Gamarjoba (traduzione sotto)

Questa mattina avevo iniziato a scrivere questo pezzo, ma poi mi sono resa conto che il mio umore era troppo basso per scrivere senza che ne uscisse fuori una lagna spaventosa, così ho chiuso tutto senza salvare e sono uscita. 

Sono talmente abituata alle rogne che quando stamani mio padre mi ha chiamata (erano le otto e io ancora non avevo finito il caffè), già immaginavo una nuova catastrofe. E invece mi diceva di andare a prendergli la colazione al bar. 

Mandaci Badante 3, babbo, ieri gli ho fatto vedere come si fa

, mi fa lui, ma tu sei più brava.  

Ora, è vero che il mio lavoro in effetti è anche quello, preparare la colazione alla gente, ma nel caso specifico bisogna solo andarla a prendere al bar di sotto e portarla in casa (mio padre è un viziato, vuole la sfoglia e il cappuccino del bar, e siccome non si muove più c’è bisogno di qualcuno che gliela porti). 

Come previsto, anche se io sono più brava, c’è andata Badante 3. Badante 3 non parla italiano se non mela, olio, bravo. Cose così. Parla solo georgiano. E sa Dio se c’è una lingua meno assimilabile all’italiano del georgiano. In ogni caso è brava. Sempre sorridente ( e lì, con lui che la notte fa pisolini di 5 minuti e basta, c’è poco da ridere), forse non sveglissima, ma si dà da fare. Oggi ci siamo insegnate i giorni della settimana, così ora so che il lunedì è orshabati e il sabato shabati. Quindi se non sto attenta è un attimo confondere il lunedì con il sabato. Le patate sono più facili, k’art’opili. Che ricorda un po’ il katoffel tedesco. Pomodoro è ancora meglio: p’omidori. Una passeggiata, il georgiano. Ah ah. 

(la traduzione del titolo è Ciao)

Badante 3 non mangia nulla. Anche se è enorme, si nutre principalmente di biscotti, caffè zuccherato, pomodori, patate e cotolette di pollo impanate. Non beve latte, né succhi, né (per fortuna) vino. Non mangia né pasta né riso. Spero che fra poco non occorra una Badante 4 per la Badante 3…

Dal mio canto, sto per esaurire questa settimana di ferie bellissima, indimenticabile. E la finisco con una (sospetta) costola incrinata. Ieri notte sono caduta dal letto mentre dormivo. Lo so. Non mi accadeva da quando avevo tre anni. non posso dire cosa stessi sognando, ma non era di certo qualcosa di bello, immagino. Siccome ho questo dolore quando respiro e tossisco e mi alzo eccetera, come tutte le persone poco assennate ho fatto una ricerca su Google (il medico di sabato e di domenica non c’è e io COL CAVOLO che torno al pronto soccorso, viste le recenti avventure). Google è diventato il medico di base più affidabile. C’è sempre, e ti prospetta per ogni cosa uno largo spettro di patologie, dal Non è nulla, si risolve in poco tempo, al Morirai presto di un terribile male.Imprecisato. Perché comunque se non ti rivolgi a un medico non puoi saperlo. Ma io insisto, perché credo in San Google. Così chiedo al nostro oracolo elettronico come si fa a sapere se una costola è incrinata. Risposta: vai al pronto soccorso e fai una radiografia. Perché se ti fa male a respirare e ti fa male se la tocchi può darsi che sia incrinata, oppure no.  Una tautologia perfetta. 

Va beh. Anche lì vediamo. Camminare cammino, guidare, guido, quindi anche fosse devo solo tenermi alla larga dalla tosse e alzarmi il meno possibile. Imparerò a dormire in piedi. Che se lo fanno i cavalli posso farlo anche io. 

Altro giro, altra corsa. Finirà, eh…

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Tutte le cose belle hanno una fine

È con una guerra appena iniziata che tormenta i nostri animi dalle prime luci dell’alba che mi accingo a scrivere del mio terzo (e ultimo) giorno di ferie. Certo Putin poteva pure aspettare, evitando di farmi andare di traverso pure i ricordi. Certo che, se lo avessi scritto ieri come era in programma, tutto questo non lo avrei scritto e avrei dovuto inventarmi un altro prologo(altrettanto noioso) per iniziare questo articolo. Devo smettere di iniziare a scrivere inserendo prologhi inutili, perché non seguo il consiglio principe dei maestri della scrittura, In media res? Non lo so…scusate…

 E dopo la follia prefatoria: GIORNO 3!

Visto il risultato della partita del giorno precedente (Perugia 7- Moon e l’A.S. 0), decidiamo di dedicarci a qualcosa di diverso, meno chiesistico, e facciamo un salto veloce nelle Marche. Oplà! Ed eccoci alle grotte di Frasassi. 

Visto che io bevo la sua acqua, mi sembrava doveroso andare a vedere il posto, in questo modo bevo consapevolmente. 

Alle dieci e mezzo siamo già sul posto, c’è poca gente e ci mettiamo in fila per il biglietto. Sta partendo la prima navetta dal parcheggio e la tizia davanti a noi non trova il green pass, poi non ha la mascherina, insomma, una lagna, ma tanto noi non abbiamo fretta, guardiamo la scena divertiti. Il tizio davanti a noi invece scalpita, si vede, a un certo punto lo raggiunge una ragazza. Lui la guarda e fa, parecchio risentito: ‘A stronza! T’avevo detto di mandarmelo, il Green Pass! Io e l’A.S. ci guardiamo allibiti. La tizia lenta finalmente si toglie di torno, tocca al Nervosetto. , dice la bigliettaia, però la navetta parte ora, dovete prendere quella delle 11. Lui la manda a quel paese. Lei risponde incazzata che Non dovrete mica dirceli voi, gli orari! Lui si allontana borbottando, lei dice: ma guarda ‘sto stronzo.   

Tocca a noi.

Noi vogliamo la corsa delle 11, dice l’A.S. con un bel sorriso. 

Sfiorata la rissa, per tutto il giorno avrò l’A.S. che riderà di gusto dicendo: A stronza! T’avevo detto di mandarmelo, il Green Pass! E mi chiedo… se fa così in pubblico, cosa farà a casa?

Comunque ok, prendiamo la navetta e andiamo. Il corridoio per arrivare alle grotte è lungo e il cartello che dice Pavimento scivoloso ha ragione. Non andateci con un paio di scarpette della New balance come le mie: rischiate di rompervi l’osso del collo. 

Dentro è… wow. No, ma dico. Wow! Enorme, la basilica di San Francesco gli fa un baffo. Solo la prima sala potrebbe, ci dice la guida, contenere tutto il duomo di Milano. Le stalagmiti sono giganti (infatti così li chiamano) e la più grande è alta come un palazzo a sette piani. Non vi tedierò ripetendo quello che ci ha detto la guida (ma se potete cercate la storia della scoperta delle grotte, negli anni ’70, fatta da un gruppetto di giovanissimi ragazzi). Vi metto due foto…

I Giganti

Siccome le foto le faccio sempre io ( e si vede), non ci sono mai. Mia madre mi manda un messaggio risentito. Così mi convinco a farmi fare questa. 

Anche senza il mio pessimo tentativo di camuffamento, tra cappello e mascherina sarei comunque stata irriconoscibile

Usciti dalle grotte siamo estasiati. Decidiamo di tornare al parcheggio a piedi, senza navetta, tanto è solo un chilometro e mezzo e ormai siamo allenati (più o meno). Ma la fame ci colpisce a metà strada (e ti pareva!) così ci fermiamo in un ristorantino che prenderà la medaglia del Posto Migliore Dove Abbiamo Mangiato In Ferie. Un pasto marchigiano eccellente. 

Tornando verso l’albergo ci fermiamo a Gubbio, la città grigia. Che poi mica l’ho capito perché la chiamano così. C’è pure una funivia che conduce alla Basilica di sant’Ubaldo. 

Ci andiamo, ci andiamo?, dice l’A.S. come un bambino.

Col ca…, rispondo ferma. Ho avuto paura sulla Minimetro di Perugia, figurati una funivia!

Ci guardiamo la piazza grande, la fontana dei matti (ti puoi pure comprare un attestato fittizio di Matto ad honrem, io decido che fra tutti e due non abbiamo bisogno di dimostrare alcunché), scendiamo fino alla chiesa di San Francesco. Anche Gubbio ci prova fisicamente, siamo allo stremo.

La fontana di Moon e A.S.

Certo che a noi conviene andare a lavorare invece che fare le ferie, ci riposiamo di più, dice l’A.S. la sera in albergo. 

Beh, non ha torto. siccome ho sempre poco tempo (leggi SOLDI) per fare le ferie, allora le imposto in stile maratona. E meno male che tanti pranzi e cene li ha pagati l’A.S., sennò sarebbe stata una Maratona del Pidocchioso Affamato… 

Vorrei potervi raccontare dell’ultimo mistero irrisolto delle mie ferie, che comprende un uomo misterioso di mezza età, una giovane donna e tante sigarette, ma ve la risparmio, sono magnanima. 

Vi posso dire però che dopo una media di 15.000 passi il giorno, il giorno del rientro ho dato un’occhiata al mio telefono: solo 641 passi.

Però ho scritto un sacco, quel giorno!

Perugia, m’hai provocato…

Dopo aver fatto una doccia bollente e essermi spalmata l’acqua dei fiori di Spello (uno degli acquisti migliori degli ultimi anni), sono abbastanza zen da proseguire il racconto.

Quindi, GIORNO2!

Ora, io non sono particolarmente religiosa, non più almeno, non vado in chiesa per una messa da…non me lo ricordo e non prego forse da prima. Ciononostante ho ricevuto un’educazione cattolica e non sono certo l’anticristo (come mi fece intendere una volta una delle maestre di Little Boss all’asilo, facendomi pesare il fatto che non avevo battezzato la pargola). Quindi insomma, la storia di san Francesco la conosco, l’ho cantata spesso quando facevo gli scout, credo addirittura una volta di aver voluto seguire il suo esempio, andando via da casa con solo un sacco addosso per andare a parlare con gli animali (avevo forse otto anni e questa voglia mi passo subito, appena mi affacciai alla finestra e sentii quanto gelido era il clima là fuori). Quindi insomma mi immagino San Francesco e vedo povertà, una vita priva di beni, minimale. 

E poi arrivo ad Assisi. 

Alla Basilica di san Francesco.

Tutto sembra tranne che minimale. Lo spazio è immenso, ci giocherebbero quattro squadre di calcio contemporaneamente. Poi entro e l’oro mi ferisce gli occhi. Le foto dentro non si possono fare quindi immaginate (o guardate sulla wiki): un tripudio di oro e blu notte. Affreschi a ogni cantone. Ma non è tutto. Sopra alla chiesa, ce ne è un’altra. La basilica superiore. Una chiesa l’una sull’altra. Non so quale delle due più grande. O meglio dipinte, anche. Giotto è in gran parte il protagonista in questa faccenda. 

Discendiamo di nuovo. Osservo le reliquie del Santo. Di tutto mi parlano tranne che di quello che vedo intorno a me: una tunichetta sdrucita e due ciabattine logore che mi fanno venire freddo solo a guardarle. 

La tomba invece ha l’aria meno maestosa, più da tomba semplice, per dire. Esco sopraffatta dalla maestosità. E con quel dubbio che mi porterò dietro anche dopo: ma lui, Francesco, sarebbe stato d’accordo? Mah, chi può dirlo.

Ma Assisi è anche patria di una delle mie eroine preferite: Santa Chiara. Lei sì che era una tosta, fugge di casa (pare che ai tempi fosse doveroso farlo, sennò non eri nessuno) e si unisce a Francesco, ancora non santo. Si fa tagliare i capelli, si fa spogliare (metaforicamente, immagino) dei suoi beni e si aggiudica pure il miracolo della moltiplicazione dei pani. Ben fatto, Sorella! La sua basilica però è molto meno imponente. La cosa fa storcere il naso al mio femminismo. Anche dentro tutto è più semplice e bianco. E le sue reliquie non si possono visitare (chissà perché, il cartello non lo dice).

La mattinata prosegue tra le vie della città. C’è pure un tempio dedicato a Minerva (che però ovvio nessuno si fila) e altre duecentomila chiese. Sembrano tutte lattanti in confronto alla grande basilica di San Francesco.

Il tempio di Minerva che nessuno si fila…
La Cattedrale di san Ruffino

È quasi ora di pranzo, ma prima di raggiungere la nostra seconda destinazione dobbiamo fare un’altra sosta, quindi l’A.S. scompare dalla mia vista per riapparire poco dopo con un bel panino, una birra e delle salsicce di cinghiale in sottovuoto. 

Che c’è, ho fame, considerala una merenda, mi fa mentre mastica. 

Scendiamo giù fino a Santa Maria degli Angeli. La Porziuncola, dicono. Sì…Porziuncola… questa chiesa fa a gara con la basilica di San Francesco per maestosità.

Giusto ‘na cosetta….

Ma non bisogna farsi ingannare dall’esterno: all’interno c’è la sorpresa, come nell’uovo di Pasqua. Una chiesa dentro a una chiesa! Se nella basilica ce ne era sopra l’altra, qui invece ce ne è una dentro l’altra. La Porziuncola in effetti è la chiesetta contenuta all’interno (niente foto all’interno: Umbria, che palle però!!!) ed è il luogo in cui è stata accolta Santa Chiara, appena scappata da casa. Dove si taglia i capelli eccetera, in pratica. Era una mini chiesa, una stanzetta a dire il vero. Se a pranzo erano in quattro dovevano spostarsi all’esterno, sennò non ci stavano (info ricavate da uno dei recenti dipinti che sono appesi vicino al giardino delle rose). Eppure… è stata inglobata. Chissà se è una metafora di ciò che la Chiesa ha offerto a San Francesco. 

Sarebbe stato bello vedere il roseto, appunto, ma anche qui nisba: in manutenzione. Però abbiamo visto le tortorelle. 

In questa foto notate solo in fondoschiena della tortorella

Secondo te come fanno a convincerle a stare lì?, chiedo all’A.S.

Semplice, risponde candido. Gli hanno fatto firmare un contratto

Noterete che l’A.S. non risolve mai i miei misteri…

Dopo il giro delle sette chiese (forse un po’ meno, ma vabbè) siamo pronti per il pranzo. Mi sono intestardita: voglio assaggiare la torta al testo, e lo voglio fare nel posto più rinomato di Perugia: il Testone. 

Parcheggiamo lontani mille miglia, ma tanto c’è la Minimetro. La Minimetro è la cosa che meglio ricordo di Perugia, io e l’A.S. abbiamo speculato diversi minuti su questo strano mezzo di trasporto. 

IO: Sarà sicuro, senza conducente?

LUI: Più sicuro del Mottarone

IO: ecco, adesso mi hai fatto pensare alla tragedia, ora ho paura perché sono paranoica e lo sai!

LUI: Chissà quanto è costato questo affare…

IO: Ma se alla prossima non si richiudono le porte?

LUI: Quanti mezzi ci saranno in tutto? contando che quando c’è Eurochocolate Perugia straripa…

IO: Fermate la carrozza, voglio scendereeeee!!!!

Con molta più fatica del previsto riusciamo a mangiare che sono le tre. Il Testone, a dispetto del nome, è un locale minuscolo (poco francescano, direi) e mi sa che non siamo gli unici turisti ad averlo scoperto.

Dopo pranzo voglio cercare un posto dove comprare cioccolata. Siamo a Perugia, no? Giriamo invano da una pasticceria all’altra, ma nulla mi entra nell’occhio. Poi giungiamo in una piazza con ben tre negozi Eurochocolate che straripano di Baci. 

Foto casuale di Perugia. In piccolo, sullo sfondo, un Eurochocolate

Eddai, prendi qualcosa qui, dice l’A.S., ormai allo stremo delle forze. Il contapassi misura 17.000 e, vi ricordo, non siamo allenati. 

Se devo comprare i Baci tanto vale che vada al Supermercato!, rispondo stizzita. 

E nulla, ce ne veniamo via a mani vuote e sfiniti dopo poco più di un’ora, sognando una doccia calda e il letto. 

Perugia: ci ha messi k.o.!

Ma dopo un riposino e altre amenità siamo pronti per la cena. L’A.S. ha puntato un locale già dalla mattina, un posto dove (testualmente) si fa cucina ignorante

 E lì, tra un bicchiere di ottimo Montefalco e una salsiccia, scoprirò una grande verità…

Non vedo l’ora di poterlo dire al Ristorante!

TO BE CONTINUED…

Un, due, tre…Umbria!

Dopo diversi anni di conoscenza e due mesi più o meno di convivenza, alla fine io l’Amico Speciale ce l’abbiamo fatta: tre giorni di vacanza insieme! 

Quindi questo mini tour deve essere festeggiato e immortalato (per me). In occasione di questo il blog si trasformerà (temporaneamente) in un blog di viaggio o Travel Blog che dir si voglia (che poi è lo stesso). 

Quindi, GIORNO 1!

Sebbene l’A.S. volesse partire alle 4 della mattina, non so bene per quale motivo, forse per arrivare alle sette a destinazione e portare la colazione a tutti, prendiamo il largo verso le otto e mezza (un orario più consono, direi). Durante il viaggio faccio mentalmente i miei esercizi di scrittura (non è un paradosso, io scrivo mentalmente un sacco di volte, anzi, le volte migliori, direi), mentre l’A.S. mi guarda di sfuggita mentre segue la strada. 

Che c’è?, gli faccio. 

A che pensi?, chiede.

A nulla di importante. Mi annoto tutte le cose viola che incontriamo durante il viaggio. 

Non siamo lontani da Volterra e forse pensa di scaricarmi lì, tra le macerie del manicomio. Ma invece proseguiamo. La direzione è Nocera Umbra, suolo natio della mia, beh, suocera o futura tale (che se non ci sbrighiamo a sposarci mica lo so se ci arriva viva a vedere questo matrimonio). Che poi non è proprio Nocera. È una frazione di una frazione, un posto talmente piccolo che il paesello dove abito a confronto è praticamente New York. Abitanti che si contano sulle dita di una mano, sul serio. Posto incantevole, la casa natia della suocera o futura tale praticamente nuova (ricostruita dopo il terremoto), luogo perfetto sarebbe per scrivere, penso mentre tolgo le ragnatele per entrare in ogni stanza. Poi volgo lo sguardo alla vallata. Ci lascio il cuore e proseguiamo, dopo aver tolto il velo dei ricordi estivi dell’A.S. e il velo dei miei sogni a occhi aperti. 

Siccome ormai è l’ora di pranzo ci fermiamo a Nocera Umbra, almeno visitiamo il borgo.

Intendiamoci. Nocera è carina, ben tenuta. 

Solo un paio di esempi

Ma non c’è nulla! Nemmeno le persone! E infatti siamo gli unici avventori del ristorante in centro. Mandando a quel paese la dieta vegana, mi faccio fuori un tagliere di affettati locali e formaggi. Giusto per. 

Dopo pranzo decidiamo di fermarci a Montefalco. L’A.S. dice che ci portava spesso gli americani in gita, ma non l’ha mai vista. Avvicinandoci capisco cosa possa aver interessato gli americani. C’è una vigna ogni secondo, forse quarto di secondo. Ci sono talmente tante vigne e cantine che la mia zona, famosa per la via del vino, sembra una dilettante. Il Montefalco in effetti è un ottimo vino, non c’è che dire. E in centro confermo l’attrattiva del luogo, come si vede dalla foto. 

Notate la scritta Salva una pianta, mangia un vegano… mi sono allontanata in fretta

Il pomeriggio è ancora giovane però. Prossima tappa: Spello, la città fiorita. 

E in effetti Spello è deliziosa, nonostante il vento gelido che mi fa colare il naso dentro la mascherina (ringrazio di essere stata previdente e di averne portate molte). Quello che più mi colpisce sono i vicoli, ovvio. La pro loco di Spello organizza ogni anno una gara tra finestre, balconi e vicoli fioriti. Vince il più bello. No, dico. Immaginatevi ora abitanti di Spello (Spellesi? Spellati?), con una casa che ha un balcone o una scala che si affaccia sul vicolo. Quando è primavera iniziano le danze: spionaggio negli altri vicoli, qualcuno che durante la notte annaffia le piante con il glifosate, altri che comprano tutto il terriccio della zona e lo nasconde in garage… un duello all’ultimo petalo. Ma alla fine la ricompensa è una targhetta di coccio. E un sacco di belle foto che i turisti per caso come me mostreranno al mondo intero. 

Questo è un abitante di Spello che partecipava al concorso ed è stato ucciso dagli altri concorrenti…

A Spello però, oltre ai fiori e alla dermocosmesi ottima che se ne ricava, c’è anche un mistero. Per le vie del centro ci sono quasi esclusivamente queste cassette postali.

Sono tutte uguali, dico all’A.S. Non è strano?

Magari gliele ho fornite il comune, risponde lui distratto.

Sì, ma ormai il dado è tratto e per tutto il percorso fino alla macchina non posso pensare ad altro. Perché le cassette sono tutte uguali? E se è vero che il comune le ha fornite perché alcune sono differenti? Ci sarà una lobby di cassette delle posta a Spello? 

Mentre ancora rimugino arriviamo all’albergo. A pochi chilometri da Assisi non poteva che chiamarsi Il cammino di Francesco. Non specifica però il Santo, quindi a mio avviso è un posto che non vuole una precisa identità. E in effetti le camere sono anonime e alla reception spesso non si vede nessuno. E poi, il peggio del peggio: asciugamani di stoffa. Mi torna un brivido solo a pensarci. Ma tant’è, abbiamo speso meno che per una cena al ristorante, quindi…

E per la cena tutti a Bastia Umbra! Tutti no, solo io e l’A.S. Bastia by night è carina, mi ricorda un po’ Pistoia. Nulla di che, ma piacevole.

Il ristorante che ho scelto non ci delude. Anzi.  Maghiamo in compagnia di un vino di togniazziana memoria.

A pancia piena e dopo aver percorso più di undicimila passi in un pomeriggio (e salito venti piani), crolliamo svenuti sul letto. Prima di dormire faccio giusto in tempo a pensare che le ferie sono cose per giovani. O per gente più allenata, comunque.

P.s. Il mistero delle cassette postali non è stato svelato. Anzi, ora è più oscuro che mai. perché tornata a casa ho guardato la mia, di cassetta postale. ed ecco cosa ho visto!

la lobby ha preso mezza Italia…

TO BE CONTINUED…

C’ho l’ansia

Ho quasi finito questa settimana di ferie che è giunta del tutto all’improvviso. Il sabato mattina il mio Capo mi fa: Allora martedì sei in ferie fino alla fine della settimana, ok?

Ok… giusto il tempo di organizzarsi qualcosa, penso. 

Ma vabbè, godiamoci questo tempo rubato (che poi è ampliamente dovuto).

Mi faccio una lista di cose da fare: sistemare l’armadio, andare dal parrucchiere, cose così. Mercoledì ho già finito di fare tutto. a allora: cucino.

Io non amo affatto cucinare, è tra gli obblighi quotidiani in assoluto quello che più detesto, ma mi rendo conto che a volte mi serve. Metto in moto le mani, è un lavoro che distrae la mente. Così inizio: ragù, tagliatelle fresche, salsa di fegatini, una torta cioccolato e pere (vegana) per me, una per mio padre, i nuggets di pollo fatti col pollo vero, la pizza a lunga lievitazione (che non so perché ma non vuole riuscirmi come3 cristo comanda, sono una frana con i lievitati, sarà che ho poca pazienza?). Finisco ieri sera con una crostata che l’Amico Speciale spolvera in quattro bocconi. Quell’uomo è un pozzo senza fondo. 

In realtà ho cucinato tanto perché sono impallata con il romanzo. Ho iniziato venerdì il corso di scrittura della Holden (sul romanzo, appunto) e il mio compito per la prossima settimana è scriverne il soggetto. Già sapevo che sarebbe stato quello il compito, così ho iniziato a pensarci già mesi fa. 

Conclusione? 

Voglio scrivere una storia autobiografica che non lo sia troppo però, qualcosa che sento, qualcosa che conosco, ma che non mi faccia troppo male rinvangandolo. Insomma, una tragedia. Il soggetto più confuso di tutti i tempi. 

Ma non demordo. Appena finita la lezione mi metto giù di brutto a scrivere e scrivere. Butto lì tre righe, cerco la Domanda Drammaturgica Principale, ok, ce l’ho, mi dico, può funzionare. Rileggo. Di una banalità allarmante. Ok, ci metto un po’ di pepe? Vai, ce lo metto! Riscrivo. Rileggo. Deboluccia, ‘sta trama, ma l’idea di fondo c’è. Ok. Può andare. 

Iniziano ad arrivare sulla mail gli altri soggetti, quelli degli altri 25 iscritti. Li leggo. Cazzo. Praticamente uno specchio del mio. Cazzo. 

Perfetto, cambiamo tutto. Inizio la riscrittura del soggetto (la decima?). Finito. Rileggo. Ok, così ci può stare. Arriva un altro soggetto sulla mail. Cazzo, cazzo! La prima cosa che mi viene in mente è: ma siamo tutte Desperate Housewife qui?

Pare di sì. 

Ok che alla fine, come diceva Forster, le trame sono solo due (Un uomo parte per un viaggio e Uno straniero arriva in città), ma insomma…

Rileggo il mio soggetto: ci sono entrambe le trame e questo mi sa che non va bene. 

Ma non demordo. Sarà il modo in cui racconto la mia storia a cambiare tutto! Sarò super originale, ci so fare con queste cose, no? Scriverò il mio romanzo come se fossero tanti generei diversi a seconda dell’argomento che tratterò capitolo per capitolo. Per intenderci: la mia idea è quella di scrivere un capitolo come fosse un romanzo rosa, un altro come fosse un giallo eccetera, mescolando i generi. 

Rileggo la mia super idea geniale. 

Evvabbè, Moon. Tu NON SAI come si scrive un romanzo di genere. Mi sa che è un progetto un po’ ambizioso, eh? 

Però l’idea era carina. 

Cazzo!

(Scusate il turpiloquio, ma c’ho l’ansia. Credo che andrò a fare le lasagne)

E sì che ero brava a scuola con i riassunti…

Bene bene bene.

La mia idea era di riassumere questi sei mesi, ma si sa, un riassunto è sempre una questione personale, di PDV, direi io. E di immagini, di fotografie, quelle che restano impresse nella nostra pellicola mentale. Avrei voluto solo belle foto, o foto belle. Vediamo cosa ne esce.

Febbraio:

C’è un furgone stipato di roba smontata: un letto contenitore dell’ikea, una cucina intera, rossa, di buona fattura, specchi, lampade, una scala con scalini di vetro fatta su misura, materassi, zanzariere comprate on line. No. Non è il mio furgone del trasloco. Io ho traslocato con la mia macchina, Winny, le scatole con i libri e tutto il resto occupano poco spazio. È la roba che viene portata via dalla mia vecchia casa: viene svuotata per motivi terzi ed è inutile che ve li dica: troppo lungo e complicato. Ma soprattutto non sono affari miei. Ci sono io, in piedi sopra il parquet, guardo le stanze tinteggiate da me sei anni fa completamente spoglie: la casa che mi ha accolto, il mio rifugio dalla tempesta, la spettatrice della mia rinascita ora è nuda, inerme. Le dico addio in silenzio.

Ale di fronte a me. Dall’altra parte del tavolo. È lì con me, allungando una mano la posso toccare, la vedo, con la sua nuova aria da folletto, come a dimostrarmi che è lì, nel paese dei folletti, che vuole stare. E io lo so che sebbene ci provi fino all’ultimo giorno, sebbene pensi pure di sabotarla, non posso fare a meno di amarla tanto da lasciare che se ne vada. Così da dimostrarmi che l’amore non è sempre egoista, dopotutto. 

Marzo:

I colori dell’arcobaleno volteggiano sulla mia testa. E sul mio lavoro. Vai a lavoro? Stai a casa? Ormai è solo una questione di scelte, non di obbligo. Mi dico: vai a lavorare almeno ti distrai. Credo sia la prima volta che lo penso. 

Aprile: 

Una Pasqua tutta per me. Nella mia nuova casa le vocine delle mie nipoti, i regali, il sole, i sorrisi. Un pranzo in famiglia che ho organizzato io, finalmente, senza stress. Ogni tanto essere in zona rossa è un bene.

Per l’occasione sto friggendo i supplì. Le polpettine di riso saporite sono dorate quando le scolo, finalmente lo scettro è passato dalle mani di mia madre, la Regina dei Supplì, alle mie: continuo così la tradizione di famiglia, con una ricetta, il riso e il pangrattato. 

Maggio: 

A Maggio nemmeno una foto. Né mentale né fisica… deve essere stato un mese pieno di lavoro.

Giugno: 

Io che guardo il carroattrezzi portarsi via la macchina di mio padre mentre mi scuso con i vigli urbani per lui, Si deve essere dimenticato l’assicurazione, scusate, ripeto. Ma so che c’è qualcosa di più. Decido di fare una cosa non proprio etica ma salvifica per il momento: nascondere la testa sotto la sabbia in stile struzzo e rimandare tutto a dopo l’estate.

Luglio:

Un castello stregato, un pranzo pieno di leccornie, una bella giornata di sole. Io e Little Boss ci prendiamo una giornata di respiro e ce ne andiamo a Fosdinovo con tanto di visita guidata, sulle tracce del fantasma che respira. O così dicono gli esperti fantasmologi… spettrologi? Occultisti? Ma come si chiamano? Ah: ghostbuster! Pranzo poi a Colonnata: slurp! E basta, solo slurp. 

Agosto: 

io e Little Boss al mare, a fare le signore, con pranzo al ristornate sulla spiaggia, lettini e tutto il contorno del mare che per una giornata spedi 100 euro. Semel in anno…, dicevano. Anche se il riferimento era per il Carnevale, se non erro.

Agosto però è anche la mia foto su un altro lettino, quello del Tizio che Che mi Scrocchia (T.C.S.) come diceva una mia collega (che non nominerò con nomignoli, tanto è già sparita: è durata come un gatto in tangenziale al Ristorante. Così va la vita). Al TSC ho lasciato un bel mucchio di soldi per nulla. ma va detto che in quell’ora di sedute da lui dormivo che era un piacere. Insomma tra Luglio e Agosto iniziano i miei problemi che portano, oggi, le mie papille gustative a tentare il suicidio: la dieta vegana! (ma la mia dieta non è solo vegana: ha altre restrizioni. Pure!). 

Agosto mi vede anche poco insieme all’Amico Speciale: quando io dormo (ogni volta che non lavoro in pratica) lui è sveglio; quando io sono sveglia, lui è a lavoro; quando io lavoro… bhe, lavoro. Quindi un gran casino. 

Settembre: 

Ahhh ( di sollievo). Le ferie. 

Le ferie mi vedono in Sicilia. Porto io lì la zona gialla. Ma chi se ne frega, Palermo è bellissimissima. Un clima rilassato, giornate perfette (né caldo né freddo, mai pioggia), chili e chili di fritto (panelle e crocchè, arancine), cannoli come se non ci fosse un domani, acqua talmente limpida che potevo vedere i pori del mio piede, edifici come la Cattedrale, il Palazzo dei Normanni… insomma: è stato un antipasto, cara Sicilia. Tornerò per il primo, il secondo e pure il dessert!

Settembre mi vede però anche impegnata in tutto quello che ho voluto tralasciare nei mesi passati. Mio padre è in cima alla classifica. E quindi un’altra foto di me mi vede in macchina fare su e giù due volte a settimana tra il Paesello sperduto dove abito e la Grande città di mare dove invece abita lui (3 ore di auto tra andata e ritorno). In questa immagine io guido la macchina come Fred dei Flinstone: avete presente, no? 

Il mese finisce con me una Moon disagiata, stanca e dolorante, che nel frattempo, oltre a una dieta, ha iniziato anche una cura farmacologica che spera funzioni (le altre cure provate? Acqua fresca. Sennò non tentavo il TSC o la dieta). 

Ottobre è appena iniziato. Già si preannunciano tuoni e fulmini, reali e metaforici. 

Certo, se viene giù metaforicamente l’acqua come realmente è venuta giù qui ieri sera… affogherò di sicuro! 

Un riassunto un po’ lunghetto, questo. La prof di italiano di Little mi darebbe un due. Spero che WP non dia i voti…

Storia di Wonderland

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Ho passato un inverno piuttosto duro. Da settembre (mi) ero oberata di impegni e ho passato intere settimane a lavorare (anche dieci ore) e passare il resto della giornata a scorrazzare su e giù con Little Boss: corso di chitarra, yoga, canto, palestra due volte a settimana, il club del lettore… insomma, non avevo tempo per niente, ma soprattutto vivevo la mia vita come una maratona che dovevo vincere per forza.

Verso Gennaio ho cercato di staccare un po’ la spina, riuscendoci certo, ma lo stress e il nervosismo non sono passati del tutto. Aspettavo le ferie, che di solito facciamo a Febbraio. Ma quest’anno il mio Capo ha deciso di regalarci(mi) Wonderland, ovvero un laboratorio più grande dove lavorare. La storia di Wonderland è presto detta:

C’era una volta un Capo che aprì un Ristorante e si creò un laboratorio su misura. Lavorandoci da sola non aveva bisogno di molto spazio, senza contare che sapeva di poter fare solo alcune cose in autonomia. Passarono gli anni. Il Capo vide che i suoi prodotti andavano a ruba e decise di ampliare la gamma dell’offerta. Ma iniziò ad essere stanca di fare tutto da sola (giustamente). Ecco che in quel frangente arrivo io. Io e il Capo avevamo già lavorato insieme anni prima, ci conoscevamo ed eravamo piuttosto amiche. Nonostante le difficoltà del momento (mio)che forse un giorno racconterò, decide di assumermi. Almeno così mi riposo un po’, disse. Ma il Capo non è fatto per riposarsi, non ce l’ha nel DNA la parola riposo, e assumermi non fece altro che farla provare a fare sempre più prodotti, sempre più cose in autonomia. Io e il Capo riuscivamo ancora a destreggiarci nel vecchio laboratorio, nonostante lo spazio ridotto. Ma il lavoro, menomale, aumentò. C’erano giornate in cui era quasi impossibile per noi due riuscire a soddisfare la richiesta. Ed ecco che arriva il nostro amico Osaro. Osaro impara in fretta, riesce quasi a sostituire il Capo, che adesso può dedicarsi (manco a dirlo) a nuovi prodotti in autonomia. In pochi mesi riusciamo a distribuirci i ruoli: ognuno di noi si occupa di una gamma di prodotti con risultati davvero soddisfacenti. Ma. Ma, ovvio, nel piccolo laboratorio non c’entriamo più. Ora siamo in tre e si gioco da una parte al contorsionismo (abbassati che butto la teglia nel forno!), dall’altra ci litighiamo le attrezzature (ehi, l’abbattitore serviva a me, ORA!). Il Capo si rende conto che andare avanti così è impossibile: non abbiamo posto per stoccare tutta la roba che produciamo ed è impossibile farla giorno per giorno (anche se alla fine è proprio quello che facciamo). Per il mio compleanno, un po’ scherzando un po’ no, chiedo al Boss, il marito del Capo, un banco tutto mio sul quale lavorare. Il Boss dice che butterà giù lui il muro, Tranquilla, mi fa, piano piano la convinciamo, il Capo. Beh, alla fine il Boss ha potuto fare poco perché il Capo aveva già deciso. E allora ecco i pomeriggi passati con il progettista, tutti e tre chini sul nuovo progetto di Wonderland. Io lo vedo e già sbavo: nuove attrezzature, tanto spazio che puoi pure pattinarci lì in mezzo, ma soprattutto,un banco tutto per sé (scusate la citazione Woolfiana). Passano due mesi e le cose si fanno complicate: permessi, ordini, il prezzo finale lievita, non c’è modo di abbassare i costi se non riducendo i macchinari, tutti indispensabili. Il Capo sta pensando di rinunciare. Troppi soldi, devo pagare dieci persone che lavorano qui, ho paura di non farcela. Io la capisco, sul serio, ma penso a quanto potremmo guadagnare riuscendo a ottimizzare il lavoro, cerco di farle capire (con la diplomazia che mi contraddistingue) che è un investimento che vedrà nel tempo, ma un investimento giusto, ma il Capo ancora tentenna. Ed ecco che arriva l’esercito che cambierà tutto: i cavalieri dell’ASL. Un bel controllo a sorpresa, una mattinata a guardare gente con tutte e mascherine (un presagio di quello che accade adesso) che infila il naso in frigoriferi, scatole eccetera. Ovvio che tutto il casino lo trova nel minuscolo laboratorio. Fate troppi prodotti in uno spazio ristretto, decretano. Non credevo che i cavalieri dell’ASL fossero persone assennate, li ho sempre visti come vampiri sputamulte, ma stavolta li amo, li adoro. Così il Capo gli mostra il progetto. I cavalieri annuiscono felici, Ok, fate i lavori e poi torniamo a dare un’occhiata, Niente multe, nemmeno uno scappellotto. E ora il Capo è costretto a fare Wonderland. Siamo però già a Gennaio. Dopo un paio di giorni veniamo a sapere che prima di fine Febbraio non riusciremo a iniziare i lavori. Ok, ferie a Marzo, penso. Poi si passa a inizio Marzo, poi si va al dieci. Queste ferie non arrivano più. Ed ecco che in questa fiaba arriva l’Apocalisse. Incredibilmente riusciamo a chiudere solo un giorno prima del decreto, giusto in tempo con l’inizio dei lavori. Che fortuna. Per il lavoro, dico.

E quindi nulla, ora una schiera di muratori sta costruendo Wonderland, proprio mentre scrivo, subiranno qualche ritardo, credo, ma i tempi erano comunque lunghi. Riapriremo in piena crisi (di turisti, con i quali lavoravamo molto), con i debiti e una moltitudine di persone spaventate. Ma sono ottimista, io. Credo nel progetto. Sono sicura che Andrà tutto bene, anche senza fare striscioni.

Certo, all’inizio mi girava un po’ perché sono costretta a passare le mie uniche ferie dell’anno confinata in casa. Avevo anche già un biglietto per questo venerdì per andare da Ale, nel paese dei folletti, mi ero organizzata con amici per andare a Torino qualche giorno con Little Boss, avevo detto all’Amico Speciale che avremmo sfruttato quel buono alle terme che mi hanno regalato per il compleanno. Dopo un inverno duro avrei tanto voluto godermele, queste ferie, staccare un po’…

Ma va detto che, dopo una settimana, me ne sto facendo una ragione. È proprio vero che ci sia abitua a tutto

Sometimes they come back

post 161

 

 

Eccomi tornata a casa, sto prendendo il secondo caffè della mattina (decaffeinato, che sto cercando di riequilibrare la mia alimentazione) e fuori piove. Non che sia una novità, su sei giorni di ferie, tre sono state bagnate di pioggia, già meglio di come dicevano le previsioni.

Giorni di mare? Zero. Dopotutto ha ragione l’AP (Allegro Pessimista), quello non è mare. Ma almeno l’ho annusato. L’albergo (già chiamarlo così significa dargli un riconoscimento di cui non ha diritto) ha svelato il suo essere cheap sin dal primo giorno. Dico solo che ho ringraziato il cielo tornando a casa e trovando stoviglie e bagno puliti.  Inoltre (ma è normale per quei posti, lo so) c’era la Feria del Vecchio in Vacanza. All’ora di colazione e cena dovevamo sgomitare per avere una porzione di cibo non meglio identificato e bevande annacquate. Ho una teoria sulle bevande: credo che, data la presenza massiccia di persone over 70, che non volessero farle ubriacare o sovreccitare. Squisita, come premura, ma io la mattina non lo voglio l’orzo nel mio caffè! Ora. Che, come dice Little Boss, mi faccia meno male tutto questo, è vero. Ma…

Ah. Dimenticavo la piscina. Ecco. Dimentichiamola.

Nonostante ciò siamo donne risolute, e automunite per giunta. L’auto ce l’ha munital’Amico Speciale, visto che la sua è nuova (e a gas, con aria condizionata funzionante) e la mia Winny invece è già una sessantenne con problemi di olio e una frizione durissima (ma come ho fatto non accorgermi di avere una frizione così dura?). Dicevo: donne risolute e automunite.

Il primo giorno abbiamo espatriato, il nostro primo espatrio insieme, il primo espatrio di Little Boss. Abbiamo varcato il confine nazionale senza nemmeno accorgercene. San Marino è davvero carina. Ma è fredda. O almeno, lo era quel giorno. Fredda e nebbiosa, sembrava di stare a Silent Hill, ma con più turisti.

Belle le torri, bello il Passo delle Streghe, ma alla fine del pomeriggio sembravo un cubetto di ghiaccio, mentre Little Boss aveva una magliettina a maniche corte e diceva Ah, come si sta bene. Forse non è mia figlia. Usa troppi prodotti da bagno, adora i pantaloni a vita alta, non le piacciono le linguine, ha sempre caldo. Dovrò indagare all’ospedale dove ho partorito…

Il giorno dopo abbiamo visto Gradara. Giro con il trenino turistico, pranzo decente in un ristornate (Portami la tagliata. Cottura? La voglio che fa ancora muu), passeggiata sui camminatoi delle mura con panorama mozzafiato. E un bel sole.

E poi dovevamo scegliere: acquario di Cattolica o Oltremare? Oltremare ha vinto e non me sono pentita. Little Boss si è divertita tanto a fare i giochetti del passaporto che danno all’ingresso ai bambini (all’inizio si è sentita offesa, ma poi ha visto che cosa doveva fare e ha cambiato idea. Torno ai tempi della mia giovinezza, ha detto). Inutile dire che lo spettacolo con i delfini è stato il più emozionante. Ma.

Ma non sono riuscita a non pensare che da un momento all’altro avrebbero detto la mitica frase: addio e grazie per tutto il pesce. E di pesce ne hanno mangiato uno sbotto, quei sei, durante lo spettacolo.

E poi il sabato. Il sabato del rientro. Ho pagato l’albergo anche meno del prezzo previsto da Booking, ma non ho fatto domande, sarebbe stato idiota. E poi direzione Bologna.

Ecco. Bologna. Festival del Be you (l’agenda che ha preso il posto della nostra vecchia Smemoranda, in pratica). Un Festival per ragazzine di 12 anni (come è Little Boss), dove non si altro che ore di fila per incontrare gli Idoli. Ok. E chi sono questi Idoli? Boh. Mica ho capito. Youtuber, per lo più, altri ragazzini che fanno gaming, star di Tik Tok(lo avrò scritto bene?), insomma per me perfetti sconosciuti. Ho visto cose che voi umani… ho visto e sentito ragazzine urlanti, genitori annoiati, incazzati, basiti. Ho guardato Little Boss negli occhi e ho pronunciato questa frase:

Se mai un giorno litigheremo (fisiologico, prima o poi, nonostante tutti i Ti voglio bene e i Dammi un abbraccione e Ancora un bacino, dai) e mi dirai l’altrettanto fisiologica frase: Tu non mi vuoi bene, ecco, in quel momento ti ricorderò questo giorno e ti dirò che se non è Vero Amore questo, non so mai cosa possa esserlo.

Ha risposto: ma noi non litigheremo mai. Illusa. E poi una bella rufianata: io ti voglio troppo bene.

È così che mi frega. Sempre.

In conclusione siamo state felici di tornare a casa, perché è bello sì partire, ma anche tornare. E devo dire che L’Amico Speciale mi è mancato davvero. Sono stata felice di trovarlo a casa mia al rientro.

E anche se non è stata certo una vacanza da sogno, non è stato quello che mi aspettavo (un po’ di mare me lo aspettavo, i costumi non hanno visto la luce), è stata bella perché ero con lei. E abbiamo riso tantissimo, soprattutto dei vecchi che sgomitavano al buffet dell’Hotel, e dello sciacquone che buttava acqua di continuo e del traghetto Caronte che faceva tre metri sul fiume per portare la gente da Cattolica a Gabicce per 40 centesimi (gli abbiamo arrotondato le tasche, a quello), e della puzza di pesce ovunque, del panorama dal nostro balcone vista altri Hotel, dell’alligatore a Oltremare che ha terrorizzato Little Boss (e del relativo cartello che diceva: non gettate oggetti agli alligatori, chi lo farà verrà accompagnato a recuperarli personalmente  subito dopo), e delle foto che ci siamo fatte, e di tantissime altre cose che ricorderemo per sempre.

Ho ancora 4 giorni di ferie da dedicare alle lavatrici, alla spesa, alla lezione di Little Boss, al secondo capitolo di It che è appena uscito al cinema…

La foto rappresenta uno dei momenti condivisi con Little Boss. Perché l’alba dal mare mica siamo mai riuscite a vederla…

Dejà vu

post 160

 

 

È una specie di dejà vu.

Ultimo giorno di lavoro prima delle ferie, ovviamente il più terribile dell’estate, clienti come se piovesse, ci manca una persona, dieci minuti prima della chiusura della cucina arriva un gruppo di 15 (!) spagnoli: dieci pizze. Chiamo Osaro, Help me, please! It’s my job, fa lui, e corre. Siamo come la Juve, dice il mio Amico Cacciatore che ogni tanto compare in questi articoli (e lo chiamiamo Gipo, diamogli un nome, a questi amici), lui inizia a stendere, io condisco poi faccio Finish! E lui inforna. Siete una bella squadra. Io non mi intendo di calcio, ma in effetti pare che lo sia, a parte ciò che dicono gli Interisti.

E beh, alla fine saluto tutti, Buone ferie! Divertitevi! Bacio sulla guancia anche Micro(bo), un abbraccio a Sbiru, a Lù, alla Cuoca, a Osaro.

Corro a casa a prepararmi per la festa di mia nipote.

E ormai io e Little Boss siamo d’accordo: le ferie non possono iniziare senza la festa di compleanno di mia nipote, ormai cinquenne.

Il tema di quest’anno? Indiani e cowboy.

La differenza dall’anno passato? C’è anche l’Amico Speciale a godersi i bambini urlanti. Mi chiedo come si troverà, mica è abituato a queste cose, lui, e invece mi sorprende: sempre a suo agio, l’Amico Speciale, chiacchiera con i miei, chiede ai bambini di fare una gara di urli, prende un po’ in giro Little Boss, che quest’anno non si schioda dal mio fianco, forse si sente troppo grande ormai per giocare. Trovo a un certo punto la ragazza dell’anno passato, quella incinta di sei mesi: lei e Woody hanno sfornato proprio un bel pargoletto. È più vispo di suo fratello, dice, e io rabbrividisco per lei, visto che l’altro suo figlio, quello grande, è di nuovo attaccato alla casetta, urlante: forse c’è dall’anno passato, chissà.

E di nuovo (sembra quasi incredibile) mi trovo di fronte a una conversazione sulla differenziata che vede partecipi mio padre e mia madre… davvero non capisco. So che non possono parlare di politica, so che non possono parlare del loro privato, ma è possibile che non si rendano conto che parlano sempre e solo di spazzatura? Non potrebbero discutere, che ne so, di cucina?

Meno male che poi arriva l’Amico speciale e inizia a raccontare del suo anno di militare: una conversazione nuova per la mia famiglia, né mio padre, né mio cognato, né il mio ex avevano storie da naja nel loro repertorio.

Taglio della torta e, come da copione, tutti a casa, domani si parte per le ferie io e Little Boss, Riviera romagnola quest’anno, ho prenotato in anticipo e trovato una super offerta (io ho il radar per le vacanze cheap). Stavolta l’Hotel (con mezza pensione) è talmente cheap che ho paura che la sera mi chiedano di fare un paio d’ore di lavoro al ristorante… speriamo bene.

Inoltre il meteo pare che non sia dalla nostra. Una settimana di acqua piena, dice, ma si sa, i Bernacca di questi tempi non sono poi così attendibili, forse qualche ora si salverà.

E poi, come ogni anno, l’importante è cambiare aria, e stavolta cambio pure mare. Ho almeno un paio di cose in programma: fare un selfie con Little Boss a San Marino (per rendere noto al mondo che abbiamo lasciato l’Italia durante queste vacanze, disobbedendo all’ordine imperativo del mio ex che non mi permette di farla espatriare), e un’alba dal mare.

Quasi pronta alla partenza, non mi resta che finire le valigie e saltare in macchina.

Ah sì: devo svegliare Little Boss!

Ci risentiamo tra una settimana.

E ora Via! Verso l’infinito e oltre!

Con la scimmia di Palahniuk sul collo

post 26Evvai che oggi sono riuscita a prolungare la sensazione delle ferie andando in piscina con Little Boss e una sua amica. Qui, in mezzo agli ulivi (e ai tafani) non c’è davvero nessuno, è pace assoluta. E visto che sono riuscita a sbloccare l’eraeder, mi leggo Palahniuk, finalmente. Mi imbatto in un racconto, Voi siete qui. È il resoconto, più o meno, di una fiera per scrittori dove, pagando, hai 7 minuti per proporre a un editore la tua storia, il tuo manoscritto. Nulla di nuovo, si fa anche qui in Italia. Se vinci ti porti a casa un contratto: clap, clap!

Proseguo e inizio a sgomentarmi. Il caro buon vecchio Palahniuk mi sta dicendo, ora, che buona parte di queste persone racconta solo della propria vita, rielaborandola. 

Forgiata a colpi di martello sullo stampo di una buona sceneggiatura. Interpretata sul modello di un successo del botteghino. Non c’è da stupirsi che tu abbia cominciato a valutare la tua giornata in termini di nuovi spunti narrativi. La musica diventa colonna sonora. L’abbigliamento diventa costume. La conversazione, dialogo”.

E vabbè, nemmeno c’è bisogno di grandi doti per capire il collegamento che il mio neurone solitario ha fatto. Ebbene. Ebbene. Ebbene. Sì. Mi sono sentita punta nel vivo (oltre al tafano, pure Palahniuk). Io, che per anni ho provato a dissimulare dicendo che nelle mie storie non c’ero io, che volevo solo dar voce alla mia gente. Ora mi trovo a spiattellare la mia vita daybyday. Insomma, sono come tutta quella gente alla fiera degli scrittori, gente che cerca di vendere la propria vita su carta. E non è forse che anche io vivo la mia vita Come un romanzo? Non è che mi perdo i momenti per la smania di registrarli? 

Chiudo il racconto a metà. Mai mi sono sentita più lontana dall’idea di scrittrice.

O forse no. Beh, in realtà non proprio. 

In fin dei conti non ho mai fatto l’equazione Scrittura=Denaro. E poi questo scrivere mi fa bene, lo dico sempre, scrivere mi fa pensare. E in questo modo rifletto sulla mia vita, su di me, sugli errori commessi. Insomma, do un senso a tutto. Riordino il caos. E posso sfruttare il mio passato a beneficio del futuro. E non obbligo nessuno a leggere. Non chiedo soldi. Scrivo. E basta.

Quindi no, alla fine, non sono così lontana dalla mia idea di scrittrice. Non ho un romanzo? Dico: non ancora. Ma poi ci arrivo, eh.

Riapro il libro e finisco il racconto. E guarda guarda… le cose alla fine iniziano a tornare. Palahniuk salva l’idea della Terapia della parola. Quindi alla fine concordiamo, eh?

“Un aspetto positivo è che magari questa consapevolezza e questa registrazione potranno spingerci a condurre vite più interessanti. Magari saremo meno inclini a ripetere in continuazione gli stessi errori”.

E infine:

“O magari… forse, chissà, tutto questo processo non è che una preparazione verso qualcosa di più grande. Se impariamo a riflettere sulle nostre vite e a conoscerle, potremo tenere gli occhi bene aperti e plasmare il futuro. Questo diluvio di libri e film, di trame e sottotrame, potrebbe essere il sistema che il genere umano userà per prendere coscienza di tutta la sua storia”. 

Ora mi piaci, Pala. Che io, alla fine, sono una che non usa la letteratura come svago, ma come conoscenza dell’uomo. Se mi devo svagare gioco a carte. Quindi ok. Facciamo che questo blog è anche una preparazione. Un blog multiuso. Rielaboro Socrate: nel mentre cerco di conoscere me stessa, magari riuscirò a conoscere qualcosa di più sull’uomo. 

Cavolo. I miei 7 minuti, però sono scaduti da un pezzo. 

Se ne riparla la prossima volta.