Moon, again

E così è passato un altro anno, quasi, e io ho messo di nuovo in pausa questo blog…

L’ho proprio sospeso, cancellando pure l’app dal telefono e tutto il resto.

Ho provato a dargli un. Articolo finale, il Gran Finale di un tempo che fu, della Moon blogger, ma non ci sono riuscita. Sapevo che prima o poi sarei tornata. 

Mi sono regalata un corso di scrittura alla Holden che mi ha fatto molto bene: ho imparato tante cose, ma soprattutto ho raddoppiato la mia autostima come scrittrice, il che è un bene no? Sì. E poi ho scritto il romanzo. L’ho scritto. L’ho finito. Un manoscritto per l’esattezza, 7 quaderni aspirale monocromo A5. Qualche pagina buona, qualche pagina pessima, altre da risistemare. Come primo romanzo dovrei esserne soddisfatta. Ora devo solo riscriverlo. Capire cosa non va e metterlo giù sul pc. 

Sì, sono stata brava, alla faccia di chi si loda si imbroda. E poi.

E poi la vita mi ha travolta di nuovo. Come il fiume in piena sulla passerella che ho sotto casa, mi ha investita, buttata giù nell’acqua e mi sono persa. Continuo a fare progetti su progetti (il mio ultimo? Studiare per un concorso in comune) e poi mi perdo. Non sui progetti, intendiamoci, ma perdo me stessa, chi sono. Perdo la mia identità. Mai come ora non so dirmi chi sono. 

Ed ecco che torna la scrittura. Torna perché mi deve aiutare, deve dirmi chi è Moon e non cosa vuole fare. 

E può farlo solo raccontando della vita. Mi piace questo blog. Mi piace pensarmi qui. Mi piace scrivere. Casuale. Con questa terribile mania paratattica che mi ritrovo. 

E quindi riparto. 

Senza censura. 

Vaniloquio del lockdown

 

post 199

 

Credo che il fondo si tocchi quando inizi a parlare da solo.

Parlavo di questa cosa con il Mentore non troppo tempo fa, di come è buffo considerare pazzi quelli che parlano da soli, mentre se scrivi, e va da sé che lo fai da solo, e in un certo senso parli con te stesso, invece no. Invece no.

Così ecco che torno qui. Così ascoltare musica con le cuffie anche se sono da sola e parlare con me stessa mi sembrerà meno folle.

Certo meno folle di tutto ciò che mi circonda in questo periodo, anche se non è proprio vero che mi circonda, sono le pareti a circondarmi. Direi quindi che il termine più appropriato è insinuarsi. La follia che c’è lì fuori si insinua nella mia vita, passa dalle finestre, dallo schermo, passa anche la mascherina. Nulla tiene contro questa sensazione di sterilità che sembra aver assunto la vita.

Io non sono una sostenitrice dell’andrà tutto bene, mai stata una persona con occhiali positivi, figuriamoci quando per vedere non c’è nemmeno bisogno delle lenti.

Oggi pensavo a come ho vissuto la mia vita. Pensando alla morte è una congiunzione che ti viene spontanea. Intendiamoci, non che della morte io abbia paura, certo mi girerebbe morire ora, ma non la temo in sé per sé. È solo che la morte è la protagonista di questa nuova e straordinaria situazione che cambierà le nostre vite per molto tempo. e allora mi è venuto da pensare: io ho avuto una vita felice?

È una domanda più difficile di quanto si possa pensare. La felicità non potrebbe esistere senza una buona dose di dolore. Dobbiamo fare il confronto, sennò che senso ha? Quindi pensare a una vita tutta ricca di felicità è impossibile per logica. Potremmo parlare al limite per prevalenza, ma anche qui il termine felicità andrebbe un po’ a soffrire. Dopotutto la felicità è vedere realizzati i propri desideri. Quindi partiamo da qui: chi conosce tutti i propri desideri da realizzare? No, dico, sin dal principio. Fin da sempre. Io ho sempre pensato che mi sarei accontentata di una vita tranquilla. E poi ho scoperto che no, non era la tranquillità che volevo. Non mi bastava. Così ho iniziato a pensare all’amore. Volevo amare. E l’ho fatto. Ho amato. Ma no, non mi ha reso felice. Anzi, spesso mi ha distrutto. Certo, va detto che questa distruzione mi ha aiutato a ricompormi in modo diverso, come quando smonti una casetta della Lego e la rimonti cambiando la posizione dei pezzi. Sono sempre gli stessi, i pezzi, ma sembra un’altra cosa.

No, quindi io non so cosa voglia dire questo senso di compiutezza che sembra porti la felicità.

Perché il fatto è questo. Che la felicità non sta nascosta dietro alla realizzazione dei desideri, ma all’accettazione.  Dall’accettazione di ciò che si ha, dal goderne. E io che sono senza spiritualità ho ancora molto da lavorare qui.

Quindi ho vissuto una vita felice? Ho avuto dei momenti di felicità, sì, alcuni molto intensi anche. E sono sinceramente soddisfatta di ciò che sono stata in grado di fare finora. Sono mediamente soddisfatta di me, salvo alcuni tristi momenti di autocommiserazione.

Ma no, non vorrei che fosse tutto qui.

Mi piacerebbe avere più momenti fatti di piccole cose e riuscire a vederlo. E a ricordarlo.

Perché i ricordi che scegliamo di tenere sono quelli che ci aiutano a plasmare ciò che saremo domani.

E io continuo a tenermi una pila di brutti ricordi…

Sostiene Moon

post 172

 

Un piccolo omaggio blasfemo a un grandissimo scrittore a me vicino… spero mi perdoni la messa in burla. Ma sono certa che lo farà. 

 

 

Sostiene Moon che la mattina sente una canzone nella testa, I’m strong enought, che non si ricorda le parole, ma solo questo pezzetto del ritornello e se lo ripete all’infinito, nuovo mantra, per darsi forza.

Moon sostiene che la vita sta facendo la difficile, le tiene il muso, fa le bizze come una bambina viziata, ma lei, sostiene, non si farà prendere per i capelli.

Sostiene Moon che da quel cunicolo c’è già passata e che l’età a qualcosa servirà pure, diamine!, o deve solo servire a farsi dire da Little Boss che è vecchia perché non chiude le finestre sul telefonino? Moon racconta di serate troppo brevi e notti un po’ inquiete, di risvegli con il cuore che batte come un tamburo e di analisi che ancora vanno male. Ma sostiene, Moon, che nonostante tutto tiene botta, che le cose sa che si aggiusteranno. E lo sa perché, quando è in macchina, parcheggiata sotto la casa del suo ex, e le vengono in mente mille pensieri e si preoccupa per Little Boss e si preoccupa per sé e il suo futuro e le cose sembrano diventare grigie, ecco che arriva lei, Little Boss; la piccola sfodera un sorriso, le fa la linguaccia e gli occhi storti, apre la macchina e inizia a parlare come se non ci fosse un domani e deve raccontarle tutto, ma tutto tutto(avete presente la scena dei Goonies?)e poi è vero che il cervello di Moon è sovraccarico di info, ma è anche felice, felice come non mai, ha un tesoro che la accompagna giorno dopo giorno, che brilla tanto forte da riuscire a donarle un po’ di quella luce, e allora tutto, ma tutto tutto, passa in secondo piano, si rende conto che ciò che conta lei lo ha già. E dito medio a quelli che la odiano. Perché Moon sente l’oroscopo la mattina, mentre scende dal suo monticello per portare Little Boss a scuola, su RDS c’è Branco (con quella voce odiosa, diciamocelo, e quelle parole che non sanno né di me né di te) e lui dice che ci sono persone che la odiano e che riescono a metterle, anche oggi, i bastoni tra le ruote. Ma Moon, sostiene, fa il dito medio anche a Branco, e se la ride per una piccola vittoria legale: se qualcuno mi odia (non ha dubbi, Moon, che sia così, e potrebbe tranquillamente fare il nome del suo ex) io ho fatto tanto per costruire ciò che ho e è talmente solido che non riuscirà a sfondarlo, nonostante sia un Ariete. Tiè, aggiunge Moon, sostenendolo.

Moon sostiene, ancora, che le serate se ne vanno via come le noccioline all’aperitivo, tra un ripasso dell’Illuminismo (che poi Little Boss ha il compito) e la spiegazione delle subordinate, i pomeriggi scappano tra la palestra* e il circolo di lettura, tra le lezioni di chitarra e l’orientamento per le superiori, tra le due ore per il sesso, rubate, (sempre due Wal, sono intransigente, amare ha bisogno del suo tempo) e la telefonata a un amico, tra il ragù, ché ogni tanto bisogna anche cucinare, e l’impasto per i biscotti di pan di zenzero a lavoro (sì, fuori orario, ma il lavoro è anche questo, metterci passione).

Sostiene Moon che le manca la tastiera, ma che quando vede il calendario sul telefono le piglia un colpo: ci sono più pallini grigi che numeri, lì. Ci sono le elezioni per il consiglio di istituto (e che, non si propone, Moon, come presidente, visto che non lo fa nessuno?), le riunioni a scuola, gli scioperi, il dentista, le cresime…

Ma Moon sostiene anche che domenica chiappa l’Amico Speciale e lo porta a teatro. Giusto per…

Mi gonfierà il cervello?, chiede lui.

Lo spero proprio, sennò che ci andiamo a fare?, risponde Moon.

Moon sostiene che l’esproprio della tastiera è solo un momento, una cosa che finirà. Il suo Capo le dice: Come farai, poi, quando non avrai tutti questi impegni? Sentirai un gran vuoto.

Moon sostiene che lo riempirà con la scrittura.

 

ah… lascio la canzone. Eh. Il meglio sarebbe leggere ascoltando la canzone.

Manco mi piace tanto… (troppo discotecara), ma ci sta.

Ci sta.

 

 

 

 

 

Equilibrata?

Un piccolo ritaglio di tempo senza significato, questo, che chissà se finirà in circolo nella vena del blog, dipende quanto di quello che voglio scrivere riuscirò a scrivere. 

È che tra lavori in corso dell’Amico Speciale* (mi sa che sarà il bianco a dominare quelle pareti, soprattutto dopo aver visto i video di alcuni tizi indiani che il muro lo facevano impazzire con le loro tinte forti e i loro disegnini con pettini e calzini), prenotare la visita dal cardiologo (ora vedremo se il mio cuore è davvero così sano… ho il terrore che lo troverà rappezzato e un pelino indurito), andare a chiedere info in palestra (ho chiesto se esistono esercizi da parete: cioè, io sto alla parete a guadare, preferibilmente seduta), pagare l’affitto (la mia nuova padrona di casa non sa come mi chiamo, sbaglia nome ogni volta e la scelta del nome devo dire che ha del paradossale…)e andare da  a farmi i capelli (ecco, ora, siccome sono 5 mesi che non lo facevo, mettere piede in un salone, le persone non mi riconoscono proprio. Della serie, Ma dove sono finite le tue sfumature grigie?) la settimana è volata e siamo già a sabato, in pratica, che poi arrivare a domenica è un attimo e di nuovo da capo. 

E in tutto questo andare e venire, corri dal dentista, vai a portare la cartellina a Little Boss, che si dimentica anche la testa, a casa, ritaglia due ore per il sesso eccetera, ho comunque trovato il tempo per riflettere su una cosa che è già un po’ che mi gira nella testa. 

Non sono più così disposta a stare dietro a persone che non mi fanno solo ed esclusivamente bene. Così come non sono più disposta a fare cose che non mi piacciono (tranne a lavoro: lì sono obbligata, ma devo dire che le cose che non mi piace fare sono poche). Sembra banale, ma non è mai così, non è mai banale. Tirare fuori la vena egoistica mi ha sempre fatto sentire una merda, Pensi solo per te e mai per gli altri, e allora giù a darsi mazzate su mazzate, Sei insensibile, Sei Stronza, Sei una nullità, SeiSeiSei. Oggi invece l’ho fatto e mi sono sentita bene. Finalmente. Come se mi fossi fatta una carezza. Una sensazione che mi fa bene, che mi rende orgogliosa, quasi. 

Oggi ho pensato prima a me. 

Ho pensato che non avevo voglia di entrare nel turbine di spiegazioni su spiegazioni, di rinvangare il passato per scoprire che non sarà mai più così (come se non lo sapessi già…), di tentare di reiventare un rapporto che non funzionerà mai. 

Il Mentore (è di lui che sto parlando) è stato tanto per me, ma ci sono rapporti che non possono continuare se non con molta fatica, se non con molte spiegazioni, molti Ricalcolo. Non tutti i rapporti possono e si devono salvare. C’è un Tempo per tutto. E per me è ora di dire addio al Mentore. Se fosse una Storia, questa, sarebbe la sua logica conclusione. 

E quindi devo rivedere un po’ le mie linee guida (e devo dire che è maledettamente bello poterlo fare, mi fa sentire più matura, in un certo senso, e in effetti lo sono per età): ci sono persone che nella mia vita hanno fatto la differenza, non ultimo lo Shogun, o il Mentore, appunto, ma è che è bene che non siano più nel mio Cerchio. Escludere l’ho vissuto per un periodo di tempo come qualcosa di automutilante, senza fare il dovuto discernimento. 

A volte, quando arrivo a queste conclusioni che immagino naturali in una persona adulta, potete immaginare cosa provo…

In ogni caso sembra che io appaia diversa da come mi sento, visto che pochi giorni fa il mio Capo mi ha chiesto un consiglio personale iniziando così: Senti, visto che tu sei una persona equilibrata…

Giuro che ci è mancato poco che le scoppiassi a ridere in faccia. 

Ma devo essere onesta: ho sentito una punta di orgoglio. 

 

* Devo fare una precisazione. Continuo a chiamare l’Amico Speciale Amico Speciale anche se non lo è più. Sono restia a etichettare un uomo che mi sta accanto con i termini classici (che evito di scrivere, per me stessa più che altro). Lui di me parla come la Donna Che Lo Sopporta (DCLS), io sono restia a definirlo l’Uomo che mi Sopporta, perché so che non è così. Lui non mi sopporta, mi vuole davvero bene e sa il cielo se me lo ha dimostrato in più occasioni. Non me lo dice mai, e va bene così, ma poche persone mi hanno dimostrato affetto come lui. E io? Per me continua ad essere quello che era, una persona con cui sto bene, e ora che sono riuscita a fare il passo in avanti ammetto che è meglio di come immaginassi. Scopro o riscopro cose di lui che non sapevo o avevo dimenticato (ci conosciamo da quasi 20 anni)e anche lui si sta aprendo sempre di più con me, una cosa che non avrei creduto possibile. Quindi: chi è ora l’Amico Speciale? Devo continuare a chiamarlo così? Lo farò solo perché qui ha sempre avuto quel nome, ma non è più un Amico. Ora sta diventando solo Speciale. Anche qui, se questa fosse una Storia, sarebbe il giusto finale. Non sembra?

Bilanciamenti

post 125.jpg

Quello che dovrei fare ora:

bilanciare il gelato alla crema.

Quello che effettivamente faccio ora: fumo e scrivo qui.

Quello che dovrei fare:

andare almeno a letto e dormire, dopo 11 ore di corso intensivo di gelateria.

Quello che faccio ora: pensare ai miei fantasmi.

Quello che dovrei fare:

ascoltare musica allegra.

Quello che faccio:

ascolto Lonley day dei System of a down.

Insomma, siamo d’accordo che faccio tutte le cose sbagliate, no?

Sono la maga delle cose sbagliate, la razionalità mi incula sempre con questa storia.

Ma nonostante tutto sto meglio. Il mio cervello oggi ha avuto da mangiare. Poi non fate il conto che ha avuto da mangiare pasta e pane e ho un cervello celiaco, ha mangiato, comunque. Non si è autofagocitato come fa di solito.

Ho un altro corso. Pare che la mia vita sia intervallata da corsi di aggiornamento molto frequenti se leggo questo blog: da che l’ho iniziato(agosto) ne ho già avuti 3: uno di cucina, uno di cocktail (che ho fatto io) e ora uno di gelateria. Questo è il peggiore dei tre. Perché è costoso (500 euro al giorno, che vabbè che non sborso io, ma il peso del corso si fa sentire); perché ha a che fare con chimica e matematica (le mie nemiche da sempre, anche se ne sono attratta, come alla fine sono attratta dalle cose che mi fanno male); perché mi sa(non ne ho ancora la sicurezza, ma vedrai che ho ragione) mi porterà via tanto tempo per studiare, visto che io sono così: non le concepisco le cose a metà.

In ogni caso trovo un elemento molto positivo in queste tre giornate di massacro: il mio piccolo neurone è impegnato a fare calcoli, proporzioni, percentuali, si deve barcamenare con tabelle e deve ricordare cose come il POD o il PAC dei vari zuccheri, il loro RS eccetera.

(Parentesi per chi crede che fare il gelato sia una cosa facile: col cazzo: aprite un libro di Luca Caviezel e poi ne riparliamo, ok?)

Quindi, dicevo: neurone impegnato nei bilanciamenti = neurone non più impegnato nelle sue varie seghe mentali. Il che equivale a meno dolore. Ottimo risultato, caro Gelataio. Che poi il Gelataio che ci (mipiù che altro, visto che le allieve sono solo due e una ha già dato forfait) sta insegnando sembra anche un tipo in gamba, uno pipato con i prodotti naturali, veri, gusto più che marketing, insomma, quando impari da uno che ama il suo lavoro è sempre una cosa grande. E io amo imparare cose nuove.

Una volta TDL mi disse una cosa che mi fece sorridere, e ora me la ricordo perché in un certo ha ragione: è come se tu volessi riempiere continuamente la sacca del tuo sapere. Una cosa non ti entra? Ce la pigi a forza.

E ora pigio a forza questo, forse. Ma alla fine può farmi comodo, come tutte le cose che avrò imparato.

Quindi calcolo. Bilancio. Alla fine la vita stessa è un bilanciamento per far tornare tutto, no? Somma degli ingredienti che sia pari a 1000, e se non torna bisogna aggiustare il tiro, togliere da una parte e aggiungere dall’altra.

Intanto vado ad aggiustare il bilanciamento della crema. Che per bilanciare la mia vita ho ancora strada da fare…

 

La follia che viene dalle ninfe 2 (la vendetta)

post 93

 

La mattina di solito sono un bradipo.

La mattina sono lenta, ho sonno, la caffeina deve entrare in circolo per benino prima che il neurone si attivi.

La mattina non è il momento migliore per scrivere, per me.

Ma questa mattina è diverso.

Perché devo dire come ha funzionato ieri.

Dopo gli strani e contraddittori comportamenti dell’Amico Speciale del fine settimana, gli mando un messaggio e chiedo: come devo comportarmi, quindi? Ci salutiamo e basta? Posso mandarti messaggi? Posso invitarti a cena se mi va? O sono di nuovo la kriptonite eccetera?

Fai come vuoi, risponde.

E siccome come voglio è che nella mia vita, nel mio Cerchio, lui non ci esca, lo invito a cena se non ti crea disagio.

Va bene,risponde.

Sono di nuovo fuori piazza. Chiedo ancora: hai capito che ti sto invitando qui a cena e che la serata non prevede sesso o altro, vero?

Sì, ho capito, risponde.

Quindi vieni a cena?,insisto.

Avevo già detto di sì. Vuoi una conferma tramite Pec?

Ma no, mi basta la doppia affermazione.

Quando mi chiama per sapere se può salire ha una voce che riconosco bene. E quando sale le scale riconosco pure la camminata. È incazzato. Lo conosco da quasi vent’anni, mi preparo a un’altra dose di merda. Penso che se è venuto a cena solo per questo dopotutto lo posso accettare, ma non potrò farlo per sempre.

Il mio istinto non sbaglia e iniziamo a discutere. Non litigare come venerdì, niente toni alti, ma non sono nemmeno le sette che quasi quasi lui decide di andare via. Penso che posso accettare anche questo, e glielo dico: per me va bene se resti, ti ho invitato io, per me va bene se ci vediamo, ti voglio bene, devi decidere tu, però. Sai come stanno le cose. Sai che vedo un altro. Sai anche che se vedo un altro tra noi non può essere come prima.

E qui gli scatta il nervo:prima pensavo che tu fossi mia.

E su questo in effetti abbiamo sempre avuto visioni diverse. E il bello è che non ce lo siamo mai chiarito, questo punto. E il buffo è che siamo costretti a farlo ora, che le cose tra noi finiscono.

E per la millesima volta cerco di fargli capire il mio punto di vista e lui di farmi capire quanto male gli abbia fatto.

Parliamo ancora un’ora.

E poi.

E poi non lo so.

E poi non lo so come le cose siano cambiate.

Ma cambia tutto. In un attimo. Lui inizia a ridere. Mi prende in giro e mi dice: sai come ti ho messo in rubrica? Monica Merda. Mi faccio mandare lo screenshot, non ci credo, ridiamo ancora, alla fine abbiamo fame e mangiamo e dopo cena siamo sempre lì a scherzare, come abbiamo sempre fatto, gli racconto di Ale, del lavoro, lui mi racconta di suo fratello, del lavoro, e siamo di nuovo noi fino a che poi non dice: ho capito.

Cosa?

Tu non preoccuparti, ho capito. E poi: grazie.

Ma no, non mi basta, anche io voglio capire. Insisto.

Voglio far parte della tua vita, mi dice. Non riesco ad essere incazzato con te. Non mi fa bene.

Per una volta pare che concordiamo.

Ma poi aggiunge: digli al tizio con cui ti vedi che se però ti tratta da schifo vado lì e lo schiaccio con la macchina.

Ok.

E se ti vedo con un occhio nero lo stesso, vado lì e lo schiaccio con il pullman.

Beh, se mi vedi con un occhio nero sei autorizzato a farmi nero l’altro perché ho permesso che qualcuno mi facesse l’occhio nero, rispondo.

Ma è un controsenso, dice.

Lo so.

Io sono un controsenso.

E io non lo so cosa ha davvero capito. Non lo so se domani tornerà ad essere incazzato. Ma lo vedo che stasera è felice e me lo dice. Mi ringrazia altre mille volte, se ne va sorridendo.

Penso che vedrò come vanno le cose. Ma se vanno così sarà perfetto.

Alle 6 stamani mi manda un messaggio: giorno 1: nessuna tempesta in arrivo. Ci sentiamo più tardi.

Allora forse non è impossibile, mi dico.

Allora forse c’è ancora Speranza.

Allora forse non sarò costretta a perderlo.

La follia che viene dalle ninfe (cit.)

post 93

Ecco come ha funzionato ieri.

Dopo avermi dato della kriptonite e aver cancellato il mio numero, l’Amico Speciale si presenta al Ristorante. Tranquillissimo, scherza e ride come sempre. Fa le sue battute, mi prende un po’ in giro, mi chiama per cognome (non lo fa nessuno) e mi offre anche una sigaretta. Poi mi fa: hai da fare, oggi?

E io sì, ho da fare, ho un appuntamento con l’avvocato per la definizione delle linee guida d’attacco.

Vengo con te, mi dice. Ti devo parlare, così parliamo durante il tragitto.

Ok, rispondo. Penso che ci siamo già detti tutto, ma magari ha cambiato idea su qualcosa? In ogni caso non ho tanto tempo per pensarci, la sala è pienissima (la legge del Menga vuole che se io ho un appuntamento nel pomeriggio e devo scappare subito dopo il turno, la sala si riempie come se fuori ci fosse scritto Oggi si mangia gratis) e io devo cercare di non lasciare troppo del mio lavoro a Micro(bo). Alle tre in punto scatto come una lepre e mi precipito fuori. Lui è già lì che mi aspetta, monta in macchina, parto a tutto gas, chè devo fare anche benzina e intanto il silenzio è carico, mi deve dire delle cose, ma non parte, allora chiedo e lui dice: c’è anche il ritorno, no? Chè magari sennò mi lasci a piedi laggiù. E ride. Vabbè. Aspetto e guido.

Poi si toglie gli occhiali alla Chips e mi chiede: ma per esempio che succede se ti bacio?

Beh, che succede, mica implode l’universo, ma bisogna anche definire, no?

E allora che sono, io?

Sei quello che sei sempre stato, un Amico Speciale. A cui voglio bene, non si mette in dubbio. Con cui non ho avuto coraggio di fare un passo avanti per mille motivi e con cui iniziavo a stare male, in una mezza storia.

E io però non glielo chiedo cosa sono io. Perché non so se ho voglia di sentire la sua risposta ora. Perché questa domanda gliela ho già fatta, in passato, molte volte, e non c’è mai stata una risposta, così io mi sono fatta la mia idea, certo, forse ci è mancata un po’ di comunicazione.

Stiamo arrivando a destinazione e non è che siamo detti nulla di nuovo. Ma lo vedo che si sta incazzando. Gliela sento la rabbia che sale, come se gli uscisse fuori dal naso.

Mi dice che si è beccato tre anni di merda.

E io lo so, sono stata io a dirglielo.

Dice che con me ha chiuso con le donne.

Ah.

Dice che non doveva venire con me a mangiare il sushi, quella sera.

Ah. Ah.

Io ci provo a non piangere, ma mi fa male. Mi becco tutto la sua rabbia in silenzio.

Appena parcheggio lui vuole andarsene, Prendo un treno.

Resta, per favore. Non abbiamo finito, mento. Mento perché non voglio che finisca così. Io che lo lascio a piedi e lui che si smazza per tornare a casa.

E allora resta.

E io continuo a frignare fino a che non arrivo davanti alla porta dell’avvocato, ma poi basta. Poi stop. Poi mi sforzo di farmi crescere le palle, di stare concentrata. E mi becco il culo pure dall’avvocato, perché non ho mai fatto nulla finora, nulla di legale, dico: niente diffide, niente denunce. Ho un sacco di merda che mi sono subita (e, a questo punto, ho fatto subire all’Amico Speciale) che non ho mai pensato di mettere all’evidenza di avvocati o forze dell’ordine. E lo so, ma io l’ho fatto per lei, per Little Boss. Gli hai reso la vita facile, al tuo ex, dice l’avvocato.

Lo so.

E ora sono cazzi per te, insiste.

Lo so.

Dovrai avere testimoni, prove

Lo so.

Sarà difficile.

Lo so.

Ma ci proviamo, ok?

Ok.

Esco bastonata. Ma le bastonate non sono finite, ovvio.

L’Amico Speciale non chiede nulla quando risalgo in auto. Parto ed è un silenzio assordante. È così fino quasi all’arrivo. Fino a che non esplode. E si incazza di brutto e allora anche io mi incazzo e finisce che litighiamo. Ed è la prima volta che alziamo i toni in tre anni e allora scende sbattendo lo sportello, Buona vita, dobbiamo stare lontani.

Lo so.

Ok.

Pare che oggi non abbia altre risposte nel sacchetto delle risposte.

Serata in cui di nuovo penso che dovrei smettere di relazionarmi con le persone se il risultato è sempre questo. Insomma, routine.

E poi ecco che oggi l’Amico Speciale si presenta di nuovo. Tranquillo. Sorridente. Mi mima qualcosa da lontano, ma io non capisco e faccio il gesto del dito rivolto all’orecchio. Solo che ho in mano un coltello e mi va di lusso. E no. Non ho capito cosa mi ha detto. Sorrideva quando è andato via.

E va beh.

Se me lo chiedete, no.

Io nella vita e con le persone, nonostante il vivo interesse, ancora non c’ho capito nulla…

 

 

Teoria, pratica e il Nulla che dilaga

post 57

Sto facendo una versione stracciona dell’happy hour mentre aspetto che il riso sia cotto ( mi piace il riso, va bene? Con il mio ex era impopolare, così come le linguine – o bavette, come le chiamate?-. E va da sé che ora in casa ho solo riso e linguine. Little Boss ogni tanto ci prova a chiedermi le penne, ma per la  pasta corta ho sempre delle remore… ) e sto pensando se trascrivere quello che ho scritto a penna oggi pomeriggio oppure scrivere tutto da capo. 

Indubbiamente ho già iniziato a scrivere da capo, quindi potrei continuare. 

Lì chiusa nell’abitacolo di Winny (la mia macchina si chiama così) ho iniziato con questa frase: non mi sto portando da nessuna parte.

Il fatto è che scrivo e scrivo e mi sembra di essere arrivata a delle conclusioni, ma non è affatto così. Perché il nocciolo è che non ci sono conclusioni a cui arrivare. 

Affronto la vita come se fosse un problema matematico, quindi l’errore esiste già in partenza. Senza contare che io e la matematica ci piacciamo sì, ma non è che abbiamo mai mangiato assieme.

(Qualcuno mi ha detto che sono discalculica, detta così sembra un’offesa pesante, in realtà è perché spesso, presentando i conti al Ristorante, inverto i numeri: il tavolo sei deve pagare 30 euro e 70? Ecco che io gli dico: 70 euro e 30 – generando non poco panico, ovvio-. La mia ipotesi è che invece la mia sia solo fretta. Sono nata con il sale sulla coda – o con la coda sul sale, scriverei, se fossi dislessica- e quindi ogni cosa tendo a farla nel minor tempo possibile. E quindi a volte ci sta che il mio cervello si confonda, no? Inverta le cose. Ok, ok: questa potrebbe essere solo l’ennesima versione edulcorata di me stessa, ma potrebbe essere, no?)

Terminata questa interminabile parentesi. 

Ce l’ho, la mania di calcolare la vita come se fosse un’equazione, che peraltro non conosco. Come se il nostro comportamento fosse solo un’insieme di azioni logiche, concatenate le une alle altre, e invece no, diamine, non siamo logici, consequenziali, coerenti, non siamo macchine, non possiamo calcolare i centimetri di una reazione, i minuti di un sentimento, i centilitri delle lacrime. 

Grande applauso a me, Brava Moon, come sempre sei la migliore per la teoria. Logorroica e prolissa (dipende cosa fai)poteresti rigirare il mondo come un calzino, ma poi c’è la pratica e tu, ammettilo, fai schifo nella pratica.

Quindi riassumo: il mio neurone solitario sa. Sa che non può calcolare tutto, che i sentimenti non si posso combattere, non si può metterli in una scatola da scarpe e spedire sopra l’armadio come una vecchia foto di cui ti vergogni. Eppure continua a provarci…

Io lo amo, lo amo ancora, diamine, lo sogno spesso, come stanotte, seguo le linea della sua schiena quando se ne va, lo guardo appena so di non essere vista, a rischio di farmi esplodere il cuore. 

Eppure sento anche un gran vuoto.

Come se si fosse portato via una parte di me. Magari quando lo vedrò da sola riuscirò a farmela restituire. Oppure questa cosa, vederci, non accadrà mai più. 

Sento che non ne ha voglia.

Che non ha più voglia di me (come biasimarlo?)

Nemmeno cinque dannati minuti.

E a scrivere queste cose il Nulla dilaga, rischia di distruggere Fantàsia. Ricordate il film? O il libro di Ende, ancora meglio.

Ma questa frase l’ho già detta. E Sebastian dopotutto l’ha salvata, Fantàsia. 

Il lieto fine…

Quello che lui voleva per me, voleva che avessi il mio lieto fine.

Senza capire che il mio lieto fine era lui.

Piccoli passi da geisha

post 56

Ok.

Vediamo cosa riescono a fare la mie mani qui, stasera, le mani rubate all’arte, come mi disse una volta Sergio, il Mio Primo Cliente.

Sto muovendo i miei piccoli passi, piccolissimi, sembro una geisha con sul kimono stretto, ma qualcosa lo sto facendo, e il mio naso mi dice che non sono passi a caso, che lo sapete che delle cose fatte a caso, ormai, ne sento l’odore.

Il primo passo era parlare con l’Amico Speciale. Faccio un tick: spuntato.

I risultati? Nessuno può saperlo, come mandare una sonda su Marte: tante previsioni, nessuna certezza.Intanto oggi mi ha chiamato, per sapere se sto bene: lui è così, non sparirà.

Il secondo passo era lui. Sempre lui. Maledetto lui.

Io questa storia la devo concludere: simbolicamente, almeno. E invece ogni volta che gli ho chiesto cinque minuti per parlare solo io e lui ha accampato mille scuse, tanti Spero che non sarà l’ultima, tanti Se e tanti Ma.

L’ho inchiodato con un trucchetto giusto due giorni fa.

Il trucchetto è stato dirgli: voglio vederti l’ultima volta come dico io.

Il testosterone ha accettato: quando?

Anche sabato.

Ma sabato ho poco tempo, magari rimandiamo.

E ti pareva.

Ma io sono paziente, caro TDL. È da Agosto che scrivo di te (vi ho risparmiato tutto quello che è stato prima), quindi settimana più settimana meno…

Che poi alla fine se avesse accettato per oggi, che è sabato, appunto, sarebbe stato un disastro anche per me. Perché ho una paura maledetta di vederlo. Ho bisogno di farlo, perché ho bisogno di capire (tentare di capire) cosa sta dietro a quel tremore che ancora provo appena entra al Ristorante. Ho bisogno di guardarlo negli occhi (quel maldetto fremito che ha all’occhio destro quando mi guarda… maledizione, come fanno a fregarti così i dettagli?)ci sarà ancora?

Al contrario di quello che penso dell’Amico Speciale: come vorrei saperlo ignorare

Che poi, siccome non sono capace di restare fuori delle cose che non capisco, siccome ho sempre bisogno di andare a fondo, mi sono pure infilata nei casini con l’Amico Atipico, che ho smesso di sentire perché mi stava facendo bene.

Ok.

La follia sta cercando di prendere la residenza, qui, io lo so.

Se la guardo da un profilo prettamente logico io sto eliminando tutto quello che mi fa bene per andare incontro a tutto quello che mi fa male. Io sono una dichiarata Masochista Del Cazzo (MDC), ma questo non può spiegare tutto.

Me lo auguro, almeno.

I piccoli passi da geisha, ricordate? Sono io. Piccoli passi. Perché ci sono delle cose che non mi tornano. Ma capire quali cavolo siano… è tutta un’altra storia.

Sei singol?

post 48

Stasera mi sento davvero cotta a puntino, non lo è il mio cervello, piuttosto il mio corpo, ma va bene così perché mi sono presa un po’ di carica emotiva e mentale oggi, quando passi dei bei pomeriggi e c’è qualcuno che trasforma le lacrime in sorriso, allora siamo messi bene, la vita si può tollerare.

Quindi posso permettermi anche un po’ di polemica. 

Oggi punto a Facebook.

Eh, che bersaglio facile, come sparare sulla Croce Rossa, però. 

Che poi il mio vero bersaglio non è Facebook. Nessuno è obbligato ad avere un profilo social. Non è che la gente per strada non ti saluta se non lo hai o cose del genere. Solo che ammetto che per me è comodo: comodo per il lavoro, per la scrittura, per le notizie (poi io metto in cima alla sezione notizie solo alcune cose che mi interessano, tipo case editrici e blog letterari eccetera, il mio Facebook è noioso, dice Little Boss, che invece siccome ha meno di 50 anni non ha Facebook, ma Instagram, il social che conta, dice). E quindi nulla, ho Facebook, lo uso, chiedo amicizie e do amicizie. Ma a volte capitano quelli che, amici di amici, ti chiedono l’amicizia e dopo 4 secondi netti dal momento in cui gliela hai data partono con Messanger. Alcuni sono solo cortesi del web: grazie dell’amicizia, bentrovata. Altri sono decerebrati. Messaggio tipo: ciao, superbellissima, mi piacerebbe conoscerti. E quindi se non mi conosci da cosa hai dedotto che sono superbellissima? Da quella foto in croce che ho sul profilo, io e Little Boss al matrimonio di mia sorella, io con i baffi finti e lei con la pipa? Io le foto le detesto, quindi sul mio profilo devi scavare a lungo prima di trovarne, che è più facile, molto più facile, che nelle foto in cui Ci sono io, ci sia la copertina di un libro. 

Oggi invece questo la fa un po’ più lunga. Prima mi chiede se sono parente di X. E perché mai? Ma rispondo cortese. Poi si scusa. Di cosa? Che mi ha scritto, dice. Vabbè, gli rispondo, mica mi hai dato un ceffone, stai tranquillo, buona vita. 

E qui parte all’attacco: sei divorziata? Sei singol? (giuro, scritto così).

Rispondo: né l’uno né l’altro (vediamo se capisci che non sono interessata. E mi compiaccio pure del due di picche elegante… Che idiota che sono!). 

Ma ovvio, sopravvaluto. Io mi sa che l’ho di vizio, di sopravvalutare la gente. 

E infatti ecco lì che risponde: ah, sei libera, come me! Magari in cerca di un ragazzo. Esci con le amiche stasera? 

E nulla, qui desisto. Metto il telefono nella borsa e lo ignoro per ore. Proprio non ci penso, grazie al cielo, ho ben altro da fare. 

Ma poi torno a casa ed ecco che il tipo si è fatto pure permaloso. Ecco, scrive, ti ho già rotto le scatole. Non pensavo di darti noia (ho corretto gli errori grammaticali per voi: ringraziatemi, anche i vostri occhi apprezzeranno). 

Così mi impietosisco, e gli dico che ci siamo fraintesi, che non sono single (io lo scrivo giusto, chissà se se ne accorge). 

Ah, fa lui.

Peccato.

Sennò ci provavo.

Ecco, uomini alla lettura: per favore, per pietà, per supplica: non fatelo. Non mandate messaggi a caso alla prima donna che vedete nella schermata Persone che potresti conoscere. Almeno prima date un’occhiata al profilo, che se è una che legge come un treno come me non ve li perdona, gli errori grammaticali.

E non perdona nemmeno il ritardo mentale…