Tutte le cose belle hanno una fine

È con una guerra appena iniziata che tormenta i nostri animi dalle prime luci dell’alba che mi accingo a scrivere del mio terzo (e ultimo) giorno di ferie. Certo Putin poteva pure aspettare, evitando di farmi andare di traverso pure i ricordi. Certo che, se lo avessi scritto ieri come era in programma, tutto questo non lo avrei scritto e avrei dovuto inventarmi un altro prologo(altrettanto noioso) per iniziare questo articolo. Devo smettere di iniziare a scrivere inserendo prologhi inutili, perché non seguo il consiglio principe dei maestri della scrittura, In media res? Non lo so…scusate…

 E dopo la follia prefatoria: GIORNO 3!

Visto il risultato della partita del giorno precedente (Perugia 7- Moon e l’A.S. 0), decidiamo di dedicarci a qualcosa di diverso, meno chiesistico, e facciamo un salto veloce nelle Marche. Oplà! Ed eccoci alle grotte di Frasassi. 

Visto che io bevo la sua acqua, mi sembrava doveroso andare a vedere il posto, in questo modo bevo consapevolmente. 

Alle dieci e mezzo siamo già sul posto, c’è poca gente e ci mettiamo in fila per il biglietto. Sta partendo la prima navetta dal parcheggio e la tizia davanti a noi non trova il green pass, poi non ha la mascherina, insomma, una lagna, ma tanto noi non abbiamo fretta, guardiamo la scena divertiti. Il tizio davanti a noi invece scalpita, si vede, a un certo punto lo raggiunge una ragazza. Lui la guarda e fa, parecchio risentito: ‘A stronza! T’avevo detto di mandarmelo, il Green Pass! Io e l’A.S. ci guardiamo allibiti. La tizia lenta finalmente si toglie di torno, tocca al Nervosetto. , dice la bigliettaia, però la navetta parte ora, dovete prendere quella delle 11. Lui la manda a quel paese. Lei risponde incazzata che Non dovrete mica dirceli voi, gli orari! Lui si allontana borbottando, lei dice: ma guarda ‘sto stronzo.   

Tocca a noi.

Noi vogliamo la corsa delle 11, dice l’A.S. con un bel sorriso. 

Sfiorata la rissa, per tutto il giorno avrò l’A.S. che riderà di gusto dicendo: A stronza! T’avevo detto di mandarmelo, il Green Pass! E mi chiedo… se fa così in pubblico, cosa farà a casa?

Comunque ok, prendiamo la navetta e andiamo. Il corridoio per arrivare alle grotte è lungo e il cartello che dice Pavimento scivoloso ha ragione. Non andateci con un paio di scarpette della New balance come le mie: rischiate di rompervi l’osso del collo. 

Dentro è… wow. No, ma dico. Wow! Enorme, la basilica di San Francesco gli fa un baffo. Solo la prima sala potrebbe, ci dice la guida, contenere tutto il duomo di Milano. Le stalagmiti sono giganti (infatti così li chiamano) e la più grande è alta come un palazzo a sette piani. Non vi tedierò ripetendo quello che ci ha detto la guida (ma se potete cercate la storia della scoperta delle grotte, negli anni ’70, fatta da un gruppetto di giovanissimi ragazzi). Vi metto due foto…

I Giganti

Siccome le foto le faccio sempre io ( e si vede), non ci sono mai. Mia madre mi manda un messaggio risentito. Così mi convinco a farmi fare questa. 

Anche senza il mio pessimo tentativo di camuffamento, tra cappello e mascherina sarei comunque stata irriconoscibile

Usciti dalle grotte siamo estasiati. Decidiamo di tornare al parcheggio a piedi, senza navetta, tanto è solo un chilometro e mezzo e ormai siamo allenati (più o meno). Ma la fame ci colpisce a metà strada (e ti pareva!) così ci fermiamo in un ristorantino che prenderà la medaglia del Posto Migliore Dove Abbiamo Mangiato In Ferie. Un pasto marchigiano eccellente. 

Tornando verso l’albergo ci fermiamo a Gubbio, la città grigia. Che poi mica l’ho capito perché la chiamano così. C’è pure una funivia che conduce alla Basilica di sant’Ubaldo. 

Ci andiamo, ci andiamo?, dice l’A.S. come un bambino.

Col ca…, rispondo ferma. Ho avuto paura sulla Minimetro di Perugia, figurati una funivia!

Ci guardiamo la piazza grande, la fontana dei matti (ti puoi pure comprare un attestato fittizio di Matto ad honrem, io decido che fra tutti e due non abbiamo bisogno di dimostrare alcunché), scendiamo fino alla chiesa di San Francesco. Anche Gubbio ci prova fisicamente, siamo allo stremo.

La fontana di Moon e A.S.

Certo che a noi conviene andare a lavorare invece che fare le ferie, ci riposiamo di più, dice l’A.S. la sera in albergo. 

Beh, non ha torto. siccome ho sempre poco tempo (leggi SOLDI) per fare le ferie, allora le imposto in stile maratona. E meno male che tanti pranzi e cene li ha pagati l’A.S., sennò sarebbe stata una Maratona del Pidocchioso Affamato… 

Vorrei potervi raccontare dell’ultimo mistero irrisolto delle mie ferie, che comprende un uomo misterioso di mezza età, una giovane donna e tante sigarette, ma ve la risparmio, sono magnanima. 

Vi posso dire però che dopo una media di 15.000 passi il giorno, il giorno del rientro ho dato un’occhiata al mio telefono: solo 641 passi.

Però ho scritto un sacco, quel giorno!

Perugia, m’hai provocato…

Dopo aver fatto una doccia bollente e essermi spalmata l’acqua dei fiori di Spello (uno degli acquisti migliori degli ultimi anni), sono abbastanza zen da proseguire il racconto.

Quindi, GIORNO2!

Ora, io non sono particolarmente religiosa, non più almeno, non vado in chiesa per una messa da…non me lo ricordo e non prego forse da prima. Ciononostante ho ricevuto un’educazione cattolica e non sono certo l’anticristo (come mi fece intendere una volta una delle maestre di Little Boss all’asilo, facendomi pesare il fatto che non avevo battezzato la pargola). Quindi insomma, la storia di san Francesco la conosco, l’ho cantata spesso quando facevo gli scout, credo addirittura una volta di aver voluto seguire il suo esempio, andando via da casa con solo un sacco addosso per andare a parlare con gli animali (avevo forse otto anni e questa voglia mi passo subito, appena mi affacciai alla finestra e sentii quanto gelido era il clima là fuori). Quindi insomma mi immagino San Francesco e vedo povertà, una vita priva di beni, minimale. 

E poi arrivo ad Assisi. 

Alla Basilica di san Francesco.

Tutto sembra tranne che minimale. Lo spazio è immenso, ci giocherebbero quattro squadre di calcio contemporaneamente. Poi entro e l’oro mi ferisce gli occhi. Le foto dentro non si possono fare quindi immaginate (o guardate sulla wiki): un tripudio di oro e blu notte. Affreschi a ogni cantone. Ma non è tutto. Sopra alla chiesa, ce ne è un’altra. La basilica superiore. Una chiesa l’una sull’altra. Non so quale delle due più grande. O meglio dipinte, anche. Giotto è in gran parte il protagonista in questa faccenda. 

Discendiamo di nuovo. Osservo le reliquie del Santo. Di tutto mi parlano tranne che di quello che vedo intorno a me: una tunichetta sdrucita e due ciabattine logore che mi fanno venire freddo solo a guardarle. 

La tomba invece ha l’aria meno maestosa, più da tomba semplice, per dire. Esco sopraffatta dalla maestosità. E con quel dubbio che mi porterò dietro anche dopo: ma lui, Francesco, sarebbe stato d’accordo? Mah, chi può dirlo.

Ma Assisi è anche patria di una delle mie eroine preferite: Santa Chiara. Lei sì che era una tosta, fugge di casa (pare che ai tempi fosse doveroso farlo, sennò non eri nessuno) e si unisce a Francesco, ancora non santo. Si fa tagliare i capelli, si fa spogliare (metaforicamente, immagino) dei suoi beni e si aggiudica pure il miracolo della moltiplicazione dei pani. Ben fatto, Sorella! La sua basilica però è molto meno imponente. La cosa fa storcere il naso al mio femminismo. Anche dentro tutto è più semplice e bianco. E le sue reliquie non si possono visitare (chissà perché, il cartello non lo dice).

La mattinata prosegue tra le vie della città. C’è pure un tempio dedicato a Minerva (che però ovvio nessuno si fila) e altre duecentomila chiese. Sembrano tutte lattanti in confronto alla grande basilica di San Francesco.

Il tempio di Minerva che nessuno si fila…
La Cattedrale di san Ruffino

È quasi ora di pranzo, ma prima di raggiungere la nostra seconda destinazione dobbiamo fare un’altra sosta, quindi l’A.S. scompare dalla mia vista per riapparire poco dopo con un bel panino, una birra e delle salsicce di cinghiale in sottovuoto. 

Che c’è, ho fame, considerala una merenda, mi fa mentre mastica. 

Scendiamo giù fino a Santa Maria degli Angeli. La Porziuncola, dicono. Sì…Porziuncola… questa chiesa fa a gara con la basilica di San Francesco per maestosità.

Giusto ‘na cosetta….

Ma non bisogna farsi ingannare dall’esterno: all’interno c’è la sorpresa, come nell’uovo di Pasqua. Una chiesa dentro a una chiesa! Se nella basilica ce ne era sopra l’altra, qui invece ce ne è una dentro l’altra. La Porziuncola in effetti è la chiesetta contenuta all’interno (niente foto all’interno: Umbria, che palle però!!!) ed è il luogo in cui è stata accolta Santa Chiara, appena scappata da casa. Dove si taglia i capelli eccetera, in pratica. Era una mini chiesa, una stanzetta a dire il vero. Se a pranzo erano in quattro dovevano spostarsi all’esterno, sennò non ci stavano (info ricavate da uno dei recenti dipinti che sono appesi vicino al giardino delle rose). Eppure… è stata inglobata. Chissà se è una metafora di ciò che la Chiesa ha offerto a San Francesco. 

Sarebbe stato bello vedere il roseto, appunto, ma anche qui nisba: in manutenzione. Però abbiamo visto le tortorelle. 

In questa foto notate solo in fondoschiena della tortorella

Secondo te come fanno a convincerle a stare lì?, chiedo all’A.S.

Semplice, risponde candido. Gli hanno fatto firmare un contratto

Noterete che l’A.S. non risolve mai i miei misteri…

Dopo il giro delle sette chiese (forse un po’ meno, ma vabbè) siamo pronti per il pranzo. Mi sono intestardita: voglio assaggiare la torta al testo, e lo voglio fare nel posto più rinomato di Perugia: il Testone. 

Parcheggiamo lontani mille miglia, ma tanto c’è la Minimetro. La Minimetro è la cosa che meglio ricordo di Perugia, io e l’A.S. abbiamo speculato diversi minuti su questo strano mezzo di trasporto. 

IO: Sarà sicuro, senza conducente?

LUI: Più sicuro del Mottarone

IO: ecco, adesso mi hai fatto pensare alla tragedia, ora ho paura perché sono paranoica e lo sai!

LUI: Chissà quanto è costato questo affare…

IO: Ma se alla prossima non si richiudono le porte?

LUI: Quanti mezzi ci saranno in tutto? contando che quando c’è Eurochocolate Perugia straripa…

IO: Fermate la carrozza, voglio scendereeeee!!!!

Con molta più fatica del previsto riusciamo a mangiare che sono le tre. Il Testone, a dispetto del nome, è un locale minuscolo (poco francescano, direi) e mi sa che non siamo gli unici turisti ad averlo scoperto.

Dopo pranzo voglio cercare un posto dove comprare cioccolata. Siamo a Perugia, no? Giriamo invano da una pasticceria all’altra, ma nulla mi entra nell’occhio. Poi giungiamo in una piazza con ben tre negozi Eurochocolate che straripano di Baci. 

Foto casuale di Perugia. In piccolo, sullo sfondo, un Eurochocolate

Eddai, prendi qualcosa qui, dice l’A.S., ormai allo stremo delle forze. Il contapassi misura 17.000 e, vi ricordo, non siamo allenati. 

Se devo comprare i Baci tanto vale che vada al Supermercato!, rispondo stizzita. 

E nulla, ce ne veniamo via a mani vuote e sfiniti dopo poco più di un’ora, sognando una doccia calda e il letto. 

Perugia: ci ha messi k.o.!

Ma dopo un riposino e altre amenità siamo pronti per la cena. L’A.S. ha puntato un locale già dalla mattina, un posto dove (testualmente) si fa cucina ignorante

 E lì, tra un bicchiere di ottimo Montefalco e una salsiccia, scoprirò una grande verità…

Non vedo l’ora di poterlo dire al Ristorante!

TO BE CONTINUED…

Un, due, tre…Umbria!

Dopo diversi anni di conoscenza e due mesi più o meno di convivenza, alla fine io l’Amico Speciale ce l’abbiamo fatta: tre giorni di vacanza insieme! 

Quindi questo mini tour deve essere festeggiato e immortalato (per me). In occasione di questo il blog si trasformerà (temporaneamente) in un blog di viaggio o Travel Blog che dir si voglia (che poi è lo stesso). 

Quindi, GIORNO 1!

Sebbene l’A.S. volesse partire alle 4 della mattina, non so bene per quale motivo, forse per arrivare alle sette a destinazione e portare la colazione a tutti, prendiamo il largo verso le otto e mezza (un orario più consono, direi). Durante il viaggio faccio mentalmente i miei esercizi di scrittura (non è un paradosso, io scrivo mentalmente un sacco di volte, anzi, le volte migliori, direi), mentre l’A.S. mi guarda di sfuggita mentre segue la strada. 

Che c’è?, gli faccio. 

A che pensi?, chiede.

A nulla di importante. Mi annoto tutte le cose viola che incontriamo durante il viaggio. 

Non siamo lontani da Volterra e forse pensa di scaricarmi lì, tra le macerie del manicomio. Ma invece proseguiamo. La direzione è Nocera Umbra, suolo natio della mia, beh, suocera o futura tale (che se non ci sbrighiamo a sposarci mica lo so se ci arriva viva a vedere questo matrimonio). Che poi non è proprio Nocera. È una frazione di una frazione, un posto talmente piccolo che il paesello dove abito a confronto è praticamente New York. Abitanti che si contano sulle dita di una mano, sul serio. Posto incantevole, la casa natia della suocera o futura tale praticamente nuova (ricostruita dopo il terremoto), luogo perfetto sarebbe per scrivere, penso mentre tolgo le ragnatele per entrare in ogni stanza. Poi volgo lo sguardo alla vallata. Ci lascio il cuore e proseguiamo, dopo aver tolto il velo dei ricordi estivi dell’A.S. e il velo dei miei sogni a occhi aperti. 

Siccome ormai è l’ora di pranzo ci fermiamo a Nocera Umbra, almeno visitiamo il borgo.

Intendiamoci. Nocera è carina, ben tenuta. 

Solo un paio di esempi

Ma non c’è nulla! Nemmeno le persone! E infatti siamo gli unici avventori del ristorante in centro. Mandando a quel paese la dieta vegana, mi faccio fuori un tagliere di affettati locali e formaggi. Giusto per. 

Dopo pranzo decidiamo di fermarci a Montefalco. L’A.S. dice che ci portava spesso gli americani in gita, ma non l’ha mai vista. Avvicinandoci capisco cosa possa aver interessato gli americani. C’è una vigna ogni secondo, forse quarto di secondo. Ci sono talmente tante vigne e cantine che la mia zona, famosa per la via del vino, sembra una dilettante. Il Montefalco in effetti è un ottimo vino, non c’è che dire. E in centro confermo l’attrattiva del luogo, come si vede dalla foto. 

Notate la scritta Salva una pianta, mangia un vegano… mi sono allontanata in fretta

Il pomeriggio è ancora giovane però. Prossima tappa: Spello, la città fiorita. 

E in effetti Spello è deliziosa, nonostante il vento gelido che mi fa colare il naso dentro la mascherina (ringrazio di essere stata previdente e di averne portate molte). Quello che più mi colpisce sono i vicoli, ovvio. La pro loco di Spello organizza ogni anno una gara tra finestre, balconi e vicoli fioriti. Vince il più bello. No, dico. Immaginatevi ora abitanti di Spello (Spellesi? Spellati?), con una casa che ha un balcone o una scala che si affaccia sul vicolo. Quando è primavera iniziano le danze: spionaggio negli altri vicoli, qualcuno che durante la notte annaffia le piante con il glifosate, altri che comprano tutto il terriccio della zona e lo nasconde in garage… un duello all’ultimo petalo. Ma alla fine la ricompensa è una targhetta di coccio. E un sacco di belle foto che i turisti per caso come me mostreranno al mondo intero. 

Questo è un abitante di Spello che partecipava al concorso ed è stato ucciso dagli altri concorrenti…

A Spello però, oltre ai fiori e alla dermocosmesi ottima che se ne ricava, c’è anche un mistero. Per le vie del centro ci sono quasi esclusivamente queste cassette postali.

Sono tutte uguali, dico all’A.S. Non è strano?

Magari gliele ho fornite il comune, risponde lui distratto.

Sì, ma ormai il dado è tratto e per tutto il percorso fino alla macchina non posso pensare ad altro. Perché le cassette sono tutte uguali? E se è vero che il comune le ha fornite perché alcune sono differenti? Ci sarà una lobby di cassette delle posta a Spello? 

Mentre ancora rimugino arriviamo all’albergo. A pochi chilometri da Assisi non poteva che chiamarsi Il cammino di Francesco. Non specifica però il Santo, quindi a mio avviso è un posto che non vuole una precisa identità. E in effetti le camere sono anonime e alla reception spesso non si vede nessuno. E poi, il peggio del peggio: asciugamani di stoffa. Mi torna un brivido solo a pensarci. Ma tant’è, abbiamo speso meno che per una cena al ristorante, quindi…

E per la cena tutti a Bastia Umbra! Tutti no, solo io e l’A.S. Bastia by night è carina, mi ricorda un po’ Pistoia. Nulla di che, ma piacevole.

Il ristorante che ho scelto non ci delude. Anzi.  Maghiamo in compagnia di un vino di togniazziana memoria.

A pancia piena e dopo aver percorso più di undicimila passi in un pomeriggio (e salito venti piani), crolliamo svenuti sul letto. Prima di dormire faccio giusto in tempo a pensare che le ferie sono cose per giovani. O per gente più allenata, comunque.

P.s. Il mistero delle cassette postali non è stato svelato. Anzi, ora è più oscuro che mai. perché tornata a casa ho guardato la mia, di cassetta postale. ed ecco cosa ho visto!

la lobby ha preso mezza Italia…

TO BE CONTINUED…

Narrami o musa (G.R.C.V., ovvero il Grande Romanzo Catartico della mia Vita)

Di nuovo qui, a parlare di un mio vecchio e caro amico che credevo si fosse addormentato, che mi avesse lasciata in pace per sempre, e invece…

E invece il furbetto stava solo aspettando il momento giusto per rimettersi a lavoro, per tornare a tormentarmi. 

Sì. Sto parlando proprio di lui: il Censore, l’”amico” (qui le virgolette ci stanno più che bene) grazie al quale ho iniziato a scrivere questo blog. 

Quindi insomma, il Censore, che per anni è stato quieto, lo è stato solo perché, beh… non scrivevo davvero. sì, ok, ho scritto un pessimo romanzo lampo, forse un paio di racconti e centinaia di pagine farlocche. Ma ora che ho iniziato questo corso alla Holden eccolo che mi bussa alla spalla con il suo dito scheletrico e puntuto (proprio in quel punto della Carogna, per intenderci) e mi fa:

Quindi ora sei convinta di stare per scrivere un romanzo catartico… (risatina sotto ai baffi, anch’essi scheletrici e puntuti) 

Chetati, rispondo (più sono incazzata e più il mio dialetto esce)

Sì, sì, io mi cheto, come dici tu. Ma sai che ormai sono anni che non scrivi più con quella voce, vero? ora sei solo capace di buttare tre righe qui, in un blog che nessuno legge e dove scrivi cose che nessuno capisce perché sei troppo autoreferenziale. 

Ringhio un po’.

E poi, continua lui (mano sul fianco, dito puntato come se fosse in una sit-com americana ambientata nel Queens), non sei neanche riuscita a capire il compito! Dovevi scrivere il soggetto del tuo romanzo e invece hai scritto…cos’è che hai scritto?

Oh, va bene! È solo che credevo di dover scrivere il soggetto a grandi linee, lui, il docente del corso, mica ce lo aveva spiegato, eh! Sono un po’ risentita, ma in realtà ho cannato alla grande sin dal primo passo: bella prova, Moon…

Insomma, mi vuoi dire che stai scrivendo il grande romanzo catartico, che vuoi scrivere questo e poi basta e che sei talmente dilettante da non sapere come si scrive un soggetto per un romanzo? Insomma, guardati: fai pena. E fa per andarsene. 

Ehi, non provare a darmi le spalle, lo richiamo. Tu sei qui per umiliarmi e sbeffeggiarti di me, quindi hai il dover di sentire anche la mia parte!

Eccolo che torna. Si ferma, mi fissa. 

E io zitta.

‘mbeh?, mi incalza.

Faccio spallucce. 

Non sei ancora pronta per scrivere il grande romanzo catartico della tua vita, conclude lui prima di sparire.

Detesto dar ragione al Censore, ma stavolta… 

Comunque ok, nel mio acronimo c’è la parola Ostinata. E anche se da questo corso non verrà fuori il grande romanzo eccetera almeno devo provarci. E per provarci basta che sia furba quanto il Censore. 

Basta che smetta di ripetermi ogni cinque minuti che questo sarà il Grande Romanzo Catartico della mia Vita…

La Moon frettolosa portò gli spaghetti della casa impiattati col nido

Oggi pomeriggio, finalmente, lo dedico al pigiama. Sarà una settimana che le giornate mi scivolano via come una saponetta, mentre non mi sembra di non fare altro che correre: corro a lavoro la mattina, corro a decorare biscotti, pulire i pavimenti, sparecchiare e apparecchiare tavoli; corro a casa dopo il lavoro, corro per preparare cena, pulire i pavimenti, fare la spesa (per me e per mio padre), portare sempre mio padre alle visite a casa del diavolo, andare a riprendere Little dal fidanzato, portarla a comprare il tablet a casa del diavolo, fare lavatrici, lavastoviglie, asciugatrici. Spesso corro anche a letto, per paura di non riuscire a dormire abbastanza. 

Moon corre.

Che poi tutta questa fretta per fare le cose non la capisco, sul serio. Lunedì mattina, per esempio, mi sono alzata e ho iniziato ( a corsa, manco a dirlo) a pulire casa, poi sono andata a fare la spesa, ho pulito l’interno della macchina (sul vetro c’era una nebbia che non si vedeva un palmo dal naso), poi sono andata a pranzo da mia madre (che sennò da me non ci vieni mai, ma da quell’altro ci vai sempre), sono passata a pulire la macchina anche fuori (per coerenza) e ho ritirato Little Boss alla Cittadina, che il suo fidanzato dopo due settimane è finalmente guarito dal Covid. Alla fine della giornata ho spuntato un sacco di voci dalla mia lista, ma ero più stanca dei normali giorni di lavoro. In pratica sono sempre in gara con me stessa. 

E poi invece guardo le altre persone che se la vivono in modo mooolto più serafico e mi chiedo: come fanno? Il nostro nuovo cuoco, per esempio. La cuoca storica va in pensione e il Capo ha preso questo ragazzino qui. Mia nonna direbbe che è un tipo tutto Sussi e Biribissi; mia madre direbbe invece Non mi tocchete che mi cachete; l’Amico Speciale, appassionato di classici, esordirebbe con Perché io sono io e voi non siete un cazzo! Con questo non so se ho chiarito… bravissimo ragazzo, ci mancherebbe, ma un po’ abituato a fare il nido quando impiatta le tagliatelle, mentre i nostri clienti sono più tipi da Metto il formaggio anche sullo scoglio.  

Quindi l’altro giorno. Arriva una coppia. Due spaghetti della casa. E poi per dopo vediamo, dicono. Mando la comanda in cucina e intanto arriva un’altra coppia. Due spaghetti della casa. E per dopo vediamo. A volte ci sono queste giornate con comande gemelle, non chiedetemi perché o a quale mistero rispondano perché io non mi capacito mai. Comunque. Proprio quando stavano uscendo gli spaghetti del primo tavolo, ne arriva un altro. Io, con la mia solita fretta, vado in cucina a controllare, vedo gli spaghetti nella padella e mi dico, vabbè, sono pronti, aspetto, porto i piatti e poi prendo l’ultimo ordine. Il cuoco (ma lui direbbe lo chef) inizia a impiattare: prende il mestolo, le pinze, fa i suoi nidi, distribuisce la salsa… io, nel frattempo, mi raccolgo il latte uscito dalle ginocchia. Faccio capolino fuori e l’ultimo tavolo alza la mano per chiamarmi. Guardo il cuoco/chef ed è sempre lì che impiatta. Scatto dentro, scatto fuori e non so cosa fare, vorrei urlare: dammi ‘sti cavolo di piatti e lasciami uscire,ma non ho abbastanza confidenza. Finalmente sono pronti, esco, li porto al tavolo, corro al tavolo che mi ha chiamato, grande sorriso sotto la mascherina (ma dagli occhi si vede lo stesso). No, sa, mi fa il tipo, è che abbiamo un po’ di fretta. (sapessi io quanta fretta ho!)

No, no, scusatemi voi, dico (vorrei dire che è colpa del cuoco/chef bradipo, ma sto zitta). Sono pronta: cosa vi porto? 

Indovina indovinello?

Due spaghetti della casa. 

E poi dopo vediamo. 

Forse tutta ‘sta fretta non la avevano, in fin dei conti… io invece…