La sfiga è sempre in agguato!

post 8

Oggi è venerdì 17. Superstizione, cari miei, superstizione a go-go. Non credo in nessun dio, ma ho una cieca fiducia negli oroscopi e nella sfiga. Specchio rotto? Sale rovesciato? Cappello sul letto? Maledetto gatto nero che attraversa la strada e mi blocca lì anche per un quarto d’ora prima che passi un’altra macchina in senso inverso? Le ho tutte, dalla prima all’ultima, messe in ordine  e incollate come figurine in un album Panini. 

Oggi è venerdì 17. Mi aspetto grandi cose da questa giornata, tanto che dovrei uscire con l’armatura. 

Cerco invece di essere positiva, vado a lavoro cantando i Muse a squarciagola (i Muse mi danno sempre la carica, sono una donna inversamente proporzionale), lavoro sodo non pensando a nulla (o quasi) sorrido ai clienti del Ristorante, che è la cosa che amo fare di più. Perché vedete, lavorare in un ristorante è come andare in scena: un po’ di trucco (e io ne metto il minimo indispensabile), un vestito adatto (la divisa) e il copione imparato a memoria: c’è qualcosa di più facile? Certo, ci sono giornate in cui devi improvvisare, ma quando vai in scena 250 giorni su 365 (ma forse sono di più, ho fatto solo un conto approssimativo) conosci bene i trucchi del mestiere. Insomma, lavorare per me è una liberazione quasi artistica. 

Sempre che non ci sia di mezzo TDL, ovvio. Perché con lui ho delle difficoltà fisiche da superare. Una volta mi è scivolato un piatto dalle mani. Un’altra sono inciampata in una sedia, rovesciandola. Un’altra ancora ho portato del vino al tavolo di una signora che voleva solo acqua e dell’acqua al tavolo di una coppia che voleva solo vino (divertente il fatto che entrambi i tavoli non mi abbiano fatto notare l’errore…). Insomma: combino casini. Ma non rinuncerei mai a vedere gli occhi di TDL, nemmeno per un secondo. 

Venerdì 17, ripeto. Ma TDL è in ferie, come ho detto (lido bellissimo e romantico con DSV, vedi post precedente) e quindi non corro rischi. Forse.

Il Forse arriva alle tredici in punto, sala piena di gente, nemmeno un buco in piedi, io che corro con oliere e cestini di pane, la cucina che sputa letteralmente fuoco (anche dalle narici). E lui. Da solo. Con l’aria spettinata. 

C’è un tavolo per me? 

Cavolo, io per te lo fabbricherei sul momento, un tavolo, vorrei dirgli. Datemi del legno, vi prego!

Ma no. 

Non ce l’ho.

Forse se aspetti una decina di minuti, dico guardando il tizio che è ancora all’antipasto. 

Ho fretta, mi dispiace. 

Cazzo. 

Ed ecco che arriva a darmi una mano il dio delle piccole cose, mi fodero la faccia con un sorriso, quello che indosso senza problemi 250 giorni su 365, tiro fuori dal taschino della camicia un biglietto da visita del locale e gli dico: la prossima volta chiama, così il tavolo ce l’hai assicurato. 

Lui se na va lo stesso. E io devo farci i conti. 

Magari dopo aver servito tutte queste persone, però.

Quando finisco di lavorare trovo due messaggi sul telefono. Il primo, alle dodici, mi chiede se ho un tavolo per una persona. Il secondo, alle tredici e trenta, è solo un punto interrogativo. 

Forse la prossima volta chiamerà il Ristorante, invece di mandare messaggi a me. E forse, dico forse, io sentirò una fitta allo stomaco, come se gli avessi tolto anche quell’ultima scusa per mandarmi un messaggio. 

Ma almeno sarò sicura di vederlo. 

Messi Male del mondo, cercate di capirmi…

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Il Tizio della Luna e la Donna della Sua Vita

post 7Il fatto è che TDL mi manca da morire. Mi manca quel quotidiano scambio di banalità che avevamo, mi sentivo completamente nella sua vita, mi comunicava ogni suo spostamento, ogni opinione sui fatti di cronaca, erano milioni di messaggi scritti, vocali, telefonate, mail. Ero come una compagna virtuale. Ma nella realtà, nella realtà vera, quella reale, ero solo una conoscente, qualcuno da salutare se incontri al supermercato limitandosi a un Ciao, senza nemmeno prendersi il disturbo di aggiungere Come va. Credo sia stata questa dicotomia a farmi sbroccare. Il suo (e mio) tenere segreta questa specie di intesa era necessario (giustificazionista), indubbiamente la DSV non avrebbe capito. O avrebbe capito pure troppo, se avesse visto il mio sguardo da pesce lesso. Insomma, le cose sono andate così. Mettiamoci una pietra sopra e andiamo avanti. 

Già.

Andare avanti.

Mi chiedo dove diavolo dovrei andare, adesso, dato che mancano ancora ben 288 giorni alla fine di questa agonia. 

Nel frattempo cerco di non pensarci, mi sforzo di non notare la sua assenza in questa settimana che è in ferie, e quindi niente pranzi al ristornate per TDL, se ne starà sbracato al sole in un posto tipo Corfù, con le eleganti e abbronzate braccia della DSV attorno al collo, la sera usciranno a passeggiare al tramonto mano nella mano, lei con indosso solo un abitino bianco trasparente, lui con quell’aria spettinata che si ritrova sempre, con quel look non curato curatissimo e il berretto calato sugli occhi, la mattina faranno colazione con croissant deliziosi seduti su un balcone che si affaccia sul mare, guardandosi negli occhi, e forse sarà in un posto come quello che finalmente le chiederà di sposarlo, visto che rimanda da una vita, dice, per un motivo o per l’altro, tirerà fuori l’anello dalla tasca dei suoi pantaloni, un anello semplice ma bellissimo, si metterà in ginocchio, una cosa che fa con molto rispetto, e non dovrà aggiungere altro, saranno per sempre TDL e DSV, la coppia perfetta. 

Come ho detto, cerco di non pensarci. 

Intanto i giorni passano lentamente, io mi sono buttata in un progetto di reportage di storie vere che non ho idea dove mi porti (presumibilmente esattamente nello stesso punto di ieri, qui)con un Grande Artista, cerco di uscire a cena con altri uomini (deludenti), aspetto in gloria il ritorno di mia figlia dal mare, abbronzatissima e ingrassata di quattro chili (le ferie hanno sempre fatto male alla sua dieta), cerco di evitare gli incessanti inviti a cena di mia madre e della sua nuova compagna (che di solito cominciano con acerrime dispute politiche e terminano con accuse da parte di mia madre e recriminazioni da parte mia: la solita solfa), lavoro like a dog, per dirla con i Beatles. 

Ma la notte resto da sola. Mi rigiro nel letto cercando di scacciare i pensieri, mi assopisco per pochi minuti, poi mi risveglio, tocco con la mano la metà del letto alla mia sinistra, sempre vuota, intonsa, nemmeno una piega delle lenzuola. Allora apro la finestra, se ho fortuna il cielo è libero e stellato, lo scruto per cercare una stella cadente, prima o poi ci riuscirò, e nel mentre i miei occhi vagano a destra e sinistra, la mia mente si perde nel buio. E finalmente il mio corpo crolla, esausto. 

Moon e il suo Ego

Post 6

So di essere particolarmente autoreferenziale in questo blog. So anche che con molta probabilità resterò un granellino di sabbia sepolto sotto ad altri mille. Ma la mia è questione di Ego e di scrittura, tra le altre cose.

Qualche tempo fa pensavo a cosa mi manca davvero per fare la scrittrice. Insomma, conosco l’italiano meglio di altre persone, sono abbastanza precisa nella scelta delle parole, ho studiato a fondo interi manuali di scrittura creativa, conosco le storie degli scrittori che più ho amato, riconosco uno stile creativo da uno classico, so cosa occorre a una storia perché sia tale… eppure. Eppure mi sento bloccata. E non è il blocco dello scrittore, perché io non lo sono. È il maledetto Censore. Ora, questo essere infimo, brutto come il peccato, infingardo e traditore, riesce a far presa su di me perché non ho un’ Egosfera che staziona sopra la mia testa come l’astronave madre di Indipendence day. Il mio Ego è ridotto ai minimi termini per i motivi più vari e che non mi metterò certo qui a elencare. Ho il tatuaggio di Loser sulla fronte come la povera Drew Barrymore in Mai stata baciata. Me lo sono tatuata da sola, in tanti anni di perversa autodistruzione e qualcuno ha sempre contribuito a rendere visibile l’inchiostro. 

Quindi sto tentando di rimpolpare il mio Ego, vomitando a caso la mia vita, esternato quello che sono, mostrando al mondo che sì, Moon ce la può fare! È un po’ autoconvincersi e un po’ ingannarsi, che poi sono la stessa cosa.  

Certo è che il mio Ego (lo tratto con le maiuscole, che se lo merita, oppure io mi sto autoconvincendo che se lo merita) viene stroncato quando, come ieri, il mio TDL viene a mangiare al ristorante dove lavoro con la DSV (Donna della Sua Vita). Che gesto infimo. Che delicatezza ridotta allo zero assoluto. Che infamia. Che… non ho più Che da aggiungere. Mi chiedo come abbia potuto farmi questo. Insomma, oggi sei un TDL diverso, un Testa Di Legno. Ma non ci hai pensato? Immagino di no, e questo mi fa pensare di essermi innamorata proprio dell’uomo sbagliato. Ma siccome sono una giustificazionista, lo sono da sempre, ho sempre giustificato anche il mio ex, che dopo due anni continua a mandarmi messaggi di minacce, giustifico mia madre che se ne è andata di casa quando ero piccola, giustifico il mio primo datore di lavoro che mi faceva lavorare al nero e non mi pagava gli straordinari, come non posso trovare una giustificazione al TDL, di cui sono follemente innamorata? 

Ed ecco come ho ragionato (più o meno): ho conosciuto TDL perché è un cliente (più o meno) fisso del ristorante dove lavoro come cameriera; viene a mangiare lì quando è a lavoro, da solo o con alcuni colleghi; sicuramente avrà detto alla DSV che mangia spesso proprio in questo ristorante; e altrettanto sicuramente avrà giustificato questo fatto con cose tipo Si mangia benissimo, cibo ottimo, prezzo onesto, magari tralasciando il servizio eccellente tra le qualità, per non destare sospetti; magari DSV avrà pensato, Se è così eccellente perché non ci porta anche me? E avrà detto così anche a TDL, che, alle strette, non ha potuto dire di no a una cena intima con lei nel ristorante di cui dice meraviglie. Il ragionamento torna. È stato costretto dagli eventi. Non voleva ferirmi. Perché che mi feriva lo doveva sapere, dopo che io gli ho detto Quello Che Gli Ho Detto. Perché io a vederlo così, carino, con i capelli spettinati del tipo Mi sono appena svegliato anche se sono le otto di sera, proprio non riesco a tollerarlo senza che le gambe mi cedano, perché vedere lei, bellissima, elegante, al seguito, mi ha staccato quell’ala di farfalla che credevo di possedere e ora devo ricompormela da capo, come se sapessi come si fa, a farsi ricrescere un’ala! 

E l’estate sta finendo. E la leggera brezza sulla mia pelle in questa sera estiva mi fa rabbrividire. E il mio Ego sprofonda di nuovo nelle viscere della terra, spaventato, annichilito dagli eventi, turbato da una parola che stenta a capire davvero: amore. 

Acronimi

post 5

Diciamo che a questo punto avete un’infarinatura della mia vita, una base da cui partire, anche se non mi sono ancora presentata. Mi chiamo Moon che non è, ovvio, il mio vero nome. Mia madre è strana, ma non fino a questo punto. Questo nome me l’ha affibbiato TDL quando, un giorno, parlavo di acronimi per acronimi. Gli ripetevo la solita tiritera sul Novecento, che è il secolo degli acronimi: O.N.U., N.A.T.O, E.U.R. e chi più ne ha più ne metta. E così via gli ho snocciolato tutta una serie di acronimi che uso ogni tanto, il P.D.V. (Punto di vista) del narratore, F.S.F. (Francis Scott Fitzgerlad), D.F.W.(David Foster Wallace) e altri. Non so perché, ma gli acronimi fanno proprio al caso mio, che non ho mai tempo da perdere quando parlo di qualcosa che mi appassiona. E così lui ha risposto: tu sei M.O.O.N , Molto Ostinata O Nevrotica, oppure sei Moon, come luna, e il tuo lato in ombra non me lo mostri mai. 

Forse ora capite perché mi sono innamorata di TDL. Le donne si fanno fregare da cose come queste. Almeno. Io mi ci faccio fregare alla grande.

Il fatto che io non stia insieme a TDL, cantando canzoni mentre facciamo la doccia insieme o scrutando il cielo di Agosto per beccare una stella cadente(che io, tra l’altro, non ho mai visto in vita mia e quando la vedrò la prima volta sono certa che urlerò come una bambina, oppure diventerà il mio più grande rimpianto)  invece che scrivere su questo blog non è facile da spiegare. Oppure sì: lui ha un’altra. E non un’altra a caso, ma un’altra donna di cui è innamorato. Fine del lieto fine, tutti a casa, sarà per la prossima volta, Moon. 

Ma. 

Ma. 

Ma. 

E la vita è tutta una serie di Ma uno in fila all’altro, tipo locomotiva e vagoni.

Ma al mio cuore non gliene importa un fico secco.

Mi ero sempre chiesta come si potesse amare un uomo e non essere ricambiata. Credevo che l’amore fosse un flusso continuo tra due persone, uno scambio etico e solidale, come i prodotti della Coop, io ti amo, tu mi ami e il mio amore cresce grazie al tuo e viceversa. E poi ho scoperto che non funziona così. Funziona che tu incontri una persona che ti piace, ci parli e ti piace ancora di più, lo sfiori e senti della roba che se non avessero abolito l’elettroshock saresti convinta di essere al manicomio, lo vedi da lontano e le gambe iniziano a tremare, ci parli e il respiro fatica a uscire. E ti ritrovi al sera sotto le coperte a pensare che vita magnifica sarebbe la tua al suo fianco, che no, con una persona così la quotidianità, killer di ogni rapporto di coppia, non riuscirebbe nemmeno a fare un graffietto, che vorresti fosse il padre dei tuoi figli, che ne vorresti ancora, di figli, solo per dargli lui come padre, che una sera a casa a guadare la tv con lui seduto accanto a te sul divano potrebbe essere come scoprire che esiste Shangri-La. Insomma. Capite la follia? Capite come sono messa, maledizione? E chi non vorrebbe disfarsi di pensieri così, dopo una militanza di quarant’anni nel Partito dei Cinici? 

Ho ancora 292 giorni, mi dico. Forse qualcosa meno. Poi il mio cervello andrà automaticamente in blackout, il sistema si riavvierà, e io potrò tornare a essere una militante perfetta.

L’idea della farfalla

post 4

 

La terza cosa che devo dire è che ho una figlia, la mia Little Boss. Dodicenne solare, intelligente, come ho già detto, relativamente obbediente. Buona. Dico buona e non amo usare questa parola a casaccio. Lei ha ancora (e se dio vorrà lo avrà per sempre) un animo incontaminato, come una prato fiorito, non ha a che fare solo con l’ingenuità, che alla sua età è normale, ma con qualcosa che risiede nel suo piccolo cuoricino che comunque ne ha già viste molte, nelle sue speranze che sono vastissime, nel suo difendersi con il sorriso dalle atrocità del mondo, senza deriderle, ma affrontandole con coraggio. Insomma, pare proprio che la mela in questione sia caduta molto lontana dagli alberi che l’hanno generata. 

Un po’ deprimente a dirsi, ma è lei la mia migliore compagnia. Quando sto con lei mi diverto, quando non sto con lei mi manca. E già penso che mi mancherà quando, tra poco, sarò costretta a farmi da parte per farle vivere la sua vita, cercando di mordermi le mani per non star lì a evitare che cada, cercando di fare del mio meglio per tenderle una mano forte per rialzarsi. 

E questo rientra nelle preoccupazioni generali dei genitori: tutto normale. 

Questa settimana senza lei si fa pesante, è al mare con suo padre e io non posso vederla fino a domenica. In pratica ho una settimana di solitudine che molte persone oberate da impegni lavorativi e familiari mi invidierebbero, e che io invece stento a elaborare. Dannazione, mi manca, il piccolo cerbero. Mi manca tanto che stanotte ho sognato la sua voce acuta che mi ripeteva tutta la trama della sua serie tv preferita dal letto di camera sua, mentre io cercavo di dormire, la voce impastata di sonno, Tesoro, me lo racconti domani, adesso dormiamo. E mi sa che quel Dormiamo l’ho detto a voce alta mentre mi svegliavo e mi rendevo conto che lei, invece, non era lì. Ci ho messo un po’ per riaddormentarmi. 

Quando la chiamo al telefono, se risponde, spesso sembra un agente del KGB, sintetica, mi trattengo dal dirle Ricevuto, passo e chiudo, e so che in quei momenti è con suo padre e non vuole fargli capire… non vuole fargli capire cosa, esattamente, ancora non lo so. Forse che mi vuole bene? Che parla volentieri con me? Che ha con me degli argomenti in comune che con lui non ha? Sono domande che ancora non ho avuto il coraggio di farle e che forse attenderanno ancora anni. La situazione, come si può facilmente immaginare, è un po’ delicata, come tra tutti i divorziati. Oppure no, non lo so se gli altri divorziati ricevono insulti per messaggio ogni giorno ancora dopo due anni. Io sì, benvenuti nel mio mondo folle. Sono talmente abituata che trovo divertenti le sfumature che riesce a creare. 

La responsabile di tutto sono, senza ombra di dubbio, io, che ho accettato per i primi mesi, sperando si calmasse, poi per quelli successivi, ancora sperando, poi per gli altri ancora, continuando a sperare. Fino a che la speranza mi è caduta sotto i piedi, l’ho calpestata e mi sono indignata con lei, poverina, che non aveva alcuna colpa se non assecondarmi. E ora uscire da questo impasse non è facile. È una delle cose che mi sono ripromessa per la mia vita futura. Ma io a fare i passi sono sempre un po’ lenta, ho l’incedere di un bradipo per certe cose, ci penso su mille volte, valutando pro e contro fino a che non mi ci perdo del tutto, nei pensieri, e non ne faccio di nulla. 

In ogni caso che c’è una cosa che TDL mi ha lasciato, nel suo fulminarmi la vita: l’idea della farfalla. Voglio quindi ancora considerarmi una crisalide, già da fuori si cominciano a vedere i miei nuovi colori. Perché uscire dal bozzolo, se avete mai visto qualche documentario del vecchio Piero, non è mica facile. E occhio e croce sembra piuttosto doloroso. Quindi se mi attardo a sbirciare dalla fenditura prima di uscire del tutto, non è che mi sento tanto in colpa. 

Chi è il Tizio Della Luna(TDL)

Post 3La seconda cosa che posso dire è che, a 40 anni, mi sono innamorata . Mica semplice, mica facile, mai, a nessuna età. Diciamo che non mi era capitato spesso. Diciamo che è la seconda volta in vita mia che mi capita. Diciamo anche che la prima volta l’ho presa meglio.
Ora, non è che posso ricondurre tutti i miei problemi da schizoide/bulimica di vita al fatto che mi sono innamorata. Però ha risvegliato certe cose, certe sensazioni, certi pensieri. E io, il pensiero, non lo tengo mai fermo, lo lascio libero di girare e devastare come un uragano tutto quello che ha di buono intorno.
Ho questa cosa, questo difetto, che riesco a mettere in fila i pensieri solo scrivendo. E quindi su questa cosa ci ho scritto un sacco. Ma, al contrario delle altre, non ne sono ancora venuta a capo. Ci riprovo anche qui, nella speranza di fare meglio stavolta.
Dunque, lui è il Tizio della Luna, o TDL, se preferite. TDL è arrivato nella mia vita in un bel giorno di primavera. E proprio alla frontiera, sono arrivata, come Piero, davanti al nemico. Non dico che l’amore sia una guerra, ma in certi casi sì, in certi casi la guerra la fai dentro di te, come ho fatto io, per resistere a un sentimento che sapevo benissimo avrebbe fatto danni enormi.
Mi ha cercato lui. Così. Per dire. Ma alla fine chi cerca chi non ha importanza. Ciò che importa è solo che è entrato nel mio mondo bussando alla porta giusta, quella dei libri e della scrittura.
In ogni caso il primo giorno avevamo davanti un prato bellissimo, una giornata di sole da far invidia a una cartolina, tutta una serie di parole che sono fluite dalle nostre bocche con una facilità che nemmeno pensavo possibile. Tre ore sono volate in un lampo. Nemmeno lo conoscevo e ho iniziato a raccontargli tutto. Ma tutto tutto, come Chunk nel film dei Goonies. E così anche lui mi ha raccontato qualcosa. E la sua voce è stata un balsamo (metafora ammuffita, lo so, ma realistica) per il mio cervello spettinato. In poche parole alla fine della giornata ero già lì che mi dicevo che no, non mi piaceva, mi stava simpatico, ma no, certo, solo amici, mi ha chiesto una mano con i suoi racconti (eh. Lo so. La scusa è classica, lo so) e io farò solo quello, gli darò una mano con editing e magari gli consiglio dei concorsi e magari. Sì. Magari.
E nei giorni seguenti, mentre io gli consigliavo libri da leggere e manuali da consultare, lui mi diceva che era stato bello parlare con me. E poi, non so come sia successo, ma ci siamo ritrovati a scriverci tutti i giorni del più e del meno, poi del più e del più, e nel tempo che Flash impiega a fare il giro di casa mia era un Buonanotte la sera e un Buongiorno la mattina. Ci siamo precipitati addosso, che non lo so come sia potuto succedere, fatto sta che è successo e la mattina avevo un solo pensiero aprendo gli occhi e la sera un solo ultimo chiudendoli. Ma quello che più importa è che condividevo con TDL praticamente tutta la mia giornata. E volendola condividere con lui, la notavo. E notarla mi ha portato ad amarla di più. E amare di più la mia vita mi rendeva felice.
Ma come è ovvio tutte le cose belle finiscono. Flash ha fatto un altro giro a casa mia e il mondo ha collassato, è imploso, oppure a esplodere sono stata io, ma non importa più. Fatto sta che TDL ha detto addio alla Moonlife e io ho detto addio a TDL. Facile. Veloce. Ma non certo indolore.
E quindi, TDL, questo blog è anche per te, che sei entrato nella mia vita come un fulmine, devastando ogni mio apparecchio elettronico e non. E ancora ho addosso l’elettricità che hai portato e se chiudo gli occhi non vedo le macerie. Ci vogliono 365 giorni per dimenticare una persona, dice mia figlia. E io le credo perché è una bambina intelligente. Facciamo che mi sconto la pena a 300. Ma in questo periodo mi do anche la possibilità di raccontare ancora la mia vita, vediamo se la noto di nuovo e se le cose prendono una piega migliore. Vediamo se dopo mille inciampi sono pronta a rialzarmi.

40 anni: resocontiamo

La prima cosa che posso dire è che ho 40 anni. Non so perché da un po’ di tempo a questa parte sia diventato così rilevante, avere un’età, fino a poco fa non me ne curavo, mi potevo curare del rotolino di ciccia attorno ai fianchi, del primo capello bianco, delle smagliature sul seno dopo l’allattamento, e nemmeno poi un granché, in effetti. Non sono mai stata un’appassionata del Fuori. Ho sempre preferito curare il Dentro. E in effetti non ho mai fatto uno sport, mai palestra, fumo come una ciminiera, mangio a caso, ma adoro studiare, leggere, conoscere persone nuove e stimolanti, vedere posti, abbracciare culture, qualsiasi cosa nutra il mio Dentro è pollice in su, tutto ciò che ha a che fare con il corpo è pollice verso. Non l’ho scelto, è un’attitudine di vita. E so che sbaglio eccetera, mens sana in corpore sano, correre scarica il corpo e dà sollievo alla mente, avessi un centesimo per ogni volta che me l’hanno detto sarei alle Canarie ora, a godermi il sole foreverandever invece di stare chiusa qui, nella stanzetta, a vomitare parole sulla tastiera. 

Ho tentato qualche cambiamento. 

Ho passato un periodo “Cibo salutare”. Scelte biologiche, a chilometro zero (vivo in un posto dove farlo non è così impegnativo come in città), sei pasti al giorno con i quali ero anche dimagrita. L’impegno di questa ricerca, in effetti, ha avuto i suoi lati positivi: occupava costantemente il mio cervello. La mattina mi alzavo e pensavo già a cosa avrei cucinato, dove avrei comprato le verdure o il formaggio, mi facevo spuntini sani da portare a lavoro, insomma, un sacco di tempo speso solo per il cibo. Mi sono annoiata alla svelta. Perché a me, fondamentalmente, il cibo, non interessa. Non mi piace mangiare. Lo faccio solo perché devo, sennò non starei in piedi, ma non ho gusto, sebbene poi sappia che un buon pecorino stagionato risulta in bocca migliore rispetto a un primo sale. Ma se c’è il primo sale…

Non è passato molto tempo dal mio periodo “Sforzati di muoverti”. Due, tre volte a settimana mi sono fatta sette chilometri a piedi, passo veloce (la corsa per una come me potrebbe essere come il pane per i celiaci), ascoltando musica, concentrandomi sui miei piedi (osservavo le mie scarpe da ginnastica e pensavo che in fin dei conti il numero delle scarpe da ginnastica comprate nella mia vita si contano sulle dita di una mano), sudando moderatamente, rientrando a casa un po’ più stanca. I primi giorni ha funzionato benino. Mi impediva di pensare troppo, di avvitarmi nei pensieri, come dice il Tizio della Luna. Ma l’effetto è durato poco e mi sono annoiata alla svelta. 

Quello che non mi annoia mai, invece, è leggere, a mano che il libro non sia scritto con i piedi. Quello che non mi annoia mai è imparare cose nuove, specie se riguardano la scrittura. Quello che non mi annoia mai è scrivere, ed eccomi qui, invece di iscrivermi a un corso di Taekwondo. 

Ma ho divagato, torno a quella cosa dei quaranta. Non so se sia una scalino sociale che mi influenza psicologicamente, non so se sia la disparità che inizio a vedere tra me e i ragazzi di vent’anni, non so se sia un termine che mi sono data, che so, quando avevo dieci anni per fare resoconti della mia vita: fatto sta che in questa estate 2018 è quello che sto facendo, sto resocontando la mia vita, sto cercando, ancora, di capire chi sono, cosa voglio, cosa faccio. Ma sopratutto, cosa farò. 

E io che credevo di essere a posto con la mia vita, di averla ormai programmata tutta, fino alla pensione (sì, lo so, sto usando parole vetuste, che cadranno in disuso), mi ritrovo in questo limbo di incertezze cosmiche che mi crea non poche angosce. 

Magari è solo una classica crisi di mezza età. 

Saluto quindi con poco rimpianto la mia mezza età andata e vediamo cosa mi riserva l’altra metà.

 

Moon e il Censore

Sono le nove di una mattina di Agosto, il caldo è vagamente tollerabile, mi sto rimpinzando con un cornetto alla crema e butto qui le mie prime parole per questo blog fantasma, che con moltissima probabilità non si filerà nessuno, ma il concetto a cui sono arrivata è: chissenefrega. 

Scrivo questo blog per eliminare il Censore. Lo voglio uccidere, fare a pezzi, ridirlo in briciole così piccole da poterlo soffiare via con il primo PUF del mattino, e poi dimenticarmi di lui per sempre, sorprendermi tra un po’ a pensare: Censore (grattandomi il mento)… eppure mi ricorda qualcosa, qualcuno, ma no, non lo conosco.

Perché odio tanto il Censore. E poi, chi cavolo è questo Censore. L’immagine che ho di lui è un tizio con delle enormi cesoie in mano, tipo quelle per tagliare le siepi, roba da potatura seria, non forbicine da unghie, che se va in giro nella mia testa a tagliare tutte le mie più belle speranze di scrivere qualcosa di decente. Ha un abito scuro, un volto di plastilina bianca, e non ha pietà: Zac! Taglia l’ispirazione, taglia le storie, taglia addirittura le parole instillandomi il dubbio ortografico ogni tre secondi. Insomma, scrivere con lui nella testa è una vera tortura, è come camminare su un filo a mille metri di altezza. E sotto hai un vulcano attivo, tipo Etna. 

Il perché lo odio ora mi pare abbastanza ovvio: mi blocca. Mi fa sentire Allen Ginsberg mentre scrive L’urlo (cala, cala!), riesco a sentirmi dentro la sua stanza, mentre a fatica scrive i primi versi (Ho visto le menti migliori della mia generazione…) e pensa a suo padre, a cosa potrà dire leggendolo. E si ferma, la goccia di sudore che cala sulla penna, arriva al foglio, allarga una S. E allora ho deciso di fare come lui, pensare: ma chi cavolo lo leggerà mai, un poema? Nessuno! 

E io oggi, una bella mattina di Agosto, ore nove e trenta, pancia piena di cornetto e cappuccino, dico lo stesso: chi mai lo leggerà, un blog, nel mare magnum di blog? 

Ma io, se lo scrivo, frego il Censore. 

Quindi, benvenuti nel mio mondo.