E così è passato un altro anno, quasi, e io ho messo di nuovo in pausa questo blog…
L’ho proprio sospeso, cancellando pure l’app dal telefono e tutto il resto.
Ho provato a dargli un. Articolo finale, il Gran Finale di un tempo che fu, della Moon blogger, ma non ci sono riuscita. Sapevo che prima o poi sarei tornata.
Mi sono regalata un corso di scrittura alla Holden che mi ha fatto molto bene: ho imparato tante cose, ma soprattutto ho raddoppiato la mia autostima come scrittrice, il che è un bene no? Sì. E poi ho scritto il romanzo. L’ho scritto. L’ho finito. Un manoscritto per l’esattezza, 7 quaderni aspirale monocromo A5. Qualche pagina buona, qualche pagina pessima, altre da risistemare. Come primo romanzo dovrei esserne soddisfatta. Ora devo solo riscriverlo. Capire cosa non va e metterlo giù sul pc.
Sì, sono stata brava, alla faccia di chi si loda si imbroda. E poi.
E poi la vita mi ha travolta di nuovo. Come il fiume in piena sulla passerella che ho sotto casa, mi ha investita, buttata giù nell’acqua e mi sono persa. Continuo a fare progetti su progetti (il mio ultimo? Studiare per un concorso in comune) e poi mi perdo. Non sui progetti, intendiamoci, ma perdo me stessa, chi sono. Perdo la mia identità. Mai come ora non so dirmi chi sono.
Ed ecco che torna la scrittura. Torna perché mi deve aiutare, deve dirmi chi è Moon e non cosa vuole fare.
E può farlo solo raccontando della vita. Mi piace questo blog. Mi piace pensarmi qui. Mi piace scrivere. Casuale. Con questa terribile mania paratattica che mi ritrovo.
Mi rispondo sempre da sola. Le cose che mi vieto sono sempre imperativi. Le cose che mi concedo sempre un interrogativo.
Presa da un impulso da sabato sera triste ho acquistato un corso on line di self help. Forse l’attrattiva principale era solo il titolo: Scrivi la tua storia. Insomma. Dai. Beh. Se non sono io quella giusta per questo corso. Tale è la disperazione che non ho neanche considerato la cifra (io che sono così tirchia) e ho detto: fanculo, tentiamola. Mi sono sentita come quel sabato mattina in cui ho lasciato il mio ex, con dentro un grido silenzioso che ripeteva: devi provare, devi provare, sennò sono cazzi.
Non ho fatto passare nemmeno un giorno, come invece avevo inizialmente programmato. La domenica pomeriggio ero già lì che dicevo all’Amico Speciale, appena tornata dal lavoro: sì, tesoro, tu vai un’oretta a dormire, io sto qui un’oretta a vedere cosa viene fuori. Questo corso dovrebbe prevedere un minimo di dieci minuti di scrittura al giorno. Ma io lo sapevo che non mi bastava. Dopo un’ora (e molte parole) ho guardato l’orologio e mi sono fermata perché avevo detto all’A.S. che lo avrei svegliato. Sono andata in camera, mi sono spogliata e mi sono messa con lui sotto le coperte. Che dopo aver vomitato mille ricordi d’infanzia-spero-terapeutici, quello di cui hai bisogno sono solo abbracci caldi e baci. Ha funzionato anche la seconda terapia: stanotte ho dormito senza mai svegliarmi. Ho salutato l’Amico Speciale con un bacio fin troppo spinto questa mattina e mi sono girata dall’altra parte. Dopotutto era il mio day off, come direbbe Ale dal Paese dei Folletti. Ha suonato la sveglia. L’ho spenta. Ho suonato di nuovo. L’ho spenta di nuovo. Non volevo alzarmi. Forse perché sono una sensitiva e sapevo che sarebbe andato tutto a schifìo anche oggi. Ho fatto accesso al corso. Un’altra ora a scrivere. Va detto che non so, a questo punto, se scrivere così tanto, per una come me, che analizza anche le briciole cadute in terra dopo aver mangiato una pizza, sia un bene. Il tizio el corso avvisa: attenzione a non scavare troppo. Eccheccazzo! Come faccio a sapere se è troppo? Io so solo che sono sempre stata un’archeologa, scavo scavo fino a che non trovo il centro della terra.
Comunque. Prima di mezzogiorno avevo già la mia dose di notizie di merda che non vi riferirò per timore di tediarvi.
Ma alle dodici e quaranta ero alla scuola di Little. Lei sale in macchina e mi saluta, radiosa con la sua nuova capigliatura blu elettrico, e mi chiede: che si fa?
Sushi?
Ed eccoci al Fish nude, un altro dei mille locali sushi della Cittadina. Posto splendido, cibo ottimo, musica direttamente dallo Studio Ghibli (che amiamo entrambe), un’ora di pausa dalle rogne.
Ma poi, anche se non volevo, il pomeriggio si è riempito della solita merda. Io volevo solo vedere Emma, il film, una bela trasposizione del romanzo della Austen. Non ci sono riuscita. Il passato che volevo dimenticare è come se avesse aperto un vaso di Pandora tutto suo. Sta tornando tutto indietro. la vita che credevo di aver passato oltre, dimenticato, superato, torna indietro con gli interessi. La cosa buffa è che non riguarda direttamente la mia vita, ma quella dei miei genitori: i loro errori mi si riversano contro come un Blob.
Ed è quando una ragazza gentilissima di un centro Vodafone di una Città qui vicino si offre di aiutarmi che crollo. Mi metto a piangere al telefono. Lei non ha nessun vantaggio ad aiutarmi in una cosa rognosa di chiusura di un contratto di mio padre di cui non so nulla (e lui, ovvio, non si ricorda più nulla e non ha traccia cartacea). Lei non è tenuta ad aiutarmi, se neanche il call center della Vodafone lo fa. Lei ha solo un negozio Vodafone. Oltretutto lontanissimo da casa mia (ma è stato l’unico centro Vodafone che mi ha risposto). Ma mi rassicura, domattina mi farà sapere tramite mail quello che devo fare o pagare. Mi manda il modulo lei. Me lo compila lei e io devo solo inoltrarlo. Le lacrime escono a fiumi. Qualcuno che mi aiuta…
Lasciami una bella recensione, dice lei.
Mille stelle, giuro, dico io singhiozzando.
Ho ancora 28 giorni di corso. Ho ancora chissà quanti giorni di beghe da risolvere.
Sono sempre scappata dalle cazzate che hanno fatto i miei genitori.
Notare che non mi fido e mi faccio mandare la foto della pressione di mio padre…
È un’ora tarda per me, le nove e venti.
Conscia del fatto che non terminerò stasera questo mio scritto, sento comunque la necessità di scrivere. Bene, mi dico. Stai tornando umana.
È che sono fissa a risolvere un problema, quello di mio padre. Un uomo relativamente giovane per i tempi odierni (73 anni, non vi sembra giovane?) che si comporta come un novantenne senza speranze. Un uomo vitale, molto attento a se stesso, attaccato alla vita, egocentrico fino all’estremo limite ( tanto che spesso ha messo la sua vita di fronte a quella delle sue figlie, causando non pochi problemi di botta o di rimbalzo), un uomo vivo, insomma, trasformato in un Dead Man Walking in poco tempo, un anno per lo più. La causa ancora parzialmente sconosciuta.
Una figlia non può che intervenire in maniera decisa in questi momenti. Facendo da genitore, insomma. Programmando visite, prendendo decisioni difficili… insomma, il solito tour dei Figli Di Genitori Malati (FDGM).
Ma resta che sono anche Madre, vera, di un’adolescente.
Insomma, mi trovo in quell’età bastarda in cui mi devo preoccupare sia dei figli che dei genitori. Tempo per sé pari a zero. Con resto.
Oggi mi chiama Little a lavoro. Chiama di rado, quasi mai. Si affida a Whatsapp più che latro.
Mami, dice, c’è una lente a contatto nel cesso.
Lo so, dico, l’ho buttata io stamani perché era finita (le porto anche più del dovuto, Ndr, prima o poi divento cieca per un’infezione sconosciuta dovuta al portare troppo una lente a contatto).
Sì, ok, ma ti serve?
In che senso Bambi? (nomignolo che le affibbio random, quando per lo più voglio chiederle qualcosa oppure dirle che le voglio bene oppure, come nel caso, farle capire che non sto capendo)
Nel senso, posso farci sopra la pipì o vuoi recuperarla?
Che dire.
Non diciamo nulla.
E poi, più tardi, chiamo mio padre.
Ciao, come ti senti?
Bene! Perché?
Sì, ok, la pressione la hai misurata?
Sì, la massima è 190. Non male vero?
Come non male???? È alta! Babbo, dovresti tenerla sotto 160 almeno!
Ah sì? E chi lo dice?
Tipo il tuo medico?
Ah, ok, ok. me lo dice sempre anche Moon.
Babbo…sono io Moon…
Ahahaha. Fa lui. Ahahaha.
Ma io dico? Che te ridi?
Che poi, sì, lo ammetto, ci rido anche io.
Ridiamoci su, che è meglio.
Intanto la mia artrosi cervicale si fa sentire. Quella che un tempo chiamavo la Carogna. Da qualche parte l’ho già scritto, ma non so dove.
Il mio ortopedico mi dice che peggiora con lo stress. E quindi ci provo a non stressarmi, tra i messaggi del Poeta (il mio ex ora lo chiamo così, il Poeta, anzi Er Poeta, dato l’ermetismo dei suoi scritti che neanche Ungaretti), mio padre con l’arteriosclerosi e mia figlia con le crisi di adolescenza e il lavoro con le crisi sempre e la mia cervicale con le sue crisi cicliche.
Ci provo. Eh.
Intanto sono riuscita a finire di scrivere qui.
Un traguardo. Sono le nove e quarantacinque. In ritardo di un’ora sulla tabella di marcia di Morfeo.
Sulla mia scrivania ci sono delle chiavi, della mia vecchia casa, il posacenere, un calice di vino (i calici, per il momento, sono un lusso che per caso posso concedermi), un foglio con il numero di ordine dell’Ikea per la nuova cucina, le istruzioni per la nuova asciugatrice. Ogni oggetto in questa scrivania potrebbe raccontarvi una super storia.
Eppure io voglio raccontarvene un’altra.
C’era una volta Moon che voleva traslocare. La sua casa era in vendita, la casa che le aveva dato la libertà, la casa che l’aveva vista mille volte piangere, ridere, sognare, ma soprattutto rinascere non era più la sua casa, era solo un quadrato, vuoto, di pochi metri. Così Moon ne vide un’altra. Una più grande, giusta per lei e Little Boss, una casa che poteva (poteva, in potenza) essere giusta.
Ma certo, mica era perfetta, così com’era. Moon e (soprattutto) l’Amico Speciale, dovevano lavorarci su: tinteggiatura, messa in posa del battiscopa, alcuni accorgimenti elettrici, una nuova tinta alle piastrelle… insomma, un gran bel C**** di lavoro di M*****-
Ma Moon ha sottovalutato l’A.S., lui è un C**** di treno, se inizia un lavoro e non gli stai dietro sono C****, ti incita come se fosse un C**** di capo dei Marines, e stai pure ore a dire che No, non ce la faccio, io non sono forte come te, Aspettami, arrivo, nulla: sei sempre un passo indietro.
Insomma, siamo a buon punto, nonostante la mole di lavoro e il pochissimo tempo (A.S.=treno Frecciarossa in tratta Firenze-Roma), ma restano alcuni dettagli. Tipo liberarsi delle vecchie cose nella Nuova Casa (N.C.). Le vecchie cose nella N.C. sono infinite…
Se volete un elenco sommario finisco le parole di questo blog. Ma a voi basti sapere che questa storia racconta di tre (solo tre) cose di questa casa: tre sedie imbottite di stoffa che non si possono vedere. Tre sedie imbottite di quella stoffa fiorita che era già passata di moda negli anni Ottanta. Tipo quelle in foto. Per dire.
Ecco.
Chiamo gli Ingombranti del mio Paesello e spiego cosa devo buttare: otto milioni di cose. Mi dicono che devo dividere per materiale. Ok.
Allora il legno tutto insieme?
Sì.
Perfetto, ho un comodino, una cantinetta per i vini, un tavolino, due mensole. E tre sedie. Imbottite di stoffa, però.
Dall’altro capo del filo mi danno l’Ok. il giorno prima del ritiro metto fuori tutto, come mi è stato detto.
Ma le sedie imbottite non me le ritirano.
Le rimetto in casa, bestemmiando come un muratore dopo un pranzo di lavoro.
Restano lì per giorni, io l’Amico Speciale ci scervelliamo per smaltirle altrove, tipo nel cassonetto (l’idea del mio Boss, con tanto di selfie da mandare al Sindaco del mio comune) o nel fiume direttamente (idea dell’A.S.).
Poi arriva la mia, di ide: le regalo. Ci provo. Eccheddiamine! Al limite si passa all’opzione fiume.
Al mattino, tipo le 6.30, metto una foto (quella sopra) elle tre (dico TRE) sedie su un gruppo Regalo Regione. Alle 8.00 ho già tre messaggi. Di gente che le vuole!
Insomma, alle 10.00 già mi sono accordata con una certa tizia (che chiamo Samantha perché ci sta) che le deve avere ASSOLUTAMENTE. Tre sedie.
Certo, le dico, se vieni in giornata sono tue.
Viene mio marito stasera, mi risponde.
Non ho fiducia, ma decido, per stanchezza, di crederle.
La volete la notizia? Alle 18.00 mi chiama suo marito e mi dice che sta arrivando.
Incredula, con la mia amica Ale (tornata dal paese dei folletti per una visita temporanea) gli facciamo caricare la macchina.
Allibite per il colpo di culo. Lui ci dice: mia moglie mi ha mandato qui da XXX per prenderle – XXX non è vicino- e non lo so cosa vuole farci.
Io lo compiango e mi vorrei davvero pagarlo per la gentilezza, come mi aveva detto l’A.S.
Se ne va con la macchina carica, mentre io esulto per il colpo di genio.
Siccome era iniziata con C’era una volta… questa favola ha una morale: un punto a chi me la indovina.
Non so come ho fatto a scrivere fin qui. Era proprio una gran voglia. Domani mi arriva la cucina da montare (IKEA) e poi ricomincio a lavorare.
Ma scrivere…
Dice Ale che scrivere mi fa bene. Io le credo. Le credo sempre.
* questo perché Little Boss sta iniziando a studiare latino prima di iniziare il liceo, e io sto ripassando con lei
Qualche anno fa girava un video: cosa succede se regali un’Ipad a tuo padre. Se non lo avete visto o non ve lo ricordate ecco qui.
Guardandolo oggi mi sento libera di dire: magari fosse stato solo così!
I miei genitori, entrambi, ma ognuno a modo suo, hanno preso il peggio dalla tecnologia.
Inizio con mia madre. Una donna che vivrebbe volentieri nel 1800, più precisamente in romanzo dalla Austen, a ricamar merletti e fare chiacchiere all’ora del the, tuttalpiù per darsi un tono le classiche vacanze a Bath. È una perfetta donna degli anni ’50 (che sono i suoi): casalinga, ama cucinare (ma non lo sa fare), ama starsene in casa a cucire, vive una vita ritirata (non ha sentito cambi di corrente con il Covid). Ma da quando gli è stato messo in mano il primo Iphone (mia sorella ama cambiarli spesso e dona gentilmente gli smessialla famiglia, me compresa) è cambiata. In peggio. Della tecnologia ha preso il lato peggiore. Si informa su Facebook (attenzione! Questo mi era stato personalmente preannuciato dal direttore del Tirreno – noto(?)giornale locale- Barnabò ben 10 anni orsono: i giovani si informano solo su Facebook. Ma dei vecchi non diceva nulla e io mi chiedo se non sia stato ottimista). Dato che le sue news viaggiano solo un canale che lei stessa sceglie senza esserne consapevole, ovviamente si infervora sempre più, sentendosi dare ragione praticamente ogni minuto da gente che scrive : habbiamo vinto! E sebbene lo snobismo sia di famiglia, si vede, ciò non la frena dall’esaltazione.
In pratica sta sempre appiccicata alla sua terza mano: le ricette? Su Pinterest! I libri? Su ibs! I video divertenti sui cani? Su Youtube!
Salvo poi non capire la differenza tra le tre.
E qui entro in gioco io.
Mi stampi questo disegno da Pinterest?
Mi prenoti questo libro su Ibs?
E, il peggiore: guarda questo video su Youtube! (con tanto di Memojipersonalizzata di Apple, che mi chiederà di modificare appena si taglia i capelli).
Ma se poi le dai la dritta super dritta, stile Scarica Spotify e potrai sentire tutta la musica che vuoi, da Baglioni a Cocciante, allora si ritira come un riccio (si vede che non segue i miei consigli, ma solo quelli di mia sorella, che è senza dubbio la figlia migliore delle due) e per dispetto compra pure un giradischi. Uno vintage, color pastello. Per sentire i suoi vecchi vinile. Pur di non darmi retta… (non fraintendetemi: io, appassionata di vintage fino all’osso, sono anni che vorrei un aggeggino come quello. Ma poi penso sempre alla bolletta dell’acqua, alla spesa. E sapete com’è: non ne faccio mai di nulla).
E poi c’è mio padre…
Ultimo modello di Iphone (eh sì, è una degenerazione familiare, ci stanno studiando), non si perde un messaggio, una foto, un vocale. Ogni tre secondi il suo telefono trilla: sono gli amici di Torino, quelli di Grosseto, quelli di Livorno…
Se non trilla nessun problema: si collega a Facebook (così guarda i video divertenti sui cani) oppure mette le foto superfighe su Instagram (lì mia madre, ancora non c’è arrivata). Appena andiamo a trovarlo è già lì che parte con i video o con i selfie da inviare a mezza Italia. In metà ho la faccia da pesce lesso. Dopotutto sono fotogenica come un mocassino usato.
Se non usa il telefono ha il suo Macbook, dal quale ascolta la sua Playlist preferita su Youtube (nulla, Spoty, il mio amore, lo scartano tutti tranne Little Boss), oppure si legge l’ultimo Roth sul suo nuovo Kindle.
Eh sì.
Vecchi e supertecnologici.
Eppure vecchi.
Sarà un momento, sarà che vedo anche me tanto invecchiata (la pelle, soprattutto la pelle), sarà che il tempo passa anche per loro, non solo per la mia Little e me.
Ma oggi mio padre l’ho visto davvero male. Lento, sconsolato, impaurito dal Covid.
Mentre mia madre la sento sempre più acida, autoconclusiva in un certo senso, dimentica le cose per ricordarsi solo ciò che la aggrada (quindi non me).
Magari è solo questo momento mio, che ho la percezione del mondo in nero.
Magari invece stanno invecchiando sul serio e devo iniziare a farmene una ragione: non sono più da anni i miei genitori (fonte di consigli, simbolo di protezione eccetera), ma da qui a essere io la loro badante a tempo sperso ce ne corre.
Ma soprattutto, come si fa a bilanciare le cose? Come si può essere figlia comunque (facendo la parte della figlia) e prendere anche il ruolo opposto, quello di assistere?
Sulla decisione di tenere aperto o meno questo blog ha pesato un breve commento di Ale, detto a bassa voce, come solo lei sa fare, che a volte è al limite dell’udibile.
Secondo me dovresti tenerlo.
E siccome io mi fido di lei, moltissimo, più che di me, le darò retta. E vediamo come va.
Sì, Wal, anche il tuo parere ha influito.
Mi sono data, come forse ho già detto, un Tempo Massimodi Lutto (TML).Il lutto lo tengo per la Morte della Speranza. Non posso permettermi di far andare avanti il lutto a oltranza, e alla fine il mio lutto è solo un vestire di nero e poco più. Ma siccome sono Programmino, come mi hanno definito in tanti, il Mentore prima di tutti, ho deciso che il lutto finirà tal giorno alla tal ora. Non durerà un anno, niente 365 giorni stavolta, niente count down, niente pianti. Diciamo che sarà qualcosa che assomiglia di più alla riservatezza. Ma una volta finito questo lutto, basta. Quello che ho capito grazie allo Shogun è che ho risolto il conflitto spazio/armadio. Ora sono pronta a provarci.
E a tal proposito l’Amico Speciale si è presentato con un mazzo di fiori (metaforico. In realtà erano lampadine, che a casa mia la spesa delle lampadine va di pari passo con la bolletta del gas in pieno inverno, sarà perché detesto il buio e appena metto un piede in casa accendo tutte le luci accendibili manco fossimo a Las Vegas), un sorriso sincero e mi ha detto: non te lo dico che ti amo, preferisco dimostrartelo. E visto tutto quello che gli ho fatto passare direi che sta facendo un buon lavoro. Ma ho messo le mani avanti, come sempre, come mi viene bene fare: avrò il mio periodo di lutto; poi vediamo che succede. Per ora siamo quello che siamo stati sempre: due persone che si vogliono bene, e scusate se è poco.
Quindi non mi resta che tuffarmi a capofitto nel lavoro, e il periodo ricomincia a fiorire. Pure troppo. Oggi forse era San Sughero, non lo so, ma il Ristornate a pranzo era strapieno, quasi fosse una domenica. E il personale ridotto, ovvio, perché in realtà era solo mercoledì. Ridotto a due, cioè: io e la cuoca. Le mie gambette hanno corso, le mie braccia hanno sfornato pizze e portato piatti alla velocità della luce, ma ho avuto anche il tempo di far due chiacchiere. Ha pranzato da me una Signora che conosco da tanto tempo, che mi ha conosciuto sposata in realtà e ora passa volentieri anche solo per salutare (e darmi laute mance, a dire il vero). La Signora è molto ricca. E lo specifico perché è del tipo che mi piace, che sa di avere tanti soldi, ma non è dimenticata di cosa vuol dire non averli. Sono queste le persone che mi piacciono, quelle che non ti fanno sentire mai una serva solo perché porti loro i piatti. E fidatevi: dell’altra categoria il mondo è pieno. Insomma, tra una chiacchiera e l’altra, la Signora mi chiede di Little Boss, che ha visto nascere. Ha quasi 13 anni, le dico, ormai è una signorina. Lei mi guarda e chiede: ma ti sei risposata?La risposta che mi viene di solito in automatico in queste occasioni è: ma che, mi credi scema? Ma chi me lo fa fare, sono così felice e libera ora, un uomo? No, grazie, ho già dato, di figli ne ho già, certo, ho qualcuno, non sono una suora, ma una relazione…
Ma stavolta ho risposto: non ancora. Forse in un futuro, non lo so.
Lei ha sorriso e ha detto:ho sempre pensato che meritassi di meglio.
Già. Frase standard di chi conosce me e il mio ex. Se avessi un euro per ogni volta che me lo hanno detto forse sarei ricca. Eravate una coppia squilibrata(che così pare pure la verità); non eravate fatti l’uno per l’altra; tu sei così intelligente; è stata una fortuna per te lasciarlo; la famiglia del tuo ex ha qualcosa che non va; non so come hai fatto a sopportare per tanti anni; ti vedo rinata; finalmente hai ricominciato a sorridere. Vabbè, ho un sacco pieno di queste frasi che si sono accumulate in quasi 4 anni. Sono certa che a lui dicano lo stesso. Ma che io meriti di meglio, mah, chi lo sa, alla fine ognuno non ha ciò che si merita? Mia sorella continua a dirmi che nella vita mi sono lasciata scappare tante occasioni. Io alla fine ho avuto tante cose belle, e siccome non sono ancora alla resa dei conti, voglio credere che ci siano ancora tante occasioni per me.
In sintesi: barcollo, ma non mollo.
Oppure Se mi rilasso, collasso.
O ancora: nel mezzo c’è tutto il resto, e tutto il resto è giorno dopo giorno.
Se insisti a restare a lavoro chiacchierando su cosa non va nella tua vita non risolvi nella. Lo sfogo (lo hai capito trilionidi anni fa) non ti fa stare meglio. Anzi, mette il focus su quello che non va, quindi ti fa stare peggio. Anzi, more, dovresti divulgare questo tuo Punto Di Vista (PDV), potrebbe fare comodo a qualche spostato come te.
2)Fai una doccia.
L’acqua è il tuo elemento, lo sai, non è che ci fai l’amore con l’acqua, ma riesce sempre a calmarti. Sarà il calore, e tu di calore ne hai bisogno sempre, forse è proprio un fatto biologico, ti hanno sempre detto che sei calda, hai una temperatura alta, quindi senti spesso il freddo. E il caldo ti fa stare bene. E poi c’è quella sensazione di lavarti di dosso la giornata, le incomprensioni, i brutti momenti, dove sei quasi caduta, ma no, non l’hai fatto del tutto. Questa te l’ha regalata tua nonna, che credeva si potesse lavare tutto, anche la colpa, a suon di candeggina.
3)Metti la crema profumata.
Cose da donne, diranno alcuni. Una cosa che mi fa stare bene, annusare qualcosa che conosco, è come essere a casa, ho bisogno dell’olfatto per sentirmi a casa. Potrei spalmarmi di caffè, perché non c’è nulla come il profumo della moka che mi fa più casa. Ma ok anche l’Iris. Basta che non sia il Muschio bianco. E su questo ho già scritto (ma non qui).
4)Togli le tazze della colazione dal lavello.
Anche perché si tratta di migrarle di venti centimetri, dal lavello alla Schiava. Non è proprio una gran fatica.
Nulla mi urta di più della mianegligenza. Non fare le cose che so che dovrei fare mi mette un sacco di meno (-)all’Ego. In modo del tutto fantascientifico non mi curo quasi mai della negligenza degli altri. Altrimenti avrei già decapitato Little Boss…
5)Scrivi il secondo capitolo.
Nulla, in assoluto, mi fa bene come scrivere. Meglio di mangiare, di bere, del sesso (eh, sì). Scrivere mi rende la tizia che allo specchio si riconosce. Quindi aver scritto il capitolo 2 di una storia che ho in testa e funziona mi sento vincente. Sono un po’ come Michael J. Foxin Voglia di vincere. La scena con il padre dove dice: Io ho una gran voglia di vincere. Io pure. Ho voglia di vincere da quando ho memoria. Solo che con il tempo la voglia di vincere si è ridimensionata, va detto.
E quindi ecco qui che il nervosismo sta scomparendo. Mi sono rilassata. E oggi al corso i miei ragazzisono riusciti a inventare un pre dinner degno del nome, e con entusiasmo, e ciò significa che hanno recepito le lezioni. Credo glielo farò mettere nel menù, dobbiamo trovare un nome adatto.
Lancio un mini sondaggio.
Qualcuno ha voglia di rispondere? Il cocktail è composto da un Gordon’s premium pink gin (aroma frutti rossi), Martini Dry e succo di mirtillo. Sì, lo so, è una rivisitazione del Cocktail Martini. Insomma, se l’ha fatto Hemingway, però, possiamo farlo pure noi, eh. È leggermente abboccato, ma prevalentemente secco. Limpido, perché il succo di mirtillo si deposita sul fondo.
Lo so, lo so, è roba da esperti di bevute. E se avevo fatto una foto era meglio.
Dopo avermi dato della kriptonite e aver cancellato il mio numero, l’Amico Speciale si presenta al Ristorante. Tranquillissimo, scherza e ride come sempre. Fa le sue battute, mi prende un po’ in giro, mi chiama per cognome (non lo fa nessuno) e mi offre anche una sigaretta. Poi mi fa: hai da fare, oggi?
E io sì, ho da fare, ho un appuntamento con l’avvocato per la definizione delle linee guida d’attacco.
Vengo con te, mi dice. Ti devo parlare, così parliamo durante il tragitto.
Ok, rispondo. Penso che ci siamo già detti tutto, ma magari ha cambiato idea su qualcosa? In ogni caso non ho tanto tempo per pensarci, la sala è pienissima (la legge del Menga vuole che se io ho un appuntamento nel pomeriggio e devo scappare subito dopo il turno, la sala si riempie come se fuori ci fosse scritto Oggi si mangia gratis) e io devo cercare di non lasciare troppo del mio lavoro a Micro(bo). Alle tre in punto scatto come una lepre e mi precipito fuori. Lui è già lì che mi aspetta, monta in macchina, parto a tutto gas, chè devo fare anche benzina e intanto il silenzio è carico, mi deve dire delle cose, ma non parte, allora chiedo e lui dice: c’è anche il ritorno, no? Chè magari sennò mi lasci a piedi laggiù. E ride. Vabbè. Aspetto e guido.
Poi si toglie gli occhiali alla Chips e mi chiede: ma per esempio che succede se ti bacio?
Beh, che succede, mica implode l’universo, ma bisogna anche definire, no?
E allora che sono, io?
Sei quello che sei sempre stato, un Amico Speciale. A cui voglio bene, non si mette in dubbio. Con cui non ho avuto coraggio di fare un passo avanti per mille motivi e con cui iniziavo a stare male, in una mezza storia.
E io però non glielo chiedo cosa sono io. Perché non so se ho voglia di sentire la sua risposta ora. Perché questa domanda gliela ho già fatta, in passato, molte volte, e non c’è mai stata una risposta, così io mi sono fatta la mia idea, certo, forse ci è mancata un po’ di comunicazione.
Stiamo arrivando a destinazione e non è che siamo detti nulla di nuovo. Ma lo vedo che si sta incazzando. Gliela sento la rabbia che sale, come se gli uscisse fuori dal naso.
Mi dice che si è beccato tre anni di merda.
E io lo so, sono stata io a dirglielo.
Dice che con me ha chiuso con le donne.
Ah.
Dice che non doveva venire con me a mangiare il sushi, quella sera.
Ah. Ah.
Io ci provo a non piangere, ma mi fa male. Mi becco tutto la sua rabbia in silenzio.
Appena parcheggio lui vuole andarsene, Prendo un treno.
Resta, per favore. Non abbiamo finito, mento. Mento perché non voglio che finisca così. Io che lo lascio a piedi e lui che si smazza per tornare a casa.
E allora resta.
E io continuo a frignare fino a che non arrivo davanti alla porta dell’avvocato, ma poi basta. Poi stop. Poi mi sforzo di farmi crescere le palle, di stare concentrata. E mi becco il culo pure dall’avvocato, perché non ho mai fatto nulla finora, nulla di legale, dico: niente diffide, niente denunce. Ho un sacco di merda che mi sono subita (e, a questo punto, ho fatto subire all’Amico Speciale) che non ho mai pensato di mettere all’evidenza di avvocati o forze dell’ordine. E lo so, ma io l’ho fatto per lei, per Little Boss. Gli hai reso la vita facile, al tuo ex, dice l’avvocato.
Lo so.
E ora sono cazzi per te, insiste.
Lo so.
Dovrai avere testimoni, prove…
Lo so.
Sarà difficile.
Lo so.
Ma ci proviamo, ok?
Ok.
Esco bastonata. Ma le bastonate non sono finite, ovvio.
L’Amico Speciale non chiede nulla quando risalgo in auto. Parto ed è un silenzio assordante. È così fino quasi all’arrivo. Fino a che non esplode. E si incazza di brutto e allora anche io mi incazzo e finisce che litighiamo. Ed è la prima volta che alziamo i toni in tre anni e allora scende sbattendo lo sportello, Buona vita, dobbiamo stare lontani.
Lo so.
Ok.
Pare che oggi non abbia altre risposte nel sacchetto delle risposte.
Serata in cui di nuovo penso che dovrei smettere di relazionarmi con le persone se il risultato è sempre questo. Insomma, routine.
E poi ecco che oggi l’Amico Speciale si presenta di nuovo. Tranquillo. Sorridente. Mi mima qualcosa da lontano, ma io non capisco e faccio il gesto del dito rivolto all’orecchio. Solo che ho in mano un coltello e mi va di lusso. E no. Non ho capito cosa mi ha detto. Sorrideva quando è andato via.
E va beh.
Se me lo chiedete, no.
Io nella vita e con le persone, nonostante il vivo interesse, ancora non c’ho capito nulla…
Quando accendo il pc mi viene d’istinto di aprire la cartella Moon e il Censore sul mio desktop. Anche quando so perfettamente che dovrei fare altro.
È stato così anche stasera, sono venuta prima qui, ho scritto una mezza pagina di incoraggiamento e poi ho aperto il racconto sul narcisista. Ed ecco che la distanza dalla meta l’ho accorciata di un migliaio di parole.
Poi quella mezza pagina l’ho buttata. Aveva assolto al suo compito.
Quindi oggi faccio la somma delle azioni e ne esce una cifra positiva. Anche se devo dire che sono sfinita. E raffreddata. Di nuovo. Qui si gela, non so da voi.
Il mio premio non in denaro per tutte le azioni che ho compiuto oggi (appuntamento per Little Boss dall’estetista – non commento più questa cosa-, revisione della macchina, voltura del contratto dell’acqua, bucato, racconto, una vera cena per la piccola iena) è un po’ di musica e, più tardi, un bicchiere di vino. Che quando dico che mi accontento di poco è vero.
Tutto il resto sta andando dove deve andare, come il percorso di un fiume, ogni tanto la vita mi lancia ai piedi qualche Sorpresa che io raccolgo felice per riempirci questa parola, Sorpresa, una parola che anni fa avevo svuotato del tutto. E quindi ci mettiamo l’Amico Atipico che si sorbisce la mia lagna per un racconto rifiutato da una rivista; ci mettiamo aver parlato con qualcuno che pensavi fosse in modo, scoprendo che in realtà è proprio così (ogni tanto il naso mi funziona ancora, anche se è raffreddato); ci mettiamo l’operaio del comune che mi porta a casa due bottiglie di vino come regalo di Natale; ci mettiamo un biglietto criptico lasciato nella tasca della mia giacca dalla mia collega zen, La Verità è il cammino, il Bene l’azione e il Bello il sentimento (Meishu-Sama), che ancora devo capire cosa cavolo significa, sul serio, ma lei è una che fa Sekai e qualcosa, non so che diavolo di disciplina sia, fatto sta che oggi ha visto mia madre (che è passata a trovarmi) e quando se ne è andata ha detto: come si vede che andare d’accordo. E io penso: come si vede che questa disciplina ti fa usare droghe pesanti. Ma non lo dico.
Ci voglio mettere anche, nella parola Sorpresa, le mie nuove reazioni nei confronti di TDL, che mi manda messaggi per chiedermi quale vino si abbina con il tartufo. Già che penso che il tartufo sia sprecato per uno che lo vuole tagliare a tocchi con il coltello… e poi non ama il Chianti. Mi chiedo allora quale vino ci berrà, il Tavernello? Ma la Sorpresa, dicevo, è nelle mie reazioni. Stanno sparendo. Quelle fisiche, dico: battito accelerato, voce squillante, gambe che cedono… Lo vedo e nulla. Mi manda messaggi e non corro a leggerli. Non lo sto più evitando. Anzi, spesso lo cerco. E le nuove reazioni mi sorprendono (piacevolmente). Forse c’è stato un chiodo scaccia chiodo un po’ sui generis. O forse è arrivato il momento che tanto aspettavo dall’inizio. Ogni giorno che passa sento che c’è qualcosa di meno. Le emozioni a sottrazione: che cosa buffa in realtà.
Oggi ho aggiunto, quindi, fatto somme, sottratto.
Arrivata a fine giornata mi sento un calcolatore.
Forse ha ragione Barbara: dico dico, ma poi da un certo orecchio non ci sento mai…
Quello che trovo estremamente buffo nella mia vita è il modo in cui mi arriva la stanchezza.
Quasi mai è una stanchezza fisica, così come i dolori, quasi mai sono dolori veri, e con veri intendo non causati da quel piccolo neurone solitario, che sì è solo, ma fa gran danni.
E quindi mentre sono lì che rifletto sul perché ho un dolore allucinante al basso ventre martedì mattina, ecco che arriva la risposta: sono semplicemente incazzata. E accanto a incazzata ci metto: delusa, allibita, preoccupata e tutta un’altra serie di aggettivi che vi risparmio.
Insomma, pensavo che il vero scalino di questo mese fosse (in ordine di comparizione): mettere il punto simbolico con TDL, lasciare l’Amico Speciale e farmi togliere un tumore.
Ma no.
Il vero scalino sto per farlo adesso. La vera guerra inizia ora. Il padre di Little Boss ha dichiarato che non vuole più fargli da padre. E io, che finora ho tollerato le sue follie, ora ho deciso di non tollerare più nulla. Anzi, lo ha deciso Little Boss.
Saranno mesi duri. Molto duri. Ma sopravviverò anche a questo, ne sono certa. Ho un fine ben preciso che ha i capelli neri, adora le serie tv e ha i primi brufoli sulla pelle.
Penso ad altro per distrarmi mentre il mio avvocato mi prepara l’armatura e l’elmetto.
Penso al percorso dei sentimenti. Ovvero: come sono arrivata a provare un certo sentimento per quella persona?
Ora, detta così può suonare una cosa stupida, ma sono un paio di giorni che ci ragiono su senza venirne davvero a capo, diciamo che la mia è solo una sensazione, ed ecco perché ho bisogno di scriverla qui. Stavolta anche per avere un parere.
Fate conto che esiste una persona nella vostra vita. Chiunque. E questa persona fa cose che vi fanno stare bene e cose che vi fanno stare male nel corso degli anni. A un certo punto il vostro neurone solitario decide che, sulla bilancia, nel piatto del Bene c’è meno roba che nel piatto del Male. Quindi prendete una decisione a riguardo. Il vostro sentimento nei suoi confronti sarà di un certo tipo (ma può accadere anche il contrario, che il piatto del Bene sia più pesante, non importa: è solo un esempio). Passa il tempo. Accadono anche altre cose. La bilancia pende un po’ a destra e un po’ a sinistra, spesso si inclina tutta da una parte ricordandovi il vostro sentimento. Potete anche cambiare idea, ovvio, ma ci sarà comunque un percorso del sentimento che vi ricorderà, ad esempio, che comunque il piatto del Male (o del Bene) è stato ricolmo. È tutta una questione di bilanciamento, non so se mi spiego.
Dove voglio arrivare… il fatto è che credo che il mio lampione che segna il percorso del sentimento abbia qualche problema. Mi dimentico spesso le cose brutte che mi hanno fatto nel corso degli anni, le metto in un cassetto, dimentico come cavolo stavo in certi momenti per colpa di alcune persone. Tendo a perdonare perché il mio cervello mette da parte certe cose. Il che, scritto così, è inquietante. È come se fossi sempre sprovveduta.
Ma la cosa peggiore è che ci sono volte, invece, che il mio istinto parte per riflesso e alzo muri a prescindere proprio per non ripetere certe esperienze.
Quindi: da una parte dimentico, dall’altra no. Ma lo faccio nel modo sbagliato. E con le perone sbagliate.
Mi rendo conto che il mio ragionamento sia molto contorto. Neanche metterlo nero su bianco lo ha reso cristallino.
Chiunque sia arrivato in fondo senza vomitare per il giro su stesso che ha fatto il proprio cervello può dirmi la sua sul percorso dei sentimenti.
Nel frattempo io mi godo la vista della stella di Natale che mi è stata regalata dalla Misericordia. L’ho fotografata. Ma Little Boss mi ha suggerito, giustamente: perché non la metti fuori sul pianerottolo così non la vedi morire giorno dopo giorno?
Chissà se riesco a farla vivere almeno fino a Natale…