Come prosegue questa storia

Oggi torno all’Rsa dove lunedì ho messo mio padre, gran bella struttura, dico davvero, un tempo era un albergo. La camera di mio padre è vista mare, quando l’ho detto ad Ale lei mi ha suggerito di prendermici quindici giorni di ferie a settembre. Non sarebbe un’idea malsana. 

Ieri ho chiamato per sapere come era andata, ho parlato con la fisioterapista, il personale l’ho trovato qualificato, gentile, disponibile. Devo dire che sono molto tranquilla. Oggi vedrò con i miei occhi se lo è anche lui. 

Nel frattempo ho messo a lavoro Badante 3, per ripulire la casa, buttare via le cose ormai inutili (come ad esempio i completi di mio padre, che non gli stanno più da eoni), lavare il lavabile, metter via le altre poche cose di proprietà che gli restano. Ancora non so che fine fargli fare, a queste cose, come i libri, per esempio. Sono molti e non posso portarli da me, tanti sono doppioni e quelli che non. Sono doppioni non mi interessano, come i libri di cucina. Magari regalo tutto. e poi ci sono gli oggetti affettivi. Pochi, molto pochi, in realtà. Giusto due: la macchina da cucire di sua madre (che non le ho mai visto usare, a mia nonna) e una lampada che era di suo padre, mio nonno. È una lampada orribile, ma se lui ci tiene non posso disfarmene. La fortuna è che perlomeno mio padre non è mai stato un accumulatore seriale come mia madre, per svuotare la casa di quella donna non basterà una vita. 

Badante 3 mi ha chiesto di non buttare alcune cose, ma di poterle tenere per mandarle in Georgia: una vecchia stampante laser, alcuni coltelli in ceramica che valgono come il due di briscola, una valigia (mio padre ne ha almeno sette: tre le ho tenute per lui, una l’ho presa io, ma questo vi dà l’idea di come sia stata la sua vita: sempre in viaggio). Nel pomeriggio ci torno per vedere cosa ha combinato, che Badante 3 è quasi una mina vagante, non riesco mia a capire se non capisce quello che le dico per via della lingua o della sua tara mentale, così come a volte non riesco a tradurre i suoi messaggi perché non scrive le parole in modo corretto e vai a vedere quale carattere sbaglia! 

Le notti le passo ancora malino, l’ansia prende il sopravvento appena spengo la luce e a nulla valgono i miei pensieri di laghi e prati, la testa torna sempre ai problemi che ci sono e che potrebbero esserci: non riuscire più a pagare la retta della casa di riposo, avere problemi con la padrona di casa (che è una testa di), Little, che di recente litiga sempre con suo padre e non si trova più bene nella scuola dove è, e vuole cambiarla. Il mio lavoro. Neanche io mi trovo più bene dove sono e voglio cambiarlo. Quello che non riesco a definire è se tutto ciò è una reazione a catena della situazione di mio padre oppure no. Devo fare un passo alla volta, vedere che succede. La direzione è quella, ma mi sento lenta. 

Intanto però preparo le ginocchiere. Lunedì all’Rsa c’era una canetto (chiamarlo cane è un eufemismo) chiuso nella stanza della direzione. Quando ho provato ad aprire la porta la direttrice mi ha detto: attenta al cane! E io credevo volesse dire che il cane non doveva uscire. Invece no, quel piccolo bastardo mi ha morso. Mi ha attaccato proprio. Un bel morso sul ginocchio (più in lato non arrivava). Fortuna che a settembre ho comprato dei Levi’s e tutti sappiamo che il jeans Levi’s è tosto. Ne sono uscita senza sangue, solo con un bel livido. Ma stavolta, canetto, vengo pronta. Potrei perfino rubare uno dei bastoni degli ospiti: attento a te! 

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Da Montenero con furore

Torno qui come sempre di lunedì, il mio giorno libero, anche se oggi di libero non vedo neanche il cielo. È grigio, preannuncia pioggia, è in linea con la giornata, forse.

Oggi è il gran giorno, si parte per Montenero, ma non per accendere un cero, come ho fatto per gli esami di maturità (insieme a: andare a buttare il sale in mare e toccare la lucertola in piazza dei Miracoli). 

Dopo una lunga lotta interiore e giornate e giornate di ripensamenti, alla fine ho deciso che una struttura sia la cosa migliore per mio padre. Lì avrà tutte le cure che servono, persone che lo assistono ventiquattro ore su ventiquattro, e pure un bel giardino dove passare un po’ di tempo e prendere aria. Adesso è piantato in mini appartamento che non è neanche casa sua, lo è solo da un anno, da quando l’ho portato qui vicino a me, non può uscire perché non ce la fa a muoversi e l’appartamento ha le scale, sta tutto il giorno con un’estranea che non parla neanche la sua lingua (dice ancora Martini invece che Martedì) e che a occhio non sa cucinare, visto che, come dicevo al mio nuovo amico Kas, sta attaccando a mio padre la sua fissa di non mangiare. 

Per l’occasione ho chiamato anche mia sorella, che ha una macchina più spaziosa e dobbiamo caricarci tutto, dalla sedia a rotelle al deambulatore. L’Amico Speciale pure viene con me, si è preso un giorno di ferie. Ho deciso di mandare a quel paese la mia reticenza nel chiedere aiuto, ricomincio domani, eh, oggi voglio tutto l’aiuto possibile. 

E quindi fra due ore andiamo. Sono un po’ nervosa, ma so di aver fatto la scelta giusta. È strano come a un certo punto della tua vita ti ritrovi a dover decidere della vita di un altro essere umano. E neanche lo hai chiesto. Anche con Little in effetti a volte l’ho fatto: la decisione di metterla al nido, per esempio. Ma socialmente non fa la stessa impressione, vero? Tutti ti dicono che non è un parcheggio, il nido, che fa bene al bambino, socializzare. Mentre nell’opinione comune una Rsa è una discarica. Ma su questo ho lavorato e sto lavorando con la mia nuova Psi (lei è Unabrava) e ho deciso di fidarmi. L’altra settimana mi ha dato un compito: scrivere. Quando l’ha detto sono quasi scoppiata a ridere. Mi chiede: lo hai mai fatto? E io, timida: sì, a volte. Ma delle decine di quaderni che ancora conservo, in perfetto stile Natalie Goldberg (Scrivere zen, ve ne dovrei avere già parlato), non ho fatto parola. Forse ci vuole un po’ di mistero potrebbe fare bene alla psicoterapia. In ogni caso sto cannando il compito a casa, come potete vedere anche dalla frequenza dei miei post. Certo, ho buttato giù qualche riga nell’ennesimo quadernetto, ma lo sento che non sta funzionando. Troppe cose da fare. l’Inps che mi richiede un documento per la domanda della 104, l’avvocato che me ne chiede cento per la pratica di amministratore tutelare, l’Rsa che mi chiede un foglio firmato dal medico e l’etichettatura con nome e cognome di tutti i vestiti, la sanitaria che mi chiede il collaudo del busto ortopedico che indossa, il neurologo che mi chiede l’appuntamento per il controllo. Meno male che, come diceva (ora non dice quasi più nulla) mio padre io, con questi ditini, sul cellulare e sul pc so muovermi bene, sarei una perfetta Badante Digitale. E in effetti quando Badante 3 ieri mi ha chiesto di ricaricarle il telefono ho ringraziato il cielo di avere Satispay che mi ha permesso l’operazione in due secondi. Lei si è messa a ridere e mi ha scritto un messaggio in georgiano che, buttato su Google traduttore suonava così: ti voglio bene buona zucca. Mah. Il concetto comunque è quello, immagino. 

L’Amico Speciale si è alzato. Stamani canta Sei un mito, degli 883. Io spero sia per me e ne esco lusingata. È comunque meglio del Lady Oscar che cantava qualche mattina fa, soprattutto perché non ricorda mai le parole e poi mi tocca correggerlo vanificando, come lui stesso dice, l’effetto liberatorio del canticchiare appena sveglio. Sarà che io appena sveglia voglio solo il caffè. E al limite scrivere qualcosa qui.

Me lo dico da sola: in bocca al lupo, Moon, per questa settimana. 

Riordinando

La settimana passata è venuta mia zia a trovare mio padre. Pure lei si è resa conto che la situazione ormai è al limite della disperazione. Come è arrivata mio padre ha avuto una crisi, il che non mi sorprende. Pure Badante 3 ha avuto una crisi, povera donna, torchiata perché la tovaglia non era pulita e i vetri sporchi. Io non guardo a queste cose, capisco che passare tutto il giorno con una persona malata che non dorme possa un pelino accasciarti e pulire i vetri lo metto all’ultimo posto.

Come una meteora, il giorno dopo se ne è andata, con grande gioia di tutti. Dietro di sé ha lasciato una scia di numeri di telefono di Rsa, così, per ripulirsi la coscienza, si vede, ma ha lasciato a me la decisione finale, ovviamente, il suo aiuto è stato decisamente marginale. Anche se è stato sempre più di quello di mia sorella che, avvisata del peggioramento ormai da tre settimane buone, ancora non si è vista e, quando l’ho chiamata per dirle dell’Rsa ha risposto: ah, ok ok. Punto.

Ma qualcosa di buono c’è sempre, credo. Tutta la pesantezza della condizione personale svanisce quando sono a lavoro e mi permettono di fare quello in cui sono più brava: il lavoro al banco. 

Questa settimana il mio collega, il Nuovo Micro(bo), come lo chiamo io, era in ferie e ho preso il suo posto. Il lavoro al banco del bar scorre fluido e veloce, non ci sono mai tempi morti, devi stare sul pezzo, non perdere il passo e questo richiede molta concentrazione, ma è una concentrazione buona perché io so quello che devo fare e ottimizzo ogni passaggio. In più c’è la componente sociale, al banco, anche se il tempo è poco, puoi conversare con i clienti che, solitamente, se vengono a fare colazione al bar, sono ben disposti, felici. Insomma, non sono mica in fila alle Poste. 

Devo dire che, nonostante voglia licenziarmi ormai un giorno sì e uno no (letteralmente), mi piace il mio lavoro. Mi piace perché sono brava, sono brava perché mi piace. Ma, c’è un ma. L’ambiente di lavoro a volte, con i colleghi, ma soprattutto con il Capo e la Figlia del Capo, è insostenibile. Il clima è pesante, carico di critiche per le piccole cose, mentre per le grandi non c’è alcun occhio. L’unico rifugio sono, appunto, i clienti. Adoro stare in mezzo a loro e adoro renderli felici, perché immagino sia quello che cercano. Questa settimana faccio il turno serale, come cameriera al Ristorante. Non amo lavorare la sera, soprattutto ora, che ho problemi a dormire e questo turno mi costringe ad andare a letto tardi, incasinando la mia regolarità. Ma almeno avrò poco a che fare con Capo e niente a che fare con Figlia del Capo. Non vedrò l’Amico Speciale fino a sabato, immagino. Così non litighiamo, mi dice lui sorridendo. In realtà mi mancherà tantissimo, è di grande aiuto negli ultimi tempi, riesce sempre a sdrammatizzare tutto, mi aiuta molto nelle cose pratiche, mi abbraccia forte quando ne ho bisogno. 

Questo post è stato un post più per me che per voi. Come ai vecchi tempi, mi è servito per rimettere in ordine il cervello. Parlare non mi fa questo effetto, parlare mi confonde ancora di più, scrivere invece ha quella forma particolare, sono in silenzio, posso farmi trascinare nella direzione più consona, senza distrazioni. Posso rimettere tutto in ordine con i miei tempi. 

Nei periodi bui scrivere mi è sempre stato di conforto. Nel caso specifico oggi ho capito alcune cose. E quindi ringrazio anche voi, che siete qui a leggere le mie elucubrazioni. 

Sempre nella speranza di tornare a una vita pressoché normale, 

vostra Moon

Le richieste di WordPress

Finalmente i miei giorni da reclusa stanno per terminare, il dolore si sta affievolendo e sabato ricomincio a lavorare. Bello rientrare di sabato: lavoro due giorni e poi di nuovo a casa. 

Nel frattempo mi districo tra un malato di demenza e una georgiana che non sa l’italiano, così la mia confusione è massima. Badante 3 mi manda un messaggio in georgiano e io butto su Google traduttore: Ciao, sto cercando qualcosa, per favore scrivimi.

Rispondo: cosa stai cercando? (sempre con Google traduttore)

Chiedi a tuo padre, scrive lei. 

Così chiamo mio padre. Che mi risponde alla quarta telefonata.

Nulla, mi fa, non trova la pentola. 

Che pentola?

Per i funghi.

Consapevole che non è certo la pentola per i funghi che non trova, gli rispondo di usare la padella e attacco. Mi ci vuole un po’ per uscire dalla sensazione di essere Alice nel Paese delle Meraviglie che parla col Brucaliffo in stereofonia.

Che poi nel pomeriggio ci passo e capisco cosa stava cercando, un bavaglio pulito per mio padre. Vabbè, diciamo che non è molto facile comunicare a distanza con quella casa.

Tornata a casa entro qui, su WP, e scopro una cosa a cui non avevo fatto caso: le richieste di WP.  

Sì, lo so, magari sono tonta, ma non le avevo mai viste. E già son lì a chiedermi: chi fa queste richieste? Il sito o gli utenti? Comunque, nel tentativo di capirci qualcosa me ne leggo un po’. E siccome sono una dissidente, non rispondo a una al giorno, come immagino andrebbe fatto, ma a tutte quelle che posso in un’unica soluzione. Quindi, via!

Parto dalla fine:

Quali libri vuoi leggere?

Facile: tutti quelli che posso e che mi prendono. Non ho un genere, al limite qualche preferenza autore, ma sono per lo più onnivora.

Cosa faresti se vincessi alla lotteria?

Intanto direi che è un pelino strano, visto che non ci gioco mai. Ma se proprio deve essere credo che li investirei in una attività, anche in perdita, che visto che ho i soldi chissenefrega. Mi piacerebbe una libreria indipendente che organizza corsi di scrittura e reading e gruppi di lettura. Lo so, non ho ambizioni. 

Quali sono i tuoi sport preferiti da guadare e giocare?

Difficile. Da guardare credo il calcio per mondiali e europei e al limite quello strano sport invernale di cui non ricordo il nome che si fa spazzando davanti a un disco o una roba del genere. Solo perché è ridicolo e quindi mi diverte. Da giocare? Nessuno, grazie, sono antisport. 

Di cosa ti lamenti di più? 

Anche questa è facile: di tutto. Sono una piagnona senza confini, da sempre faccio come Paperino e sbatto il cappello a terra dicendo: maledetta sfortuna! ( e poi guardo Gastone tutta invidiosa)

Qual è la cosa che hai più paura di fare? Cosa ci vorrebbe per convincerti a farlo?

Anche qui spazio: ho paura di fare un sacco di cose, ma di solito il mio atteggiamento è quello di superare le mie paure affrontandole di petto. Un esempio? Paura dell’altezza? Fatti un salto nel vuoto con il paracadute, vedrai che ti passa. Quindi alla seconda domanda posso rispondere: ci vuole solo che mi stufi di avere paura.

Scrivi del tuo primo computer.

Era un orribile affare che mio padre aveva salvato dalla spazzatura e che aveva il sistema operativo DOS. Un tuffo negli ottanta alla soglia dei 2000. 

Qual è la cosa che preferisci cucinare?

A me cucinare in generale non piace, ma se devo dirla tutta a volte ci prendo gusto e sono anche decente. Di solito preferisco i piatti superveloci e dove non devo sporcare mille ciotoline. Sono bravissima a cucinare la pizza surgelata, per esempio. 

Qualcosa nella tua “lista delle cose da fare” che non viene mai fatto.

Quel mai mi inibisce. In realtà evado sempre la mia lista. Magari però mi ci vuole del tempo. se dico: lo farò la settimana prossima, magari ci metto tre mesi. Ma poi lo faccio.

E ora una delle migliori: In che modo la morte cambia la tua prospettiva? 

Direi che, siccome è una cosa che sai appena nasci, più o meno, e della quale prendi sempre più consapevolezza con il passare del tempo, visto che io ormai spero di essere entrata appieno nella seconda metà della mia vita, non ci penso molto, ancora, non la temo e non mi cambia nessuna prospettiva. 

Descrivi la tua giornata perfetta dall’inizio alla fine.

È molto tempo che non la passo, ma se dovessi scegliere direi che è una giornata passata con Little tipo al mare, a fare bagni e giocare a Machiavelli. Nessuno che mi chiama, nessun messaggio. Tornare a casa, cucinare una pizza surgelata, bere una birra ghiacciata e guardare con lei un film. Non chiedo molto dalla vita, soprattutto non chiedo cose irrealizzabili. 

L’invenzione più importante della tua vita è…

Non mi risulta che io abbia mai inventato nulla. Al limite ho messo a punto cose già inventate da altri adeguandole alle mie necessità. Se avessi inventato qualcosa lo saprei, immagino. 

E ora vi chiedo: ma voi sapevate di queste richieste? Avete mai scritto nulla a tal proposito? E, soprattutto, sapete perché sono lì e chi ce le mette? 

Dhe, oh, varda ua’ com’è leggero!

Ho quaranta minuti, la cottura del dolce che ho fatto, un cioccolato e mele, rivisitazione dei poveri di cioccolato e pere, che non avevo. Oggi invito a pranzo mio padre e la badante georgiana, più che altro perché così evito di insegnarle a fare il ragù (lo farò, eh, che mio padre ormai associa la domenica al ragù) e approfitto di essere a casa, una domenica ogni tanto. 

Ieri ho comprato lo scooter per Little. Un piccolo affare (o una piccola fregatura, chi può dirlo? Dopotutto era nelle premesse il fatto che non me ne intendo). Il giorno prima chiamo questo numero che è su Subito. Mi risponde un ragazzo giovane, mi dice che il mezzo che avevo adocchiato lo ha già venduto, ma ne ha un altro, un po’ meno potente, ma adatto alle ragazze (proprio così dice lui) perché leggero. Mi manda le foto: carino, in effetti, sella nuova, colore celeste, gomme nuove, revisionato, cinghia rifatta, 12 mesi di garanzia. Vecchiotto, ma prezzo buono. 

Prima di andare a vederlo faccio un altro giro di telefonate ai concessionari. Avete scooter 125 usati, cambio automatico?

Si susseguono una serie di no. Solo nuovi. E poca scelta, ovvio, solo Piaggio, qui siamo nella culla della Piaggio. Della serie: o Liberty o Liberty. Quindi io e l’A.S. partiamo per andare a vedere questo benedetto scooter. Non so per quale motivo intraprendiamo una strada tra le colline che mi fa risuonare in testa per tutto il tempo la voce di max Pezzali. Rotta per casa di Dio. Arriviamo dopo 40 minuti e 400 curve strette. Google ci dice dove è questo rivenditore e noi non lo vediamo: niente cartelli, nulla. girottoliamo a caso nel paesino per dieci minuti, chiediamo info: nessuno sa nulla. Alla fine oltrepassiamo il cancello di una villa, per chiedere, e vediamo lo scooter. Il rivenditore non è altro che un ragazzetto che da anni armeggia ai motorini e ne ha fatto una specie di lavoro dentro casa: compra, sistema, rivende. E stop. Ci fa provare il motorino, ci spiega diligentemente le caratteristiche (deh, oh, varda ua’ com’è leggero!) e poi aspetta. Io lo comprerei anche solo per mancanza di alternative, ma poi ci penso ancora su e decido che in effetti per Little è perfetto: non nuovo, visto che sa andare solo in bici per ora, leggero, un po’ meno potente. E in pronta consegna (a casa) la settimana prossima con foglio di circolazione provvisorio e pure un bauletto nuovo. Ci stringiamo la mano e la decisione è presa. 

Io e l’A.S. andiamo a mangiare il sushi.

Nel pomeriggio arrivano i primi messaggi: Little che è contenta oltremodo (per lei l’importante è avere qualcosa da guidare per essere autonoma) e gli improperi del mio ex, come da copione perché Fate sempre come vi pare, voi. Ebbene sì, stavolta ho fatto come mi pare, visto che lui non ha fatto nulla, come mi ricorda giustamente Little, che è la prima a schivare i suoi proiettili. Al limite non mi darà la metà dei soldi, ma per ora non me ne frega, visto che intesto il mezzo a me. 

E così sapremo cosa fare il sabato pomeriggio da qui in avanti. Prove su pista, sperando che non cada troppe volte. 

Alexa mi dice che al mio timer del dolce mancano dieci minuti. Il profumo è buono, il vecchio gradirà. Se non avessi il dolore al fianco sarebbe pure una bella giornata.

Little e la patente

Little sta prendendo la patente. Non l’AM, che sarebbe quella del motorino, ma l’A1, per il 125. Ora, questa scelta, per me inizialmente assai discutibile per varie ragioni, lei invece me l’aveva argomentata bene.

Se prendo la patente A1, poi, quando prendo la B, non devo più fare la teoria, ma solo la pratica. Infine (quando vuole convincermi adotta parole raffinate, ben lontane dai turpiloqui che le sento in bocca quando sta con i suoi nuovi amici) a 17 anni, dopo X guide, posso guidare la macchina, se accompagnata. 

Devo dire che l’ultimo punto mi ha convinto. In pratica può esercitarsi con me per un anno e alla fine con altre poche guide aggiuntive e l’esame di pratica a 18 anni avrà la sua patente. Le spese grosse le sostengo ora invece che poi. 

Devo dire che mi ha sorpreso la rivoluzione delle patenti. Quando avevo la sua età (e no! Non ci provate a sfottermi, lo so cosa sembro quando lo scrivo!) non c’era la patente per prendere il motorino. Lo prendevi e lo guidavi. Se volevi guidare più di un cinquantino, allora prendevi la A. Stop. Con la B guidavi tutto, tranne i 250. E insomma, le leggi sulla patente erano già cambiate. Mi ricordo che il mio ex suocero mi disse una volta che a un certo punto qualcuno, lì in campagna, arrivò per rilasciare le patenti (lui era un bambino). Chiese a tutti cosa sapessero guidare e assegnò così i vari documenti. Un modo semplice, in effetti. Non ho mai dubitato fosse la verità, questa storia mi piace tanto.

E insomma, prima di dare il via alle varie lezioni di teoria, Little ha dovuto chiedere a suo padre. Come al solito ha storto la bocca (non si capisce mai il perché lo faccia, lui non argomenta mai le sue varie incazzature con discorsi sensati), ma alla fine ha ceduto con il suo solito: fate come vi pare, dove il fate  si riferisce all’entità che Little-Moon che vive solo nel suo cervello. Little non si è lasciata scappare il secondo: la sera stessa si è fatta portare alla scuola guida per fare l’iscrizione. In soli due mesi (il tempo minimo) si è fatta iscrivere all’esame di teoria e l’ha, ovvio, passato (sebbene stia faticando un po’ a scuola quest’anno, la sua secchioneria non molla e per le cose che le interessano viene sempre fuori). Adesso bisogna iniziare con la pratica. E Little è un po’, come dire… un sacco di patate. È la bambina meno fisica che io conosca. Non è mai stata una bambina da sport (danza, pallavolo, nuoto, tutte mollate), non è mai stata una che si arrampicava, che si buttava, che correva. In bicicletta ha imparato ad andare tardi e tardi si è fatta togliere le rotelle. Quindi non è che io sia preoccupata che avrà sotto il sedere un 125, ma insomma. Il fatto è che io non so guidare un motociclo. Mai guidato neanche un Ciao, non sono capace di insegnarle. Così come non mi intendo affatto del mezzo in sé. Ecco perché, sin da subito, ho pensato di chiederlo a suo padre, un aiutino: trovi tu il mezzo? Le insegni tu ad andarci?

Credevo che per una volta avrebbe fatto il suo dovere. 

E invece ora, che il foglio rosa ce l’ha e potrebbe iniziare a fare pratica, lui ancora non si è mosso. Ha iniziato a inveire per messaggio nel suo modo criptico e alla fine ha ributtato indietro la palla a me: che ci pensi tua madre, così come ti compra le gonne e i calzini, ha scritto a Little. 

E l’Amico Speciale, quando glielo ho detto, mi ha guardato. E ci siamo capiti senza dire nulla. Ci penseremo  io e lui a trovare il mezzo (dopo 10 minuti già aveva tirato fuori un paio di idee da marketplace) e ci penserà lui a insegnarle (ha tutte le patenti che uno può avere sull’asfalto, gli manca solo la nautica e la licenza di volo). Sembrerebbe un lieto fine, e in parte lo è. L’A.S. è una figura di riferimento per Little e alla fine si sta formando questa nuova famiglia, ma. Ma lei un padre ce l’ha e non fa il padre. E questo mi rattrista molto. Ché se lei è in questa situazione è colpa mia. 

In ogni caso: qualche consiglio su un 125 cambio automatico?  

Gamarjoba (traduzione sotto)

Questa mattina avevo iniziato a scrivere questo pezzo, ma poi mi sono resa conto che il mio umore era troppo basso per scrivere senza che ne uscisse fuori una lagna spaventosa, così ho chiuso tutto senza salvare e sono uscita. 

Sono talmente abituata alle rogne che quando stamani mio padre mi ha chiamata (erano le otto e io ancora non avevo finito il caffè), già immaginavo una nuova catastrofe. E invece mi diceva di andare a prendergli la colazione al bar. 

Mandaci Badante 3, babbo, ieri gli ho fatto vedere come si fa

, mi fa lui, ma tu sei più brava.  

Ora, è vero che il mio lavoro in effetti è anche quello, preparare la colazione alla gente, ma nel caso specifico bisogna solo andarla a prendere al bar di sotto e portarla in casa (mio padre è un viziato, vuole la sfoglia e il cappuccino del bar, e siccome non si muove più c’è bisogno di qualcuno che gliela porti). 

Come previsto, anche se io sono più brava, c’è andata Badante 3. Badante 3 non parla italiano se non mela, olio, bravo. Cose così. Parla solo georgiano. E sa Dio se c’è una lingua meno assimilabile all’italiano del georgiano. In ogni caso è brava. Sempre sorridente ( e lì, con lui che la notte fa pisolini di 5 minuti e basta, c’è poco da ridere), forse non sveglissima, ma si dà da fare. Oggi ci siamo insegnate i giorni della settimana, così ora so che il lunedì è orshabati e il sabato shabati. Quindi se non sto attenta è un attimo confondere il lunedì con il sabato. Le patate sono più facili, k’art’opili. Che ricorda un po’ il katoffel tedesco. Pomodoro è ancora meglio: p’omidori. Una passeggiata, il georgiano. Ah ah. 

(la traduzione del titolo è Ciao)

Badante 3 non mangia nulla. Anche se è enorme, si nutre principalmente di biscotti, caffè zuccherato, pomodori, patate e cotolette di pollo impanate. Non beve latte, né succhi, né (per fortuna) vino. Non mangia né pasta né riso. Spero che fra poco non occorra una Badante 4 per la Badante 3…

Dal mio canto, sto per esaurire questa settimana di ferie bellissima, indimenticabile. E la finisco con una (sospetta) costola incrinata. Ieri notte sono caduta dal letto mentre dormivo. Lo so. Non mi accadeva da quando avevo tre anni. non posso dire cosa stessi sognando, ma non era di certo qualcosa di bello, immagino. Siccome ho questo dolore quando respiro e tossisco e mi alzo eccetera, come tutte le persone poco assennate ho fatto una ricerca su Google (il medico di sabato e di domenica non c’è e io COL CAVOLO che torno al pronto soccorso, viste le recenti avventure). Google è diventato il medico di base più affidabile. C’è sempre, e ti prospetta per ogni cosa uno largo spettro di patologie, dal Non è nulla, si risolve in poco tempo, al Morirai presto di un terribile male.Imprecisato. Perché comunque se non ti rivolgi a un medico non puoi saperlo. Ma io insisto, perché credo in San Google. Così chiedo al nostro oracolo elettronico come si fa a sapere se una costola è incrinata. Risposta: vai al pronto soccorso e fai una radiografia. Perché se ti fa male a respirare e ti fa male se la tocchi può darsi che sia incrinata, oppure no.  Una tautologia perfetta. 

Va beh. Anche lì vediamo. Camminare cammino, guidare, guido, quindi anche fosse devo solo tenermi alla larga dalla tosse e alzarmi il meno possibile. Imparerò a dormire in piedi. Che se lo fanno i cavalli posso farlo anche io. 

Altro giro, altra corsa. Finirà, eh…

Un settimana alternativa

Lo so che siete lì che pensate: guarda Moon, con i suoi programmi per le ferie, se ne è andata via tre giorni e non scrive più nulla perché si diverte tantissimo e non ha tempo. 

Ma, ahimè, no.

Questa è stata una settimana alternativa, come ci sono a scuola, ma molto meno divertente. 

Lunedì. Arrivo da mio padre alle 8.15 per portargli la colazione e prepararlo per la visita dell’invalidità. Lo trovo a terra. Caduto non si sa come. Lo tiro su, ma non è molto presente. Dice che non si è fatto male, in effetti sembra così, quindi decido di portarlo alla visita e vedere come va in giornata. 

In giornata sembra riprendersi. In serata mi dice che è stanco, ma cammina da solo. La mattina dopo mi dice che gli formicolano le gambe e decido di portarlo al pronto soccorso. 

La giornata al pronto soccorso è stato un vero incubo, il pronto soccorso è un perfetto girone dantesco dal quale, da qui in avanti, cercherò di tenermi lontana il più possibile. Dalle 7.45, ora in cui ho chiamato l’ambulanza, siamo tornati a casa alle dieci di sera. Senza alcun risultato. Anzi, gli hanno pure rotto gli occhiali durante il periodo in cui non mi hanno permesso di stare con lui. 

Mercoledì. Il giorno in cui avrei dovuto partire. La badante che viene la mattina, badante 2,  mi lascia a piedi perché la macchina l’ha lasciata a piedi. Devo per forza andare nella città dove mio padre viveva prima perché devo recuperare dei fogli importanti. Inoltre Little si è svegliata tardi e gli è venuta una crisi isterica. Io ho dormito solo 5 ore, prendo un caffè con gli occhi chiusi, carico Little in macchina, porto la colazione a mio padre e lo lascio lì. Lui mi assicura che sta bene. Ma dopotutto io non ho scelta. Porto Little a scuola, mi faccio 3 ore di macchina andata e ritorno, prendo i fogli che mi servono, vado al supermercato per fare la spesa per mio padre e quando sono alle casse mi chiama l’altra badante, badante 1, quella che arriva alle 11.30. è cascato di nuovo e lei non riesce ad alzarlo. Corro a casa sua, lo alziamo in due. dico alla badante 1 che mi devo prendere almeno due ore di riposo, vado a casa e faccio l’inevitabile: inizio a cercare una badante fissa. Mi dico che in un mesetto dovrei farcela. Ma ho sottovalutato la rete sotterranea delle badanti. Nel giro di un pomeriggio la super rete mi ha trovato una donna georgiana di 50 anni. mi chiamano in cinque per le referenze, parlo mezz’ora con la signora che l’aveva in casa finora, mi tranquillizza e mi dice di chiamarla per qualsiasi cosa. La sera torno da mio padre, gli do cena, lo metto a letto.

Giovedì. Badante 2 è sempre a piedi. Resto da mio padre fino a mezzogiorno, che arriva badante 1. Vado a finire di fargli la spesa (che il giorno prima, dalla fretta, ho dimenticato della roba), e poi mi chiama la rete delle badanti per dirmi che la signora georgiana, Nata, badante 3, arriva il giorno dopo. Quindi mi viene in mente che il letto c’è, ma non ho le lenzuola e la coperta, corro a prendere anche quelle. Vado a prendere Little, che ha preso un’insufficienza a italiano e quindi piange (anche se chi è causa del suo mal…ma non posso dirglielo, è troppo suscettibile in questo periodo), ha fatto casino sull’orario della lezione di canto e ora è a piedi. La porto a casa, preparo cena e torno da mio padre.

Venerdì. Badante 2 stamani viene. Me lo ha scritto ieri sera a mezzanotte, quindi l’ho visto solo stamani alle 5.30. mi alzo e mi preparo già, non si sa mai visti i giorni passati. Poi mi metto qui a scrivere, giusto per dirmi che sono ancora una persona. Normale no, ma persona almeno…

Ho finito il tempo. emergenze non ci sono, per ora. Badante 2 è lì, anche se lui oggi non cammina. Ora devo andare a cercare un cuscino per il letto, prendere i soldi per pagare badante 2, che è il suo ultimo giorno, e poi resto lì con lui fino a mezzogiorno. Nel pomeriggio vado a prendere Badante 3 alla stazione. La porto a casa. E se Dio mi aiuta, inizierò a vedere la luce in fondo al tunnel…

Intanto le mie ferie sono finite…

Forse un giorno imparerò

Torno a scrivere dopo una lunga settimana di lavoro che seguiva una lunghissima settimana di lavoro. 

Non so perché, ma ultimamente lavorare mi richiede degli sforzi notevoli. Non mi alzo volentieri, quando sono lì sono meno concentrata del solito, i rapporti con i colleghi li trovo difficoltosi, soprattutto con la Figlia del Capo, che a volte è insopportabile. Il Capo invece è stanco, confuso, sbaglia di continuo. Ho l’impressione che si senta un pesce fuor d’acqua e siccome mi sento così anche io ci deve essere qualcosa che non va. 

Tutti questi pensieri, che mi assillano giorno e notte (ed è il mio maledetto difetto, quando mi fisso su una cosa…) mi portano, la mattina, a guardare sempre e solo annunci di lavoro. Ho, è vero, il Progetto Comune, ma sto studiando poco e le prove sono rimandate a data da destinarsi e io spero sempre che un annuncio salvi la mia quotidianità. 

Eppure so che sono solo io a dover muovere qualcosa, senza dover aspettare che mi scenda giù dal cielo. 

Ed ecco perché, approfittando di un’altra settimana di ferie che avrò a fine mese (sì, lo so, a voi sembra che sia sempre in ferie, in realtà devo smaltire ancora 94 giorni delle suddette, sono più di tre mesi, e un giorno qui e una settimana là non assottigliano affatto la fetta) ho deciso di prendermi tre giorni per me. Me ne vado via, anche se sono ancora indecisa sulla destinazione. 

(E siccome sono solo le nove di mattina di un lunedì e mia madre mi ha chiamato tre volte e mio padre mi ha mandato quattro messaggi, direi che scappo in una terra dove non esistono ripetitori).

Quando l’ho detto a mia madre mi ha chiesto: e l’Amico Speciale cosa dice che vai via da sola?

E che deve dire? Mi deve forse autorizzare? L’ho chiesto a Little, se per lei andava bene, e tanto basta, no?

Quella sua semplice domanda, fatta senza pensare, mi ha però fatto capire delle cose. Che poi ho scritto parzialmente in un commento qui in giro. 

Essere nati e cresciuti dentro la mente del patriarcato a volte ti rene difficile capire che ci sei dentro. Cerco di spiegarmi. Mi sono sempre ribellata all’idea che dovesse comandare qualcuno in famiglia, salvo poi rendermi conto che avevo una famiglia esattamente così. Dove eri già fortunata se tuo marito ti permetteva di, che ne so, fare un corso di scrittura (pagato con i tuoi soldi) o riprendere a studiare (sempre con i tuoi soldi). Queste sono state le parole esatte del padre del mio ex quando l’ho lasciato. Ma dopotutto il suddetto padre ha i suoi anni, insomma è di un’altra generazione. Peccato che anche il mio ex al tempo se ne uscì con una frase simile. E lo stesso fece mia sorella. In quel periodo credevo di essere pazza, nessuno la pensava come me, tutti mi dicevano di restare con mio marito perché alla fine lui non mi aveva mai picchiato e mi aveva permesso di fare quello che volevo. Nessuno che mi chiedesse se l’amassi ancora o lo rispettassi o lui rispettasse me. Addirittura, un conoscente una mattina mi chiese perché avessi la faccia lunga. Dopotutto, disse, hai un bel lavoro, una bella casa, una bella famiglia. Non risposi. Ma mi riproposi di non fare mai quello che stava facendo lui, giudicare una vita senza conoscerla. 

Forse sono stata sfortunata, forse mi sono cercata quello che mia madre mi aveva sempre detto tra le righe di cercare, non saprei. Resta il fatto che ora, purtroppo, sono invece passata sull’altra sponda (o bianco o nero, Moon, giusto?) e non tollero più che mi si dica quello che devo fare. se ho imparato qualcosa dalla storia con il mio ex è stato essere autosufficiente. E lo sono. Non solo, ho cresciuto praticamente da sola Little, per anni l’ho tirata su solo con il mio stipendio e sono arrivata al punto di essere io la donna e l’uomo di casa. 

E quindi l’Amico Speciale perché dovrebbe autorizzarmi a prendermi una vacanza di tre giorni? 

Ora, lui, l’A.S., ovviamente mi dice che esagero. Di lasciar perdere mia madre. Ma io sono approdata all’altra sponda. E a lasciar perdere ho paura di tornare indietro. 

Forse arriverà anche il giorno in cui riuscirò a stare con i piedi in mezzo al fiume, né su una sponda, né sull’altra. Sì. Forse un giorno imparerò.