Anno nuovo, polemica vecchia.
I social
Mi ricordo gli albori di Facebook. O almeno, quando lo conobbi io. Ricordo che dissi al mio ex, primi anni dieci del 2000: perché non ci iscriviamo? Mi pare di aver capito che per le aziende è come avere pubblicità gratis.
Non lo so cosa avevo capito. Quello che so è ciò che poi è successo, ovvero che su Facebook l’azienda è stata quasi invisibile e i nostri profili personali invece hanno iniziato a crescere. Era da poco nata Little e dopo aver sperimentato una macchina fotografica digitale con tanto di piccola stampante inclusa, ho ricevuto invece il mio primissimo smartphone. Da quel momento in poi ho sempre avuto le foto su un device e ho stampato solo poche copie (giusto per sentirmi un po’ vintage). E le foto le pubblicavo, a volte, su Facebook. Ho considerato questo luogo come una cameretta per anni, un modo per attaccare un poster al muro, come facevo da ragazzina con quelli di Johnny Deep in regalo su Cioè, solo che ora avevo iniziato ad appendere poster di David Foster Wallace, di Little, a rigirare link dei finalisti dello Strega o a ricevere link dalle riviste letterarie con le quali collaboravo. Mi sentivo come se essere su Facebook mi desse la giusta visibilità nel mondo, in un mondo che a me era precluso per ragioni geografiche. Insomma, fossi vissuta a Milano o a Torino forse…, mi dicevo. Ma il mondo doveva conoscermi, conoscere la mia vita, leggere quello che scrivevo. E Facebook mi sembrava al mio servizio.
Poi è arrivato Instagram.
Ricordo di aver parlato con un fotografo di una certa importanza, avevo un progetto con lui per scrivere qualcosa sotto alle sue foto in una mostra. Un progetto che, come molti dei miei, non è andato a segno. Comunque lui mi chiese se avessi Instagram. Sì, lo avevo, risposi, ma non lo capivo molto e lo usavo poco. mi rimproverò. Instagram è il social che conta, Facebook ormai è solo per i vecchi. Erano passati sì e no 5 anni dalla mia iscrizione a Facebook e già era in marcescenza.
E poi arriva il lavoro, quello al Ristorante. Sin dal primo giorno mi danno l’accesso al Facebook aziendale per gestirlo. Creo anche la pagina Instagram, pubblico foto, ripubblico spesso sul mio profilo. A un certo punto smetto di pubblicare contenuti miei su Facebook e Instagram. Mi sento esposta, mi sembra inutile far sapere alla gente cosa faccio per Natale o per le vacanze, sono sempre più invisibile. Ma accedo lo stesso ai social. Accedo per vedere i post delle pagine che seguo e dei gruppi a cui sono iscritta. A volte leggo bella roba, ma sempre più spesso leggo inutili discussioni, aggressioni gratuite (soprattutto nei gruppi settoriali, come che ne so, Il barista incazzato per dirvene una, il che mi risulta ancora incomprensibile), tanta tanta violenza verbale oppure, al contrario, tanto menefreghismo. Guardo sempre meno. A volte trovo gruppi degni di esistere, come uno di gelatai che condivide ricette professionali senza tirarsela, altre volte invece mi capita di vedere il perbenismo e la falsità all’ennesima potenza. Mi disgusto sempre più.
Sono talmente disgustata che non riesco più neanche a gestire le pagine del Ristorante, le mollo piano piano, entro a fare post solo se costretta dal Capo o dalla Figlia del Capo. Sul mio profilo invece pubblico rarissimamente e di solito per ringraziare qualcuno.
L’altro giorno non sapevo cosa fare e ho aperto l’app. Nella home page c’erano solo foto natalizie, una uguale all’altra, tutti abbracciati sotto l’albero, tutte didascalie fotocopia: per Natale ciò che conta non sono i regali, ma la famiglia. E poi vedo un post di mia sorella, uguale a quelli sopra. Lei che dice la famiglia… si vede che una sorella non si considera più famiglia. E neanche un padre.
E allora mi chiedo a cosa servano, ‘sti social. A riempire il web di falsità o a provare ad apparire buoni e felici?
Personalmente continuerò ad usarlo come strumento, quando me la sentirò, esattamente come pensavo all’inizio. Cercando di evitare di essere io, di nuovo, quella strumentalizzata.