Sono di nuovo circondata dai mei quaderni, pagine e pagine del manoscritto che, ho promesso, devo almeno tentare di sistemare. Per ora ho solo concluso che non avevo concluso, mi mancano dei pezzi, degli anelli di congiunzione, non è una trascrizione, ma un montaggio, una cosa che non ha bisogno di creatività, ma di testa.
Ci sono cose, poi, che mi spingono in quella direzione: il tempo ritrovato, una scommessa fatta, una telefonata. La telefonata è arrivata due giorni fa, una rivista sulla quale avevo pubblicato un racconto ha ricevuto una mail dalla Zanichelli che chiedeva di poter pubblicare un mio racconto su un’antologia per ragazzi delle superiori. Accidenti, mi sono detta, la Zanichelli, mica fichi! Sarò odiata da centinaia di adolescenti?
Sacchi?(qui si vede il mio essere Generazione X) Venga alla cattedra, che la interrogo. Cosa mi sa dire del racconto assegnato, quello di Moon?
Ma io… non l’ho letto…
Sacchi? Tre!
E Sacchi, una volta tornato a casa, strapperà la pagina e brucerà il racconto, mentre lancia vari anatemi.
Certo, la cosa mi rende orgogliosa, gli anatemi non sono per tutti, ma mi chiedo più che altro il perché. Cioè, questi curatori perché hanno scelto il racconto di una sconosciuta? La prima cosa che penso è perché sanno che non pagheranno nulla per pubblicarlo. Ma in generale le antologie non pagano il diritto d’autore perché è per fini di insegnamento (se ho capito bene quello che ho letto). Perché scegliere me? Insomma, quanti racconti ci saranno, mi chiedo, sul web? Come sono arrivati al mio? La rivista in questione non è mica così famosa.
Vabbè, mi sa che non avrò mai risposte a queste domande. So solo che a volte accadono cose che sembrano indicarti, con una mega freccia gialla, la direzione da prendere. Di nuovo, l’Universo mi sta dicendo qualcosa, e io devo dargli retta.
Così il mio progetto rilanciato assume un significato diverso, non stai solo impegnando il tuo tempo libero, ma stai andando nella tua direzione. Peccato avere questa bassa autostima, mi dico a volte; peccato, invece, avere una grande consapevolezza, mi dico alte volte. Il fatto è che io so quando canno a scrivere, quando un brano funziona e quando no, quando le pagine sono buone oppure sono solo un riempitivo e finora, rileggendo, sono molte le pagine-riempitivo. Alla fine di ogni brano di questo tipo ho annotato anche: più o meno è così, oppure, questo va rivisto. Questo lavoro è di sicuro solo agli inizi.
E allora la domanda, quella vera che dovrei farmi è: quanto ci credi in questa cosa? Quanta paura hai di fallire, di non essere all’altezza delle tue aspettative? Perché diciamocelo, questo romanzo non riuscirà mai ad essere come tu lo vuoi. Non sarà mai all’altezza delle tue aspettative. Non si avvicinerà neanche al progetto che conservi nella tua testa. Nonostante questa consapevolezza, quanto ancora puoi crederci?
Ho sempre teorizzato che per fare lo scrittore fosse necessaria una grande egosfera. Io non riesco a tenermici dentro. Quando arriva una telefonata come quella di due giorni fa allora sì, entro nella egosfera, salvo poi uscire di nuovo poche ore dopo (più o meno quando ho finito di diffondere la notizia), tanto che ieri sera, che ero a cena da mia madre con mia sorella, lei mi fa: io non gli ho detto nulla, a tua sorella, aspettavo che lo facessi tu. Era così eccitata. Io ci ho pensato un secondo, non riuscivo a capire di cosa diavolo stesse parlando. E infatti ho chiesto: cosa devo dire?
Avevo già dimenticato. Pessima Moon…
Comunque ok, ho un mese di tempo per dare una forma digitale al manoscritto. Il passo successivo seguirà il progetto originale, trovare un editor e poi inviarlo al Calvino l’anno prossimo.
Ale me lo dice sempre che nelle mie cose sono lunga.
Ha ragione lei, dopotutto.