Dialoghi, Paolo Giordano: un non reportage

No, qui Giordano non era ancora arrivato: non cercatelo

C’è stato un tempo in cui facevo cose.

Dopo anni di sonnambulismo, un giorno mi sono svegliata e ho cominciato a scrivere (con risultati mediocri all’inizio), leggere (cose diverse da quelle che leggevo prima), frequentare corsi (di scrittura) e andare in giro ad ascoltare scrittori (ricordo Erri De Luca, Ascanio Celestini, Martina Testa su David Foster Wallace, Marco Malvaldi, solo per citarne alcuni). Quel tempo brulicava di cose. 

Poi la separazione, una nuova vita da ricostruire, ho smesso piano piano. Avevo troppe incombenze per prendermi cura della mia anima.

Ma le cose, lo sapete, stanno cambiando. Così quando un mesetto fa ho visto il programma dei Dialoghi sull’uomo di Pistoia mi sono detta: why not? Ho preso la chiusura dell’evento, la domenica sera con Paolo Giordano. Tema di questo anno l’emergenza climatica (cosa altro poteva essere?).

Non sono una fan di Giordano. Ho letto solo La solitudine dei numeri primi che mi ha lasciata, devo dire, tiepida. Poi sì, qualche articolo sul Corriere. Nulla di che. Ma comunque è sempre uno scrittore, l’argomento è attuale, voglio sentire cosa ha da dire, ho bisogno di stimoli eccetera eccetera. 

Prendo due biglietti e per un intero mese chiedo prima a Little poi all’Amico Speciale. Entrambi sono entusiasti come prima di una purga. Nessuno mi dice di no, per non farmici rimanere male, ma rispondono: bho, vediamo. Alla fine (e se dico alla fine significa proprio la domenica mattina) l’Amico Speciale si offre di accompagnarmi, con un sorriso tirato a tal punto che ho paura che si strappi. 

Arriviamo a Pistoia per tempo, ci facciamo una bella passeggiata, c’è il sole, è caldo e Pistoia è carina, diciamocelo. Quando inizia la conferenza sotto al tendone l’A.S. calcola che ci siano almeno 800 persone (fa il conto delle sedute così, per passare il tempo). Giordano arriva puntuale, sale sul palco e dice: quanti siete! Di solito non amo fare queste cose, non mi piace la solitudine del palco. E in effetti non gli piace, il palco, lo ripete più volte durante l’ora in cui parla, tra un bicchiere d’acqua e un Non me lo ricordo, l’ho scritto qua ma non lo trovo. 

Giordano è uno scrittore, non un relatore. E il suo impappinarsi, bevendo ettolitri di acqua, ne è il manifesto. Non promuove direttamente il suo ultimo libro (anche se lo cita, ovvio), ma parla dell’ambientalismo, per fortuna, per lo meno sta sul pezzo quasi sempre. Parte dal lavoro di Rachel Carson, biologa americana che si batté per far eliminare il famoso DDT, lavoro racchiuso in un libro intitolato Primavera silenziosa e fatto ristampare di recente con la prefazione di indovinate chi? Yess! Io il libro non l’ho letto e neanche la prefazione, non sono certa che mi interessi davvero la storia del DDT, seppur interessante. Ho altre cose da fare. Poi il nostro Paolo si sposta sul nucleare, citando Moravia con L’inverno nucleare e la Morante con Pro o contro la bomba atomica.

Insomma sì, non posso dire che è stato noioso (l’A.S. può dirlo invece, a una certa si alza e esce), ma il tema dell’ambientalismo lo prende talmente alla larga e parte da talmente lontano che fatico a seguirlo. Certo, si sente che è un sapiente, ma non coinvolge, se non quando, verso la fine, legge un racconto, Il tunnel (Durrenmatt, scusate non ricordo come fare la U con dieresi), claustrofobico e catastrofista abbastanza da lasciare il segno. Se riuscite leggetevelo e capirete il punto di vista di Giordano sull’emergenza climatica. 

Dopo la conferenza avrei voluto dilungarmi al banchetto/libreria lì fuori, ma ho dovuto premiare l’A.S. con un panino con il lampredotto. 

Sono stata sfortunata, lo so, ma comunque ne è uscita una bella serata. Sempre meglio che stare a casa a guardare la tv. Chissà se la prossima volta l’A.S. mi dirà di nuovo sì…

Open the door

Photo by lalesh aldarwish on Pexel.com

Non è stato facile venire a patti con il mio Mac stasera, sembra che non voglia assecondare la mia urgenza di scrivere, forse ha ragione lui, chi lo sa.

Ho lasciato Little nel bagno: durante l’adolescenza pare che le ore nel bagno siano direttamente proporzionali al disordine, venerdì mi sono azzardata a salire nella sua tana e l’unica cosa che non ho trovato è stato un animale morto. Ma in tutta onestà mi sono stupita di non averlo trovato. In compenso ho trovato un libro di Harry Potter che cercava da Maggio, Ci saranno degli Stargate?, ha chiesto lei timidamente. No, la casa nasconde ma non ruba, diceva mia nonna. Sei solo scarsa a cercare e riordinare.

In ogni caso, il cambio di guardia del mio umore è arrivato proprio quando sono salita in camera di Little questo venerdì. Fino ad allora il mio grado di rilassatezza era quasi pari a zero, con una dose massiccia di Difuorismo che mi scorreva nelle vene. Il panico da lockdown aveva talmente preso il sopravvento da farmi dimenticare anche le cose base, da rendermi quasi inutile a lavoro, da enunciare frasi tristemente apocalittiche sul gruppo whatsapp dei genitori, da mandare a puttane una cena con l’Amico Speciale (Sei di compagnia, stasera…, ha detto. Ragione da vendere). 

Vedere il caos primordiale che regnava in quel piccolo loculo mi ha dato la carica. Prendiamo la carica da cose strane, si sa. E mi sono detta: devo cambiare atteggiamento, o finirò per soccombere a me stessa. E alla tv di scarsa qualità. 

Per una volta nella mia vita, detto fatto. Sabato già mi ero impegnata nel sociale cercando una carrozzina per il neo padre di due gemellini, un ragazzo con pochissimi mezzi, carrozzina che ho trovato gratis grazie alla rete social di Facebook (semel in anno pure Facebook serve) e che ho preso e consegnato oggi stesso. 

Ma non era di questo che volevo parlare oggi, perché in realtà il mio Io ha bisogno di leggerezza per proseguire la sua cacciata del Panico da lockdown, e quindi nulla, ho bisogno di un parere. 

Questa cosa dell’annuncio su Facebook, non so come, ma mi ha messo in contatto con un sacco di gente. Qualcuno lo conosco e voleva davvero aiutare. Qualcuno invece ha preso la palla al balzo per contattarmi per cose altre (pubblicità) e un tizio addirittura per provarci (lui dice che mi conosce, io non me lo ricordo). Tra tutti questi c’è anche un altro tizio, un carabiniere di cui ho parlato a Ale. Gliene ho parlato perché è, a mio avviso, una figura fuori dal coro nell’ambito dell’arma: simpatico, intelligente. Che i carabinieri non me ne vogliano, ma se hanno inventato tante barzellette…l’ironia estrema si fa su una base di verità, o no? 

Lui no. È (damn!) un lettore. Sono mesi che ci scambiamo titoli, uno dei libri più belli che io abbia letto negli ultimi tempi me lo aveva consigliato lui. Come sia iniziata non lo so, forse mi sono resa scimmia quando l’ho visto leggere una domenica mattina al tavolo e gli ho chiesto cosa stava leggendo. Mi capita spesso di chiedere, visto che di gente che legge libri se ne vede poca. Poi parlando a qualcuno dei miei colleghi è sfuggito che andavo (e amavo) il teatro. Abbiamo parlato di Santeramo. Poi delle case editrici (di cui sono abbastanza esperta). Poi che scrivo (eh, qui ho forse un po’ gonfiato le cose…ormai scrivo davvero poco, e quel poco che scrivo sono cazzate, come il mio romanzo fast).

E insomma, va a finire che lui prima mi definisce la sua bibliotecaria di fiducia davanti a mia madre, poi mi lascia al Ristorante un libro in prestito da leggere (l’ho iniziato e, nonostante io sia diffidente con l’Iperborea, devo dire che l’Islandese che ha scritto il libro se la cava alla grande). E poi ecco il contatto su Facebook. 

Gli rendo il favore, gli dico che gli presterò dei libri anche io, preparo una selezione seguendo la nazionalità: un giapponese (Murakami, Tokio Blues, di cui ho un doppione), Donatella di Pietrantonio con L’arminuta (non la migliore italiana a mio avviso, ma se la cava alla grande) e poi la mia migliore americana, Aimee Bender con uno dei mie libri preferiti, Un segno invisibile e mio. 

E mentre sono lì che smessaggio mi chiedo (da qui il vostro parere): ma ci sto flirtando?

No, perché l’uomo è davvero bello (e simpatico e intelligente, come detto), ma.

Ma. 

Ma. 

Ma.

Io sono felice con l’Amico Speciale. Mi rende felice, sul serio, mi fa ridere, mi sdrammatizza e mi capisce, non mi fa pressioni per nulla, ma non mi lascia mai sola. Insomma, io lo voglio sposare, sul serio. Lo amo. È parte di me.

 E questo tizio, invece, il carabiniere, il Maresciallo per essere precisi, è davvero interessante, lo ammetto, ma non in quel senso. Lo sarebbe, certo, ma se non fossi felice. Ma non così, non ora. È bello avere qualcuno con cui condividere una passione. 

Non so se sono stata chiara. 

Sono anni che mi arrovello e mi arrotolo su me stessa per questa cosa. 

Trovare qualcuno che condivide la tua passione non è facile. Mai. Specie se si tratta di libri. Io e mia madre siamo entrambe lettrici forti, ma non ci piacciono le stesse cose. 

Il punto è che io non voglio flirtarci. E non lo sto facendo, a mio avviso. Ma allora dovrei fare la gelida? In tanti mi hanno riferito che faccio così. Pare che io non abbia mezze misure: o flirto o sono gelida. 

Inizio a pensare che non so come ci si relaziona con gli uomini…

Forse sono io che sbaglio tutto, che esprimo troppo entusiasmo per le cose, mi capita a volte di dovermi, in effetti, frenare. Per non farmi dare della maestrina, della sapientina, della professoressa. Ma poi va così: se una cosa mi interessa e la so in una conversazione passo da quella: quella piena di Ego che vuole mettersi in mostra. Alcuni miei amici mi darebbero ragione. E io, sapendolo, mi castro a tal punto da sparire. 

Qui vale lo stesso: la mia voglia di parlare di qualcosa può passare da un tentativo di flirt? 

A volte vivere sembra incredibilmente a un camminare sulle uova. 

In attesa del nuovo dpcm…

NOTA: non mi fa caricare la foto della MIA porta… ecco perché ne ho scelta una a caso.

Intermezzo: una canzone per te

Per Ale.

La nostra non è solo un’amicizia di lunga data. Dire che ci conosciamo da 20 anni la non rende speciale, ci sono persone che conosco da più tempo. 

Abbiamo parlato a lungo su di noi, inciampando nelle parole, cercando una strada per poi scoprire che no, non è esattamente così, ci avviciniamo, ma ciò che siamo ci sfugge sempre un po’, come se fosse troppo improbabile, troppo difficile da dire. Magari è perché solo in noi vediamo l’amicizia e questo ci spiazza, ci affascina e ci disarma allo stesso tempo. 

In te vedo la musica. 

Quando Cisco canta della Grande Famiglia vedo il tuo viso. 

Libertà l’ho vista dormire, dice Fabrizio, e tu sei lì. 

In bianco e nero di Carmen sei tu. 

In te vedo i libri.

Tu, fino ad ora per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo

O ancora:

Uno, non toccare le lancette. Due, domina la rabbia. Tre, non innamorarti, mai e poi mai. Altrimenti, nell’orologio del tuo cuore, la grande lancetta delle ore ti trafiggerà per sempre la pelle, le tue ossa si frantumeranno, e la meccanica del cuore andrà di nuovo in pezzi.

In te vedo i colori.

Tu che di colorato non indossi mai nulla.

Sei il Rosso della passione e della rabbia, il Blu del mare e della notte, il Verde della speranza e della terra dove vivi. 

In te sento i profumi.

Sei il profumo del caffè appena fatto, delle sfoglie sfornate, di un tartufo che tieni in tasca. 

In te vedo gli abbracci.

Io, così allergica al contatto fisico. Tu mi hai vinta con le tue braccia calde e la testa appoggiata sulla mia spalla. 

Sento continuamente il bisogno di dedicarti qualcosa, il difetto della lontananza, di una vita frenetica che non perdona. 

E se sei musica oggi ti dedico una canzone. Di nuovo. Qualcosa che ci riporti dove eravamo, ma senza nostalgia, senza tristezza. 

Una canzone che ha la magia del Piccolo Principe, il Verde della speranza, il profumo del caffè appena fatto e l’abbraccio che mi hai dato la prima volta.

Inutile post sul romanzo

Ieri sera mi sono addormentata incazzata come una mina. 

Ho appena terminato un libro bello, di Ilaria Tuti (Fiore di roccia), letto dopo un soporifero Kawaguchi, a sua volta letto dopo un bellissimo Cambiare l’acqua ai fiori. Quindi il resoconto è, per ora: Uno sì e uno no

Sabato sono andata in città con Little Boss. Le volevo comprare qualche vestito nuovo per la scuola (la ragazza cresce e ha già superato di una taglia la mia biancheria intima, se capite a cosa mi riferisco)e invece lei, di nuovo, voleva passare in libreria. Questa estate ha letto come un treno, con una media di un libro ogni due, tre giorni. Ha le sue interminabili saghe, il ciò comporta una spesa elevata a ogni passo dentro una libreria, perché Come posso prendere solo il primo libro? Mi serve tutta la saga insieme! E se poi non trovo la stessa edizione? (per questo la ragazza non ha preso da me: io i libri li vivo, lei li venera). Va beh, comunque il succo è che mentre lei si sceglieva dei libri di Stephen Fry, io accarezzavo le copertine all’entrata, con le nuove uscite. E ho visto Ozpetek. I suoi film li ho amati tutti, quelli che ho visto, una grande delicatezza nell’affrontare temi un po’ scottanti, una bella profondità. E così l’ho preso. E ieri sera l’ho iniziato, con Grandi Speranze. 

E poi mi sono addormentata incazzata come una mina. 

Con me, ovvio. Avrei dovuto leggere almeno le prime pagine, darci un’occhiata. Se è vero che ciò che conta (per me) in un libro non è solo lo stile o solo la trama, ma le emozioni che ti trasmette, è altrettanto vero che se volevo leggere una sceneggiatura la compravo. 

Ora, so che non posso incazzarmi con Ferzan, lui scrive come vuole. Solo che certe dinamiche all’interno di una pagina mi fanno davvero imbestialire. Detesto le descrizioni dettagliate dell’abbigliamento, della stanza in cui si trovano i personaggi, dei movimenti che fanno, se non sono utili a capire ciò che sta dentro al personaggio. Io voglio capire cosa c’è nei loro cuori, non sulle loro tavole imbandite. 

Forse sono ancora troppo rigida. E questa rigidità nei confronti dei romanzi che leggo si rispecchia, centuplicata, nel mio. Ho scritto una novella carina, ma senza cuore. Leggibile. E non mi basta. Come posso odiare Ferzan e poi scrivere di peggio?, mi dico. È incoerente. Ieri mettina, dopo una lettera fiume a Ale, mi sono messa a rileggerlo, il mio romanzo-fast. Scorre bene, è divertente in molti punti, come dicevo ad Ale, ma è monco. 

Forse dovrei accontentarmi, terminarlo per bene e lasciarlo andare per mettermi a fare qualcosa di nuovo. La sera mi dico che dopotutto è la mia opera prima, che deve essere monca, immatura eccetera, che solo continuando a scrivere posso arrivare lì dove voglio. Questa è la buona teoria. 

Ma la pratica, come sempre, stenta. 

In ogni caso, visto che ora la mattina mi devo comunque svegliare alle 5.30 per Little Boss e visto che fino alle 9 non entro a lavoro, credo che dovrò almeno provarci. 

E quindi vado, vediamo se prima o poi combino qualcosa…

Videoregistratore, Tv, Libri Scadenti (e altre cose divertenti che non farò mai più)

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Facendo ancora un passettino in avanti (qui si deve procedere a passettini, la casa è minuscola), in Casa Moon, vedrete senza dubbio una delle migliori amiche di questa forzata clausura: la televisione.

Ora, magari vi potreste chiedere che storia può mai raccontare un oggetto così comune. La mia peraltro è quasi più piccola dello schermo del mio computer.

Il mio rapporto con la tv è cambiato nel corso degli anni.

Sono nata nel ’78 (è vero che le donne non dicono la propria età eccetera, ma la mia età è nella premessa di questo blog, quindi…) e la mia infanzia, per ovvie ragioni cronologiche, si è spalmata in tutti gli anni ’80. A casa avevamo una tv a colori (non se ne trovavano moltissime) con, addirittura, un telecomando. Era piccola e cicciona, gli apparecchi con il tubo catodico erano così: simpatici oggetti da compagnia. Nonostante io passassi molto tempo a fare quello che fanno di solito le bambine, colorare, (Gesù, quanti alberi innocenti ho massacrato quando ero piccola!), leggere, scribacchiare sul mio primo diario (che, indovinate? Si chiamava Kitty… che fantasia!), giocare con mia sorella (una cosa che spesso finiva in rissa) me ne restava comunque moltissimo per inebetirmi davanti allo schermo. I cartoni animati non erano contingentati come adesso, c’era la fiera del manga splatter su qualsiasi RTV38 del caso. Io succhiavo tutto come un’ape, impollinando poi la mia fantasia. Crescendo ho solo cambiato programmi. Se una mattina ero malata c’erano tutti quei telefilm (sì, prima le serie tv erano telefilm) che adoravo: Supercar, Manimal, il mitico MacGyver…una lista infinita. Il pomeriggio invece, prima e dopo BimBumBam, Genitori in Blue Jeans, i Robinson… chi più ne ha più ne metta. (A tarda notte- per la me di allora e devo dire anche per la me di ora- i Visitors: quello lo potevo guardare di rado…mi spedivano a letto dopo il telegiornale).

Quando ho compiuto 8 anni in casa mia è arrivato il videoregistratore. Cavoli, l’oggetto più sfruttato di tutti i tempi. Io e mia sorella guardavamo, registravamo, facevamo a gara a chi toglieva meglio le pubblicità stoppando nel momento esatto (alla fine spesso una delle due capitolava nel sonno e la fine dei film era una costellazione di spot). Avevamo imparato a memoria le battute dei nostri preferiti: La spada nella roccia, I Goonies, La storia infinita, I Ghostbuster…

La mia adolescenza è proseguita così, mutando solo i telefilm (Beverly Hills, Twin Peaks) e i film (Die Hard, Ghost). Con il mio primo ragazzo facevamo notte a riguardare qualsiasi cosa, pop corn e coca cola alla mano.

Ho continuato a coltivare la mia passione (dipendenza?) così per anni. Poi, quando già stavo con il mio ex, ho scoperto…Sky. Beh, all’inizio l’ho adorato, devo dirlo. Serie tv (erano già state rinominate), film, documentari, cartoni animati: onnivora e bulimica. Mi sono vista veramente di tutto. E di più.

Fino a che, come era immaginabile, ho fatto il pieno. Ricordo che Little Boss aveva più o meno 3 anni. E io, da un giorno all’altro, ho deciso che ero stufa. Non chiedetemi cosa è scattato nel mio cervello. Ho semplicemente deciso che basta, non avevo più voglia di guardare le vite degli altri. E da allora ho iniziato a vivere la mia? Sia mai! Ho iniziato a leggere le vite degli altri in maniera altrettanto compulsiva e bulimica. Se nasci limone non diventi arancio.

Ma per i libri non sono arrivata al pieno. I libri (uno in particolare) mi ha portato dritta dritta a pigiare tastini su un minuscolo Netbook e a tentare di scrivermele da sola, le storie.

Ma sto, come al solito, divagando.

Insomma, ho spento la tv. Non l’ho quasi guardata per anni. Il quasi si riferisce a qualche telegiornale e a pezzi di cose che guardava il mio ex.

Il punto è che quando mi sono trasferita qui non avevo intenzione di comprare una tv. Avevo pochi soldi e spenderne per un oggetto che reputavo poco utile…

Certo, c’era Little Boss, una novenne. Ma con lei riuscivamo a sbarcarcela con qualche video su You tube e poi, da brava Radical Chic, non era forse meglio non averla, la tv?

Beh, è qui che entra in campo il mio Capo. Dopo un mesetto invitai lei e tutti i miei colleghi qui, per una cena piuttosto informale (che qui significa in piedi, non avevo abbastanza spazio e neanche abbastanza sedie) tutti tesi a festeggiare il mio nuovo buco…cioè, appartamento. Ed eccola che arriva con un regalo per Little Boss. Eh sì, una televisione.

All’inizio, siccome la tv nuova era di sua proprietà, decidemmo di metterla nel soppalco, di fronte al letto. La tv restava spenta quasi sempre. A volte decidevamo di guardare una serie tv insieme (Flash, al tempo) e allora andavo io su da lei, ci mettevamo entrambe sul suo letto, ma una piazza per due era davvero scomoda. Decidemmo quindi di traferire la tv in camera mia e con un letto a due piazze ce la siamo cavata bene per un po’. Non ne guardavamo tanta. Poi sono passati gli anni. Non ricordo esattamente quando ho spostato la tv in soggiorno(scusate l’eufemismo), so solo che (e la cosa è davvero molto divertente) per poterla guardare bene ho dovuto metterci sotto dei libri, per poterla rialzare. E sei libri belli grassi (e direi quasi tutti inutili) sono ancora lì sotto (non catalogati). Sembra quasi un riassunto di questa storia.

Nonostante la nuova posizione il mio rapporto con lo schermo è ancora altalenante. Detesto guardarla da sola (anche se a volte capita, soprattutto di recente).

Credo che in vecchiaia ci farò pace. Sarò come mia madre, che la tiene sempre accesa per farle compagnia.

Sarebbe decisamente meglio un tir di gatti

 

 

Libris et ceteris

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Quando era piccola, all’incirca dieci anni o giù di lì, avevo i capelli lunghissimi. Ricordo che era la prima cosa che si notava di me, sebbene il colore fosse un banale biondo scuro.  Mia madre forse non si fidava a darmi in mano un phon, o forse non ne avevo voglia io, di asciugarli. Di sicuro non ne aveva voglia lei. E come darle torto: dopo essere uscita di casa alle sette del mattino, aver accompagnato i figli a scuola, aver lavorato tutta la mattina, essere tornata a casa per preparare il pranzo e di nuovo a lavoro nel pomeriggio, di nuovo preparare cena… insomma, non è che hai proprio voglia di metterti ad asciugare i capelli di Raperonzolo junior. E così d’estate mi metteva seduta con i capelli al sole nel nostro enorme terrazzo (un terrazzo che era più grande della mia casa di ora), mentre d’inverno mi metteva seduta sotto un casco. Non ricordo come diavolo si fosse procurata questo attrezzo un po’ retrò, forse nemmeno lei se ne ricorda più. In ogni caso avevo solo due opzioni durante le mie (inutile dirlo: lunghissime) sedute dal parrucchiere: non fare nulla e guardare nel vuoto, oppure leggere. La prima opzione era da escludere per una come me già dall’infanzia. Ricordo ancora le furiose litigate con mia madre quando chiamava per cena e io gli rispondevo: non posso, devo finire di giocare. Quando ero a tavola, poi, due bocconi e ripartivo subito a razzo. Immaginate quindi la tortura di non dover far nulla sotto a quel casco. E io leggevo: La piccola Dorrit(letto quasi fino a conoscere a memoria le pagine), Papà gambalunga, il tristissimo Remì, Piccole donne (con tutti seguiti). E poi verso i 13 anni ho iniziato con King: Carrie,La zona morta, Le notti di Salem. It. It per me è stata una vera rivelazione. Il primo libro lunghissimo della mia vita, letto in meno di un mese. Sebbene in casa mia tutti fossero lettori, la libreria in salotto fosse davvero gigante e i miei mi incoraggiassero a leggere, da sempre, il mio fervore verso King non fu visto di buon occhio. Mia madre credo non abbia cambiato idea, sebbene poi si legga della roba che boh. Insomma, per farla breve il mio posto preferito per leggere era sotto il letto: una torcia, una coperta e un libro (di King: quell’anno riuscii a comprarne davvero tantissimi, complice il fatto che erano già usciti tanti tascabili e ci rientravo con la paghetta.

Ho gusti variegati in fatto di libri, amo autori fuori dal coro, come Brautigam, la Bender, la Holmes, Foer, tra gli italiani amo alla follia la Postorino, la Parrella, Cognetti, gente che non fa numeroni forse (a parte il Cognetti dello Strega, ma io lo amavo anche prima), non apprezzo Malvaldi (ma mi sta simpatico, l’ho conosciuto a una sua presentazione a numero chiuso e abbiamo parlato un po’. Più che altro di quanto io mi sentissi una principiante), detesto Camilleri (giusto per restare nella stessa casa editrice) aborro Volo (e dopo averlo letto lo aborro ancor più).

Ma l’amore per King non passa mai.

Quell’uomo mi inchioda alla pagina come nessuno riesce a fare, siano racconti brevi che romanzi di 800 pagine: una volta iniziato devo finirlo. E ci penso giorno e sera, nulla da fare, non mi stacco dalla pagina nemmeno quando cucino, non mi distrae la musica a tutto bordone della fiera di paese, sembro posseduta.

I bei libri mi fanno questo effetto, come l’amore: mi prende completamente e non mi lascia respirare, non ho occhi che per lui, non ho altri pensieri e mi devo costringere a ricordare gli Elementari: mangiare, bere, fare la pipì.

Ma nonostante la follia, è una sensazione unica, bellissima, forse un po’ malata penserebbe qualcuno, ma io ormai a quei qualcuno non faccio più caso, non mi toccano più.

La mia piccola digressione (posso parlare di digressione in un blog che si fonda sulle digressioni?) era per dirvi che sono stata innamorata per una settimana. E che sento che è un periodo di amore, questo. Sento il bisogno di innamorarmi ancora e ancora.

Il mio prossimo amore si chiama Kristen Rouperian e me l’ha presentata l’Amico Atipico. L’ho conosciuta ieri sera e già sbavo per lei. Buffo come certe persone riescano a capirti talmente tanto da riuscire ad azzeccarti un libro. Perché azzeccarmi un libro non è poi così facile. Ci vuole molta abilità. Serve guardare davvero.

Non finirò mai di dirlo: la mia rete è fantastica…