Riordinando

La settimana passata è venuta mia zia a trovare mio padre. Pure lei si è resa conto che la situazione ormai è al limite della disperazione. Come è arrivata mio padre ha avuto una crisi, il che non mi sorprende. Pure Badante 3 ha avuto una crisi, povera donna, torchiata perché la tovaglia non era pulita e i vetri sporchi. Io non guardo a queste cose, capisco che passare tutto il giorno con una persona malata che non dorme possa un pelino accasciarti e pulire i vetri lo metto all’ultimo posto.

Come una meteora, il giorno dopo se ne è andata, con grande gioia di tutti. Dietro di sé ha lasciato una scia di numeri di telefono di Rsa, così, per ripulirsi la coscienza, si vede, ma ha lasciato a me la decisione finale, ovviamente, il suo aiuto è stato decisamente marginale. Anche se è stato sempre più di quello di mia sorella che, avvisata del peggioramento ormai da tre settimane buone, ancora non si è vista e, quando l’ho chiamata per dirle dell’Rsa ha risposto: ah, ok ok. Punto.

Ma qualcosa di buono c’è sempre, credo. Tutta la pesantezza della condizione personale svanisce quando sono a lavoro e mi permettono di fare quello in cui sono più brava: il lavoro al banco. 

Questa settimana il mio collega, il Nuovo Micro(bo), come lo chiamo io, era in ferie e ho preso il suo posto. Il lavoro al banco del bar scorre fluido e veloce, non ci sono mai tempi morti, devi stare sul pezzo, non perdere il passo e questo richiede molta concentrazione, ma è una concentrazione buona perché io so quello che devo fare e ottimizzo ogni passaggio. In più c’è la componente sociale, al banco, anche se il tempo è poco, puoi conversare con i clienti che, solitamente, se vengono a fare colazione al bar, sono ben disposti, felici. Insomma, non sono mica in fila alle Poste. 

Devo dire che, nonostante voglia licenziarmi ormai un giorno sì e uno no (letteralmente), mi piace il mio lavoro. Mi piace perché sono brava, sono brava perché mi piace. Ma, c’è un ma. L’ambiente di lavoro a volte, con i colleghi, ma soprattutto con il Capo e la Figlia del Capo, è insostenibile. Il clima è pesante, carico di critiche per le piccole cose, mentre per le grandi non c’è alcun occhio. L’unico rifugio sono, appunto, i clienti. Adoro stare in mezzo a loro e adoro renderli felici, perché immagino sia quello che cercano. Questa settimana faccio il turno serale, come cameriera al Ristorante. Non amo lavorare la sera, soprattutto ora, che ho problemi a dormire e questo turno mi costringe ad andare a letto tardi, incasinando la mia regolarità. Ma almeno avrò poco a che fare con Capo e niente a che fare con Figlia del Capo. Non vedrò l’Amico Speciale fino a sabato, immagino. Così non litighiamo, mi dice lui sorridendo. In realtà mi mancherà tantissimo, è di grande aiuto negli ultimi tempi, riesce sempre a sdrammatizzare tutto, mi aiuta molto nelle cose pratiche, mi abbraccia forte quando ne ho bisogno. 

Questo post è stato un post più per me che per voi. Come ai vecchi tempi, mi è servito per rimettere in ordine il cervello. Parlare non mi fa questo effetto, parlare mi confonde ancora di più, scrivere invece ha quella forma particolare, sono in silenzio, posso farmi trascinare nella direzione più consona, senza distrazioni. Posso rimettere tutto in ordine con i miei tempi. 

Nei periodi bui scrivere mi è sempre stato di conforto. Nel caso specifico oggi ho capito alcune cose. E quindi ringrazio anche voi, che siete qui a leggere le mie elucubrazioni. 

Sempre nella speranza di tornare a una vita pressoché normale, 

vostra Moon

Pubblicità

Sul mondo del lavoro

La badante di mio padre ha tre figli e non ha un marito. Il padre ha fatto la fuga (o lo ha cacciato lei, ancora, dopo un anno, non mi è del tutto chiaro) e ora le dà una miseria per i figli. Una situazione che io comprendo. I soldi che le do non le bastano e quindi ha trovato un lavoro integrativo. Che però la fa arrivare tardi da mio padre, quasi all’ora di pranzo.

Siccome sono un po’ paranoica ultimamente (vabbè, ne ho ben donde), ho voluto cercare un’altra persona che potesse andarci due ore la mattina. Giusto per vedere cosa combina, dargli una mano a vestirsi se c’è bisogno, accompagnarlo fuori a fare colazione. Cose così. 

Ho messo quindi un annuncio su tre siti diversi. Due sono propriamente per la ricerca di badanti o baby-sitter, hanno nomi tremendi, ma una banca dati abbastanza aggiornata, perlomeno uno (ed è lì che ho trovato la prima badante). Uno è Subito. 

Sui siti dedicati mi hanno risposto alcune persone, di cui ora ho i contatti e che sentirò nei prossimi giorni. Ma essendo un lavoro di poche ore ovvio che ci vuole una persona che abita qui vicino e che abbia la macchina, un’abbinata non facile ho scoperto. 

Su Subito mi hanno risposto in molti. Il primissimo era un certo Tom, indiano, che mi ha lasciato il suo numero. Chiamo e mi risponde subito. 

Salve, io sono Tom (classico nome indiano, penso) e sono disposto per lavoro.

Ok, Tom, ma ha letto l’annuncio? Sono poche ore, lei dove abita?

A XXXX (città a 50 chilometri di distanza).

Cerco di spiegargli che il lavoro è troppo lontano, ci rimetterebbe di benzina, lui mi dice che non ha la macchina, che vive vicino alla stazione dei treni. 

Ma lei sa dove si trova il paese dove abito?, chiedo.

Sì, si, fa lui. Insiste che con i mezzi pubblici può arrivare. Per arrivare qui o andarsene ci sono sì e no 5 autobus al giorno. Inoltre il tempo da XXXX a qui, con i mezzi, raddoppia, se non peggio. Bello vivere in campagna, no?

Lui insiste, c’è anche un suo cugino che per duecento euro al mese può vivere con mio padre e fargli da badante. Terrorizzata, attacco. 

Ma non è l’unico disperato che mi contatta, solo che ora ho imparato e non chiamo più. 

Mi chiedo quindi queste persone come diavolo vivano, ma non è che ne abbia proprio il tempo, di pensarci, perché arrivano altre risposte, una dietro l’altra, qualcuno manda il C.V., una ragazza ha addirittura 19 anni…

Poco tempo fa un autista di pullman si è trovato al Ristorante dove lavoro a parlare con un autista di camion. Entrambi si lamentavano perché la loro azienda non trovava nessuno da assumere. Erano tanto disperate, le aziende, che offrivano anche il pagamento per prendere le patenti relative (e che costano abbastanza, in effetti), la CQC e l’ADR. A quel punto si è unito anche il mio capo, che pure noi abbiamo cercato personale per mesi senza trovarlo. E non solo noi, anche altri ristoratori si lamentano che non si trova personale (un mio amico ha dovuto addirittura rimandare l’apertura stagionale del suo ristorante sul mare perché non trovava camerieri e alla fine ha dovuto assumere suo figlio che era tutto tranne che felice di lavorare con lui). 

Insomma, dicevano, ma la gente che lavoro fa, allora, se in tutti i settori manca personale da assumere?

Bella domanda. Forse al tempo di questa discussione non c’era ancora Giorgia che ha falciato il Reddito di cittadinanza (e ora invece sì). O forse tutti vogliono fare il badante. O forse tutte queste persone che mi hanno contattato sono irregolari in Italia e non possono essere assunti. O forse, visto che la ragazzina di 19 anni è italiana, c’è qualcosa che non torna… 

Comunque ora vado, che ho il primo colloquio. Vediamo come va.

T.D.B. richieste specifiche

E dopo un argomento un po’ ansioso e deprimente, tornano i T.D.B. 

Che diciamocelo, sono la mia consolazione… 

RICHIESTE SPECIFICHE

Il Preciso

C.P.: Buongiorno, vorrei due etti di pasticceria mignon fresca

Io: va bene, cosa metto?

C.P. faccia lei… anzi no, due con il cioccolato, due con la crema, no, non quello, l’altro, no, di quello solo uno, sì, l’altro ce lo levi…

Io: va bene così? Sono due etti e mezzo

C.P: no, allora ne tolga qualcuno. Quello con la crema, non quello, l’altro, con la frutta, sì, quello.

Io: Ora sono un etto e novanta. Va bene?

C.P: no, metta un’altra panna cotta, ma non quella in fondo, quella in cima che mi piace di più. 

(Io vado alla cassa ripetendo: amo il mio lavoro, amo il mio lavoro…)

L’esteta 

C.E: Vorrei una torta

Io: certo, signora, quanti siete?

C.E: Mah, saremo… mi faccia pensare… cinque! Sì

Io: allora avrei questa, con la crema, poi il cheesecake, il tiramisù, la sacher…

C.E: non saprei… volevo una torta tonda

Io: … signora, sono tutte tonde…

C.E: sì, ma non tonda così… non glielo so spiegare…

Io: ne voleva una con la panna sopra? Un Pan di spagna, un millefoglie?

C.E: no… questa mi piace (indica il cheesecake), ma non c’è più tonda? 

Io: più alta? Più grande?

C.E: no, più tonda! 

Io: no, signora, più tonda di così mi sa che deve chiamare Giotto, eh!

 E per finire…Lo sboccato

C.S: Vorrei ordinare una torta di compleanno. Per un amico

Io: Benissimo, cosa aveva in mente?

C.S: un pene

Io: …come?

C.S: sì, un pene, un cazzo, insomma. Si può fare?

Io: …beh, sì… ok, posso fare un Pan di spagna ricoperto di panna…

C.S: bene. La torta è per sei persone. Sopra ci vorrei la scritta Mettitelo nel c*** (ma senza asterisco)

Io: ma è sicuro che sia un suo amico?

So che vorreste vedere la foto della torta dello sboccato… direi che è venuta anche bene, alla fine. Devo dire che per ora vince la classifica delle richieste più assurde nel laboratorio di pasticceria… 

Rivoluzioni e anarchia

Siccome anche la volta scorsa ho parlato di lavoro, mi pare carino restare in linea. 

In questi mesi abbiamo visto passare diverse crisi. Dopo una pandemia di certo la crisi energetica non è stato il massimo per la nostra attività (vi basta leggere qualche post su Facebook de Il barista incazzato per capire che siamo tutti un po’ traballanti). Comunque il colpo di grazia lo ha dato il commercialista che, a settembre, è venuto fuori con questa frase: il costo del lavoro in questa attività è troppo alto. Il mio Capo, che si spaventa non con i fatti, ma solo con le parole, è affondata nel panico. E noi di conseguenza, visto che siamo il lavoro che costa troppo. Immaginavamo già teste tagliate, straordinari non pagati o peggio: stipendi non pagati. Ma qui è arrivata la Figlia del Capo. Come saprete ma non vi ricorderete la F.D.C. ha fatto scuola di alta pasticceria da millemila euro e ha lavorato in laboratori prestigiosi durante lo stage. Quindi si è offerta di riorganizzare il lavoro rendendolo più efficiente. 

Il mio settembre e il mio ottobre sono stati da incubo.

Non tanto per la riorganizzazione in sé, che comunque mi chiedeva di fare sempre più cose in sempre meno tempo (e io sono già una scheggia), ma soprattutto perché la F.D.C. non ha idea dei tempi che mi occorrono per fare le mie preparazioni. E io, beh, li conosco, ma spesso devo mettere in cantiere varie ed eventuali: nel momento in cui devo usare l’impastatrice magari è occupata, qualcuno al bar mi chiama per dare una mano o prendere l’ordine di una torta, il dannato barattolo della marmellata è finito e devo andare in magazzino a prenderne uno nuovo. Insomma, non è facile stabilire i tempi al millesimo. Prima mi sono sempre organizzata da sola. Impastatrice occupata? Mi metto a coppare i biscotti. Mi chiamano dal bar? Metto in cantiere il lavoro che sto facendo per il giorno dopo. Ma dover rendere conto a lei è stato frustrante, soprattutto perché la F.D.C. e il Capo hanno litigato per due mesi di fila proprio per queste questioni.

F.D.C: no, Moon non può venire al banco del bar, deve finire il suo lavoro.

Capo: ma ci serve, c’è pieno di gente!

F.D.C: Dovete organizzarvi al bar da soli, come io organizzo la pasticceria

E da qui partivano gli insulti reciproci. Risultato? Il bar pieno di gente costretto ad ascoltare i loro improperi e Moon al banco a sostituire il Capo che litiga con F.D.C. (e che quindi non finisce il suo lavoro)

Scene come questa un giorno sì e uno no (con relativo gelo nella stanza una volta finita la lista degli insulti) ti fanno venire voglia o di consumare droghe pesanti o di andare via. Io sono sempre stata rispettosa della legalità (e poi sono una a cui piacciono le dipendenze, quindi meglio non iniziare) e ho optato per cambiare lavoro. Basta sabati e domeniche a lavoro! Voglio fare la segretaria, la bibliotecaria…l’impiegato comunale! Ecco che arriva un concorso e mi inscrivo. E vabbè, è un progetto a lungo termine, lo capisco appena mi arriva il libro da mille pagine che devo studiare, non sarà facile imparare il diritto e come funzionano le P.A., dovrò studiare per mesi, organizzarmi, ma lo reputo un buon piano. 

Nel frattempo le cose al lavoro cambiano di nuovo. La F.D.C. dopo due mesi di prova non solo non porta risultati rivoluzionari (dire è più facile che fare), ma litiga a morte con il Capo che si riprende tutto il potere decisionale che aveva prima. Ovvero nessuno. 

Quindi ora la pasticceria è di nuovo in regime di anarchia. E funziona. Dopo i mesi di ottobre e novembre pure l’allarme costo del lavoro è cessato perché abbiamo lavorato tanto, incassato tanto (complice la stagione turistica che si è allungata in modo anomalo) e il Capo è tranquillo. 

Che lezione si può trarre da questa storiella? Semplice: se una cosa ha funzionato per anni, seppur in modo distorto e non organizzato, può continuare a funzionare ancora. Basta avere un obiettivo comune. Anche io ho un obiettivo comune. E ora vado a studiare. 

T.D.B: il pagamento

Sono nella classica posizione della fancazzista: colazione alle otto e mezzo, lettura dei quotidiani, una mattinata che prevede quello che di solito le donne amano ma io no: cucinare e pulire. Non giudicate: ho scritto di solito. O forse il mio ultimo modello rimasto è mia madre, classe ’51. 

Comunque, in questa splendida mattina uggiosa e umida di fine novembre, in un giorno di ferie del tutto inatteso (di recente mi danno le ferie e spot, il mercoledì, poi giovedì lavoro, un venerdì, sabato e domenica lavoro, cose così), mi appresto a parlarvi del lavoro, con un’altra incredibile puntata di Tipi da bar(T.D.B.)

IL PAGAMENTO

IL Cliente Generoso

(Arriva alla cassa signora di una certa età)

Io: sono due euro e quaranta centesimi

C.G.: Vuole la moneta?

Io: Magari, signora! Abbiamo sempre bisogno di spiccioli!

(C.G. tira fuori il portamonete che pesa due chili)

C.G: Un attimo, eh, che senza gli occhiali… aspetti che li cerco, devono essere proprio qui…

(Io attendo, la fila alla cassa si ispessisce)

C.G: Dieci, venti… questi sono cinque centesimi? (Guarda alla luce e li gira venti volte. Qualcuno dietro di lei la scavalca e mi dice: il resto me lo dai domani eh!)

C.G: Un euro, un euro e due centesimi…

(Io torno a servire altri clienti)

Dopo trenta minuti

C.G: ci siamo! Due euro e quaranta! 

(Io guardo basita il mucchio di monete rossicce vicino alla cassa)

C.G: Li riconti, forza! Che io non ci vedo eh!

Il Cliente Furtivo

C.F: Pago un caffè

Io: un euro e dieci

C.F: ho solo cinquanta euro…

Io: vabbè, le cambio

(Metto il foglio dentro la nostra macchinetta/rivelatore di soldi falsi: suona. La ripasso. Suona. La ripasso. Suona)

C.F: Non li prende?

Io: a volte lo fa, ci vuole un po’ di tempo…

C.F: va bene, guardi, ho trovato le monete. Grazie, arrivederci.

Io: hum….

Il Cliente del Pagato

C.P: allora pago per me e per il Necci

Io: e chi è il Necci? 

C.P: ma dai, quel signore alto, capelli neri, che guida la panda bianca

Io: qui dentro ci viene a piedi…

C.P: Quello che lavora nella ditta X. Insieme al Bianchi.

Io: e chi è il Bianchi? 

C.P: capelli grigi, porta un piumino, ha il furgone … 

Io: …

C.P: sai che ti dico? Lascio la colazione pagata anche al Bianchi!

Il Cliente che Vuole Regali

C.V.R: Ero al tavolo tre de ristorante, quanto spendo?

Io: quindici euro. Serve la fattura o va bene uno scontrino?

C.V.R: anche nulla, per me può non farlo (ammicca)

Io: io li devo fare, sa? 

C.V.R. paga e chiede: mi versi una grappa?

Io: ecco, sono tre e cinquanta

C.V.R: ma come, ho speso quindici euro e non mi regali neanche una grappa? 

Io: …

Il Cliente Scordone

C.S: ho preso un caffè e una pasta

Io: Due e venti. Grazie, arrivederci

C.S. (mentre sta andando via) ah, mi potrebbe dare anche una brioche da portare via? 

Io: certo, come? 

C.S: alla crema. No, aspetti, alla cioccolata ce l’ha? 

Io: le ho entrambe.

C.S: alla crema. Quant’è?

Io: uno e dieci. Grazie, buona giornata

C.S: (mentre sta uscendo) ma mi dia anche quella alla cioccolata! Le devo? 

Io: sempre uno e dieci. Grazie, arrivederci

C.S: mi scusi, eh, le ho fatto fare tre scontrini. È che mi sono dimenticata che ho i nipoti a casa e…

Io: si figuri, a presto

C.S: (mentre sta andando via) mi scusi…mi incarta anche un panino al tonno? Quant’è? 

E per finire… un classico: il Cliente Taccagno

C.T: una pasta e un cappuccino di soia

Io: Due e settanta

C.T: come due e settanta? Ho sempre speso due e cinquanta

Io: sì, ma il cappuccino che beveva prima era normale, questo è di soia. Costa venti centesimi in più

C.T: accidenti. Come siete cari. Nel bar di fronte spendo meno, eh. 

Io: (Esatto: mi trattengo dal dire che può tranquillamente andare nel bar di fronte: non ci mancherà) Mi dispiace signora, i prezzi sono questi e sono esposti

(C.T. esce borbottando che non torna più. Quei venti centesimi per la colazione al bar dovevano essere proprio fuori budget)

E ora la mia lavatrice è finita e vado a sistemare il bucato. Se siete uno di questi T.D.B. fatemelo sapere: non vi dirò mai dove lavoro!

La Moon frettolosa portò gli spaghetti della casa impiattati col nido

Oggi pomeriggio, finalmente, lo dedico al pigiama. Sarà una settimana che le giornate mi scivolano via come una saponetta, mentre non mi sembra di non fare altro che correre: corro a lavoro la mattina, corro a decorare biscotti, pulire i pavimenti, sparecchiare e apparecchiare tavoli; corro a casa dopo il lavoro, corro per preparare cena, pulire i pavimenti, fare la spesa (per me e per mio padre), portare sempre mio padre alle visite a casa del diavolo, andare a riprendere Little dal fidanzato, portarla a comprare il tablet a casa del diavolo, fare lavatrici, lavastoviglie, asciugatrici. Spesso corro anche a letto, per paura di non riuscire a dormire abbastanza. 

Moon corre.

Che poi tutta questa fretta per fare le cose non la capisco, sul serio. Lunedì mattina, per esempio, mi sono alzata e ho iniziato ( a corsa, manco a dirlo) a pulire casa, poi sono andata a fare la spesa, ho pulito l’interno della macchina (sul vetro c’era una nebbia che non si vedeva un palmo dal naso), poi sono andata a pranzo da mia madre (che sennò da me non ci vieni mai, ma da quell’altro ci vai sempre), sono passata a pulire la macchina anche fuori (per coerenza) e ho ritirato Little Boss alla Cittadina, che il suo fidanzato dopo due settimane è finalmente guarito dal Covid. Alla fine della giornata ho spuntato un sacco di voci dalla mia lista, ma ero più stanca dei normali giorni di lavoro. In pratica sono sempre in gara con me stessa. 

E poi invece guardo le altre persone che se la vivono in modo mooolto più serafico e mi chiedo: come fanno? Il nostro nuovo cuoco, per esempio. La cuoca storica va in pensione e il Capo ha preso questo ragazzino qui. Mia nonna direbbe che è un tipo tutto Sussi e Biribissi; mia madre direbbe invece Non mi tocchete che mi cachete; l’Amico Speciale, appassionato di classici, esordirebbe con Perché io sono io e voi non siete un cazzo! Con questo non so se ho chiarito… bravissimo ragazzo, ci mancherebbe, ma un po’ abituato a fare il nido quando impiatta le tagliatelle, mentre i nostri clienti sono più tipi da Metto il formaggio anche sullo scoglio.  

Quindi l’altro giorno. Arriva una coppia. Due spaghetti della casa. E poi per dopo vediamo, dicono. Mando la comanda in cucina e intanto arriva un’altra coppia. Due spaghetti della casa. E per dopo vediamo. A volte ci sono queste giornate con comande gemelle, non chiedetemi perché o a quale mistero rispondano perché io non mi capacito mai. Comunque. Proprio quando stavano uscendo gli spaghetti del primo tavolo, ne arriva un altro. Io, con la mia solita fretta, vado in cucina a controllare, vedo gli spaghetti nella padella e mi dico, vabbè, sono pronti, aspetto, porto i piatti e poi prendo l’ultimo ordine. Il cuoco (ma lui direbbe lo chef) inizia a impiattare: prende il mestolo, le pinze, fa i suoi nidi, distribuisce la salsa… io, nel frattempo, mi raccolgo il latte uscito dalle ginocchia. Faccio capolino fuori e l’ultimo tavolo alza la mano per chiamarmi. Guardo il cuoco/chef ed è sempre lì che impiatta. Scatto dentro, scatto fuori e non so cosa fare, vorrei urlare: dammi ‘sti cavolo di piatti e lasciami uscire,ma non ho abbastanza confidenza. Finalmente sono pronti, esco, li porto al tavolo, corro al tavolo che mi ha chiamato, grande sorriso sotto la mascherina (ma dagli occhi si vede lo stesso). No, sa, mi fa il tipo, è che abbiamo un po’ di fretta. (sapessi io quanta fretta ho!)

No, no, scusatemi voi, dico (vorrei dire che è colpa del cuoco/chef bradipo, ma sto zitta). Sono pronta: cosa vi porto? 

Indovina indovinello?

Due spaghetti della casa. 

E poi dopo vediamo. 

Forse tutta ‘sta fretta non la avevano, in fin dei conti… io invece…

Per fare un tampone, non ci vuole il Covid, per fare il Covid, ci vuole poco

Era molto tempo che non scrivevo di mattina. 

Sarà che i miei giorni liberi ultimamente li ho sempre passati rincorrendo questo o quello. 

E ora sono di nuovo a casa, il Ristorante ha chiuso i battenti per mancanza di personale, tutto sottoposto a quarantena preventiva. Un eccesso di zelo, direi, dato che per adesso nessuno dei contatti dei miei colleghi è ancora risultato positivo. I tamponi non si trovano, le asl sono intasate, i medici non rispondono al telefono perché oberati di richieste. Siamo il risultato dei titoli dei giornali di questi giorni: l’economia bloccata dalla quarantena di gente che in realtà sta bene. 

Ieri mattina io e Little siamo partite per farci un tampone. Avevo chiamato la sera prima la farmacia e, dopo sei tentativi, sono riuscita a parlare con qualcuno.

Salve, le faccio una domanda che di rado le faranno in questi giorni. Tamponi?,ho chiesto.

Lei ha riso e ha detto: può venire dalle… alle… senza prenotazioneLa fila è lunga ma scorre.

Esaustiva al punto giusto.

E in effetti la fila era lunga, invadeva tutto il parcheggio, a occhio e croce avremo avuto una sessantina di persone in fila davanti a noi. Io e Little ci siamo messe buone buone ad aspettare, Little cercava di leggere il suo libro, io mi sono trovata a far conversazione con quella davanti e quelli dietro. Dietro di noi c’era una coppia di persone anziane, lui sordo come una campana, lei mite e silenziosa. Dopo poco ho sentito lui dire, Non hai messo la mail sul foglio! Devi tornare dentro (la farmacia, NdR)per prendere la penna

Allora io, che non mi faccio mai i cazzi miei e ho un esercito di penne nella mia super-borsa-arma contundente-che può uccidere all’occorrenza, le ho porto la mia. La signora ha scritto la mail appoggiata al muro, me l’ha resa, l’ho rimessa nella borsa. 

Nel frattempo la ragazza davanti a noi parlava al telefono con mezza Toscana, più o meno. Incazzata come una mina e con un cappottino peloso rosa pastello che lei stessa ha definito da Diva, sentivo che parlava di uscire dalla quarantena.

Ma dai che ho solo avuto un po’ di febbre, ora faccio il tampone ed esco, eccecavolo! Non possono tenerci in galera! Si gira verso di me e fa l’occhiolino. Sorrido forzata e faccio un passo indietro. nessuno mantiene le distanze, nessuno le fa mantenere. Solo in quel momento realizzo che la ragazza davanti a me potrebbe essere ancora positiva. Facendo il passo indietro mi trovo più vicina alla coppia di vecchietti Sordo-Mite. Sordo mi dice che loro hanno tre dosi, ma vogliono essere sicuri, fanno un tampone solo di controllo. Sa, noi vediamo i nipoti, aggiunge. Giusto, gli untori, i no vax non per scelta ma per mancanza di possibilità (per ora), l’anello debole della catena vaccinale. 

Durante l’attesa qualche animo si scalda (scusate la banalità da tabloid), una donna urla contro il personale che fa i vaccini, loro rispondono a tono, ma mi perdo gran parte della baruffa perché sto cercando con Little la traduzione di moose in inglese e non ci torna che un moose (alce) possa entrare nella dispensa di Rapunzel (Sta leggendo un libro in inglese che pare sia la trasposizione letteraria del cartone animato, Rapunzel; o forse è il cartone animato a essere la trasposizione cinematografica del libro, non lo so, non abbiamo approfondito). E mentre le dico che forse gli è scappato un refuso e la parola è mouse (topo), Sordo mi batte sulla spalla e mi chiede: che ha detto?

Non ero attenta, scusi. 

Eh, fa lui, la gente ora è nervosa, non vorrei essere nei panni di quelle infermiere (che forse infermiere non sono, ma vabbè, non puntualizzo). 

E sa quale altro mestiere non farei? Il barista. Essere barista ora…

Eh già, rido sotto i baffi. Lo so bene!

Ah, scusi! Lei fa la barista?

Tra le altre cose…

Ha sbagliato lavoro! Se faceva l’infermiera ora aveva il lavoro assicurato!

Sorvolo sull’illogicità delle sue ultime battute e tocco ferro di nascosto per la gufata sul lavoro. 

Finalmente tocca a noi. Due minuti e siamo fuori entrambe. Ci appostiamo lì vicino per attendere il risultato. 

Nel mentre notiamo uno schema ricorrente: alcuni vengono chiamati a gran voce dall’interno della tenda. Per altri un operatore esce e comunica sottovoce qualcosa con la faccia seria. Anche l’ultimo degli stupidi capirebbe la differenza. Quando chiamano il mio nome a gran voce tiro un sospiro di sollievo. Riprendo la tessera sanitaria e aspetto il risultato di Little. Nel mentre viene chiamato Sordo (non li processano in ordine). Sordo non sente il suo nome, ovvio, Mite lo redarguisce, Sordo esce dalla tenda e dice: olè, sono apposto. Poi esce il tizio compassato e chiama Mite. Le sussurra qualcosa, i due spariscono nella loro utilitaria rossa e sgommano via. 

Little Boss!, urlano da dentro la tenda.

Ok, siamo salve. Per ora.

La penna, mamma, buttala via, dice Little. 

Confesso: mi sono lasciata impanicare per almeno mezz’ora. Poi grazie al cielo il cervello ha ricominciato a girare in senso orario. 

Ma al gruppo whatsapp del lavoro ho mandato un vocale che era più o meno così:

ok, io e Little siamo negative. Ma quella dietro di noi era positiva. Ergo: si rischia più ad andare a farsi un tampone che ad andare a lavorare.

Detto ciò io sono libera da impegni di lavoro e quarantena. Ma in ogni caso stamani non mi decido a uscire…

Un passo per volta

Come al solito, le cose che devo ancora fare superano le cose già fatte. È una maledizione, stile criceto che gira sulla ruota e gira e gira e non arriva mai. 

Certo, due traslochi in un anno non me li sarei mai aspettati, nemmeno da me, la Ragazza con la Valigia in mano. Eppure. 

Ok, ok, non devo traslocare di nuovo io, ok. devo traslocare mio padre, dichiarato ufficialmente in sofferenza ischemica e rispedito a casa con due raccomandazioni: smettere di fumare e stare a dieta. Seriously? Basta così? Nel senso, pure a me, che sto bene e non soffro di perdite di memoria casuali, non confondo le persone e non sono incontinente, il medico mi raccomanda le stesse cose: dieta, movimento, smetti di fumare. 

Sarà più dura del previsto se questo è il meglio che offre il SSN. 

Inoltre in questa causa sono sola. 

Oggi chiamo mia sorella (che ok che è ok, come direbbe Little, e ok che non ha un buon rapporto con mio padre, ma finora non si è mossa di un millimetro: io le visite mediche, io la casa nuova, io la casa vecchia, io tutto, in pratica) e le chiedo come fare per il trasloco.

Ah, boh, mi dice. 

Nel senso, io non posso alzare pesi, ho l’artrosi cervicale, al lavoro neanche i cestelli della lavastoviglie mi fanno alzare, non posso fare il lavoro sporco, dico. 

Silenzio. 

Nel senso, insisto, magari troviamo qualcuno che lo fa per una cifra onesta, un paio di uomini con il furgone, le cose non sono mica tante, non ci sono mobili… 

Ah, perfetto! Informati!, dice lei.

E attacca. 

Nel senso, penso io, nemmeno questo? Nemmeno una mano per il trasloco?

Mi verrebbe da ricordarle che ha gli stessi doveri che ho io, in quanto figlia pure lei, ma poi sto zitta e chiamo Pronto Pro. 

Intanto sono riuscita a fare l’impensabile: prendere due giorni di permesso a lavoro. Oggi e venerdi. E forse anche un altro giorno, chissà… il futuro appare roseo. Se non fosse che per prendermeli devo lavorare a tutta velocità nei giorni in cui ci sono.

Il Capo mi dice: ok, Moon, se mercoledi non ci sei allora oggi, martedì, devi fare: gelato, sacher monoporzione, sacher torta, mignon al cocco, che sono finiti, i biscotti decorati, che stanno finendo…

Ehi! Ma ho solo 3 ore!, dico allarmata (poi devo trasferirmi al Ristorante, per il mio turno da cameriera). 

Appunto! Inizia! , fa lei.

Il risultato è che martedì pomeriggio esco da lavoro con il collo in fiamme (tipo ora, dopo una mattinata a fare scatole) e la voglia di iniziare a farmi di eroina. Ma invece devo fare altro, tipo i contratti di luce e gas per mio padre, trovarmi con l’agente immobiliare per il contratto. E poi c’è Little. Dentista, lezione di canto, rivedere un testo per italiano… 

Il fatto è che sono stufa di essere sempre da sola per tutto. e, oltre a lamentarmi, non so che altro fare.  

Sono tornata in modalità Moon Brontolo. Pentolina, appunto. 

Eppure se c’è qualcosa che è vero è che Barcollo ma non mollo

Quindi, in modalità Barcollo, per ora, faccio l’unica cosa possibile: un passo per volta. 

Intanto continuo la mia impossibile dieta, che prevede un’assidua presenza di Moon in cucina. E tanta fantasia. Il farro con zucchine e zafferano? Che ne dite? Potrebbe andare, no? In cima alla classifica però c’è lui, il salmone (che due volte a settimana posso mangiare). Quindi la mia cena preferita resta la piadina di farro con crema tartufo e funghi, salmone e spinacini. La versione Moon del fast food. 

Alla fine aprirò un blog con sole ricette per poveri malati di artrosi che non possono prendere medicine (tipo Aulin o morfina) e sono costretti a curarsi con la sola dieta. 

Potrebbe essere un business. 

Non ridete. 

Alessa

Nel dì di festa…

Mi alzo controvoglia alle sette e mezzo, ben due ore e mezzo dopo la mia sveglia abituale. Nonostante ciò le gambe sembrano stones, la schiena non vuole raddrizzarsi, sotto gli occhi ho due Fosse delle Marianne. 

Prendo il mio caffè con latte di soia, ingurgito l’integratore che assomiglia a una sostanza con dentro la criptonite e mi sento un po’ meglio. Giusto due minuti due. Poi il cervello si attiva, si ricorda quello che deve fare in giornata e allora ciao, vorrei tornare dritta dritta a letto.

E vabbè, invece mi vesto, indosso semi compiaciuta i jeans che non stavano più dal pre-lockdown, esco senza essere del tutto preparata al freddo e me ne vado nella città del mare da mio padre (mi sono ricordata questo post… e ora tutto sembra chiaro. O quasi). Mentre guido mi ripeto gli obiettivi del giorno: portare scatole per trasloco, chiamare la sua dottoressa per riferire dati della pressione, recuperare e inviare i documenti per il nuovo contratto di affitto e…convincerlo a mettersi un pannolone per anziani. 

Arrivo alle nove e mezzo e alle dieci e mezzo ho già fatto tutto, compreso il convincimento. Mi guardo allo specchio del suo bagno (che ho appena pulito per onore alla decenza) e mi dico: ci sei, Moon, oggi è andata bene. Soddisfatta di me per un Serenity extralarge.

Torno giusto per prendere Little a scuola (che a scuola non era perché sciopero) e poi a casa. Perché nel pomeriggio devo fare il cambio dell’armadio, chiamare di nuovo la dottoressa di mio padre, organizzare con mia madre la cena per il mio compleanno… e poi arriva lei. Arriva Alexa.

L’amore tra me e questo gioco per adulti (non chiamiamolo in altri modi, è così e basta: è un gioco) inizia mesi fa a casa di mia sorella. Lei e le mie nipotine la chiamano per ogni cavolata: Alexa, metti le luci rosse; Alexa, fammi sentire Nella vecchia fattoria; Alexa, di che colore era il cavallo bianco di Napoleone?E via discorrendo. 

Nonostante ciò immagino le sue potenzialità. Alexa, accendi la lavatrice; Alexa, fammi vedere cosa succede nel mio soggiorno. E poi sì, anche, Alexa, metti la mia compilation preferita su Spoty

Ma è solo negli ultimi giorni che Alexa è tornata nel mio cuore, quando la FDC l’ha portata al laboratorio di pasticceria per il mio Capo. 

Ora. Il mio Capo spesso le urla contro: ALEXA, DIMMI LA FREQUENZA DI RMC! Come se Alexa fosse il vecchietto sordo che l’altra mattina, quando l’ho visto sedersi al tavolo e gli ho chiesto se avesse il Green Pass mi ha risposto: sì, grazie, un caffè macchiato. Misteri dell’udito.

Comunque, l’Alexa del lavoro è chiamatissima. Anche Osaro, il mio collega nigeriano, a volte prova a chiamarla. Solo che la X non gli viene. Alessa, fa lui. Alessa!!! E lei zitta. Lui mi guarda, fa spallucce. Alessa no funziona, dice(il suo italiano è quasi come il mio nigeriano, va detto, nonostante i millemila corsi di lingua che frequenta. Ciò mi spinge a dire: ma chi li fa, questi corsi???)

L’altro giorno Osaro ha visto due mosche, una sopra all’altra. Mi batte su una spalla e mi fa: Moon, pure mosca ha fidanzata! Perché io no fidanzata? Così il mio Capo ha chiesto a Alexa: Alexa, lo vuoi Osaro come fidanzato? Lei ha risposto: sono felicemente single, grazie. 

Povero Os… nessuna speranza! Va detto che il ragazzo è bello, ma pretenzioso: la vuole bianca (no nera, perché io no nero– see, ok, Os, se ti copri con tutta la farina della pizzeria, forse-), la vuole giovane e bella, intelligente, italiana, che lavora…

Eh, gli faccio io, se la vuoi italiana sarà meglio che lo impari, prima, l’italiano, no? 

Ma se è intelligente, mi risponde, studia e impara inglese, come te. 

Pinato*, gli rispondo.

Pentolina, mi dice lui (perché ogni tanto borbotto)

Intanto abbiamo raggiunto il compromesso. Lui continua a dire le cose in inglese anche al mio Capo e se lei non lo capisce invita Alexa a fare da traduttrice.

Un interprete come un altro…

*in gergo: duro come le pigne (o pine, in toscano) verdi

Storia di un jolly in carriera

Mentre il mio pane cerca di lievitare (le farine che devo usare non sono molto collaborative con il lievito…)ripensavo al mio lavoro.

Sono anni che lavoro al Ristorante e le mie mansioni lì sono cambiate nel corso del tempo. Assunta per fare cocktail e rinnovare l’Happy hour, mi sono presto ritrovata a scrivere comande e portare piatti. Dopo pochi mesi sono stata riciclata (il termine, fidatevi, è corretto) per fare caffè e cappuccini la mattina presto. Da lì sono passata al laboratorio di pasticceria per aiutare a farcire biscotti e riempire bignè. Poi ho fatto un salto in pizzeria, imparando a fare impasto, stendere pizze, condirle e infornarle nel forno a legna. Poi un altro passo: aiuto cuoca (insalate e primi per lo più), poi lavapiatti. Ed ecco che poco dopo mi ritrovo di nuovo a prendere ordinazioni e servire ai tavoli. 

Se ve lo state chiedendo sì: tutto nello stesso locale. Ci sono stati dei giorni che passavo da un reparto all’altro tanto velocemente che mi sembrava di essere Clarke Kent che si cambia nella cabina telefonica: metti il grembiule bianco della pizzeria, toglilo e vai al banco a fare caffè, rimettilo e vai in cucina… 

Non mi sono mai lamentata (con i miei capi, almeno), ma in modo subdolo cercavo di migliorare nel settore in cui volevo lavorare davvero: la pasticceria. 

La pasticceria è un’arte, è alchimia, ha qualcosa di magico. 

Così mi sono scavata una nicchia. Con il tempo, ovvio. E gli eventi mi hanno aiutato: il corso di gelateria non doveva essere per me, ma beh, io c’ero, al contrario della Figlia del Capo (F.D.C.). 

Passo indietro: conosco la FDC da quando aveva 13 anni, ora ne ha 37. Non ci sono sempre andata d’accordo, ha un carattere particolare, se così vogliamo dire. Altri direbbero che è una stronza con il patentino, ma io di solito tendo a giustificare i comportamenti di tutti. 

Comunque la FDC (un po’ parecchio viziata dal Capo e dal Boss, questo sì) a un certo punto ha sclerato e ha convinto i genitori a farle fare una scuola di pasticceria con i controcazzi. Una scuola moooooolto costosa. Una scuola dove a valutarla c’era Massari, per intenderci. E insomma, ve la faccio breve, dopo anni di irrisolti con il parentame alla fine la tregua l’ha decisa un cosetto piccolo e soffice: il primo nipote, sfornato dalla FDC (e dal nostro pizzaiolo: sia mai che le cose non abbiano lo spirito della telenovela argentina, in questa storia). Risultato? La nostra FDC è entrata da qualche mese a lavorare nel laboratorio di pasticceria. 

Il mio primo pensiero è stato: vai, sei fregata. Questa ti soffia il posto ed ecco lì che di tutti i tuoi progetti Mi faccio dare un aumento, mi faccio cambiare mansione, ti resta in mano solo un pugno di mosche.  Capitemi: mi sono fatta il mazzo per anni per arrivare a sapere quello che so, per fare proposte, per farmi la nicchia, insomma. 

All’inizio le cose sembravano ormai decise: riposizionata. Eccomi che torno al banco a fare caffè. Ero sul punto di licenziarmi. 

Ma poi il mio lavoro nel corso degli anni ha prevalso. Era la FDC a chiedere le cose a me, a chiedermi se era fattibile fare una cosa piuttosto che un’altra. 

In pratica ora collaboriamo. E sebbene io sia ancora diffidente (stringere alleanze con la FDC può nuocermi in molti modi), il suo progetto coincide con il mio: farmi restare il più possibile in pasticceria. 

Pare che la nostra strategia stia funzionando, almeno in parte. 

Riusciranno i nostri eroi?

Beh, se non si licenzia qualcun altro, se non ci sono altre emergenze pandemiche, se… forse il mio ruolo di jolly andrà a sparire. 

Intanto godetevi la foto del nostro cheesecake ai frutti di bosco. 

Davvero buonissimo. Fidatevi.

(E con millemila euro di scuola di alta pasticceria se non era buonissimo il Capo e il Boss erano investitori del cavolo!)