Come prosegue questa storia

Oggi torno all’Rsa dove lunedì ho messo mio padre, gran bella struttura, dico davvero, un tempo era un albergo. La camera di mio padre è vista mare, quando l’ho detto ad Ale lei mi ha suggerito di prendermici quindici giorni di ferie a settembre. Non sarebbe un’idea malsana. 

Ieri ho chiamato per sapere come era andata, ho parlato con la fisioterapista, il personale l’ho trovato qualificato, gentile, disponibile. Devo dire che sono molto tranquilla. Oggi vedrò con i miei occhi se lo è anche lui. 

Nel frattempo ho messo a lavoro Badante 3, per ripulire la casa, buttare via le cose ormai inutili (come ad esempio i completi di mio padre, che non gli stanno più da eoni), lavare il lavabile, metter via le altre poche cose di proprietà che gli restano. Ancora non so che fine fargli fare, a queste cose, come i libri, per esempio. Sono molti e non posso portarli da me, tanti sono doppioni e quelli che non. Sono doppioni non mi interessano, come i libri di cucina. Magari regalo tutto. e poi ci sono gli oggetti affettivi. Pochi, molto pochi, in realtà. Giusto due: la macchina da cucire di sua madre (che non le ho mai visto usare, a mia nonna) e una lampada che era di suo padre, mio nonno. È una lampada orribile, ma se lui ci tiene non posso disfarmene. La fortuna è che perlomeno mio padre non è mai stato un accumulatore seriale come mia madre, per svuotare la casa di quella donna non basterà una vita. 

Badante 3 mi ha chiesto di non buttare alcune cose, ma di poterle tenere per mandarle in Georgia: una vecchia stampante laser, alcuni coltelli in ceramica che valgono come il due di briscola, una valigia (mio padre ne ha almeno sette: tre le ho tenute per lui, una l’ho presa io, ma questo vi dà l’idea di come sia stata la sua vita: sempre in viaggio). Nel pomeriggio ci torno per vedere cosa ha combinato, che Badante 3 è quasi una mina vagante, non riesco mia a capire se non capisce quello che le dico per via della lingua o della sua tara mentale, così come a volte non riesco a tradurre i suoi messaggi perché non scrive le parole in modo corretto e vai a vedere quale carattere sbaglia! 

Le notti le passo ancora malino, l’ansia prende il sopravvento appena spengo la luce e a nulla valgono i miei pensieri di laghi e prati, la testa torna sempre ai problemi che ci sono e che potrebbero esserci: non riuscire più a pagare la retta della casa di riposo, avere problemi con la padrona di casa (che è una testa di), Little, che di recente litiga sempre con suo padre e non si trova più bene nella scuola dove è, e vuole cambiarla. Il mio lavoro. Neanche io mi trovo più bene dove sono e voglio cambiarlo. Quello che non riesco a definire è se tutto ciò è una reazione a catena della situazione di mio padre oppure no. Devo fare un passo alla volta, vedere che succede. La direzione è quella, ma mi sento lenta. 

Intanto però preparo le ginocchiere. Lunedì all’Rsa c’era una canetto (chiamarlo cane è un eufemismo) chiuso nella stanza della direzione. Quando ho provato ad aprire la porta la direttrice mi ha detto: attenta al cane! E io credevo volesse dire che il cane non doveva uscire. Invece no, quel piccolo bastardo mi ha morso. Mi ha attaccato proprio. Un bel morso sul ginocchio (più in lato non arrivava). Fortuna che a settembre ho comprato dei Levi’s e tutti sappiamo che il jeans Levi’s è tosto. Ne sono uscita senza sangue, solo con un bel livido. Ma stavolta, canetto, vengo pronta. Potrei perfino rubare uno dei bastoni degli ospiti: attento a te! 

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Riordinando

La settimana passata è venuta mia zia a trovare mio padre. Pure lei si è resa conto che la situazione ormai è al limite della disperazione. Come è arrivata mio padre ha avuto una crisi, il che non mi sorprende. Pure Badante 3 ha avuto una crisi, povera donna, torchiata perché la tovaglia non era pulita e i vetri sporchi. Io non guardo a queste cose, capisco che passare tutto il giorno con una persona malata che non dorme possa un pelino accasciarti e pulire i vetri lo metto all’ultimo posto.

Come una meteora, il giorno dopo se ne è andata, con grande gioia di tutti. Dietro di sé ha lasciato una scia di numeri di telefono di Rsa, così, per ripulirsi la coscienza, si vede, ma ha lasciato a me la decisione finale, ovviamente, il suo aiuto è stato decisamente marginale. Anche se è stato sempre più di quello di mia sorella che, avvisata del peggioramento ormai da tre settimane buone, ancora non si è vista e, quando l’ho chiamata per dirle dell’Rsa ha risposto: ah, ok ok. Punto.

Ma qualcosa di buono c’è sempre, credo. Tutta la pesantezza della condizione personale svanisce quando sono a lavoro e mi permettono di fare quello in cui sono più brava: il lavoro al banco. 

Questa settimana il mio collega, il Nuovo Micro(bo), come lo chiamo io, era in ferie e ho preso il suo posto. Il lavoro al banco del bar scorre fluido e veloce, non ci sono mai tempi morti, devi stare sul pezzo, non perdere il passo e questo richiede molta concentrazione, ma è una concentrazione buona perché io so quello che devo fare e ottimizzo ogni passaggio. In più c’è la componente sociale, al banco, anche se il tempo è poco, puoi conversare con i clienti che, solitamente, se vengono a fare colazione al bar, sono ben disposti, felici. Insomma, non sono mica in fila alle Poste. 

Devo dire che, nonostante voglia licenziarmi ormai un giorno sì e uno no (letteralmente), mi piace il mio lavoro. Mi piace perché sono brava, sono brava perché mi piace. Ma, c’è un ma. L’ambiente di lavoro a volte, con i colleghi, ma soprattutto con il Capo e la Figlia del Capo, è insostenibile. Il clima è pesante, carico di critiche per le piccole cose, mentre per le grandi non c’è alcun occhio. L’unico rifugio sono, appunto, i clienti. Adoro stare in mezzo a loro e adoro renderli felici, perché immagino sia quello che cercano. Questa settimana faccio il turno serale, come cameriera al Ristorante. Non amo lavorare la sera, soprattutto ora, che ho problemi a dormire e questo turno mi costringe ad andare a letto tardi, incasinando la mia regolarità. Ma almeno avrò poco a che fare con Capo e niente a che fare con Figlia del Capo. Non vedrò l’Amico Speciale fino a sabato, immagino. Così non litighiamo, mi dice lui sorridendo. In realtà mi mancherà tantissimo, è di grande aiuto negli ultimi tempi, riesce sempre a sdrammatizzare tutto, mi aiuta molto nelle cose pratiche, mi abbraccia forte quando ne ho bisogno. 

Questo post è stato un post più per me che per voi. Come ai vecchi tempi, mi è servito per rimettere in ordine il cervello. Parlare non mi fa questo effetto, parlare mi confonde ancora di più, scrivere invece ha quella forma particolare, sono in silenzio, posso farmi trascinare nella direzione più consona, senza distrazioni. Posso rimettere tutto in ordine con i miei tempi. 

Nei periodi bui scrivere mi è sempre stato di conforto. Nel caso specifico oggi ho capito alcune cose. E quindi ringrazio anche voi, che siete qui a leggere le mie elucubrazioni. 

Sempre nella speranza di tornare a una vita pressoché normale, 

vostra Moon

L’oroscopo della Bilancia aveva ragione

L’altro giorno leggevo l’oroscopo del mio segno per il 2023. Gennaio inizia con difficoltà, diceva, nella prima quindicina potresti essere un po’ sotto stress. 

Uhm, ho pensato, non sarà peggio di Dicembre. 

Era meglio se stavo zitta.

Iniziamo l’anno con il Covid (l’Amico Speciale, che però sta bene) e un’influenzetta bastarda che fa stare male, ma senza febbre alta (io). Al lavoro iniziamo l’anno con -4 persone, tutte con la febbre alta, loro. Quindi io, che non ho né il Covid né la febbre alta, devo lavorare con turni doppi. E in un orario che per me è poco gestibile, pomeriggio-notte (io sono il tipo che si sveglia presto e alle nove e mezzo va a letto, come si chiama quel cronotipo? Il gallo?). Inoltre mi tocca la settimana delle feste, quindi ogni sera c’è un sacco di gente, tanti americani ancora in giro e ieri sera mi è toccata una cena di un diciottesimo con trenta ragazzini urlanti (amici di Little) che alle undici ancora mangiavano la pizza… insomma, un disastro. 

Mio padre invece deve avere il ciclo, che ne so, questa settimana ne combina a diritto. Prima si inventa che la badante lo picchia, poi si sveglia di notte e cena per la seconda volta, poi prende le medicine di tre giorni in uno solo. Ieri si era piccato di volere una certa tovaglia stirata. Gli ho detto di dirlo alla badante. Ma lui stamani mi ha scritto che l’ha fatto da solo. Sono qui che aspetto che faccia effetto il caffè poi andrò a controllare cosa ha bruciato. 

In compenso avere l’Amico Speciale fermo a casa proprio questa settimana ha il suo perché. È vero che non può uscire, quindi non può aiutarmi nelle commissioni, ma quando torno a casa a mezzanotte lui è lì che mi aspetta con la cena scaldata, le lavatrici sono sempre fatte, la lavastoviglie idem. Se avessimo lavorato entrambi questa settimana avremmo vissuto come barboni. 

Inoltre abbiamo del tempo per stare insieme e abbiamo scoperto una nuova serie tv, The witcher, che non è affatto male. Un po’ sboccata, devo dire, strano per il genere che è, un fantasy. 

E ora il tempo stringe, mi sono alzata tardi e dovrò rientrare a lavoro presto anche oggi, immagino (appena il mio Capo risponde).

Aggiornamento: il mio Capo ha risposto: Sarà meglio che mi muova. 

Andrà meglio eh…

Sul mondo del lavoro

La badante di mio padre ha tre figli e non ha un marito. Il padre ha fatto la fuga (o lo ha cacciato lei, ancora, dopo un anno, non mi è del tutto chiaro) e ora le dà una miseria per i figli. Una situazione che io comprendo. I soldi che le do non le bastano e quindi ha trovato un lavoro integrativo. Che però la fa arrivare tardi da mio padre, quasi all’ora di pranzo.

Siccome sono un po’ paranoica ultimamente (vabbè, ne ho ben donde), ho voluto cercare un’altra persona che potesse andarci due ore la mattina. Giusto per vedere cosa combina, dargli una mano a vestirsi se c’è bisogno, accompagnarlo fuori a fare colazione. Cose così. 

Ho messo quindi un annuncio su tre siti diversi. Due sono propriamente per la ricerca di badanti o baby-sitter, hanno nomi tremendi, ma una banca dati abbastanza aggiornata, perlomeno uno (ed è lì che ho trovato la prima badante). Uno è Subito. 

Sui siti dedicati mi hanno risposto alcune persone, di cui ora ho i contatti e che sentirò nei prossimi giorni. Ma essendo un lavoro di poche ore ovvio che ci vuole una persona che abita qui vicino e che abbia la macchina, un’abbinata non facile ho scoperto. 

Su Subito mi hanno risposto in molti. Il primissimo era un certo Tom, indiano, che mi ha lasciato il suo numero. Chiamo e mi risponde subito. 

Salve, io sono Tom (classico nome indiano, penso) e sono disposto per lavoro.

Ok, Tom, ma ha letto l’annuncio? Sono poche ore, lei dove abita?

A XXXX (città a 50 chilometri di distanza).

Cerco di spiegargli che il lavoro è troppo lontano, ci rimetterebbe di benzina, lui mi dice che non ha la macchina, che vive vicino alla stazione dei treni. 

Ma lei sa dove si trova il paese dove abito?, chiedo.

Sì, si, fa lui. Insiste che con i mezzi pubblici può arrivare. Per arrivare qui o andarsene ci sono sì e no 5 autobus al giorno. Inoltre il tempo da XXXX a qui, con i mezzi, raddoppia, se non peggio. Bello vivere in campagna, no?

Lui insiste, c’è anche un suo cugino che per duecento euro al mese può vivere con mio padre e fargli da badante. Terrorizzata, attacco. 

Ma non è l’unico disperato che mi contatta, solo che ora ho imparato e non chiamo più. 

Mi chiedo quindi queste persone come diavolo vivano, ma non è che ne abbia proprio il tempo, di pensarci, perché arrivano altre risposte, una dietro l’altra, qualcuno manda il C.V., una ragazza ha addirittura 19 anni…

Poco tempo fa un autista di pullman si è trovato al Ristorante dove lavoro a parlare con un autista di camion. Entrambi si lamentavano perché la loro azienda non trovava nessuno da assumere. Erano tanto disperate, le aziende, che offrivano anche il pagamento per prendere le patenti relative (e che costano abbastanza, in effetti), la CQC e l’ADR. A quel punto si è unito anche il mio capo, che pure noi abbiamo cercato personale per mesi senza trovarlo. E non solo noi, anche altri ristoratori si lamentano che non si trova personale (un mio amico ha dovuto addirittura rimandare l’apertura stagionale del suo ristorante sul mare perché non trovava camerieri e alla fine ha dovuto assumere suo figlio che era tutto tranne che felice di lavorare con lui). 

Insomma, dicevano, ma la gente che lavoro fa, allora, se in tutti i settori manca personale da assumere?

Bella domanda. Forse al tempo di questa discussione non c’era ancora Giorgia che ha falciato il Reddito di cittadinanza (e ora invece sì). O forse tutti vogliono fare il badante. O forse tutte queste persone che mi hanno contattato sono irregolari in Italia e non possono essere assunti. O forse, visto che la ragazzina di 19 anni è italiana, c’è qualcosa che non torna… 

Comunque ora vado, che ho il primo colloquio. Vediamo come va.

La Moon frettolosa portò gli spaghetti della casa impiattati col nido

Oggi pomeriggio, finalmente, lo dedico al pigiama. Sarà una settimana che le giornate mi scivolano via come una saponetta, mentre non mi sembra di non fare altro che correre: corro a lavoro la mattina, corro a decorare biscotti, pulire i pavimenti, sparecchiare e apparecchiare tavoli; corro a casa dopo il lavoro, corro per preparare cena, pulire i pavimenti, fare la spesa (per me e per mio padre), portare sempre mio padre alle visite a casa del diavolo, andare a riprendere Little dal fidanzato, portarla a comprare il tablet a casa del diavolo, fare lavatrici, lavastoviglie, asciugatrici. Spesso corro anche a letto, per paura di non riuscire a dormire abbastanza. 

Moon corre.

Che poi tutta questa fretta per fare le cose non la capisco, sul serio. Lunedì mattina, per esempio, mi sono alzata e ho iniziato ( a corsa, manco a dirlo) a pulire casa, poi sono andata a fare la spesa, ho pulito l’interno della macchina (sul vetro c’era una nebbia che non si vedeva un palmo dal naso), poi sono andata a pranzo da mia madre (che sennò da me non ci vieni mai, ma da quell’altro ci vai sempre), sono passata a pulire la macchina anche fuori (per coerenza) e ho ritirato Little Boss alla Cittadina, che il suo fidanzato dopo due settimane è finalmente guarito dal Covid. Alla fine della giornata ho spuntato un sacco di voci dalla mia lista, ma ero più stanca dei normali giorni di lavoro. In pratica sono sempre in gara con me stessa. 

E poi invece guardo le altre persone che se la vivono in modo mooolto più serafico e mi chiedo: come fanno? Il nostro nuovo cuoco, per esempio. La cuoca storica va in pensione e il Capo ha preso questo ragazzino qui. Mia nonna direbbe che è un tipo tutto Sussi e Biribissi; mia madre direbbe invece Non mi tocchete che mi cachete; l’Amico Speciale, appassionato di classici, esordirebbe con Perché io sono io e voi non siete un cazzo! Con questo non so se ho chiarito… bravissimo ragazzo, ci mancherebbe, ma un po’ abituato a fare il nido quando impiatta le tagliatelle, mentre i nostri clienti sono più tipi da Metto il formaggio anche sullo scoglio.  

Quindi l’altro giorno. Arriva una coppia. Due spaghetti della casa. E poi per dopo vediamo, dicono. Mando la comanda in cucina e intanto arriva un’altra coppia. Due spaghetti della casa. E per dopo vediamo. A volte ci sono queste giornate con comande gemelle, non chiedetemi perché o a quale mistero rispondano perché io non mi capacito mai. Comunque. Proprio quando stavano uscendo gli spaghetti del primo tavolo, ne arriva un altro. Io, con la mia solita fretta, vado in cucina a controllare, vedo gli spaghetti nella padella e mi dico, vabbè, sono pronti, aspetto, porto i piatti e poi prendo l’ultimo ordine. Il cuoco (ma lui direbbe lo chef) inizia a impiattare: prende il mestolo, le pinze, fa i suoi nidi, distribuisce la salsa… io, nel frattempo, mi raccolgo il latte uscito dalle ginocchia. Faccio capolino fuori e l’ultimo tavolo alza la mano per chiamarmi. Guardo il cuoco/chef ed è sempre lì che impiatta. Scatto dentro, scatto fuori e non so cosa fare, vorrei urlare: dammi ‘sti cavolo di piatti e lasciami uscire,ma non ho abbastanza confidenza. Finalmente sono pronti, esco, li porto al tavolo, corro al tavolo che mi ha chiamato, grande sorriso sotto la mascherina (ma dagli occhi si vede lo stesso). No, sa, mi fa il tipo, è che abbiamo un po’ di fretta. (sapessi io quanta fretta ho!)

No, no, scusatemi voi, dico (vorrei dire che è colpa del cuoco/chef bradipo, ma sto zitta). Sono pronta: cosa vi porto? 

Indovina indovinello?

Due spaghetti della casa. 

E poi dopo vediamo. 

Forse tutta ‘sta fretta non la avevano, in fin dei conti… io invece…

Alessa

Nel dì di festa…

Mi alzo controvoglia alle sette e mezzo, ben due ore e mezzo dopo la mia sveglia abituale. Nonostante ciò le gambe sembrano stones, la schiena non vuole raddrizzarsi, sotto gli occhi ho due Fosse delle Marianne. 

Prendo il mio caffè con latte di soia, ingurgito l’integratore che assomiglia a una sostanza con dentro la criptonite e mi sento un po’ meglio. Giusto due minuti due. Poi il cervello si attiva, si ricorda quello che deve fare in giornata e allora ciao, vorrei tornare dritta dritta a letto.

E vabbè, invece mi vesto, indosso semi compiaciuta i jeans che non stavano più dal pre-lockdown, esco senza essere del tutto preparata al freddo e me ne vado nella città del mare da mio padre (mi sono ricordata questo post… e ora tutto sembra chiaro. O quasi). Mentre guido mi ripeto gli obiettivi del giorno: portare scatole per trasloco, chiamare la sua dottoressa per riferire dati della pressione, recuperare e inviare i documenti per il nuovo contratto di affitto e…convincerlo a mettersi un pannolone per anziani. 

Arrivo alle nove e mezzo e alle dieci e mezzo ho già fatto tutto, compreso il convincimento. Mi guardo allo specchio del suo bagno (che ho appena pulito per onore alla decenza) e mi dico: ci sei, Moon, oggi è andata bene. Soddisfatta di me per un Serenity extralarge.

Torno giusto per prendere Little a scuola (che a scuola non era perché sciopero) e poi a casa. Perché nel pomeriggio devo fare il cambio dell’armadio, chiamare di nuovo la dottoressa di mio padre, organizzare con mia madre la cena per il mio compleanno… e poi arriva lei. Arriva Alexa.

L’amore tra me e questo gioco per adulti (non chiamiamolo in altri modi, è così e basta: è un gioco) inizia mesi fa a casa di mia sorella. Lei e le mie nipotine la chiamano per ogni cavolata: Alexa, metti le luci rosse; Alexa, fammi sentire Nella vecchia fattoria; Alexa, di che colore era il cavallo bianco di Napoleone?E via discorrendo. 

Nonostante ciò immagino le sue potenzialità. Alexa, accendi la lavatrice; Alexa, fammi vedere cosa succede nel mio soggiorno. E poi sì, anche, Alexa, metti la mia compilation preferita su Spoty

Ma è solo negli ultimi giorni che Alexa è tornata nel mio cuore, quando la FDC l’ha portata al laboratorio di pasticceria per il mio Capo. 

Ora. Il mio Capo spesso le urla contro: ALEXA, DIMMI LA FREQUENZA DI RMC! Come se Alexa fosse il vecchietto sordo che l’altra mattina, quando l’ho visto sedersi al tavolo e gli ho chiesto se avesse il Green Pass mi ha risposto: sì, grazie, un caffè macchiato. Misteri dell’udito.

Comunque, l’Alexa del lavoro è chiamatissima. Anche Osaro, il mio collega nigeriano, a volte prova a chiamarla. Solo che la X non gli viene. Alessa, fa lui. Alessa!!! E lei zitta. Lui mi guarda, fa spallucce. Alessa no funziona, dice(il suo italiano è quasi come il mio nigeriano, va detto, nonostante i millemila corsi di lingua che frequenta. Ciò mi spinge a dire: ma chi li fa, questi corsi???)

L’altro giorno Osaro ha visto due mosche, una sopra all’altra. Mi batte su una spalla e mi fa: Moon, pure mosca ha fidanzata! Perché io no fidanzata? Così il mio Capo ha chiesto a Alexa: Alexa, lo vuoi Osaro come fidanzato? Lei ha risposto: sono felicemente single, grazie. 

Povero Os… nessuna speranza! Va detto che il ragazzo è bello, ma pretenzioso: la vuole bianca (no nera, perché io no nero– see, ok, Os, se ti copri con tutta la farina della pizzeria, forse-), la vuole giovane e bella, intelligente, italiana, che lavora…

Eh, gli faccio io, se la vuoi italiana sarà meglio che lo impari, prima, l’italiano, no? 

Ma se è intelligente, mi risponde, studia e impara inglese, come te. 

Pinato*, gli rispondo.

Pentolina, mi dice lui (perché ogni tanto borbotto)

Intanto abbiamo raggiunto il compromesso. Lui continua a dire le cose in inglese anche al mio Capo e se lei non lo capisce invita Alexa a fare da traduttrice.

Un interprete come un altro…

*in gergo: duro come le pigne (o pine, in toscano) verdi

Storia di un jolly in carriera

Mentre il mio pane cerca di lievitare (le farine che devo usare non sono molto collaborative con il lievito…)ripensavo al mio lavoro.

Sono anni che lavoro al Ristorante e le mie mansioni lì sono cambiate nel corso del tempo. Assunta per fare cocktail e rinnovare l’Happy hour, mi sono presto ritrovata a scrivere comande e portare piatti. Dopo pochi mesi sono stata riciclata (il termine, fidatevi, è corretto) per fare caffè e cappuccini la mattina presto. Da lì sono passata al laboratorio di pasticceria per aiutare a farcire biscotti e riempire bignè. Poi ho fatto un salto in pizzeria, imparando a fare impasto, stendere pizze, condirle e infornarle nel forno a legna. Poi un altro passo: aiuto cuoca (insalate e primi per lo più), poi lavapiatti. Ed ecco che poco dopo mi ritrovo di nuovo a prendere ordinazioni e servire ai tavoli. 

Se ve lo state chiedendo sì: tutto nello stesso locale. Ci sono stati dei giorni che passavo da un reparto all’altro tanto velocemente che mi sembrava di essere Clarke Kent che si cambia nella cabina telefonica: metti il grembiule bianco della pizzeria, toglilo e vai al banco a fare caffè, rimettilo e vai in cucina… 

Non mi sono mai lamentata (con i miei capi, almeno), ma in modo subdolo cercavo di migliorare nel settore in cui volevo lavorare davvero: la pasticceria. 

La pasticceria è un’arte, è alchimia, ha qualcosa di magico. 

Così mi sono scavata una nicchia. Con il tempo, ovvio. E gli eventi mi hanno aiutato: il corso di gelateria non doveva essere per me, ma beh, io c’ero, al contrario della Figlia del Capo (F.D.C.). 

Passo indietro: conosco la FDC da quando aveva 13 anni, ora ne ha 37. Non ci sono sempre andata d’accordo, ha un carattere particolare, se così vogliamo dire. Altri direbbero che è una stronza con il patentino, ma io di solito tendo a giustificare i comportamenti di tutti. 

Comunque la FDC (un po’ parecchio viziata dal Capo e dal Boss, questo sì) a un certo punto ha sclerato e ha convinto i genitori a farle fare una scuola di pasticceria con i controcazzi. Una scuola moooooolto costosa. Una scuola dove a valutarla c’era Massari, per intenderci. E insomma, ve la faccio breve, dopo anni di irrisolti con il parentame alla fine la tregua l’ha decisa un cosetto piccolo e soffice: il primo nipote, sfornato dalla FDC (e dal nostro pizzaiolo: sia mai che le cose non abbiano lo spirito della telenovela argentina, in questa storia). Risultato? La nostra FDC è entrata da qualche mese a lavorare nel laboratorio di pasticceria. 

Il mio primo pensiero è stato: vai, sei fregata. Questa ti soffia il posto ed ecco lì che di tutti i tuoi progetti Mi faccio dare un aumento, mi faccio cambiare mansione, ti resta in mano solo un pugno di mosche.  Capitemi: mi sono fatta il mazzo per anni per arrivare a sapere quello che so, per fare proposte, per farmi la nicchia, insomma. 

All’inizio le cose sembravano ormai decise: riposizionata. Eccomi che torno al banco a fare caffè. Ero sul punto di licenziarmi. 

Ma poi il mio lavoro nel corso degli anni ha prevalso. Era la FDC a chiedere le cose a me, a chiedermi se era fattibile fare una cosa piuttosto che un’altra. 

In pratica ora collaboriamo. E sebbene io sia ancora diffidente (stringere alleanze con la FDC può nuocermi in molti modi), il suo progetto coincide con il mio: farmi restare il più possibile in pasticceria. 

Pare che la nostra strategia stia funzionando, almeno in parte. 

Riusciranno i nostri eroi?

Beh, se non si licenzia qualcun altro, se non ci sono altre emergenze pandemiche, se… forse il mio ruolo di jolly andrà a sparire. 

Intanto godetevi la foto del nostro cheesecake ai frutti di bosco. 

Davvero buonissimo. Fidatevi.

(E con millemila euro di scuola di alta pasticceria se non era buonissimo il Capo e il Boss erano investitori del cavolo!)

E sì che ero brava a scuola con i riassunti…

Bene bene bene.

La mia idea era di riassumere questi sei mesi, ma si sa, un riassunto è sempre una questione personale, di PDV, direi io. E di immagini, di fotografie, quelle che restano impresse nella nostra pellicola mentale. Avrei voluto solo belle foto, o foto belle. Vediamo cosa ne esce.

Febbraio:

C’è un furgone stipato di roba smontata: un letto contenitore dell’ikea, una cucina intera, rossa, di buona fattura, specchi, lampade, una scala con scalini di vetro fatta su misura, materassi, zanzariere comprate on line. No. Non è il mio furgone del trasloco. Io ho traslocato con la mia macchina, Winny, le scatole con i libri e tutto il resto occupano poco spazio. È la roba che viene portata via dalla mia vecchia casa: viene svuotata per motivi terzi ed è inutile che ve li dica: troppo lungo e complicato. Ma soprattutto non sono affari miei. Ci sono io, in piedi sopra il parquet, guardo le stanze tinteggiate da me sei anni fa completamente spoglie: la casa che mi ha accolto, il mio rifugio dalla tempesta, la spettatrice della mia rinascita ora è nuda, inerme. Le dico addio in silenzio.

Ale di fronte a me. Dall’altra parte del tavolo. È lì con me, allungando una mano la posso toccare, la vedo, con la sua nuova aria da folletto, come a dimostrarmi che è lì, nel paese dei folletti, che vuole stare. E io lo so che sebbene ci provi fino all’ultimo giorno, sebbene pensi pure di sabotarla, non posso fare a meno di amarla tanto da lasciare che se ne vada. Così da dimostrarmi che l’amore non è sempre egoista, dopotutto. 

Marzo:

I colori dell’arcobaleno volteggiano sulla mia testa. E sul mio lavoro. Vai a lavoro? Stai a casa? Ormai è solo una questione di scelte, non di obbligo. Mi dico: vai a lavorare almeno ti distrai. Credo sia la prima volta che lo penso. 

Aprile: 

Una Pasqua tutta per me. Nella mia nuova casa le vocine delle mie nipoti, i regali, il sole, i sorrisi. Un pranzo in famiglia che ho organizzato io, finalmente, senza stress. Ogni tanto essere in zona rossa è un bene.

Per l’occasione sto friggendo i supplì. Le polpettine di riso saporite sono dorate quando le scolo, finalmente lo scettro è passato dalle mani di mia madre, la Regina dei Supplì, alle mie: continuo così la tradizione di famiglia, con una ricetta, il riso e il pangrattato. 

Maggio: 

A Maggio nemmeno una foto. Né mentale né fisica… deve essere stato un mese pieno di lavoro.

Giugno: 

Io che guardo il carroattrezzi portarsi via la macchina di mio padre mentre mi scuso con i vigli urbani per lui, Si deve essere dimenticato l’assicurazione, scusate, ripeto. Ma so che c’è qualcosa di più. Decido di fare una cosa non proprio etica ma salvifica per il momento: nascondere la testa sotto la sabbia in stile struzzo e rimandare tutto a dopo l’estate.

Luglio:

Un castello stregato, un pranzo pieno di leccornie, una bella giornata di sole. Io e Little Boss ci prendiamo una giornata di respiro e ce ne andiamo a Fosdinovo con tanto di visita guidata, sulle tracce del fantasma che respira. O così dicono gli esperti fantasmologi… spettrologi? Occultisti? Ma come si chiamano? Ah: ghostbuster! Pranzo poi a Colonnata: slurp! E basta, solo slurp. 

Agosto: 

io e Little Boss al mare, a fare le signore, con pranzo al ristornate sulla spiaggia, lettini e tutto il contorno del mare che per una giornata spedi 100 euro. Semel in anno…, dicevano. Anche se il riferimento era per il Carnevale, se non erro.

Agosto però è anche la mia foto su un altro lettino, quello del Tizio che Che mi Scrocchia (T.C.S.) come diceva una mia collega (che non nominerò con nomignoli, tanto è già sparita: è durata come un gatto in tangenziale al Ristorante. Così va la vita). Al TSC ho lasciato un bel mucchio di soldi per nulla. ma va detto che in quell’ora di sedute da lui dormivo che era un piacere. Insomma tra Luglio e Agosto iniziano i miei problemi che portano, oggi, le mie papille gustative a tentare il suicidio: la dieta vegana! (ma la mia dieta non è solo vegana: ha altre restrizioni. Pure!). 

Agosto mi vede anche poco insieme all’Amico Speciale: quando io dormo (ogni volta che non lavoro in pratica) lui è sveglio; quando io sono sveglia, lui è a lavoro; quando io lavoro… bhe, lavoro. Quindi un gran casino. 

Settembre: 

Ahhh ( di sollievo). Le ferie. 

Le ferie mi vedono in Sicilia. Porto io lì la zona gialla. Ma chi se ne frega, Palermo è bellissimissima. Un clima rilassato, giornate perfette (né caldo né freddo, mai pioggia), chili e chili di fritto (panelle e crocchè, arancine), cannoli come se non ci fosse un domani, acqua talmente limpida che potevo vedere i pori del mio piede, edifici come la Cattedrale, il Palazzo dei Normanni… insomma: è stato un antipasto, cara Sicilia. Tornerò per il primo, il secondo e pure il dessert!

Settembre mi vede però anche impegnata in tutto quello che ho voluto tralasciare nei mesi passati. Mio padre è in cima alla classifica. E quindi un’altra foto di me mi vede in macchina fare su e giù due volte a settimana tra il Paesello sperduto dove abito e la Grande città di mare dove invece abita lui (3 ore di auto tra andata e ritorno). In questa immagine io guido la macchina come Fred dei Flinstone: avete presente, no? 

Il mese finisce con me una Moon disagiata, stanca e dolorante, che nel frattempo, oltre a una dieta, ha iniziato anche una cura farmacologica che spera funzioni (le altre cure provate? Acqua fresca. Sennò non tentavo il TSC o la dieta). 

Ottobre è appena iniziato. Già si preannunciano tuoni e fulmini, reali e metaforici. 

Certo, se viene giù metaforicamente l’acqua come realmente è venuta giù qui ieri sera… affogherò di sicuro! 

Un riassunto un po’ lunghetto, questo. La prof di italiano di Little mi darebbe un due. Spero che WP non dia i voti…

La Zona Gialla (Z.G.)

E la Toscana è, dopo più di un mese, tornata ieri in zona gialla. La parentesi durerà il tempo di uno starnuto (allergico, eh, non da Covid 19 o da Covid 2, la Vendetta, il suo perfido gemello inglese: questa storia ha un che di avvincente, alla fine) e dunque tra due giorni la fiesta sarà già finita: che la siestacominci!

Lungi da me criticare scelte effettuate, più che altro non ho voglia qui. Qui volevo, semplicemente, constatare.

Domenica mattina, ore 5.30. un cliente entra nel bar, si avvicina alla vetrina dei dolci, chiede: quindi stamani la colazione si può fare qui? 

Io: certo, vi è concesso da oggi fino a mercoledì. Poi stop perlomeno fino al 7 gennaio.

Lui si toglie la mascherina e la getta in terra. La getta a terra, dico. Ah, finalmente, fa lui.

Io: guardi che la mascherina è ancora obbligatoria…

Evvabbè, che cosa gli vuoi dire alla gente?

Comunque quello era solo l’inizio, perché di comportamenti scorretti, in stile Quinoncenècovviddi, ne vedo altri mille prima che la mattinata finisca. Brontolo, riprendo, a volte lascio fare perché sfinita. 

Ma il primo giorno di zona gialla non lo è solo per il lavoro. Little Boss è lì pronta a scattare allo start perché non vede l’ora di rivedere i suoi amici (e il Little Nerd che non potrà baciare perché Cèilcoviddi (parole sue, devo crederle?). A mezzogiorno è già nella cittadina che si prepara a mangiare schifezze con il suo gruppetto. Le impongo di inviarmi la sua posizione sempre (adoro la condivisione della posizione su Whatsapp), la chiamo appena finisco di lavorare, le dico che alle 18 spaccate deve essere pronta, la vado a prendere. 

Ma siccome è zona gialla anche Max, l’Amico Speciale, si muove: alle tre è già a casa mia, mi porta in dono coniglio fritto e si presenta con quel cavolo di completo che, cavolo cavolo, se è strabello con il completo, mi dice: se devo uscire con una bella donna devo fare la mia figura (quanto è ruffiano, ma lo adoro quando lo fa). Io per festeggiare la zona gialla mi sono presa un prosecco al circolino sotto casa (finalmente in presenza), divoro il coniglio e poi divoro Max, ignorando l’occhiataccia del suo completo gettato sul divano. 

Stasera sushi?, mi chiede baciandomi una spalla. 

Un tir di sushi, gli rispondo. 

Pronti, via, eccoci alla cittadina per recuperare Little Boss, una cittadina stracolma, c’è pure il mercato, il delirio più totale. 

Il secondo giorno di zona gialla inizia in sordina. Ma nel pomeriggio Little mi chiede di tornare alla cittadina. Devo finire di comprare i regali, la fumetteria ieri era chiusa

Ok. alle tre riparto, siccome è presto decido di tirare a lucido Winny all’autolavaggio. Winny non la prende bene. Ho tirato tutto in avanti il sedile del guidatore e quello resta bloccato lì. Tiro, impreco, chiedo aiuto: nulla. Mi tocca guidare l’auto come fossi sulle macchinine scontro. Chiamo il Meccanico Di Fiducia, che ormai chiamo più di mio padre (quando mi si accende una spia, quando devo fare inversione delle gomme, quando devo cambiare la corda della frizione, quando mi perde dalla guarnizione di testa… Winny è stanca) e gli chiedo un consulto, sperando mi riceva al volo. Nulla, mi riceve domani. Mi sentirò alta ancora per un po’. 

Per consolami lascio Little in centro a incontrarsi con il Little Nerd e mi butto sullo shopping consolatorio: ho un’ora per ripristinare il livello di serotonina. L’ora la uso bene, mi compro anche un cappotto. Poi siccome mi si sono rotte le calze vado da Tezenis e, oltre alle calze, mi resta attaccato alle mani anche un pigiama. Alla cassa mi prendono i sensi di colpa, come un bulimica, e quando la commessa mi chiede se è un regalo dico di sì. Quanto è grave mentire alle commesse di Tezenis? Lei poverina mi dà pure il kit per incartare, esco e mi sento pure peggio.

Io e Litte torniamo a casa con il favore delle tenebre. 

Siamo solo a metà dei giorni concessi dalla zona gialla e mi sembra di aver vissuto due settimane. 

Da una parte non vedo l’ora che sia il blocco: almeno dormo e mi riposo….

T.B.P. Vol 2.

A voi un’altra puntata della Barista Moon e le sue incredibili avventure

Incredibile la pletora di diavolerie che la gente può dire/fare. 

Quindi Tipi da bar durante la Pandemia Vol. 2

  1. CLIENTE CON MASCHERINA MAGGIORENNE (M.M.): chiamasi mascherina maggiorenne ogni mascherina portata per più di un mese. La mascherina dopo alcuni giorni presenta una chiazza scura e oleosa in prossimità di naso e bocca, visibile anche dall’esterno (non voglio immaginare l’interno). 

Qui non sussiste nessun tipo di conversazione. Cerco di mandarlo via alla svelta prima di vomitare. 

  • CLIENTE IPOCRITA (I.):

Io: Buongiorno! 

Cliente I.: Buongiorno a lei, mi dà una brioche e una caffè da portar via? 

Io: subito.

Cliente I.: (tra sé e sé) da portar via per forza, eh, siamo in zona rossa, che poi la gente non lo sa nemmeno quello che si può fare e quello che non si può fare. Oppure fanno finta di non saperlo, dico io, eh, che se c’è una legge c’è una legge, ma poi davanti ai bar si mettono a fare gli assemblamenti (non c’è verso, dopo quasi un anno di pandemia, ancora la gente non ha imparato, N.d.R.), ma non lo sanno che si deve stare a casa? Eh? Che bisogna uscire solo per necessità vere? Che non si può fare ciò che vogliamo? Che ci sono delle vite in ballo e che Prima la salute? 

Io: Ecco qua signora, sono due euro (di solito faccio finta di nulla durante i soliloqui)

Cliente I.: ah, volevo anche ordinarle un dolce per domenica prossima. Mia figlia si è laureata, vorrei una cream tart. 

Io: nessun problema, per quante persone?

Cliente I.: mah, saremo una decina. 

Io: Ah. Ok. 

  • CLIENTE BUGIARDO (B.): 

Cliente B.: Buongiorno vorrei ordinare un dolce per martedì, un millefoglie crema e panna.

Io: certo, per quante persone?

Cliente B.: la faccia per dieci. Anche se siamo solo in quattro, beh, ma siamo golosi, tutti, e se avanza pazienza.

Io: (certo come no…) Mi dica l’ora e ci vediamo martedì.

  • CLIENTE RECIDIVO (R.):

Cliente R. Buongiorno mi dà un budino di riso.

Io: Certo! (Metto il budino nel sacchetto di carta)

Cliente R.: Perché me lo mette nel sacchetto? Lo mangio ora.

Io: (sospiro) no, mi dispiace, non può mangiarlo qui, deve portarlo via. E non può nemmeno qui fuori, dovrebbe andare in macchina.

Cliente R: ah, ok, va bene. Mi fa anche un caffè? (Prende il budino dal sacchetto e inizia a mangiarlo)

Io: no, guardi che non può, glielo ho appena detto.

Cliente R.: ah, già. Scusi, eh.

Io: ecco il caffè.

Cliente R. (prende il caffè, lo stappa e inizia a berlo)

Io? Non ho più parole…

  • CLIENTE COMODO (C.)

Messaggio su Facebook dal Cliente C.: Salve volevo sapere se siete aperti per l’asporto della pasticceria.  

Io: sì, siamo aperti, ma le consiglio di prenotare al numero di telefono sulla pagina se desidera un dolce in particolare. 

Cliente C.: allora sì, mi faccia una torta della nonna per sabato.

Io: purtroppo non sono autorizzata a prendere le ordinazioni da qui, dovrebbe chiamare, come ho detto, il numero presente sulla pagina e parlare con la pasticceria.

Cliente C.: ah. Pensavo con la storia della zona rossa che si potesse. Allora non importa grazie.

(Il Cliente C. non ha mai chiamato per la torta. Forse non era capace di telefonare)

E con i T.B.P. per ora chiudo. Mi aspetta una settimana pesante in zona arancione (ci siamo passati oggi), dove, per chi non lo sapesse, posso ancora solo lavorare con l’asporto nel mio Bar. E lo specifico perché pare che nessuno l’abbia capito, come ho scoperto oggi. 

Faccio una personale standing ovation per le mascherine maggiorenni: avremo un sacco di elettori in più alle prossime elezioni.