevo e sentivo da tanto). E lui mi dice: Moon, manchi di sincerità nel tuo blog, devi rompere il vetro. Non sei tu, continua. Vero. Questo blog è solo una parte di me. Me differenti per momenti differenti. La totale sincerità è possibile? In ogni parte della giornata e della vita? Dove con Sincerità non si deve leggere banalmente dire o non dire bugie. Cosa significa essere se stessi? Cosa significa rompere il vetro? Dirvi il mio nome e cognome? Il mio profilo social? O farvi vedere anche tutti gli altri lati di me, anche quelli più oscuri? Oppure scrivere qui, per me, è come darmi una visione di ciò che vorrei essere sempre e non solo quell’oretta che mi metto a pesticciare sulla tastiera? Questa è una versione edulcorata di me o la versione che voglio disegnarmi? 

Se io fossi una brava comunicatrice, una Grice-comunicatrice direi, mi capireste di più. Ma soprattutto, io mi capirei di più? Non è che manco di comunicazione interiore, fallisco alla fonte, quindi? Non mi so comunicare? 

Non mi faccio queste domande a caso. Sono frustrata a livello comunicativo di recente. Forse perché parlo molto ( o provo a parlare) con il mio collega Osaro, che ancora non sa l’italiano e non capisce un tubo; parlo con mio padre che dopo una visita geriatrica ammette: non c’ho capito un tubo di quello che ha detto; parlo con la badante nigeriana di mio padre che, anche se l’italiano lo sa, a volte qualcosa gli sfugge. Mi manca essere capita al volo, mi manca la facilità. E quindi non vorrei farlo a nessuno, questo torto: essere contorta. 

Ma mi piace così tanto giocare con le parole… 

Magari il corso della Holden mi farà, tra le altre cose, tornare in carreggiata. 

O magari posso rinunciare a essere una Grice-comunicatrice e mettermi nell’angolo, dietro la lavagna, sopra i ceci. Rinunciando all’idea di aver fatto il mio dovere a livello comunicativo, ovvero di sviluppare circostanze che sono utili per l’altro. La grande legge che regola la vita nel cosmo è quella della collaborazione tra tutti gli esseri viventi, scrive Roberta Covelli.  

Con questo articolo ho fallito anche la massima numero 3: bocciata! Sto arrivando!

Diluvio di parole in una giornata col grugno

Ci riprovo.

Avevo già tentato sabato di scrivere qualcosa e dopo un tentativo fasullo mi sentivo spinta, garosa e pronta ad essere eloquente su carta fittizia, con tutte le congetture del caso quando mi chiama mia zia: incantesimo spezzato, articolo gettato al vento. 

Meglio per voi four cats, direi.

Ma peggio, peggissimo, per me. 

Settimane dure? Intense? No, ormai non dovreste più stupirvi, giusto?

Ho preso una grande decisione, da qualche giorno. Una decisione importante per me. Dopo aver inutilmente tentato di prendere la borsa di studio per la scuola Bellville (una borsa bella robusta, che mi avrebbe permesso di frequentare gratis un corso annuale), adesso devo aprire il borsello. Fai qualcosa per quel piccolo angolo rimasto della vecchia Moon. Lo so, è un angolo irrancidito, che è stato schiacciato da un tentativo fallimentare dietro l’altro, dal primo rifiuto di una rivista all’ultimo romanzo compiuto, ma indegno; è il mio angolo scrittrice, il mio angolo confuso, del Vorrei ma non Posso che spesso si traduce in Vorrei ma non Voglio. L’angolo, in sintesi, che resta al buio per praticità, per tempo (mentale), per coscienziosità fittizia. 

Ma il piccolo angolo deve essere nutrito. Sennò il Buio DILAGA (e questa è una citazione da un film imperdibile negli anni ’80, La storia infinita, perdibilissimo invece ad oggi, visto che gli effetti speciali sono inguardabili. Consiglio? Leggetevi il libro)

E quindi mi compro un corso alla Scuola Holden. 

Eccheccazzo, Moon, direte voi, tutte queste storie per un corso on line?

Sì. Perché fino a ora l’ho sempre e solo sognato senza mai avere il coraggio di spendere, per me, tale cifra. Mica è un cifrone, ma fino ad ora metteva in discussone il famoso budget familiare. Ora non lo mette più in discussione? Un po’, ma con Little siamo rimaste che possiamo fare economia su altro. Per due, tre, quattro mesi. 

Detto ciò, stasera mi chiama l’Amico Speciale, che tra poco, di comune accordo e con accordo di Little Boss diventerà (fiato alle trombe!!!!): l’Amico CONVIVENTE. Sì, ok. ci ho messo un po’. Troppo per mia madre, troppo poco per me, giusto per Little. 

Forse ci ritorno, su questa parte. Anzi, di sicuro.

Ma stasera vado avanti.

Mi chiama e mi chiede come è andato il pranzo di lavoro al SuperMegaRistornteStellatoDelGolf di C. (bel posto, per chi non c’è stato, esteticamente ineccepibile, direi). 

Non ho mangiato quasi nulla, rispondo.

Perché?

All’antipasto mi ha chiamato la badante di mio padre che un tizio li ha aggrediti fisicamente e verbalmente per una fornitura di pannoloni

CHE???

Eh, gli faccio. In pratica l’Asl ha consegnato a un unico indirizzo la fornitura di due abitazioni. Mio padre l’ha portata in casa senza controllare (chi lo farebbe???) e quello del piano di sotto, che ha problemi mentali, ha aggredito la badante di mio padre. Con tanto di carabinieri e il resto.

… (è la riposta dell’Amico quasi Convivente)

Poi aggiunge:

Ma scusa, ma che corso alla Holden vuoi fare? Scrivo della tua vita e il romanzo viene da sé!

Magari lo pensano tutti. La mia vita è interessante. Ma in realtà ammorbiamo il mondo con inutili aneddoti o giri di parole. Ho seguito una lezione di Siti (che a quanto pare conoscono in pochi, ma a me piace) sullo Scrivere di sé. Lui, beh, ne ha fatto una carriera. Ne sono rimasta delusa per molti versi. Ma su un punto aveva ragione. L’autobiografia deve avere alcune regole generali da seguire: partire da se stesso ok, ma bisogna allargare il discorso o a un’intera classe sociale o all’essenza dell’essere umano. La letteratura è più importante dello scrittore. 

Quindi no, scrivere della mia vita e basta, fare un resoconto delle supermegacazzole che mi sono capitate (maggiori magari di qualcuno, sicuramente minori di altri) non è il mio scopo. Posso scriverle per espiarle, come percorso terapeutico, come faccio qui. Posso ispirarmici, come ho fatto in passato. 

Ok.

La mia vita chiama.

Little chiama.

Quindi questo è un posto senza capo né coda, senza fronzoli e foto. 

Solo u. diluvio di parole in una giornata con il grugno.

Kiss and hugs (che a dispetto di Vera Gheno, fa ancora un po’ figo)

Ps: di Vera Gheno ve ne parlerò ancora…