Moon, explained

Stasera Little mi fa: a che ora si cena?

Non so, volevo scrivere un po’, ti scoccia se ceniamo più tardi?

Mette una manina (gelida) sulla mia.

Ceniamo quando ti pare, l’importante è che tu riesca a ritagliarti un po’ di tempo per te stessa.

Di nuovo, stavo per mettermi a piangere.

Mi sono resa conto, altresì, che dopo un periodo, anni fa, in cui non potevo più guardare la tv perché piangevo per qualsiasi cosa, dal tg a un film comico, sono passata a un periodo in cui non potevo più guardare film da sola perché li trovavo senza senso. E quando li guardavo con l’Amico Speciale spesso lui si commoveva (davanti a film commoventi) e io no. Dopo questo periodo la Coronaquarantena ha di nuovo dato una svolta: ho ricominciato a guardare film in solitaria con mucho gusto. Dopotutto c’era ben poco da fare in quei giorni.

Poi sono tornata normale: ora guardo film in solitaria con mucho gusto e, se il film è commovente, piango. Questo non può che significare che il mio comparto emotivo ha ricominciato a lavorare in maniera efficiente. Sono cose che danno soddisfazione, che diamine!

Anche la mia efficienza è tornata ad essere il top di gamma come un tempo. Anche se ora so che devo tenerla a bada per evitare eventuali crolli che potrebbero compromettere il comparto emotivo di cui sopra. 

Di recente ho visto insieme all’A.S. una serie su Netlix, La mente in poche parole. O meglio, Mind, explained. In inglese non fa più figo, ma io vorrei sapere perché devono travisare ogni titolo in traduzione, dal celebre caso di Se mi lasci ti cancello ( Eternal sunshine of the spotless mind) al film che ho visto l’altra sera, The invention of lying, tradotto in Il primo dei bugiardi. Comunque, polemiche di traduzione a parte, il terzo, se non erro, episodio parlava di personalità e test della personalità. 

In pratica, riassumi riassumi, hanno costruito un modello che si chiama Big Five:  ogni essere umano ha in sé questi cinque tratti che possono essere presenti in maggiore o minore percentuale e che ci caratterizzano. I Big Five sono: 

  1. Coscienziosità 
  2. Amabilità
  3. Nevroticismo
  4. Apertura mentale
  5. Estroversione

Ora, se volete sapere in dettaglio ogni tratto e come funziona (in teoria, ovvio) dovete guardarvi la serie. Non perché Netflix mi paghi, ma perché non sono capace di spiegarvelo come loro.

Io sono rimasta colpita dal punto 1. Perché quando mi guardo allo specchio, da anni, non vedo altro che coscienziosità alla massima percentuale. Certo, pure una certa dose di nevroticismo mi caratterizza. Oggi come oggi, 30 novembre, entrambe emergono con prepotenza. Alla bravura con la quale mi prendo cura di mio padre e cerco di risolvere i suoi casini causati durante gli anni (alcuni sono impossibili da risolvere e ne sto prendendo atto), si affianca l’incapacità di affrontare la situazione con la giusta stabilità. Il che mi porta a non dormire, a essere distratta sul lavoro, a sbagliare a fare conti semplici, a dimenticarmi le cose, a dimenticarmi le parole. Questa mia instabilità mi ricorda con mio grande terrore ciò che affligge mio padre (l’altro giorno per fare 320 più 200 aveva aperto la calcolatrice). E la domanda nasce spontanea: Moon, è lo stress?  O quello che ha mio padre è una specie di virus? Che il Corona ci fa un piffero, va detto. 

In ogni caso con lui oggi sono stata chiara, visto che sto con tutta me stessa trovando la via veloce (che lo so, non esiste) per fargli avere l’invalidità. 

Babbo, quando ci sarà la visita in commissione per la tua invalidità cerca di non vederlo come un esame da superare, ma come uno da fallire: chiaro?

Che è vero che non sa fare più 320 più 200, ma le versioni di latino di Little le traduce ancora perfettamente e velocemente senza vocabolario.  

Non voglio sorprese…

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Black Parade

Ci sono volte che scoprire qualcosa su se stessi lascia interdetti. 

Il mio, come sapete, cari 4 cats, è un blog non divulgativo, una scrittura intimista, direbbe un editore, qualcosa che forse è già passato di moda anni fa e io che continuo a ripetere non solo per il vostro sfinimento, ma per una sorta di mio sollievo nel mettere in fila le cose, nel darmi una definizione scritta, come se sul vocabolario, alla fine dovesse saltare fuori la parola Moon. Non oserei legger oltre per paura di ciò che c’è scritto. Da me stessa, per giunta. 

Come vedete il corso di auto aiuto psicologico, Scrivi la tua storia, procede bene, meglio della mia lavatrice, di cui ancora non conosco bene il carico, si vede,  e si blocca senza fare la centrifuga. 

PAUSA PROBLEM SOLVING TERMINATA. La lavatrice ha ripreso a fare il suo lavoro.

Dicevo che più scrivo per questo corso e più mi sembra che vengano fuori cose negative del mio essere. Tanti punti in meno al mio Ego… il pelatozzo del video dice di scrivere in modo non giudicante e gentile, ma io mi sa che sono una persona giudicante, specie con me stessa, perché le cose positive del mio essere devo proprio cercarle con il lanternino.

Addirittura riesco a inventarmi ricordi più negativi della realtà. Un esempio? Mi sono appuntata un ricordo di quando avevo, boh, otto anni? Ho scritto così: quando ho rubato un timbro al negozio dietro casa. Un pomeriggio terribile per me, latore di pensieri funesti, sensi di colpa alti come Statue della libertà che aleggiavano sopra la mia testa in quella giornata grigiastra di Novembre del 19…non ricordo quando. E poi scrivi scrivi ecco che invece non l’ho rubato, quel timbro. L’avevo solo comprato. Ma poi mio sono pentita dell’inutilissimo acquisto e sono tornata indietro a restituirlo facendomi rendere i soldi, tipo 5 mila lire. Il senso di colpa era nei confronti del nostro limitato budget casalingo, dove le spese inutili erano bandite. E sì, quel timbro era non solo inutile, ma non mi piaceva nemmeno. Le domande che quindi mi faccio sono queste: perché comprare una cosa inutile? E poi, perché ricordarsi di un furto, invece che della verità?

Alla prima domanda forse c’è una risposta genetica. Oggi ho scoperto che mio padre continuava a pagare senza battere ciglio una fornitura di linea fissa Vodafone che non solo ormai non ha più, ma che pure da mesi non funzionava correttamente. Più di 70 euro al mese. Eh, ma direte voi, è la malattia (ancora ignota, ndr). Sì, ma non perché, qualcosa in una parte recondita del mio cervello mi dice che non è l’unica spiegazione. Ovvio, non so quale sia, la suddetta spiegazione, non lo razionalizzo manco io, ma è una sensazione che…

Comunque mio padre non sta meglio, ma almeno è paciocco. Lo fai ridere con nulla, nonostante la drammaticità della sua situazione. Oggi sono riuscita a farlo ridere mentre andavo a caccia di mosche con la mitica paletta analogica (quella rossa, per intenderci). 

Sei una sterminatrice, mi fa lui, mezzo affogando nella tosse. Brava!

Io invece penso che se mi rilasso uccidendo, forse dovrei preoccuparmi. 

Ti preoccupi sempre troppo, dice al telefono l’Amico Speciale, che intanto è a Milano e non torna neanche stasera. Sembra un disco rotto. 

Dovrei rispondere al vetriolo, ma invece gli dico che lo amo. Ha quel suo modo di prendermi che alla fine si è sempre rivelato vincente, nonostante le mie reticenze. 

E poi, cazzo, ha pure ragione. Mi preoccupo sempre troppo. La vita va come deve andare, anche senza il mio stretto controllo, no? 

No. 

Non è vero. 

Se perdo il passo una volta sono fottuta. 

Stai al passo, Moon, prima o poi the Black Parade finirà…

Moon nude

Cose che non dovrei fare: 

  1. Fumare in camera
  2. Avere mal di stomaco da ansia
  3. Ascoltare musica triste su Spoty

Cose che dovrei fare:

  1. Fare un bagno rilassante?
  2. Finire di vedere il film Emma?
  3. Finire il maldetto libro?

Mi rispondo sempre da sola. Le cose che mi vieto sono sempre imperativi. Le cose che mi concedo sempre un interrogativo.

Presa da un impulso da sabato sera triste ho acquistato un corso on line di self help. Forse l’attrattiva principale era solo il titolo: Scrivi la tua storia. Insomma. Dai. Beh. Se non sono io quella giusta per questo corso. Tale è la disperazione che non ho neanche considerato la cifra (io che sono così tirchia) e ho detto: fanculo, tentiamola. Mi sono sentita come quel sabato mattina in cui ho lasciato il mio ex, con dentro un grido silenzioso che ripeteva: devi provare, devi provare, sennò sono cazzi. 

Non ho fatto passare nemmeno un giorno, come invece avevo inizialmente programmato. La domenica pomeriggio ero già lì che dicevo all’Amico Speciale, appena tornata dal lavoro: sì, tesoro, tu vai un’oretta a dormire, io sto qui un’oretta a vedere cosa viene fuori. Questo corso dovrebbe prevedere un minimo di dieci minuti di scrittura al giorno. Ma io lo sapevo che non mi bastava. Dopo un’ora (e molte parole) ho guardato l’orologio e mi sono fermata perché avevo detto all’A.S. che lo avrei svegliato. Sono andata in camera, mi sono spogliata e mi sono messa con lui sotto le coperte. Che dopo aver vomitato mille ricordi d’infanzia-spero-terapeutici, quello di cui hai bisogno sono solo abbracci caldi e baci. Ha funzionato anche la seconda terapia: stanotte ho dormito senza mai svegliarmi. Ho salutato l’Amico Speciale con un bacio fin troppo spinto questa mattina e mi sono girata dall’altra parte. Dopotutto era il mio day off, come direbbe Ale dal Paese dei Folletti. Ha suonato la sveglia. L’ho spenta. Ho suonato di nuovo. L’ho spenta di nuovo. Non volevo alzarmi. Forse perché sono una sensitiva e sapevo che sarebbe andato tutto a schifìo anche oggi. Ho fatto accesso al corso. Un’altra ora a scrivere. Va detto che non so, a questo punto, se scrivere così tanto, per una come me, che analizza anche le briciole cadute in terra dopo aver mangiato una pizza, sia un bene. Il tizio el corso avvisa: attenzione a non scavare troppo. Eccheccazzo! Come faccio a sapere se è troppo? Io so solo che sono sempre stata un’archeologa, scavo scavo fino a che non trovo il centro della terra. 

Comunque. Prima di mezzogiorno avevo già la mia dose di notizie di merda che non vi riferirò per timore di tediarvi. 

Ma alle dodici e quaranta ero alla scuola di Little. Lei sale in macchina e mi saluta, radiosa con la sua nuova capigliatura blu elettrico, e mi chiede: che si fa?

Sushi?

Ed eccoci al Fish nude, un altro dei mille locali sushi della Cittadina. Posto splendido, cibo ottimo, musica direttamente dallo Studio Ghibli (che amiamo entrambe), un’ora di pausa dalle rogne. 

Ma poi, anche se non volevo, il pomeriggio si è riempito della solita merda. Io volevo solo vedere Emma, il film, una bela trasposizione del romanzo della Austen. Non ci sono riuscita. Il passato che volevo dimenticare è come se avesse aperto un vaso di Pandora tutto suo. Sta tornando tutto indietro. la vita che credevo di aver passato oltre, dimenticato, superato, torna indietro con gli interessi. La cosa buffa è che non riguarda direttamente la mia vita, ma quella dei miei genitori: i loro errori mi si riversano contro come un Blob. 

Ed è quando una ragazza gentilissima di un centro Vodafone di una Città qui vicino si offre di aiutarmi che crollo. Mi metto a piangere al telefono. Lei non ha nessun vantaggio ad aiutarmi in una cosa rognosa di chiusura di un contratto di mio padre di cui non so nulla (e lui, ovvio, non si ricorda più nulla e non ha traccia cartacea). Lei non è tenuta ad aiutarmi, se neanche il call center della Vodafone lo fa. Lei ha solo un negozio Vodafone. Oltretutto lontanissimo da casa mia (ma è stato l’unico centro Vodafone che mi ha risposto). Ma mi rassicura, domattina mi farà sapere tramite mail quello che devo fare o pagare. Mi manda il modulo lei. Me lo compila lei e io devo solo inoltrarlo. Le lacrime escono a fiumi. Qualcuno che mi aiuta…

Lasciami una bella recensione, dice lei.

Mille stelle, giuro, dico io singhiozzando.

Ho ancora 28 giorni di corso. Ho ancora chissà quanti giorni di beghe da risolvere. 

Sono sempre scappata dalle cazzate che hanno fatto i miei genitori.

Ora non posso scappare più. 

Sono alla resa dei conti.

Sono Moon nude.

Insonnia

Sto facendo una cosa mentre ne faccio un’altra, e mi ero ripromessa di smetterla, di piantare in asso questa storia di ottimizzare i tempi. La notte non dormo. Una cosa dura per me da mandare giù, io che Toglietemi tutto, ma non il mio sonno. Sono settimane che mi sveglio in piena notte (di solito le tre, l’ora del diavolo, dicono, o sbaglio?) e poi eccomi lì inchiodata nel letto con gli occhi a fanale. Mi giro e mi rigiro e nel frattempo il cervello gira sulla ruota come un criceto. Domani devo fare, Sarà meglio che chiami, Quanti biscotti avevano ordinato?, Compilare il modulo, assolutamente!

Insomma, rumore, rumore, rumore. Riprendo una parvenza di sonno tre minuti prima che suoni la sveglia. 

Al Ristorante L’Amico Speciale trangugia la zuppetta di mare che gli ho appena portato e mi dice: 

Tutto normale, cara, forse se tu non avessi il pensiero di un uomo di 150 chili che ti cade dalle scale rischiando di rompersi l’osso del collo ogni due giorni forse dormiresti meglio.

Di poco aiuto. Ma ha ragione. E la scena di mio padre incastrato in fondo alle scale è una di quelle che mi tormentano la notte. La fortuna? Che non si è rotto nulla (un miracolo, direi) e che c’ero io. La sfortuna? Che c’ero io e l’ho visto. 

Poi lui mi dice che due giorni prima è caduto anche in camera. 

Quest’uomo cade di continuo, penso. 

Il medico che gli ho trovato qui è decisamente migliore di quello che aveva laggiù, ma i miracoli non sono tra le sue specializzazioni. 

Sono specializzato in pediatria, dice il Doc a mio padre quando lo vede per la prima volta.

Perfetto per me!, risponde lui ridendo. Dopotutto è un malato pacioso e ogni tanto sfodera il suo senso dell’umorismo. 

Che poi non ha nemmeno tutti i torti. È come un bambino extra large. 

La mancanza di sonno, in ogni caso, si ripercuote su tutto, come è ovvio, ma principalmente sull’umore. Arrivo a lavoro a testa bassa, sorrido impacciata e cerco di ritirarmi in laboratorio il prima possibile, per non scambiare parola con nessuno. Converso invece con le mie amate sacher o con gli ovis mollis. Ma sono talmente rigida che ogni messaggio che mi arriva sul telefono scatto manco fossi un giocattolo per bambini. 

Ogni tanto chiamo mia zia, la sorella di mio padre, che vive a Milano, per aggiornarla. Mia zia è una brava donna, per carità, ma una di quelle persone che tendono più a parlare che a fare, avete presente? Tante parole spese in questi mesi, ma fatti zero. Lei mi ripete che non devo essere io a occuparmi di lui, che devo trovare un aiuto. L’unico che ho trovato viene quattro ore a settimana (per ora di meglio non sono riuscita a trovare). Ma in ogni caso il pensiero c’è. Ed è quello che mi tiene sveglia. 

Vorrei poter prendere una vacanza dalla mia vita, concedermi più spazi per scrivere e leggere (neanche l’ultimo di King riesce a farmi evadere abbastanza, e sì che è una lettura leggerina, adatta a momenti come questo), concedermi un giorno di vera vacanza… intanto mi accontento di questo: scampoli di tempo rubato alla cena per sfogarmi un po’.

Speriamo che stanotte vada meglio.

Perdere tempo

La pianta di cimici?

Com’è e come non è, una settimana e mezzo è già passata dal giorno del trasloco di mio padre nel Piccolo Paesello in mezzo ai lupi. 

Lui si è ambientato (beh, più o meno), ha già capito quali sono i punti nevralgici del Piccolo Paesello: farmacia, alimentari, bar, ovvio, Super Mario, l’emporio. All’emporio trovi di tutto, dalle cose per la pulizia al chiodo, dalla cancelleria ai fiori. Nel caso specifico mio padre voleva un telecomando universale. E l’ha trovato. Solo che non sapeva come fare per collegarlo.

Vieni?, mi ha chiesto ieri. 

Ok, passo prima o dopo essere andata dal parrucchiere.

Sai, anche perché non trovo l’apribottiglie.

(L’apribottiglie? Per cosa? Per aprire la birra che non bevi o la bottiglietta di Lemon soda che non hai?) 

Ogni tanto ha queste uscite… che credo siano piuttosto un grido di aiuto perché si sente solo. E ci sta, per carità. Ma è anche vero che in una settimana e mezzo ci sono passata tutti i giorni. Devo trovare un equilibrio, sennò impazzisco. 

Va detto che mi fanno diventare matta anche a lavoro. Il clima è da nevrosi, siamo nel periodo panettoni e ogni cosa è crisi tra il Capo e la FDC (Figlia Del Capo). La FDC dice qualcosa e il Capo sospira. Il Capo dice qualcosa e la FDC si irrigidisce. Poi, entrambe esasperate l’una dall’altra, se la riprendono con il primo dei miei colleghi che passa. Io sono esclusa da questo gioco (dhe, almeno questo!), ma non dalle lamentele dei miei colleghi, che vengono a sfogarsi da me, come se io potessi avere voce in capitolo. 

Poi vado a prendere Little e lei piange perché il suo Little Nerd (con cui sta ancora insieme, dopo più di un anno, ndr)non capisce le sue esigenze. Ora, io so cosa prova. Lo so e lo so. Ma è anche vero che deve iniziare a vedere le cose in modo diverso. Sennò sarà sempre e per sempre delusa dall’amore. Lei vuole un FID (Fidanzato, ndr. Questa cosa me la insegnano i colleghi più ggiovani)come legge nei suoi libri del cavolo. Insomma, Jane Austen alla fine ci ha rovinate tutte sul serio!

Poi passa a lamentarsi dei suoi amici, che non capiscono le sue esigenze. Poi di suo padre, che non capisce un tubo (ma questo si sa). A volte mi chiedo quando arriverà il mio momento… è una spada di Damocle atroce. 

Entro in casa per riprendere fiato e fare qualche lavatrice ed ecco che chiama l’Amico Speciale. 

Non arrivo più, mi dice. Dovevo essere già a casa da ore e invece sono bloccato per un incidente.

Ascolto, dicendo le solite banalità: dai, la prossima settimana sarà migliore (sono mesi che lo dico); ti porto dal tizio che leva il malocchio ruttando? (su questo dovrei scrivere una pagina a parte, ma sarebbe ingloriosa e piena di rutti); magari questo weekend riesco a uscire prima da lavoro e ci prendiamo due ore solo per noi, nel letto, come facevamo una volta, a fare sesso, parlare, fumare (spera, Moon, spera).

Arriva il momento che devo andare a portare il bucato lavato e piegato a mio padre (che ancora non ha la lavatrice). Decido di andare a piedi (di solito opto per la macchina perché devo portare e/o portare via diverse cose, non perché sia distante). Machissenefrega se stasera non riporto via nulla. Lo farò domani, o dopodomani. Stasera ho voglia di passeggiare. Così, al ritorno, mi soffermo sui dettagli: passo davanti alla farmacia e guardo la vetrina; davanti all’emporio saluto Super Mario con la mano, Tutto bene?, mi chiede lui, Benissimo Mario, grazie!; per la strada incontro una persona che conosco solo di vista (chi sarà? Boh) che mi chiede perché mi sono trasferita di nuovo, No, rispondo, ho trasferito mio padre, io sto bene dove sto, Davvero???, chiede lui stupito, e così passano altri 5 minuti a conversare con una persona che non conosco del più e del meno; annuso l’aria tiepida nonostante il Novembre inoltrato e osservo le ombre che si allungano sotto i miei piedi; mi fermo a fotografare una pianta- vedi copertina– che non so cosa sia (sembra una pianta di cimici? Le cimici nascono così, da una pianta? Esperto botanico cercasi). 

Prima di rientrare in casa mi fermo a fumare una sigaretta sul muretto davanti casa, chiudo gli occhi e tutta l’ansia della giornata si dissolve. 

Non so che strana magia io abbia fatto. 

Forse funziona solo questo, ogni tanto: perdere tempo quando si vuole perdere tempo. 

Il mio lato zen è poco allenato, si nota?

Nota: ho uno dei panettoni a casa mia, chiuso nella sua busta, che aspetta solo di essere assaggiato da bocche esperte e raffinate (sei adolescente sei che domenica invadono la mia casa): come andrà a finire? 

Una giornata musicale (neuroni da musical)

Ultimamente il mio Neurone Solitario è convinto di essere una star di Brodway. Vuole a tal punto che una colonna sonora lo segua tutto il santo giorno da comporsela da solo. 

Così, appena suona la sveglia, ecco che parte questa canzone.

Ho talmente tante persone in mente appena mi sveglio che devo fermarmi a chiedere delucidazioni al Neurone Solitario: di chi parliamo stamani?

Bevo il mio caffè con soia e mi rolla la prima sigaretta della giornata. Ed ecco che arriva Neffa.

Fin qui andrebbe anche bene. I guai arrivano a lavoro, quando mi ritrovo dietro al banco canticchiando questa

Sfodero un sorriso a mille denti e lo rivolgo al mio nuovo collega, il nuovo Micro(bo)- e tutti lo chiamano davvero così, non so perché nessuno ricorda il suo nome, ma tant’è- che nel frattempo mi guarda allibita. 

È un’associazione di idee, gli faccio. Sai, per via dell’artrosi

Per via che sei vecchia, vuoi dire, risponde lui serio. 

E infatti i nostri scambi sono proprio come quelli con Micro(bo)…

E nulla, alla fine passo nel laboratorio di pasticceria. Oggi biscotti di Natale (siamo come i cinesi: tolte le decorazioni di Halloween, le rimpiazziamo subito con abeti, palline colorate e fiocchi rossi). Vado a sciogliere la cioccolata nel microonde e il Neurone mi manda un messaggio inquietante

Mi fermo un secondo. E che cavolo c’entrano ora i Doors? Il Neurone, come sempre, non risponde. È risaputo che chi sta tanto da solo ha dei problemi di afasia, succede anche a mio padre. Poi un suono mi dice che il programma del microonde è terminato; mi volto e vedo una scritta che lampeggia: End. 

Fuck you, Neurone, penso. Stavolta ci sono arrivata anche senza il tuo aiuto!

Finisco il turno e vado a prendere Little Boss: finalmente in viaggio verso casa, finalmente un pomeriggio senza nulla di urgente da fare (ogni tanto me lo impongo), finalmente…

Mami, dice Little appena sale in auto.

E quando fa così, che dice Mami senza dire subito tutto un po’ di ansia mi viene. 

Bambi, dimmi, rispondo serafica.

Ma l’albero di Natale quando lo facciamo? 

Ma cacchio, è il 10 novembre! È vero che anche l’anno passato lo abbiamo fatto super presto, ma mi pare fosse almeno il 20 (dovrei riguardare il blog, mi sa che l’ho scritto). 

Ok, bambi, alla fine cedo. Lo facciamo quando vuoi tu.

Lei inizia a cantare: Alberello, verde e bello, le stelline sono scese su di te…(ndr. Per questa canzone non c’è un video, mi sa che se la sono inventata le sue maestre d’asilo anni fa, durante la sua prima recita di Natale, anni 3 appena compiuti)

Mi viene da pensare che non sono l’unica che ha dei neuroni da musical…

Guida a un cervello sotto stress

Avevo bisogno di un’ora per me. Ecco perché sono qui.

Il mio momento zen, il mio bagno con bomba Lush, la mia Yankee Candle, la mia coperta di lana merinos, il mio prato fiorito, la mia cioccolata calda…

Avete capito, no?

le mie settimane si stanno ingolfando (tutto prevedibile e previsto) dal trasloco di mio padre dalla Città di mare al mio piccolo paese in mezzo ai lupi (attenzione: i lupi ci sono davvero, lo ha detto il comune limitrofo con un messaggio WhatsApp a tutti i cittadini. Perché qui, sì, si può fare di un intero comune un gruppo WhatsApp, tanto sono pochi i residenti).

Il trasloco è stato carino. Un inferno Dantesco nella versione Disney (non so se avete presente: Paperino/Dante e Paperoga/Virgilio). La ditta che avevo chiamato ha fatto un ottimo lavoro, i ragazzi erano solerti e simpatici, nonostante la tragicomicità della cosa (un anziano un po’ rinco che deve traslocare in fretta e furia e nemmeno riesce a decidere cosa portare e cosa lasciare), alla fine mi sono fatta anche qualche risata e due foto buffe con i traslocatori. 

La padrona di casa di mio padre è decisamente più rinco di mio padre stesso, nonostante abbia 20 anni meno. E quindi ha rischiato (da parte mia) il linciaggio per cose tipo questa:

GIORNO PRIMA DEL TRASLOCO- ORE 11.00. CONVERSAZIONE WHATSAPP.

IO: Scusa, E., ma la caldaia non funziona. Ma l’avevi provata?

LEI: Non funziona? Oh, ok. chiamo il tecnico.

IO: sì, ma domani c’è il trasloco, sono 2 settimane che lo sai. Potevi provarla… e poi dov’è il termostato?

LEI: oh, ok. quello non c’è.

IO: …

LEI: ma domani si fa tutto, tranquilla.

La gente affitta senza sapere cosa cazzo sta affittando. 

Alla fine della fiera (locuzione credo interamente locale) la mattina del trasloco c’era tecnico della caldaia che faceva la revisione e l’idraulico che installava il termostato. Mettici i due ragazzi del trasloco, io, la padrona di casa e mio padre…beh, quell’appartamento non vedrà mai più tutta quella gente in una botta sola. 

Comunque mia sorella è stata di grande aiuto, alla fine. Le ho chiesto di fare solo una cosa, ovvero staccare il televisore e porgerlo ai ragazzi. Lei lo ha fatto. Dimenticando di staccare anche il cavo dell’alimentazione e non prendendo il telecomando. 

Sono felice che sia passata già una settimana. Sennò avrei continuato questo articolo inveendo per tutto il resto dello spazio virtuale contro di lei. Ma io sono fatta così: mi incazzo, mi incazzo, ma alla fine mi passa sempre. Solo che faccio delle tacche. Non è che dimenticherò, niente affatto. 

Mio padre si sta ambientando alla riduzione delle sue possibilità. Tutto è più piccolo, intimo e silenzioso, qui. 

Da parte mia sto disperatamente cercando un sistema per non dovermene occupare day by day come se fosse un terzo figlio (prima figlia: Little, secondo: l’Amico Speciale). Quindi ci passo, almeno un’ora, tutti i giorni (suona contradditorio? La frase non torna? Marzullianate, gente, Marzullianate).

Quello che trovo devastante è la mia incapacità di difendermi dalla mia mente. Nonostante il triste tentativo Mindfullness non ho imparato un cavolo. E mi ritrovo sveglia alle una di notte a pensare a milioni di liste di cose da fare, possibili soluzioni da trovare. Per cosa? Per tutto: dalle cose pratiche che riguardano mio padre alle cose morali che riguardano me e la mia Little Family con Little Boss, dall’Amico Speciale al lavoro, dagli amici che non sto più chiamando a mia zia, che quando chiama ci vogliono 3 ore di tempo…

Staccare la spina mi risulta sempre più difficile, pena (secondo la mia mente contorta) l’inefficienza che tanto viene vantata di questi tempi quasi da tutti (questa ragazza è un treno!, Ma tu sai tutto! Ma sei bravissima!). Poi, ovvio, ci sono i detrattori, come mia sorella: ma che credi, che ti faranno santa se ti prendi cura di lui? (mio padre, ndr).

Quindi, nel cuore della notte, mi attanaglia anche questo quesito: 

per chi sto facendo tutto questo? Per me stessa? Per non avere rimpianti o rimorsi? O per lui, che sembra un bambino di 150 chili? Lo faccio per dimostrare agli altri qualcosa? O perché so che moralmente è giusto farlo?

Vi ricordo che mio padre non è mai stato uno dei migliori, di padri. Me ne ha combinate tante, mi ha incasinato la vita da quando avevo meno di 20 anni. 

Ma dopotutto, come dico sempre, è sempre mio padre…

Anche io ho sbagliato e sbaglierò come madre. E vorrei che Little Boss fosse un po’ come me, una di quelle che si arrabbia, si arrabbia, ma alla fine passa tutto. 

Allora lo faccio anche per questo? Per mandare un messaggio a Little? 

Sì.

Forse sono un po’ stressata…