Stamani mi sono svegliata e ho letto un messaggio. E ho iniziato a pensare al Censore. Quindi il pensiero mi è andato lì quando stavo preparando i dolci in pasticceria, quando facevo il resto a un cliente, quando passavo lo straccio in cucina.
Il condizionamento da Censore, il mio acerrimo nemico, come dico qui, alla fine non è che sia proprio scomparso, in questi mesi. Scrivo senza censura, sì, un po’, ma scrivo sempre per qualcuno. Alla fine anche scrivere per se stessi è scrivere per qualcuno. Posso davvero dire che scrivo per la me al di là dello specchio? Non lo so. Credo di scrivere per quella parte di me che non vuole (o non può) venire fuori, per ricordarmi attraverso le parole cosa sono, dove sono, mi do indicazioni per trovarmi, in un mondo che spesso mi porta a perdermi. Ma credo e basta, mica ne sono sicura.
Quindi cosa censuro, esattamente? Censuro quella parte di me che non voglio, che non accetto, che mi restituisce un’immagine distorta. Ma sempre mia, in fin dei conti. Quindi non so mai quanto deve uscire e quanto restare, e alla fine, come sempre, faccio un po’ a naso. Faccio uscire ciò che non vorrei, restano cose che forse sono importanti.
È onesto, questo?
Cosa è l’onestà?
Eppure non c’è intento, nello scrivere, non c’è intento sociale, politico, non ho una poetica, io, non sono Pasolini, credo nelle mie cose, credo, certo, quello sempre, ma non c’è intento in queste righe. Neppure quello di sfogarsi. O divertirsi.
Cosa resta, quindi?
La scrittura è una bestia strana. O io l’ho presa così, come una bestia strana. L’ho presa come una terapia? Forse, beh, ok, ma una terapia si fa in due, di solito. Cerco risposte da chi mi legge? Mah, non pretendo certo che arrivi qualcuno a dirmi cosa devo fare. Voglio appoggio? Non sentirmi sola? Forse, certo, alla fine non è forse un social, questo? Se nessuno leggesse quello che scrivo continuerei a farlo? Banalmente forse sì. E alla domanda Perché allora lo pubblichi qui invece che tenerlo per te?, posso solo rispondere che si scrive per farsi leggere. Si dipinge un quadro perché qualcuno lo veda, si fa un dolce perché qualcuno lo mangi. Siamo dei maledetti animali sociali, siamo sociali a tal punto che il nostro cervello possiede dei meccanismi per renderci ancora più sociali, dice Rizzolatti. Quindi sì, è come una specie di contraddizione.
E torno all’inizio, il Censore dove è? Cosa fa? Dove si trova ora?
Credo che la mia vita dovrebbe avere sempre meno censura. La mia vita vera, la mia me reale. Voglio arrivare lì, a non dovermi più nascondere. Mai più.
Posso farlo, questo?
Io, beh, non lo so, forse non ancora, forse mai. Ma sarebbe bello poter dire sempre quello che si ha nel cuore, no? Senza paura: di ferire, di scioccare, di perdere, di avere problemi, di morire.
Questo spazio forse è anche un po’ questo, un modo per dire senza paura.
Lo voglio tenere così.
Senza paura.
Spoty mi regala questa canzone, del tutto a caso, come sempre, ma sempre mi casca a fagiolo… Spoty, che è il mio amante ideale, trova sempre un modo per dirmi qualcosa…