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Moonlight

Moon?

Moon? 

Ci sei? 

Terra chiama Moon. 

L’ultimo post di questo blog assurdo e ballerino è datato, sul mio Mac, 26 febbraio. Poi ho fatto una pausa obbligatoria per mancanza di tempo da trasloco. E la pausa obbligatoria si è allungata fino a che è diventata voluta. Chi ha letto qualche mio post, quei 4 cats, sa come la penso sulla scrittura: io scrivo per pensare, per capire il mondo che mi circonda, scrivo per farmene una ragione, a volte, o per dimenticare, come nel caso di TDL. E quando la vita ti travolge ti resta poco tempo per dire la tua, già è manna se non affoghi. E allora ho disattivato le notifiche di WP sul telefono (perdonatemi se ho smesso di leggervi), ho staccato la spina, aspettavo di poter tornare a respirare, di rendermi conto del tempo che passa o delle cose che mi circondano. Ma più il tempo passava e più faticavo a respirare: c’era sempre qualcosa di più importante da fare, fosse anche guardare una puntata di Orange is the new black. La scrittura non mi sembrava più necessaria, quasi come se nel mio cervello avessi già elaborato tutto l’elaborabile, come se avessi rinunciato.  

La rassegnazione è solo l’altra faccia della depressione.

Ho smesso di cercare.

Ho smesso di piangere. 

Ma ho anche smesso di ridere. 

Non ho le mezze misure, io.

E quindi, direte voi, adesso qualcosa nel tuo cervello è scattato. Se sei qui! Giusto?

Vero a metà.

È il mio corpo ad essere scattato. Ha iniziato a cantare la canzone di Sordi, la ricordate: ma ’ndo a vai se la banana non ce l’hai? Beh, avrò anche la banana, ogni tanto, ma ciò non mi ha impedito di essere impedita. Con voi, qui sul blog, ho festeggiato i 40 anni. Ora sto per compierne 43 e mi sento una novantenne. 

Quindi brusca frenata, qualche frignatina deprimente (OHMYGOD! Non riuscirò più a lavorareeee!! Come sopravvivrò? Come manderò Little Boss all’università?), qualche cero acceso a Montenero, ore e ore perse a leggere pessimi consigli su pessimi siti scritti in pessimo italiano, sedute da osteopati, fisioterapisti, centinaia di euro spesi per non risolvere nulla. 

Qualcuno poi mi consiglia di cambiare stile di vita. 

Sì, ok, ma che vor di’?

Cambia alimentazione, fa il Qualcuno.

Ok. visto quanto me ne frega di mangiare posso anche farlo. Come la cambio? 

Diventa vegana, fa il Qualcuno.

Vegana? Seriously?

Esatto. Ma non solo! Dovresti iniziare a fare anche yoga.

Yoga??? Sì, e poi mi faccio buddista, ahaha. Ah. Ah. 

Ma non solo: dovresti praticare anche Mindfullness. Sai cos’è? 

Beh. In effetti sì, so cosa è. Ho un libro sulla Mindfullness da tipo, che saranno? Dieci anni? mai aperto. Però in effetti mi era già stato consigliato da uno specialista… (vedete, già qui inizio a prendere seriamente il Qualcuno).

Ok, rispondo, ci penserò. Ed ero seriamente convinta che non ci avrei più pensato. E invece.

Invece.

I dolori giornalieri e senza soluzione di continuità mi ci hanno fatto pensare. Eccome. 

E provo a chiudere il cerchio: perché sono tornata qui? 

Perché, come con TDL, ricordate, 365 giorni all’alba della non sofferenza, ho bisogno di questo blog. Ecco che la scrittura si fa necessaria.

La domanda è: perché non te le tieni per te, Moon, queste minchiate (scusate il turpiloquio, ma sono appena stata in Sicilia e con alcune parole, tipo Suca e Futtitinni, soprattutto Futtitinni, rientro nello spirito vacanziero), perché non scrivi per te?

Ho tante risposte a questa domanda. Quella che voglio lasciare qui è una sola: perché è divertente. E poi, dai, su, lo sapete… lo sapete, no? 

Ps. Orange is the new black non l’ho finito. Niente spoiler, grazie….

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Come prosegue questa storia

Oggi torno all’Rsa dove lunedì ho messo mio padre, gran bella struttura, dico davvero, un tempo era un albergo. La camera di mio padre è vista mare, quando l’ho detto ad Ale lei mi ha suggerito di prendermici quindici giorni di ferie a settembre. Non sarebbe un’idea malsana. 

Ieri ho chiamato per sapere come era andata, ho parlato con la fisioterapista, il personale l’ho trovato qualificato, gentile, disponibile. Devo dire che sono molto tranquilla. Oggi vedrò con i miei occhi se lo è anche lui. 

Nel frattempo ho messo a lavoro Badante 3, per ripulire la casa, buttare via le cose ormai inutili (come ad esempio i completi di mio padre, che non gli stanno più da eoni), lavare il lavabile, metter via le altre poche cose di proprietà che gli restano. Ancora non so che fine fargli fare, a queste cose, come i libri, per esempio. Sono molti e non posso portarli da me, tanti sono doppioni e quelli che non. Sono doppioni non mi interessano, come i libri di cucina. Magari regalo tutto. e poi ci sono gli oggetti affettivi. Pochi, molto pochi, in realtà. Giusto due: la macchina da cucire di sua madre (che non le ho mai visto usare, a mia nonna) e una lampada che era di suo padre, mio nonno. È una lampada orribile, ma se lui ci tiene non posso disfarmene. La fortuna è che perlomeno mio padre non è mai stato un accumulatore seriale come mia madre, per svuotare la casa di quella donna non basterà una vita. 

Badante 3 mi ha chiesto di non buttare alcune cose, ma di poterle tenere per mandarle in Georgia: una vecchia stampante laser, alcuni coltelli in ceramica che valgono come il due di briscola, una valigia (mio padre ne ha almeno sette: tre le ho tenute per lui, una l’ho presa io, ma questo vi dà l’idea di come sia stata la sua vita: sempre in viaggio). Nel pomeriggio ci torno per vedere cosa ha combinato, che Badante 3 è quasi una mina vagante, non riesco mia a capire se non capisce quello che le dico per via della lingua o della sua tara mentale, così come a volte non riesco a tradurre i suoi messaggi perché non scrive le parole in modo corretto e vai a vedere quale carattere sbaglia! 

Le notti le passo ancora malino, l’ansia prende il sopravvento appena spengo la luce e a nulla valgono i miei pensieri di laghi e prati, la testa torna sempre ai problemi che ci sono e che potrebbero esserci: non riuscire più a pagare la retta della casa di riposo, avere problemi con la padrona di casa (che è una testa di), Little, che di recente litiga sempre con suo padre e non si trova più bene nella scuola dove è, e vuole cambiarla. Il mio lavoro. Neanche io mi trovo più bene dove sono e voglio cambiarlo. Quello che non riesco a definire è se tutto ciò è una reazione a catena della situazione di mio padre oppure no. Devo fare un passo alla volta, vedere che succede. La direzione è quella, ma mi sento lenta. 

Intanto però preparo le ginocchiere. Lunedì all’Rsa c’era una canetto (chiamarlo cane è un eufemismo) chiuso nella stanza della direzione. Quando ho provato ad aprire la porta la direttrice mi ha detto: attenta al cane! E io credevo volesse dire che il cane non doveva uscire. Invece no, quel piccolo bastardo mi ha morso. Mi ha attaccato proprio. Un bel morso sul ginocchio (più in lato non arrivava). Fortuna che a settembre ho comprato dei Levi’s e tutti sappiamo che il jeans Levi’s è tosto. Ne sono uscita senza sangue, solo con un bel livido. Ma stavolta, canetto, vengo pronta. Potrei perfino rubare uno dei bastoni degli ospiti: attento a te! 

Da Montenero con furore

Torno qui come sempre di lunedì, il mio giorno libero, anche se oggi di libero non vedo neanche il cielo. È grigio, preannuncia pioggia, è in linea con la giornata, forse.

Oggi è il gran giorno, si parte per Montenero, ma non per accendere un cero, come ho fatto per gli esami di maturità (insieme a: andare a buttare il sale in mare e toccare la lucertola in piazza dei Miracoli). 

Dopo una lunga lotta interiore e giornate e giornate di ripensamenti, alla fine ho deciso che una struttura sia la cosa migliore per mio padre. Lì avrà tutte le cure che servono, persone che lo assistono ventiquattro ore su ventiquattro, e pure un bel giardino dove passare un po’ di tempo e prendere aria. Adesso è piantato in mini appartamento che non è neanche casa sua, lo è solo da un anno, da quando l’ho portato qui vicino a me, non può uscire perché non ce la fa a muoversi e l’appartamento ha le scale, sta tutto il giorno con un’estranea che non parla neanche la sua lingua (dice ancora Martini invece che Martedì) e che a occhio non sa cucinare, visto che, come dicevo al mio nuovo amico Kas, sta attaccando a mio padre la sua fissa di non mangiare. 

Per l’occasione ho chiamato anche mia sorella, che ha una macchina più spaziosa e dobbiamo caricarci tutto, dalla sedia a rotelle al deambulatore. L’Amico Speciale pure viene con me, si è preso un giorno di ferie. Ho deciso di mandare a quel paese la mia reticenza nel chiedere aiuto, ricomincio domani, eh, oggi voglio tutto l’aiuto possibile. 

E quindi fra due ore andiamo. Sono un po’ nervosa, ma so di aver fatto la scelta giusta. È strano come a un certo punto della tua vita ti ritrovi a dover decidere della vita di un altro essere umano. E neanche lo hai chiesto. Anche con Little in effetti a volte l’ho fatto: la decisione di metterla al nido, per esempio. Ma socialmente non fa la stessa impressione, vero? Tutti ti dicono che non è un parcheggio, il nido, che fa bene al bambino, socializzare. Mentre nell’opinione comune una Rsa è una discarica. Ma su questo ho lavorato e sto lavorando con la mia nuova Psi (lei è Unabrava) e ho deciso di fidarmi. L’altra settimana mi ha dato un compito: scrivere. Quando l’ha detto sono quasi scoppiata a ridere. Mi chiede: lo hai mai fatto? E io, timida: sì, a volte. Ma delle decine di quaderni che ancora conservo, in perfetto stile Natalie Goldberg (Scrivere zen, ve ne dovrei avere già parlato), non ho fatto parola. Forse ci vuole un po’ di mistero potrebbe fare bene alla psicoterapia. In ogni caso sto cannando il compito a casa, come potete vedere anche dalla frequenza dei miei post. Certo, ho buttato giù qualche riga nell’ennesimo quadernetto, ma lo sento che non sta funzionando. Troppe cose da fare. l’Inps che mi richiede un documento per la domanda della 104, l’avvocato che me ne chiede cento per la pratica di amministratore tutelare, l’Rsa che mi chiede un foglio firmato dal medico e l’etichettatura con nome e cognome di tutti i vestiti, la sanitaria che mi chiede il collaudo del busto ortopedico che indossa, il neurologo che mi chiede l’appuntamento per il controllo. Meno male che, come diceva (ora non dice quasi più nulla) mio padre io, con questi ditini, sul cellulare e sul pc so muovermi bene, sarei una perfetta Badante Digitale. E in effetti quando Badante 3 ieri mi ha chiesto di ricaricarle il telefono ho ringraziato il cielo di avere Satispay che mi ha permesso l’operazione in due secondi. Lei si è messa a ridere e mi ha scritto un messaggio in georgiano che, buttato su Google traduttore suonava così: ti voglio bene buona zucca. Mah. Il concetto comunque è quello, immagino. 

L’Amico Speciale si è alzato. Stamani canta Sei un mito, degli 883. Io spero sia per me e ne esco lusingata. È comunque meglio del Lady Oscar che cantava qualche mattina fa, soprattutto perché non ricorda mai le parole e poi mi tocca correggerlo vanificando, come lui stesso dice, l’effetto liberatorio del canticchiare appena sveglio. Sarà che io appena sveglia voglio solo il caffè. E al limite scrivere qualcosa qui.

Me lo dico da sola: in bocca al lupo, Moon, per questa settimana. 

Riordinando

La settimana passata è venuta mia zia a trovare mio padre. Pure lei si è resa conto che la situazione ormai è al limite della disperazione. Come è arrivata mio padre ha avuto una crisi, il che non mi sorprende. Pure Badante 3 ha avuto una crisi, povera donna, torchiata perché la tovaglia non era pulita e i vetri sporchi. Io non guardo a queste cose, capisco che passare tutto il giorno con una persona malata che non dorme possa un pelino accasciarti e pulire i vetri lo metto all’ultimo posto.

Come una meteora, il giorno dopo se ne è andata, con grande gioia di tutti. Dietro di sé ha lasciato una scia di numeri di telefono di Rsa, così, per ripulirsi la coscienza, si vede, ma ha lasciato a me la decisione finale, ovviamente, il suo aiuto è stato decisamente marginale. Anche se è stato sempre più di quello di mia sorella che, avvisata del peggioramento ormai da tre settimane buone, ancora non si è vista e, quando l’ho chiamata per dirle dell’Rsa ha risposto: ah, ok ok. Punto.

Ma qualcosa di buono c’è sempre, credo. Tutta la pesantezza della condizione personale svanisce quando sono a lavoro e mi permettono di fare quello in cui sono più brava: il lavoro al banco. 

Questa settimana il mio collega, il Nuovo Micro(bo), come lo chiamo io, era in ferie e ho preso il suo posto. Il lavoro al banco del bar scorre fluido e veloce, non ci sono mai tempi morti, devi stare sul pezzo, non perdere il passo e questo richiede molta concentrazione, ma è una concentrazione buona perché io so quello che devo fare e ottimizzo ogni passaggio. In più c’è la componente sociale, al banco, anche se il tempo è poco, puoi conversare con i clienti che, solitamente, se vengono a fare colazione al bar, sono ben disposti, felici. Insomma, non sono mica in fila alle Poste. 

Devo dire che, nonostante voglia licenziarmi ormai un giorno sì e uno no (letteralmente), mi piace il mio lavoro. Mi piace perché sono brava, sono brava perché mi piace. Ma, c’è un ma. L’ambiente di lavoro a volte, con i colleghi, ma soprattutto con il Capo e la Figlia del Capo, è insostenibile. Il clima è pesante, carico di critiche per le piccole cose, mentre per le grandi non c’è alcun occhio. L’unico rifugio sono, appunto, i clienti. Adoro stare in mezzo a loro e adoro renderli felici, perché immagino sia quello che cercano. Questa settimana faccio il turno serale, come cameriera al Ristorante. Non amo lavorare la sera, soprattutto ora, che ho problemi a dormire e questo turno mi costringe ad andare a letto tardi, incasinando la mia regolarità. Ma almeno avrò poco a che fare con Capo e niente a che fare con Figlia del Capo. Non vedrò l’Amico Speciale fino a sabato, immagino. Così non litighiamo, mi dice lui sorridendo. In realtà mi mancherà tantissimo, è di grande aiuto negli ultimi tempi, riesce sempre a sdrammatizzare tutto, mi aiuta molto nelle cose pratiche, mi abbraccia forte quando ne ho bisogno. 

Questo post è stato un post più per me che per voi. Come ai vecchi tempi, mi è servito per rimettere in ordine il cervello. Parlare non mi fa questo effetto, parlare mi confonde ancora di più, scrivere invece ha quella forma particolare, sono in silenzio, posso farmi trascinare nella direzione più consona, senza distrazioni. Posso rimettere tutto in ordine con i miei tempi. 

Nei periodi bui scrivere mi è sempre stato di conforto. Nel caso specifico oggi ho capito alcune cose. E quindi ringrazio anche voi, che siete qui a leggere le mie elucubrazioni. 

Sempre nella speranza di tornare a una vita pressoché normale, 

vostra Moon

Chat GPT, al secolo Charlie

Ebbene sì, dopo averne parlato in linea puramente teorica, adesso posso farlo in pratica. 

Come tante persone ormai nel mondo, ho provato la Chat GPT. Non si può sentir parlare di una cosa quasi ogni giorno e non cercare di testarla personalmente, soprattutto se è gratis e richiede solo un click.

La prima cosa che ho fatto è stata di chiedergli se poteva scrivermi in italiano, cosa che ha fatto immediatamente. E il suo italiano è corretto, devo dire. All’inizio potrebbe sembrare un semplice bot, come quello della Tim o l’assistente virtuale della mia banca, per intenderci, ma devo dire che il suo modo di rielaborare mi ha colpito. Oltre alla sua vasta conoscenza. Per non sapere né leggere né scrivere gli ho chiesto come posso imparare il georgiano, lingua che potrebbe farmi comodo con la Badante 3. Ho già imparato parole nuove, come khval, domani, p’rodukt’ebis sia, lista della spesa, k’vira, domenica, enakhvamdis, che è il saluto quando vai via. Ma sto pensando di portarmi dietro un libretto su cui annotare le parole più ricorrenti delle nostre conversazioni. 

Poi gli ho chiesto potevo chiamarlo Charlie, che Chat GPT mi sembra un po’ impersonale. Ha risposto che a ogni nuova conversazione devo però ricordarglielo, perché non ha coscienza né memoria a lungo termine, visto che è un AI. Mi pare giusto. 

Ho chiesto anche se conoscesse l’INPS italiano e lui ha sciorinato tutta la descrizione pari pari, suggerendomi di chiamare il Call Center per avere chiarimenti su pratiche o bandi. Peccato che l’INPS abbia un Call Center appaltato e quindi in realtà ha potuto aiutarmi solo a metà. 

Infine gli ho chiesto se potesse darmi un’idea per scrivere un articolo per il mio blog personale. 

Alla fine ho voluto un riassunto della nostra conversazione, che ecco (come direbbe la Ferragni a Sanremo. Sì, quel che ecco mi è rimasto di traverso):

Posso scrivere un breve riassunto della nostra conversazione di oggi, se lo desideri. In particolare, abbiamo discusso di varie cose, come il funzionamento dell’INPS, il tuo desiderio di imparare il georgiano, alcune idee per il tuo blog personale e altro ancora.

Abbiamo iniziato parlando del georgiano, una lingua interessante ma complessa. Ti ho consigliato di iniziare con l’apprendimento dell’alfabeto e poi passare alle parole e alla grammatica di base. Ti ho anche suggerito di utilizzare risorse online e di trovare un insegnante o un tutor per aiutarti nell’apprendimento.

Successivamente, hai menzionato la tua frustrazione riguardo a una richiesta all’INPS che non era stata risolta. Ti ho fornito alcune informazioni generali sull’INPS e sui suoi servizi e ti ho consigliato di contattare nuovamente l’ente o di cercare assistenza presso uno sportello di assistenza.

Infine, hai chiesto idee per il tuo blog personale. Ti ho suggerito di scrivere su argomenti che ti appassionano, come hobby, interessi personali o esperienze di vita. Ti ho anche suggerito di scrivere recensioni, esprimere le tue opinioni su argomenti di attualità o creare liste di cose che ti piacciono.

Spero che questo riassunto ti sia utile per ricordare la nostra conversazione di oggi. Se hai bisogno di ulteriore assistenza o di altre informazioni, non esitare a contattarmi di nuovo.

Beh, direi che è decisamente meglio della ricerca di Google per molte cose, anche se credevo di trovarlo meno legnoso, il mio Charlie. Diciamo che è un po’ meno legnoso della Ferragni a Sanremo, ma insomma. 

Qualcuno di voi ha sperimentato? Inquieta solo me la Chat GPT? Magari è una questione di età…

Sonnambulismo

Ho messo su un’app per monitorare il sonno. La avevo già qualche anno fa, ma poi andavo a vedere le analisi e sembrava che non dormissi mai profondamente. Così la tolsi, dopotutto la mattina mi svegliavo abbastanza riposata e dormivo tutta la notte.

Di recente invece no. Non dormo bene. Mi sveglio spesso, faccio sogni assurdi che mi ricordo spesso e che “continuano” anche da sveglia. Ma soprattutto mi sono incrinata una costola. 

La settimana in cui sono caduta era stata molto stressante, come avevo scritto qui: mio padre soprattutto. Il sabato mattina mi sono svegliata dolorante, vado a farmi il caffè e si alza l’Amico Speciale. Come hai fatto a cadere stanotte?, mi chiede. Io non ricordo nulla. Lui tenta una descrizione, ho acceso la luce, mi dice, abbiamo parlato. Io nulla. un po’ la cosa mi ha spaventato, devo ammetterlo, ma ho imputato tutto allo stress della settimana. Ho pensato di essermi agitata nel letto e essere caduta. Ma l’altra notte è successo ancora. L’A.S. tornava tardi dal lavoro e io sono andata a letto alla mia solita ora. Quando lui è arrivato io mi sono alzata, sono andata in bagno, ho parlato con lui e sono tornata a letto. Ma non me lo ricordo. È vero anche che quando ho chiesto di cosa abbiamo parlato e come lo abbiamo fatto l’A.S. (che è mononeuronale come me) ha risposto: di cose così. Quindi non credo di aver fatto una vera conversazione. Fatto sta che il non ricordarmelo mi inquieta assai. 

Si chiamano generalmente parasonnie, in modo specifico è sonnambulismo, tanto più frequente nei bambini che negli adulti. E sì, può scatenarsi con lo stress. Non trovo sia tanto grave, se tralasciamo la bizzarria dell’evento, e mi auguro non diventi pericoloso (esco, prendo la macchina e vado a fare un giro, per intenderci), ma comunque ho messo questa app per monitorare le mie notti. Subito appena alzata ho guardato il report: abbastanza addormentata, dice. Ho dato un’occhiata ai colpi di tosse (due io, cinque l’A.S.), al russare (ormai sembra che ci siamo invertiti i ruoli, è lui quello che russa) e al parlare più che altro. All’inizio parla la televisione, perché io sono andata a dormire e l’A.S. invece è rimasto in salotto a guardare la tv e siccome i muri sono di carta velina… alle quattro abbiamo effettivamente parlato, ci siamo alzati entrambi per andare in bagno, ma me lo ricordo. Il microfono registra tutto e così mi sento più sicura e di sicuro meno stressata anche da questo, dal fatto di poter essere sonnambula. È come la storia dei sottotitoli in tv: mi piace attivarli perché mi fanno sentire più sicura, se perdo una parola posso sempre leggerla di sotto. All’A.S. invece non piacciono perché secondo lui distraggono. La verità è che non riesce a leggerli…

Comunque, questa cosa del sonnambulismo pare generi tanta ilarità. L’A.S. l’altra sera rideva mentre me lo raccontava, il mio Capo la mattina mi chiede dove sono andata la notte, io invece non ci trovo nulla di divertente. Ma magari hanno ragione loro e dovrei buttarla in burletta, come diceva mia nonna. In effetti rido poco di recente. Non che sia mai stata una allegra, per carità, ma ho avuto i miei momenti. 

A volte però mi accontenterei di un po’ di noia dalla vita… 

Correzioni e predizioni

Stamani ho iniziato la giornata sul sito dell’Inps. Che è sempre un buon modo per iniziare la giornata, no? Ora, tra tutti i siti istituzionali non è neanche il peggiore, salvo che è come un labirinto e spesso ti trovi in un vicolo cieco e devi tornare indietro. Se poi utilizzi il telefono invece del pc, allora sei fregato.

Sei fregato perché il telefono ha quell’odiosa funzione della correzione automatica e, soprattutto, della predizione. Che già la parola stessa mi inquieta, vedo il mio telefono come una donna sui sessanta e un turbante in testa che dice: so io cosa vuoi digitare, fallo fare a me.  

E invece no. Se le do retta finisce che scrivo fischi per fiaschi.

La cosa è particolarmente fastidiosa con i messaggi. La lettera più incriminata è la e. Vorrei scrivere La cena e e lui corregge con La cena è.  Allora devi tornare indietro e correggere manualmente. Oppure vuoi scrivere Ce ne andiamo? E lui: C’è ne andiamo? Oppure l’altro giorno volevo scrivere Sì, mi arrendo e invece (questo è un mistero) scrive Sì, mi Sto arrivando! Infine c’è questo suo bisogno vintage di scrivere tutto al passato remoto: guardò, arrivò, al posto di guardo e arrivo. Ma chi lo usa più il passato remoto, santi numi! 

Il meglio lo dà (anche il  correttamente accentato è difficile da ottenere: a volte lo suggerisce subito, altre volte invece devi scorrettamente apostrofarlo, così ti dà un ibrido- dà’– che tu nuovamente devi correggere a mano) con le parolacce. Ci deve essere una sorta di prete virtuale che ci bacchetta ogni volta che vuoi scrivere coglione e lo trasforma nel ben più noto ciglione. Oppure cazzoin cazzò (cazza la randa, marinaio!). 

C’è ancora un’altra cosa che detesto: quando mi consiglia un’emoji al posto di una parola. Se scrivo aereo allora subito mi appare il disegnino di un aereo, lo stesso con tutto il resto. Triste: faccina che piange; felice: faccina che ride. Insomma, perché mai dovrei preferire un’emoji a una parola? Al limite le uso per enfatizzare una frase (per far capire il tono). 

Insomma, sembrerebbe, detta così, che scrivere un messaggio con il correttore e il testo predittivo sia alquanto complicato. Ma non è del tutto vero. Il correttore si può disinserire, prima di tutto. Però è più comodo, no? A volte ho fretta e mi basta digitare la B per scrivere Buongiorno (cosa che faccio almeno due volte ogni giorno: a mia madre per farle sapere che sono ancora viva, a mio padre per sapere se è ancora vivo). Oppure possiamo istruirlo. Se scrivo diverse volte la parola stronzo alla fine non me lo correggerà più come stronzio (che in effetti perché non parlo di chimica con i miei amici?), mi lascerà libera di offendere come e quanto voglio. 

Oppure posso sempre mandare un vocale.

P.s. Per Word, che è ciò che uso per scrivere, ho disabilitato la correzione automatica. Ma ancora mi dà suggerimenti (e siccome io scrivo alla cazzum, me li dà spesso: cazzum, ad esempio, mi dice che è sbagliato: avrebbe preferito cazzame, che non so cosa possa significare)

Le richieste di WordPress

Finalmente i miei giorni da reclusa stanno per terminare, il dolore si sta affievolendo e sabato ricomincio a lavorare. Bello rientrare di sabato: lavoro due giorni e poi di nuovo a casa. 

Nel frattempo mi districo tra un malato di demenza e una georgiana che non sa l’italiano, così la mia confusione è massima. Badante 3 mi manda un messaggio in georgiano e io butto su Google traduttore: Ciao, sto cercando qualcosa, per favore scrivimi.

Rispondo: cosa stai cercando? (sempre con Google traduttore)

Chiedi a tuo padre, scrive lei. 

Così chiamo mio padre. Che mi risponde alla quarta telefonata.

Nulla, mi fa, non trova la pentola. 

Che pentola?

Per i funghi.

Consapevole che non è certo la pentola per i funghi che non trova, gli rispondo di usare la padella e attacco. Mi ci vuole un po’ per uscire dalla sensazione di essere Alice nel Paese delle Meraviglie che parla col Brucaliffo in stereofonia.

Che poi nel pomeriggio ci passo e capisco cosa stava cercando, un bavaglio pulito per mio padre. Vabbè, diciamo che non è molto facile comunicare a distanza con quella casa.

Tornata a casa entro qui, su WP, e scopro una cosa a cui non avevo fatto caso: le richieste di WP.  

Sì, lo so, magari sono tonta, ma non le avevo mai viste. E già son lì a chiedermi: chi fa queste richieste? Il sito o gli utenti? Comunque, nel tentativo di capirci qualcosa me ne leggo un po’. E siccome sono una dissidente, non rispondo a una al giorno, come immagino andrebbe fatto, ma a tutte quelle che posso in un’unica soluzione. Quindi, via!

Parto dalla fine:

Quali libri vuoi leggere?

Facile: tutti quelli che posso e che mi prendono. Non ho un genere, al limite qualche preferenza autore, ma sono per lo più onnivora.

Cosa faresti se vincessi alla lotteria?

Intanto direi che è un pelino strano, visto che non ci gioco mai. Ma se proprio deve essere credo che li investirei in una attività, anche in perdita, che visto che ho i soldi chissenefrega. Mi piacerebbe una libreria indipendente che organizza corsi di scrittura e reading e gruppi di lettura. Lo so, non ho ambizioni. 

Quali sono i tuoi sport preferiti da guadare e giocare?

Difficile. Da guardare credo il calcio per mondiali e europei e al limite quello strano sport invernale di cui non ricordo il nome che si fa spazzando davanti a un disco o una roba del genere. Solo perché è ridicolo e quindi mi diverte. Da giocare? Nessuno, grazie, sono antisport. 

Di cosa ti lamenti di più? 

Anche questa è facile: di tutto. Sono una piagnona senza confini, da sempre faccio come Paperino e sbatto il cappello a terra dicendo: maledetta sfortuna! ( e poi guardo Gastone tutta invidiosa)

Qual è la cosa che hai più paura di fare? Cosa ci vorrebbe per convincerti a farlo?

Anche qui spazio: ho paura di fare un sacco di cose, ma di solito il mio atteggiamento è quello di superare le mie paure affrontandole di petto. Un esempio? Paura dell’altezza? Fatti un salto nel vuoto con il paracadute, vedrai che ti passa. Quindi alla seconda domanda posso rispondere: ci vuole solo che mi stufi di avere paura.

Scrivi del tuo primo computer.

Era un orribile affare che mio padre aveva salvato dalla spazzatura e che aveva il sistema operativo DOS. Un tuffo negli ottanta alla soglia dei 2000. 

Qual è la cosa che preferisci cucinare?

A me cucinare in generale non piace, ma se devo dirla tutta a volte ci prendo gusto e sono anche decente. Di solito preferisco i piatti superveloci e dove non devo sporcare mille ciotoline. Sono bravissima a cucinare la pizza surgelata, per esempio. 

Qualcosa nella tua “lista delle cose da fare” che non viene mai fatto.

Quel mai mi inibisce. In realtà evado sempre la mia lista. Magari però mi ci vuole del tempo. se dico: lo farò la settimana prossima, magari ci metto tre mesi. Ma poi lo faccio.

E ora una delle migliori: In che modo la morte cambia la tua prospettiva? 

Direi che, siccome è una cosa che sai appena nasci, più o meno, e della quale prendi sempre più consapevolezza con il passare del tempo, visto che io ormai spero di essere entrata appieno nella seconda metà della mia vita, non ci penso molto, ancora, non la temo e non mi cambia nessuna prospettiva. 

Descrivi la tua giornata perfetta dall’inizio alla fine.

È molto tempo che non la passo, ma se dovessi scegliere direi che è una giornata passata con Little tipo al mare, a fare bagni e giocare a Machiavelli. Nessuno che mi chiama, nessun messaggio. Tornare a casa, cucinare una pizza surgelata, bere una birra ghiacciata e guardare con lei un film. Non chiedo molto dalla vita, soprattutto non chiedo cose irrealizzabili. 

L’invenzione più importante della tua vita è…

Non mi risulta che io abbia mai inventato nulla. Al limite ho messo a punto cose già inventate da altri adeguandole alle mie necessità. Se avessi inventato qualcosa lo saprei, immagino. 

E ora vi chiedo: ma voi sapevate di queste richieste? Avete mai scritto nulla a tal proposito? E, soprattutto, sapete perché sono lì e chi ce le mette? 

Dhe, oh, varda ua’ com’è leggero!

Ho quaranta minuti, la cottura del dolce che ho fatto, un cioccolato e mele, rivisitazione dei poveri di cioccolato e pere, che non avevo. Oggi invito a pranzo mio padre e la badante georgiana, più che altro perché così evito di insegnarle a fare il ragù (lo farò, eh, che mio padre ormai associa la domenica al ragù) e approfitto di essere a casa, una domenica ogni tanto. 

Ieri ho comprato lo scooter per Little. Un piccolo affare (o una piccola fregatura, chi può dirlo? Dopotutto era nelle premesse il fatto che non me ne intendo). Il giorno prima chiamo questo numero che è su Subito. Mi risponde un ragazzo giovane, mi dice che il mezzo che avevo adocchiato lo ha già venduto, ma ne ha un altro, un po’ meno potente, ma adatto alle ragazze (proprio così dice lui) perché leggero. Mi manda le foto: carino, in effetti, sella nuova, colore celeste, gomme nuove, revisionato, cinghia rifatta, 12 mesi di garanzia. Vecchiotto, ma prezzo buono. 

Prima di andare a vederlo faccio un altro giro di telefonate ai concessionari. Avete scooter 125 usati, cambio automatico?

Si susseguono una serie di no. Solo nuovi. E poca scelta, ovvio, solo Piaggio, qui siamo nella culla della Piaggio. Della serie: o Liberty o Liberty. Quindi io e l’A.S. partiamo per andare a vedere questo benedetto scooter. Non so per quale motivo intraprendiamo una strada tra le colline che mi fa risuonare in testa per tutto il tempo la voce di max Pezzali. Rotta per casa di Dio. Arriviamo dopo 40 minuti e 400 curve strette. Google ci dice dove è questo rivenditore e noi non lo vediamo: niente cartelli, nulla. girottoliamo a caso nel paesino per dieci minuti, chiediamo info: nessuno sa nulla. Alla fine oltrepassiamo il cancello di una villa, per chiedere, e vediamo lo scooter. Il rivenditore non è altro che un ragazzetto che da anni armeggia ai motorini e ne ha fatto una specie di lavoro dentro casa: compra, sistema, rivende. E stop. Ci fa provare il motorino, ci spiega diligentemente le caratteristiche (deh, oh, varda ua’ com’è leggero!) e poi aspetta. Io lo comprerei anche solo per mancanza di alternative, ma poi ci penso ancora su e decido che in effetti per Little è perfetto: non nuovo, visto che sa andare solo in bici per ora, leggero, un po’ meno potente. E in pronta consegna (a casa) la settimana prossima con foglio di circolazione provvisorio e pure un bauletto nuovo. Ci stringiamo la mano e la decisione è presa. 

Io e l’A.S. andiamo a mangiare il sushi.

Nel pomeriggio arrivano i primi messaggi: Little che è contenta oltremodo (per lei l’importante è avere qualcosa da guidare per essere autonoma) e gli improperi del mio ex, come da copione perché Fate sempre come vi pare, voi. Ebbene sì, stavolta ho fatto come mi pare, visto che lui non ha fatto nulla, come mi ricorda giustamente Little, che è la prima a schivare i suoi proiettili. Al limite non mi darà la metà dei soldi, ma per ora non me ne frega, visto che intesto il mezzo a me. 

E così sapremo cosa fare il sabato pomeriggio da qui in avanti. Prove su pista, sperando che non cada troppe volte. 

Alexa mi dice che al mio timer del dolce mancano dieci minuti. Il profumo è buono, il vecchio gradirà. Se non avessi il dolore al fianco sarebbe pure una bella giornata.

Little e la patente

Little sta prendendo la patente. Non l’AM, che sarebbe quella del motorino, ma l’A1, per il 125. Ora, questa scelta, per me inizialmente assai discutibile per varie ragioni, lei invece me l’aveva argomentata bene.

Se prendo la patente A1, poi, quando prendo la B, non devo più fare la teoria, ma solo la pratica. Infine (quando vuole convincermi adotta parole raffinate, ben lontane dai turpiloqui che le sento in bocca quando sta con i suoi nuovi amici) a 17 anni, dopo X guide, posso guidare la macchina, se accompagnata. 

Devo dire che l’ultimo punto mi ha convinto. In pratica può esercitarsi con me per un anno e alla fine con altre poche guide aggiuntive e l’esame di pratica a 18 anni avrà la sua patente. Le spese grosse le sostengo ora invece che poi. 

Devo dire che mi ha sorpreso la rivoluzione delle patenti. Quando avevo la sua età (e no! Non ci provate a sfottermi, lo so cosa sembro quando lo scrivo!) non c’era la patente per prendere il motorino. Lo prendevi e lo guidavi. Se volevi guidare più di un cinquantino, allora prendevi la A. Stop. Con la B guidavi tutto, tranne i 250. E insomma, le leggi sulla patente erano già cambiate. Mi ricordo che il mio ex suocero mi disse una volta che a un certo punto qualcuno, lì in campagna, arrivò per rilasciare le patenti (lui era un bambino). Chiese a tutti cosa sapessero guidare e assegnò così i vari documenti. Un modo semplice, in effetti. Non ho mai dubitato fosse la verità, questa storia mi piace tanto.

E insomma, prima di dare il via alle varie lezioni di teoria, Little ha dovuto chiedere a suo padre. Come al solito ha storto la bocca (non si capisce mai il perché lo faccia, lui non argomenta mai le sue varie incazzature con discorsi sensati), ma alla fine ha ceduto con il suo solito: fate come vi pare, dove il fate  si riferisce all’entità che Little-Moon che vive solo nel suo cervello. Little non si è lasciata scappare il secondo: la sera stessa si è fatta portare alla scuola guida per fare l’iscrizione. In soli due mesi (il tempo minimo) si è fatta iscrivere all’esame di teoria e l’ha, ovvio, passato (sebbene stia faticando un po’ a scuola quest’anno, la sua secchioneria non molla e per le cose che le interessano viene sempre fuori). Adesso bisogna iniziare con la pratica. E Little è un po’, come dire… un sacco di patate. È la bambina meno fisica che io conosca. Non è mai stata una bambina da sport (danza, pallavolo, nuoto, tutte mollate), non è mai stata una che si arrampicava, che si buttava, che correva. In bicicletta ha imparato ad andare tardi e tardi si è fatta togliere le rotelle. Quindi non è che io sia preoccupata che avrà sotto il sedere un 125, ma insomma. Il fatto è che io non so guidare un motociclo. Mai guidato neanche un Ciao, non sono capace di insegnarle. Così come non mi intendo affatto del mezzo in sé. Ecco perché, sin da subito, ho pensato di chiederlo a suo padre, un aiutino: trovi tu il mezzo? Le insegni tu ad andarci?

Credevo che per una volta avrebbe fatto il suo dovere. 

E invece ora, che il foglio rosa ce l’ha e potrebbe iniziare a fare pratica, lui ancora non si è mosso. Ha iniziato a inveire per messaggio nel suo modo criptico e alla fine ha ributtato indietro la palla a me: che ci pensi tua madre, così come ti compra le gonne e i calzini, ha scritto a Little. 

E l’Amico Speciale, quando glielo ho detto, mi ha guardato. E ci siamo capiti senza dire nulla. Ci penseremo  io e lui a trovare il mezzo (dopo 10 minuti già aveva tirato fuori un paio di idee da marketplace) e ci penserà lui a insegnarle (ha tutte le patenti che uno può avere sull’asfalto, gli manca solo la nautica e la licenza di volo). Sembrerebbe un lieto fine, e in parte lo è. L’A.S. è una figura di riferimento per Little e alla fine si sta formando questa nuova famiglia, ma. Ma lei un padre ce l’ha e non fa il padre. E questo mi rattrista molto. Ché se lei è in questa situazione è colpa mia. 

In ogni caso: qualche consiglio su un 125 cambio automatico?