Fantasticare

Ho appena fatto la salsa guacamole e siccome ne sono davvero golosa sto cercando di distrarmi in qualche modo per evitare di finirla con una bella dose di tortillas e arrivare a cena con Little che mi rimprovera perché mangio fuori pasto. 

Nella frase sopra mi rendo conto che qualcosa non va, non crediate. 

Oggi ero in macchina e la macchina è, da sempre, il mio pensatoio (se qualcuno di voi ha masticato qualche Topolino, da piccolo, saprà che la parola non è uno dei miei soliti neologismi, ma l’ho rubato a Paperone). E fantasticavo.

Ora, questa parola, appena l’ho scritta, mi ha fatto venire in mente castelli, boschi, nuvole, draghi, principesse, valorose battaglie e tutta quella roba lì. In realtà fantasticare significa, per me, semplicemente toccare realtà parallele, cose che potrebbero accadere o che potrebbero essere accadute. È una sorta di E se… Kinghiano (un concetto che King esprime benissimo nel suo On writing e che lui definisce alla base di tutte le sue storie), ma con la mia vita che la fa da protagonista. 

Detto così sembra splendido. 

In realtà a volte non lo è affatto e difficilmente riesco a controllarlo. 

Alla base delle mie fantasticherie ci sono i disastri. Esco da casa per andare a prendere Little da suo padre (viaggio di andata+ritorno più o meno 15 minuti) e lascio la lavatrice accesa. In macchina non mancherò di pensare che la lavatrice si romperà, l’acqua finirà prima sul pavimento del bagno, poi inonderà il parquet in soggiorno e scenderà dalle scale, allegando la strada. Ok, questa fantasticheria prende spunto da una cosa che mi è successa davvero, in una delle mie vecchie case. Però io ero in casa e me ne sono accorta troppo tardi perché dormivo. 

Oppure. 

Sto, di nuovo, andando a prendere Little. Immagino di avere un incidente grave. Penso a chi potrebbe avvisarla senza farla morire di paura perché non sto arrivando. 

Oppure.

Penso che ci sarà una pandemia e ci saranno milioni di morti in tutto il mondo e io… ops. Questa è vera.

In ogni caso queste ipotesi di disastro immagino mi servano per prepararmi. Mi preparo al peggio, così non mi stupisco se accadono. Così ho un piano. Così posso fingere di controllarle. Ma so che in realtà non è poi del tutto vero. Watzlawick dice al contrario che così metto in moto una profezia che si autoavvera.  Che se ciò non vale per una casa che va a fuoco perché ho lasciato il fornello acceso per sbaglio, potrebbe valere per, che ne so, una litigata con Max (l’Amico Speciale): io mi pongo, psicologicamente, in una modalità da litigio, se così posso dire. E la cosa accadrà. Ma questa è solo un’ipotesi. Molto lontana a dire il vero. Perché io e Max non litighiamo mai. Mai. 

In ogni caso mi chiedo: queste mie strane fantasticherie non controllate che avvengono in auto mi fanno bene, tipo i sogni, oppure no? 

Un tempo il pensatoio era il posto in cui producevo tutte le idee per i miei racconti. Che poi non è che è cambiato molto, nei miei racconti ci sono sempre un sacco di tragedie. Come mi disse una volta mio padre: Io capisco, tesoro, che la vita dell’Ingegner Taldeltali che aspetta fuori dalla scuola sua figlia e che la abbraccia felice prima di andare con lei a mangiare un gelato non interessa a nessuno, ma tutte quelle morti che metti nei tuoi racconti…

Caro papino, in realtà oggi la storia dell’Ingegner Taldeitali sarebbe una storia rivoluzionaria. Una storia da post Covid. Ecco la trama: dopo due anni di pandemia, dove sono morti alla piccola entrambi i nonni (uno era in una Rsa), e la madre ha avuto danni neurologici post virus, finalmente la bambina torna a scuola (in presenza), ritrova tutti gli amici che non vede da mesi e mesi, li abbraccia (perché può), sorridono e i loro sorrisi riescono a vederli, non li immaginano e basta da sotto la mascherina, l’insegnante fa una lezione commovente sulla società che è cambiata, sulla responsabilità che hanno loro, i piccoli studenti, di fare in modo che una tragedia simile non si ripeta, su tutto ciò che non è andato bene, ma anche su tutte le piccole cose che invece hanno messo speranza nei cuori delle persone. Poi la piccola (chiamiamola Alice) esce da scuola. Suo padre, l’Ingegnere Taldeitali, è lì fuori che la aspetta (in mezzo a decine di altri padri e madri)e allarga le braccia. Alice gli corre incontro e lo abbraccia. Come è andata, piccola?, chiede il padre.  Come se fossi nata oggi, risponde la piccola , anche se  magari potrebbe non essere così piccola, sennò questa risposta è un po’ troppo, che ne dite. Va beh, mica era una storia perfetta. Era solo per dire a mio padre che sì, anche la vita dell’Ingegner Taldeitali che aspetta fuori dalla scuola sua figlia può interessare a qualcuno. 

E nel frattempo un paio di tortillas con la guacamole me li sono fatti fuori.

Merda. 

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T.B.P. Vol 2.

A voi un’altra puntata della Barista Moon e le sue incredibili avventure

Incredibile la pletora di diavolerie che la gente può dire/fare. 

Quindi Tipi da bar durante la Pandemia Vol. 2

  1. CLIENTE CON MASCHERINA MAGGIORENNE (M.M.): chiamasi mascherina maggiorenne ogni mascherina portata per più di un mese. La mascherina dopo alcuni giorni presenta una chiazza scura e oleosa in prossimità di naso e bocca, visibile anche dall’esterno (non voglio immaginare l’interno). 

Qui non sussiste nessun tipo di conversazione. Cerco di mandarlo via alla svelta prima di vomitare. 

  • CLIENTE IPOCRITA (I.):

Io: Buongiorno! 

Cliente I.: Buongiorno a lei, mi dà una brioche e una caffè da portar via? 

Io: subito.

Cliente I.: (tra sé e sé) da portar via per forza, eh, siamo in zona rossa, che poi la gente non lo sa nemmeno quello che si può fare e quello che non si può fare. Oppure fanno finta di non saperlo, dico io, eh, che se c’è una legge c’è una legge, ma poi davanti ai bar si mettono a fare gli assemblamenti (non c’è verso, dopo quasi un anno di pandemia, ancora la gente non ha imparato, N.d.R.), ma non lo sanno che si deve stare a casa? Eh? Che bisogna uscire solo per necessità vere? Che non si può fare ciò che vogliamo? Che ci sono delle vite in ballo e che Prima la salute? 

Io: Ecco qua signora, sono due euro (di solito faccio finta di nulla durante i soliloqui)

Cliente I.: ah, volevo anche ordinarle un dolce per domenica prossima. Mia figlia si è laureata, vorrei una cream tart. 

Io: nessun problema, per quante persone?

Cliente I.: mah, saremo una decina. 

Io: Ah. Ok. 

  • CLIENTE BUGIARDO (B.): 

Cliente B.: Buongiorno vorrei ordinare un dolce per martedì, un millefoglie crema e panna.

Io: certo, per quante persone?

Cliente B.: la faccia per dieci. Anche se siamo solo in quattro, beh, ma siamo golosi, tutti, e se avanza pazienza.

Io: (certo come no…) Mi dica l’ora e ci vediamo martedì.

  • CLIENTE RECIDIVO (R.):

Cliente R. Buongiorno mi dà un budino di riso.

Io: Certo! (Metto il budino nel sacchetto di carta)

Cliente R.: Perché me lo mette nel sacchetto? Lo mangio ora.

Io: (sospiro) no, mi dispiace, non può mangiarlo qui, deve portarlo via. E non può nemmeno qui fuori, dovrebbe andare in macchina.

Cliente R: ah, ok, va bene. Mi fa anche un caffè? (Prende il budino dal sacchetto e inizia a mangiarlo)

Io: no, guardi che non può, glielo ho appena detto.

Cliente R.: ah, già. Scusi, eh.

Io: ecco il caffè.

Cliente R. (prende il caffè, lo stappa e inizia a berlo)

Io? Non ho più parole…

  • CLIENTE COMODO (C.)

Messaggio su Facebook dal Cliente C.: Salve volevo sapere se siete aperti per l’asporto della pasticceria.  

Io: sì, siamo aperti, ma le consiglio di prenotare al numero di telefono sulla pagina se desidera un dolce in particolare. 

Cliente C.: allora sì, mi faccia una torta della nonna per sabato.

Io: purtroppo non sono autorizzata a prendere le ordinazioni da qui, dovrebbe chiamare, come ho detto, il numero presente sulla pagina e parlare con la pasticceria.

Cliente C.: ah. Pensavo con la storia della zona rossa che si potesse. Allora non importa grazie.

(Il Cliente C. non ha mai chiamato per la torta. Forse non era capace di telefonare)

E con i T.B.P. per ora chiudo. Mi aspetta una settimana pesante in zona arancione (ci siamo passati oggi), dove, per chi non lo sapesse, posso ancora solo lavorare con l’asporto nel mio Bar. E lo specifico perché pare che nessuno l’abbia capito, come ho scoperto oggi. 

Faccio una personale standing ovation per le mascherine maggiorenni: avremo un sacco di elettori in più alle prossime elezioni. 

E io guardo Sharknado

Stamani ho deciso di scrivere Senza censura (non so se vi ricordate: esisteva un programma su Rai 3 una volta, con questo nome).  

Fanculo, quindi, al mio Acerrimo Nemico. 

La settimana è stata pesante come il cinghiale della pubblicità del Brioschi, quindi me lo voglio concedere.

Inizio da lunedì, un giorno di festa in cui, dopo mesi, ho rivisto l’Amico Atipico. L’unico giorno in cui mi è sembrato di vivere. Rivedere lui, parlare del più e del meno, del lavoro (io), della ragazza psicopatica (lui), bersi un cappuccino, pranzare con Little dove (per dirla nel mood locale) ci sono le fie con le rote (l’American diners, dove le ragazze servono sui pattini a rotelle) è stato corroborante. Ma è durato come un gatto in tangenziale. La realtà, quella vera, è arrivata alle 15.00, quando è arrivato il tecnico per revisionare la caldaia: 120 euro. 

Martedì. Martedì è sempre un po’ follia, ricomincia il lavoro, io non sono mai in pari, basta il battito d’ali di una farfalla e perdo il passo, martedì ho perso il passo. Mercoledì ero ancora un passo indietro e, Covidnonostante, il Ristorante a pranzo si è riempito come se non ci fosse un domani. 

E qui sta il punto: sento tutto come se non ci fosse un domani. E io sono una maniaca del controllo. Il domani, per me, è importante. Io vivo per il domani. E oggi non c’è più, il domani. Domani cambia in modo improvviso, quando meno te lo aspetti. Basta un dpcm. 

Nel giro di tre giorni il mondo è cambiato. 

La gente ha avuto paura, il lavoro è calato e io non so più cosa fare. 

Nel giro di tre giorni, poi, anche la scuola è cambiata.

I ragazzi devono stare a casa, quando non si sa, la domenica sera ci sono le corse a guardare sul sito chi il lunedì sta a casa e chi no. 

E io cosa faccio. La cassa integrazione, ancora? Devo fare un trasloco, mi servono soldi, mi serve il lavoro. 

Ma mi serve anche non ammalarmi, mi serve che non si ammali Little, mia madre, mio padre, le mie nipoti. 

Mi serve che non ci sia questa guerra, 

Mi serve che un medico non mi dica cosa si dicono tra medici, così, mentre si beve il caffè che gli ho appena fatto, che non mi dica che i contagi sono 10.000 oggi e 30.000 domani e 60.000 tra tre giorni. 

Non voglio sapere dell’apocalisse, la immagino già di mio. 

Sono confusa, impanicata, il distopico che andava tanto di moda in letteratura un anno o due fa non è più distopico, è reale, e io che cosa faccio.

Io gioco a scala quaranta. 

Guardo la tv. 

Guardo Sharknado. 

Che se non sapete cosa diavolo sia, sappiatelo, che Sharknado ti toglie i pensieri, sul serio.

Perché la mattina sono un girotondo di articoli del Corriere, indiscrezioni sull’Ansa, veline dal Quirinale. 

Ma la sera per non implodere devo guardare Sharknado. 

Anche la mia Little implode. 

Non mi sopporta più, si tinge la faccia per non so quale motivo, sta in videochiamata con gli amici, pensa alle proteste perché tengono la mascherina in aula 5 ore invece di 4. Le sue piccole lotte. 

Ma la scuola li abbandona, li sacrifica. Ci prova a tenere duro, ma non può farcela, ci sono le Regioni che dichiarano: scuole chiuse e ristoranti aperti, e io sono in mezzo: tra i due fuochi. Due miei colleghi saranno messi a casa lunedì senza cassa integrazione, senza possibilità di essere licenziati (quindi disoccupazione). 

La mia piccola realtà. 

Io posso solo disdire l’ultimo appuntamento dal dentista, che spendere soldi ora per i denti non è il caso, facciamo i Cip e Ciop, mettiamo via qualche ghianda, che la storia qui su fa brutta e se dobbiamo rientrare in letargo ci serve cibo.

Martedì per ora io lavoro. Sono una delle fortunate. Ma non riesco a gioirne.

TDL (il minchione per eccellenza) mi chiama nazista perché lo rimbrotto se va in giro per il Ristorante senza mascherina. Dice che sono nervosa, negativa. Lui continua a chiamarmi bellissima e io lo detesto per la sua infinita superficialità. Per il suo egocentrismo esasperato. 

Su questa storia hanno tuti un’opinione. E si comportano di conseguenza. Ignorando il resto. 

Mia nonna diceva sempre che le persone sono capaci di guardare solo al proprio pezzetto di terra.

Io compresa, forse. 

Ho scritto questo pezzo come mi sento: in completa confusione. Perdonate quindi se ho saltato qualche passaggio logico. La logica, a oggi, mi sembra perduta.

Della breve uscita con Little e altre amenità da Covid

post 210

 

 

La candeggina. È tra gli odori che sento di più. Viene dal mio bagno, dove sono costretta a buttarne un po’ negli scarichi tutti i giorni. Viene dalla strada, che gli operai del comune lavano a giorni alterni. Verrà anche dal lavoro, dove saremo costretti a sanificare tutto e, si sa, la candeggina è la cosa che costa meno e può sanificare spugne, piani di lavoro. Ci sono anche altri odori: quelli dei gel per le mani, per esempio. Io e l’Amico Speciale abbiamo fatto una classifica: all’Ipercoop ne hanno uno che sa di gomma da masticare che ti si spiaccica sotto la scarpa, per esempio: è senza dubbio il peggiore che io abbia mai sentito.

Poi c’è l’odore della mascherina: un misto di panno nuovo e… non lo so, non so come classificare l’odore delle mascherine. Io le lavo ogni tanto (fino a che non sono proprio inutilizzabili) e quindi per i primi venti secondi sanno di bucato: ma poi riacquistano quel loro odore di mascherina e il gioco finisce.

Poi c’è la vista. Anche quella è cambiata: esco fuori e c’è un mare di azzurrino attaccato alle facce della gente. Sono talmente abituata a vederle che mi sale il panico se non le vedo.

Ed è il panico (sempre bene precisare: non il panico del virus. È un panico diverso, come quando vedi qualcuno che scavalca un muro di recinsione in modo furtivo: è il panico da stanno commettendo un reato e io assisto)che ho provato martedì quando sono uscita Con Little Boss.

La nostra gita è iniziata bene: a pochi chilometri da casa abbiamo trovato (abbastanza facilmente) la prima cache. E nella scatolina c’era pure una track, qualcosa (mi spiega Little) di ufficiale del gioco, con un numero di riconoscimento rintracciabile on line. Quella che abbiamo preso ( e che avremmo dovuto spostare subito) veniva dal New Hampshire.

Piccolo brivido di felicità, Andiamo alla prossima!, e siamo ripartite.  Ma le cose sono peggiorate. Vuoi perché la cache successiva era praticamente irraggiungibile in auto (avremmo dovuto fare un pezzo a piedi, ma Little non voleva, lei detesta la natura e io mi chiedo se davvero la detesti o non ci sia abituata e basta), vuoi perché Little sembrava davvero infelice. Ho sonno, mi ha risposto, stavo bene anche a casa.

All’ora di pranzo invece che rientrare alla casa base ho allora deciso di portarla in un posticino che conosco molto easy dove avremmo potuto mangiare un panino.

E qui mi è venuto il panico. È stato qui che ho risposto a moon l’altra. Nonostante tovagliette di carta e tutto monouso, i ragazzi del posticino easy non hanno rispettato alcuna distanza di un metro tra un tavolo e l’altro. Gente senza mascherina che faceva capannello, camerieri con la mascherina sotto il naso… la prima reazione è stata questa: ognuno fa davvero come cazzo gli pare. E allora mi chiedo se davvero possono multare il mio capo se al posto della mascherina chirurgica (che lei dovrà fornirmi) io preferirò indossare quella di stoffa con il filtro (quindi ben 3 strati) che ho comprato on line. E penso a quanto tutto sia assurdo. Dall’odore continuo della candeggina all’obbligo della mascherina. Dalla distanza di un metro tra i tavoli a quella di quattro metri tra gli ombrelloni (ma attenzione: tra i due pali: nel mezzo può esserci di tutto).

Ed è forse questo il panico che mi rende così poco incline a uscire. Quello che sale vedendo continuamente regole non rispettate. E che mi fa dire: oddio, sto assistendo a un reato.

Mi ci abituerò: ci si abitua a tutto.

Ma la giornata con Little si è conclusa alla svelta, lei a casa sembrava più tranquilla. E un po’ anche io.

Che brutto modo di vivere, però…

 

Ps nella foto il track in questione (che tra l’altro non abbiamo potuto ripiazzare subito perché le altre cache trovate erano troppo piccole)

Sindrome della capanna

 

post 209

Ho passato il weekend con l’Amico Speciale.

Sabato siamo usciti, abbiamo tentato di fare compere, abbiamo pranzato fuori. Niente di speciale, volevamo solo vedere il mare.

Domenica, invece, non ci siamo spostati da casa. Vuoi perché era a tratti nuvoloso, vuoi perché io non ne avevo voglia.

Ed è questo che inizia a preoccuparmi. Il sentirmi a disagio quando esco. Ieri mattina anche solo andare a prelevare i soldi al bancomat e recuperare Little da suo padre mi è parsa un’impresa. Tornata a casa mi sono sentita subito meglio. Ho dato un’occhiata rapida al frigo e ho rimandato anche la spesa.

Non va bene, mi dico.

Dal canto suo anche Little non se la cava meglio. Pigra già di natura, appena le ho proposto una girata al mare per oggi mi ha rivolto quello sguardo che è a metà tra il Non mi va e il Mi dispiace. E così l’ansia di avere un altro problema (comune, oltretutto) da risolvere ha superato l’ansia di essere fuori casa.

La chiamano Sindrome della capanna. È una sindrome riscontrata negli Stati uniti, una storia di minatori forse, ma se la cercate sul web avrete notizie.

L’Amico Speciale la chiama semplicemente Conseguenza. Sei stata sempre chiusa in casa per tre mesi, non sei l’unica che ha questa reazione, mi dice. Ma io non sono una fan del Mal comune mezzo gaudio. Voglio semplicemente non averla. Voglio sentirmi sicura anche fuori. Non voglio avere problemi quando tornerò a lavorare, non di questo tipo, almeno, già ne avremo di altri tipi.

L’insicurezza, oltretutto, mi riporta indietro di vent’anni. mi riporta a un momento della mia vita abbastanza traumatico in cui ho fatto scelte sbagliate proprio per la paura che avvertivo vivendo.

La mia reazione base alle paure, però, quelle che riconosco come tali, almeno, è buttarmici a capofitto. L’esempio che faccio sempre (forse perché il più chiaro) è quello del paracadute: per sconfiggere la mia paura dell’altezza mi sono buttata con un paracadute da 4000 metri di altezza.

Quindi oggi sveglio Little, preparo due zaini e andiamo in giro tutto il giorno.

Come l’ho convinta? Pigiando i tasti giusti, ovvio. Ama giocare, ancora (grazie al cielo, spero non le passi mai la voglia di giocare) e le piace un gioco in particolare che coniuga il mio desiderio di stare fuori e il suo di divertirsi: qualcuno santifichi l’inventore del Geocaching!

Certo, mi prende un po’ di ansia, ancora, al pensiero di uscire. Ma vedrai che me lo faccio passare.

Sarà una bella giornata.

ps: so che quella nella foto non è proprio una capanna… ma questo avevo nel mio rullino

Sesso, scuole e Covid

post 208

 

 

Di notte il mio telefono, a un certo punto, si disconnette dalla carica. Lo fa spesso. Io lo so che è solo colpa di quella cavità che accoglie il caricabatterie che non mi ricordo come si chiama, ma dentro di me, in piena notte, dico: è esausto.

Non mi sopporta più, sempre lì a consultarlo per ogni cosa, dalla ricetta per i ravioli al (drammatico) conto delle calorie per una banana (in realtà lo so, quante calorie contiene una banana, ma voglio essere rassicurata, come i bambini al buio nel proprio letto).

E se non lo consulto io, è obbligato a chiamarmi lui, con le millemila notifiche che mi arrivano: Facebook, Instagram, Duolingo (povero Duo… non lo cago più dopo che ho gettato la spugna con il tedesco, e lui lì a dirmi: Mi manchi! E lo dice sul serio), Corriere della sera (ognuno ha le proprie debolezze), Yazio per la dieta(hai bevuto? Hai inserito la colazione? Eccheppalle!)… e poi tutte quelle App per il lavoro: Google my Business, Tripadvisor. Messaggi su messaggi: Ma quando riaprite? Fate l’asporto? Vorrei 1 chilo di mignon per sabato… ehi, bella, aspetta!

In una di queste sessioni divertenti mi arriva la notizia del ragazzo che ha abbracciato la fidanzata all’aperto ed è stato multato. 400 euro, mica noccioline.

Chiamo subito l’Amico Speciale e gli faccio: te l’avevo detto? No? Vedi? La gente è folle e se usciamo insieme e non stiamo attenti ci becchiamo pure la multa.

Poi però mi chiedo: ma secondo loro due fidanzati che non si sono visti per due mesi interi causa lockdown, ora che è permesso, come si dovrebbero comportare?

E così apro il vaso di Pandora delle assurdità.

Ci sono decine di articoli (anche se poi mi rendo conto che più o meno è sempre la stessa minchiona a parlare)dove si consiglia alle giovani (o meno giovani, come noi) coppie come fare sesso durante questa emergenza.

La regola aurea è quella del niente baci con la lingua. Solo baci a stampo. Chè il virus si trasmette con la saliva eccetera. Uhhh. Godurioso. Ma andiamo avanti. Solo rapporti protetti. E, udite udite, necessaria l’igiene intima prima e dopo!

Ora. Io non è che voglio far polemica per forza, ma qualcuno mi spieghi che cavolo c’ha ‘sta gente nel capo. Qualcuno mi spieghi cosa c’entrano queste pratiche con la trasmissione del virus. Non è che credono sul serio a quello che dicono, vero? Non è che credono sul serio che due persone che fanno sesso con il preservativo e si stampano solo baci in bocca sono meno a rischio, vero? Ma soprattutto, non è che credono che l’igiene intima prima e dopo sia di qualche utilità, vero? E infine, non è che credono sul serio che due persone che stanno insieme si rivedano in casa a un metro (o un metro e 80, o due metri, dipende, questo) con la mascherina, vero?

Beh, a chiunque abbia letto qualcosa sulla rivoluzione sessuale forse è suonato un campanello d’allarme.

Ma tranquilli. Queste sono solo indicazioni da fonti non costituzionali.

Quindi facciamoci una grassa risata e finisce lì.

Quello che a mio avviso sta iniziando a costituzionalizzarsi, invece, è l’istituzione scuola come parcheggio.

Certo, certo, ci sono solo ipotesi, adesso, sulla ripresa della scuola a settembre. Ma in una di queste dichiarazioni-ipotesi, è stato suggerito di far tornare sui banchi i ragazzi fino alla terza media, lasciando a casa (o in didattica mista, ancora peggio) i ragazzi delle superiori. Il motivo? Beh, i ragazzi delle superiori sono grandi e sanno gestirsi da soli la didattica a distanza, inoltre possono essere lasciati a casa da soli se i genitori devono tornare a lavorare. Inoltre, aggiungono, i ragazzi sotti i 14 anni hanno bisogno della socialità.

La cosa mi sgomenta. In nessuna di queste dichiarazioni (ipotetiche, ok) viene messo al primo posto l’unico scopo della scuola: insegnare. E se è vero che lo sapevamo tutti, che la scuola non è un granché in linea generale (fatte salve alcune eccezioni, certo), adesso ce lo dicono proprio in faccia.

Sì, stamani mi sono svegliata nervosetta. Sarà che lo stress aumenta in proporzione ai giorni in cui non lavoro (e non porto a casa la pagnotta intera, ma solo mezza pagnotta), sarà che sono stufa di essere presa per i fondelli, sarà che sono seriamente preoccupata per il nostro futuro (in generale) e il nostrofuturo (mio e di Little, in particolare), sarà che guardo troppa televisione e troppe notizie e troppi approfondimenti (una cosa che avevo smesso di fare per non farmi saltare i nervi, e ora eccomi qui, quasi costretta a farlo).

Sarà che forse ha ragione il mio telefono, a essere esausto.

Ho solo bisogno di allenamento?

post 205

 

 

Ci sono cose di cui non ci stanca mai.

Tarantino, per esempio. Ho passato il weekend riguardando tutti (o quasi) i suoi film insieme all’Amico Speciale.

La musica in generale. Rientra nella categoria.

Il caffè. Se non lo bevo come fosse acqua è solo per salvarmi da un futuro fatto da un braccio sinistro dolorante prima di cadere al suolo. Morta.

Poi ci sono cose che stancano, dopo un po’. La pasta al pomodoro, per esempio, che Little non mangerebbe altro per pranzo. La tv solo per guardarla. Anche stare a letto oltre una certa ora (ok, questo forse vale solo dopo i 30 anni). La quarantena.

Dopo due mesi ero davvero stanca di non essere stanca. Di andare a letto alla stessa ora (improponibilmente presto, ma sono abituata così) e di rigirarmi nel letto senza sosta, di alzarmi dal divano solo per fare pipì, di passare buona parte della giornata a cucinare (provate a dire un piatto: l’ho fatto senza dubbio, a meno che la materia prima non fosse troppo cara).

Il weekend appena trascorso con L’Amico Speciale è stato una serie di interventi chirurgici alla mia abitazione mentre io sfornavo cose: cheesecake, Piadine Romagnole alla Toscana (PRT, in gergo, è una cosina inventata sul momento), risotto ai porcini… insomma, l’ho già scritto, credo che il suo intestino sia stato lieto di aver lasciato questa abitazione. L’Amico Speciale forse no, giusto ieri sera mi diceva che il weekend è volato. E poi ci va messo che ho fatto la parte della geisha (anche se l’ho avvisato: goditela ora, bello, non ricapiterà fino alla prossima pandemia). Sono stata felice di fare qualcosa per lui. O forse solo di fare qualcosa. Avere uno scopo nella giornata è una cosa sottovalutata.

E poi oggi ecco che arriva il lunedì. Per me il giorno di festa per eccellenza, anche se questa pandemia ha confuso un po’ le acque. Settimana nuova? Regole nuove.

E no, non sono tornata a lavorare, ci vorrà ancora un mese, ma mentre sono lì che mi martorio il cervello per vedere di non chiedere prestiti in banca (sì, dai, Moon, puoi farcela, basta che fai economia…prima o poi arriverà la maledetta cassa integrazione in deroga!), che anche se la mia banca è a chilometro zero e mi piace tanto come il direttore e tutti i cassieri mi trattano, come una di famiglia, diciamocelo: una banca è sempre una banca e quindi sarebbe come pensare che i Vigili giurati li assumano per la loro intelligenza (qui lo so, forse offendo qualcuno e di sicuro sono di parte, visti i miei trascorsi con la categoria, ma il Censore non è arrivato), insomma, perché costringersi a patire più del dovuto?

Quello che mi ci voleva era solo fare una passeggiata.

Uff, che palle Moon, quante cazzo di parole per dire che ti sei fatta due passi!

Eh, lo so, ma faccio così sempre. Parto da un punto A per arrivare a un punto B e passo da lettere di un alfabeto perduto. Quando poi il punto B non è che sia poi così interessante…

Beh, però va detto che siccome il mio corpo era quasi immobile da due mesi non mi sono accontentata di fare un giretto. Mi sono percorsa tutto l’anello che gira intorno al mio paesello passando dallo sterrato e godendo della vista bellissima di questi posti a cui, devo dirlo di nuovo, non mi abituerò mai. Solo guardare mi ha fatto bene al cuore. Vorrei potervi prestare gli occhi per farvi vedere (no, le foto non rendono, fidatevi).

Da moto zero, quindi, a 8 chilometri in un’ora e mezza (salite e discese comprese nel prezzo). Tornata a casa avevo l’aria di chi è stato schiacciato da un elefante in corsa (e secondo me un elefante ha davvero camminato sul mio petto per farmi espellere tutta la nicotina pigramente accumulata), le braccia tremanti (l’ultimo chilometro è stato duro) e una gamba che ancora adesso mi dà dei problemi.

Sfinita.

Ma felice.

Mi sono convinta di aver solo bisogno di allenamento.

Magari è davvero così.

Ma stanotte vedrai che dormo.

p.s. la foto l’ho modificata per non far vedere il nome del mio paesello… lo so che ho fatto un troiaio (ma il mia coulisse di fragole per il cheesecake era buonissima: a ciascuno il suo!)

Capire un tubo

post 202

 

 

Sto aspettando che sia pronta la mia nuova droga per questa primavera 2020: la tisana. Zenzero e limone, melissa, pepe e arancia… ho una scorta che nemmeno al Bar del mio Ristorante. La roba calda mi dà conforto, ora che di conforto ne ho bisogno. E allora mi sono messa pure una playlist No stress (così dice Spoty, vediamo se è vero). Aspettate: ci metto pure un incenso e faccio l’en plein.

La mattina non è partita nel migliore dei modi. Ieri sera mi sono incollata alla tv per sentire Conte e la fase 2. Come dicevo, non è che mi ci sia fissata in questi mesi a ascoltare conferenze stampa e affini, soprattutto nel primo periodo. Ma ora, che siamo a quasi due mesi di resistenza (perdonate, ma ci sta bene) come tutti sono un po’ansiosa (leggi: nevrotica). Voglio sapere di che morte devo morire. Quando tornerò a lavorare, a passeggiare. Mica noi italiani abbiamo poi tutte ‘ste richieste assurde. Ma soprattutto: quando potrò rivedere l’Amico Speciale. Perché non è che io sia stata poi tanto esigente, sono stata buona e zitta per tutto questo tempo, ho sopportato con la faccia da martire le videochiamate e i baci dati alla telecamera, ho sopportato le notti da sola, il freddo nel letto. In attesa della famosa fase 2. Sono stata bravissima in tutta questa quarantena: quando mi hanno detto che non potevo passeggiare non ho passeggiato, quando mi hanno detto che non potevo uscire dal mio comune nemmeno per andare a fare la spesa io non ci sono andata, quando mi hanno detto di fare un’autocertificazione e poi un’altra e poi un’altra ancora l’ho fatto, quando hanno detto che dovevo indossare la mascherina sempre, beh, l’ho fatto, anche per andare a buttare via la spazzatura, mai a fare la spesa più di una volta a settimana (il mio frigo è ancora lì con il dito medio alzato), mai senza essere in regola.

E tutto questo perché attendevo il graduale ritorno alla semi normalità. Dentro di me, una me che urlava, dicevo: finirà. Nulla dura per sempre.

E poi quando ieri sera ho ascoltato Conte. E poi quando stamani ho letto: solo congiunti. E poi mi è scappato il nervo dal collo e ero una belva: è così che mi ripaghi, perché sono stata brava se non posso vedere il mio compagno nemmeno ora? Quanto ancora dovrò aspettare?

e quindi nulla, stamani ero proprio dell’umore giusto, così mi sono detta (come altre mille volte in questo periodo –e solo in questo, badate bene, che di solito no. Di solito no): faccio gli gnocchi.

Sabato ho fatto i pici, la pasta brisè, domenica le trofie, come dice Adri ormai sono pronta anche io per la Prova del cuoco al posto della Prova costume.

E quindi ho lessato le patate, impastato, fatto i miei gnocchetti deformi e oplà, eccomi lì bella contenta. Avevo fatto un casino in cucina che la metà bastava e quindi mi sono messa a pulire. Ed ecco che sento uno strano rumore da sotto il lavello: apro il cassetto (che è sotto al lavello) e c’è un lago… smadonno e guardo: il raccordo del tubo di scarico si è sbriciolato. Il tubo è in giro per i fatti suoi e l’acqua piove come se non ci fosse un domani.

Ora, sempre nello sculo di un tubo che si rompe, meno male che l’emporio del mio paesello ha tutto ed è aperto. Corro da SuperMario(il padrone dell’emporio)e mi faccio consigliare quasi in lacrime. Lui fa: tranquilla, è facile, ecco il pezzo, lo cambi e via.

Adoro gli uomini che mi dicono che cambiare tubi è facile. Ma ho scelta? Voi lo chiamereste un idraulico ora? Beh, io l’avrei chiamato se non avessi risolto da sola.

Ma SuperMario aveva ragione: cambiare il tubo è stato facile, un po’ più difficile è stato lavorare sotto al lavello (con il cassetto di cui sopra nel mezzo). Con l’acqua che poi ho dovuto asciugare in casa ci potevo riempire una piscina…

Alla fine ero quindi incazzata per due. E l’incazzatura si vede che l’ha sentita pure Palazzo Chigi, perché ho visto che si è affrettato a precisare che anche i compagni possono essere considerati congiunti. Anzi, preciso: affetti stabili.

A volte vedi che incazzarsi serve?

E, aggiungo, gli gnocchi erano pure buoni. La salsa l’ha fatta Little. E qui postillo solo un pochino: questa quarantena ha fatto uscire il suo lato collaborativo. E ora apparecchia, cucina (va beh, sempre a modo suo, va detto, che il terrore corre sui fornelli), sistema la sua stanza…

Termino concludendo in un modo inaspettatamente ottimista per me: oggi ho imparato:

a)che incazzarsi serve

b)che so cambiare un tubo da sola (ora vediamo però se il raccordo regge, visto che sono riuscita a stringerlo solo con le meni)

c)che so fare pure gli gnocchi, quindi il giovedì da qui in avanti sono apposto

d)che Little sta crescendo (sempre a modo suo, va detto, che il terrore corre ovunque!)

 

Non esiste (per me )saggezza

post 197

 

 

Dell’ordinario in un mondo straordinario ho già parlato.

Ma dubito che ci sia molto altro da scrivere, arrivati a questo punto.

Passo la mia vita ad inventarmi occupazioni. Poi il gran culo che ho a volte vuole che non sia a trovarmele, ma altri. Il mio Capo, per la precisione, che mi ha regalato un bel corso on line di Montersino, un corso professionale di pasticceria, che io sto seguendo pedissequamente.

Imparo quindi (o reimparo?) la gestione degli impasti base, ma soprattutto imparo (quasi da zero) i trucchi chimici che mi permettono di non sbagliare le ricette. Cosa significa: che lo zucchero si sciole nel 33% dei liquidi, che un semifreddo, per essere mangiabile a -18, deve avere il 23% di zuccheri, che i grassi e gli zuccheri aumentano la conservabilità, che esistono termini come sineresi, in pasticceria, e io che credevo fosse una figura retorica…  (sì, ok, l’ho confusa con la sinestesia, scusate, mi sento totalmente inabile in ogni campo, adesso, dal tedesco che sto imparando -mio padre lo sa e mi manda mille frasi per me indecifrabili ogni sera- alla grammatica, finirò con scrivere Ho, senza acca, il mio cervello si scinderà in tanti piccoli atomi inutili e tutto il mio sapere – che è davvero poco- tenderà a volatizzarsi, un po’ come le varie parti di me che avevo descritto pochi giorni fa).

Ho generalmente poca fiducia nelle mie capacità. È innata, come cosa, potremmo freudianamente ascriverla al comportamento di mio padre, che mi fa sempre sentire un’ignorante quando non so le cose che sa lui (ma quando io so cose che non sa lui allora il discorso cambia, ovvio: sono io che so cose che non servono, inutili. Così come sono sempre io che amo scrittori che a lui non piacciono, come sono sempre io che faccio le cose che lui non approva. Il discorso sarebbe lungo e complesso. E tedioso. Come le nostre attuali conversazioni). In ogni caso so cosa mi piace: imparare. Anche se poi non so bene cosa posso ricavarci (vedi il tedesco), a me imparare piace.

Il mio Boss disse una volta che amavo fare la maestrina. Nonostante la cosa al tempo mi ferì lievemente, e incredibilmente fece restare attoniti i presenti (forse imbarazzati per me), io in realtà so che ha ragione. Al meglio delle mie capacità io so che amo imparare per insegnare. Amo apprendere, la ricerca che implica, l’impegno che ci vuole. Così come, una volta appresa una cosa (che però, attenzione: deve darmi gioia- ma di solito lo fa-)amo dirlo al mondo intero.

Così ora vorrei potervi fare una bella lezione sulle creme di base, dalla crema pasticcera alla namelaka, passando un secondo per i semifreddi (senza giungere al gelato, che vorrebbe un po’ di ripasso teorico).

Ma se c’è un’altra cosa che ho imparato ( e questa l’ho imparata empiricamente) è che alla gente spesso non frega un cazzo di quello che al momento frega a te. Ed è giusto. Comprensibile. Io stessa mi registro così sul mondo.

Quindi c’è sempre questa estenuante ricerca di chi ti comprende in un momento in cui vuoi essere compresa esattamente nella stessa misura in cui lo vuoi e per cosa vuoi in quel momento.

Va da sé che questa ricerca è deleteria. Anche questo imparo a livello empirico.

E quindi come concludo? Che non esiste saggezza, direbbe qualcuno. Carofiglio, per essere esatti.

Io, poi, di saggezza, so davvero ben poco…

Dein Mann isst das Insekt

post 196

 

 

Ho sentito di recente, in un film, questa frase: gli oggetti sono importanti in tempi duri.

Sempre stata d’accordo. Gli oggetti hanno la vita che decidiamo di dargli, hanno l’anima che scegliamo per loro, diventano le persone che non possiamo vedere, i ricordi che non vogliamo dimenticare.

La compagnia degli oggetti è quasi l’unica che posso avere in queste lunghissime giornate fatte di solitudine, anche le telefonate diventano spesso un riverbero, sarà che non c’è mai davvero nulla di nuovo da dirsi, riflettiamo come specchi ciò che leggiamo sui giornali o ascoltiamo in tv. Tutti connessi a un unico grande problema.

Sono sempre stata d’accordo, dicevo, eppure ci sono momenti che perfino gli oggetti perdono di senso, si smaterializzano, non hanno più poteri.

Questo è uno di quei momenti.

Sarà perché ogni gesto in questo periodo sembra sovrumano, solo andare a fare la spesa richiede due ore di attesa per il proprio turno, all’interno devi schivare le persone, ogni acquisto viene fatto in fretta (e spesso senza leggere attentamente il prezzo) perché sei in pena per tutta la gente che è ancora fuori, la mascherina non ti fa respirare, i guanti ti fanno sudare e si attaccano agli adesivi con il prezzo della frutta, le persone intorno a te sono tristi e tu pure, tra l’altro. Tristi, preoccupate, nevrotiche (soprattutto se stanno lavorando). Poi torni a casa, scarichi la spesa (buste belle piene e pesanti, che a fare la spesa mica ci vai ogni due giorni), fai una rampa di scale e appena arrivi in cima hai il fiatone, nemmeno tu avessi fatto la maratona di New York, perché ( e sì, cara Ale, hai ragione, va detto) stiamo assistendo anche un po’ all’apocalisse dei corpi, che se ne stanno fermi quasi 24 ore al giorno da un mese e anche fare una rampa di scale è uno di quei gesti che sembrano sovrumani.

E in mancanza di allenamento del corpo proviamo almeno ad allenare altro. Come le nostre capacità in cucina (le torte e il pane sono diventati simboli dell’hashtag #iorestoacasa), la capacità di leggere un libro che sembra un dizionario (io non mollo, non mollo, sembriamo dire a volte). Magari cerchiamo di imparare un’altra lingua, una difficile però (mica l’inglese o lo spagnolo e basta), che so, il tedesco, con la cupezza di ogni suo termine, con una grammatica che avevi dimenticato dai tempi del liceo. Certo va detto che le frasi che costruiscono in questi corsi a volte sono alienanti e se imparando l’inglese ti trovi di fronte a cose tipo: i miei pantaloni sono arancioni (la risposta può essere solo una: il tuo gusto in fatto di abbigliamento è davvero discutibile), imparando il tedesco invece leggi: tuo marito mangia l’insetto (e qui il raccapriccio è massimo. Puoi solo soprassedere e ringraziare il cielo di non aver conosciuto di persona chi ha scritto queste frasi).

E certo che scrivere tutto questo non in prima persona aiuta, e certo che potreste leggere tutto in prima persona.

Ma oggi avevo bisogno di prendere le distanze da tutto, soprattutto dalla mia vita.