Gamarjoba (traduzione sotto)

Questa mattina avevo iniziato a scrivere questo pezzo, ma poi mi sono resa conto che il mio umore era troppo basso per scrivere senza che ne uscisse fuori una lagna spaventosa, così ho chiuso tutto senza salvare e sono uscita. 

Sono talmente abituata alle rogne che quando stamani mio padre mi ha chiamata (erano le otto e io ancora non avevo finito il caffè), già immaginavo una nuova catastrofe. E invece mi diceva di andare a prendergli la colazione al bar. 

Mandaci Badante 3, babbo, ieri gli ho fatto vedere come si fa

, mi fa lui, ma tu sei più brava.  

Ora, è vero che il mio lavoro in effetti è anche quello, preparare la colazione alla gente, ma nel caso specifico bisogna solo andarla a prendere al bar di sotto e portarla in casa (mio padre è un viziato, vuole la sfoglia e il cappuccino del bar, e siccome non si muove più c’è bisogno di qualcuno che gliela porti). 

Come previsto, anche se io sono più brava, c’è andata Badante 3. Badante 3 non parla italiano se non mela, olio, bravo. Cose così. Parla solo georgiano. E sa Dio se c’è una lingua meno assimilabile all’italiano del georgiano. In ogni caso è brava. Sempre sorridente ( e lì, con lui che la notte fa pisolini di 5 minuti e basta, c’è poco da ridere), forse non sveglissima, ma si dà da fare. Oggi ci siamo insegnate i giorni della settimana, così ora so che il lunedì è orshabati e il sabato shabati. Quindi se non sto attenta è un attimo confondere il lunedì con il sabato. Le patate sono più facili, k’art’opili. Che ricorda un po’ il katoffel tedesco. Pomodoro è ancora meglio: p’omidori. Una passeggiata, il georgiano. Ah ah. 

(la traduzione del titolo è Ciao)

Badante 3 non mangia nulla. Anche se è enorme, si nutre principalmente di biscotti, caffè zuccherato, pomodori, patate e cotolette di pollo impanate. Non beve latte, né succhi, né (per fortuna) vino. Non mangia né pasta né riso. Spero che fra poco non occorra una Badante 4 per la Badante 3…

Dal mio canto, sto per esaurire questa settimana di ferie bellissima, indimenticabile. E la finisco con una (sospetta) costola incrinata. Ieri notte sono caduta dal letto mentre dormivo. Lo so. Non mi accadeva da quando avevo tre anni. non posso dire cosa stessi sognando, ma non era di certo qualcosa di bello, immagino. Siccome ho questo dolore quando respiro e tossisco e mi alzo eccetera, come tutte le persone poco assennate ho fatto una ricerca su Google (il medico di sabato e di domenica non c’è e io COL CAVOLO che torno al pronto soccorso, viste le recenti avventure). Google è diventato il medico di base più affidabile. C’è sempre, e ti prospetta per ogni cosa uno largo spettro di patologie, dal Non è nulla, si risolve in poco tempo, al Morirai presto di un terribile male.Imprecisato. Perché comunque se non ti rivolgi a un medico non puoi saperlo. Ma io insisto, perché credo in San Google. Così chiedo al nostro oracolo elettronico come si fa a sapere se una costola è incrinata. Risposta: vai al pronto soccorso e fai una radiografia. Perché se ti fa male a respirare e ti fa male se la tocchi può darsi che sia incrinata, oppure no.  Una tautologia perfetta. 

Va beh. Anche lì vediamo. Camminare cammino, guidare, guido, quindi anche fosse devo solo tenermi alla larga dalla tosse e alzarmi il meno possibile. Imparerò a dormire in piedi. Che se lo fanno i cavalli posso farlo anche io. 

Altro giro, altra corsa. Finirà, eh…

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Un settimana alternativa

Lo so che siete lì che pensate: guarda Moon, con i suoi programmi per le ferie, se ne è andata via tre giorni e non scrive più nulla perché si diverte tantissimo e non ha tempo. 

Ma, ahimè, no.

Questa è stata una settimana alternativa, come ci sono a scuola, ma molto meno divertente. 

Lunedì. Arrivo da mio padre alle 8.15 per portargli la colazione e prepararlo per la visita dell’invalidità. Lo trovo a terra. Caduto non si sa come. Lo tiro su, ma non è molto presente. Dice che non si è fatto male, in effetti sembra così, quindi decido di portarlo alla visita e vedere come va in giornata. 

In giornata sembra riprendersi. In serata mi dice che è stanco, ma cammina da solo. La mattina dopo mi dice che gli formicolano le gambe e decido di portarlo al pronto soccorso. 

La giornata al pronto soccorso è stato un vero incubo, il pronto soccorso è un perfetto girone dantesco dal quale, da qui in avanti, cercherò di tenermi lontana il più possibile. Dalle 7.45, ora in cui ho chiamato l’ambulanza, siamo tornati a casa alle dieci di sera. Senza alcun risultato. Anzi, gli hanno pure rotto gli occhiali durante il periodo in cui non mi hanno permesso di stare con lui. 

Mercoledì. Il giorno in cui avrei dovuto partire. La badante che viene la mattina, badante 2,  mi lascia a piedi perché la macchina l’ha lasciata a piedi. Devo per forza andare nella città dove mio padre viveva prima perché devo recuperare dei fogli importanti. Inoltre Little si è svegliata tardi e gli è venuta una crisi isterica. Io ho dormito solo 5 ore, prendo un caffè con gli occhi chiusi, carico Little in macchina, porto la colazione a mio padre e lo lascio lì. Lui mi assicura che sta bene. Ma dopotutto io non ho scelta. Porto Little a scuola, mi faccio 3 ore di macchina andata e ritorno, prendo i fogli che mi servono, vado al supermercato per fare la spesa per mio padre e quando sono alle casse mi chiama l’altra badante, badante 1, quella che arriva alle 11.30. è cascato di nuovo e lei non riesce ad alzarlo. Corro a casa sua, lo alziamo in due. dico alla badante 1 che mi devo prendere almeno due ore di riposo, vado a casa e faccio l’inevitabile: inizio a cercare una badante fissa. Mi dico che in un mesetto dovrei farcela. Ma ho sottovalutato la rete sotterranea delle badanti. Nel giro di un pomeriggio la super rete mi ha trovato una donna georgiana di 50 anni. mi chiamano in cinque per le referenze, parlo mezz’ora con la signora che l’aveva in casa finora, mi tranquillizza e mi dice di chiamarla per qualsiasi cosa. La sera torno da mio padre, gli do cena, lo metto a letto.

Giovedì. Badante 2 è sempre a piedi. Resto da mio padre fino a mezzogiorno, che arriva badante 1. Vado a finire di fargli la spesa (che il giorno prima, dalla fretta, ho dimenticato della roba), e poi mi chiama la rete delle badanti per dirmi che la signora georgiana, Nata, badante 3, arriva il giorno dopo. Quindi mi viene in mente che il letto c’è, ma non ho le lenzuola e la coperta, corro a prendere anche quelle. Vado a prendere Little, che ha preso un’insufficienza a italiano e quindi piange (anche se chi è causa del suo mal…ma non posso dirglielo, è troppo suscettibile in questo periodo), ha fatto casino sull’orario della lezione di canto e ora è a piedi. La porto a casa, preparo cena e torno da mio padre.

Venerdì. Badante 2 stamani viene. Me lo ha scritto ieri sera a mezzanotte, quindi l’ho visto solo stamani alle 5.30. mi alzo e mi preparo già, non si sa mai visti i giorni passati. Poi mi metto qui a scrivere, giusto per dirmi che sono ancora una persona. Normale no, ma persona almeno…

Ho finito il tempo. emergenze non ci sono, per ora. Badante 2 è lì, anche se lui oggi non cammina. Ora devo andare a cercare un cuscino per il letto, prendere i soldi per pagare badante 2, che è il suo ultimo giorno, e poi resto lì con lui fino a mezzogiorno. Nel pomeriggio vado a prendere Badante 3 alla stazione. La porto a casa. E se Dio mi aiuta, inizierò a vedere la luce in fondo al tunnel…

Intanto le mie ferie sono finite…

Sul rifare i letti, una specie di disamina (inutile)

Quando ero piccola, tipo verso gli otto o nove anni, mia madre iniziò a puntare il dito affinché io, la mattina, mi rifacessi il letto e una volta a settimana mi cambiassi le lenzuola. Era un compito che affrontavo molto meglio di mia sorella, che non ne voleva sapere. Per invogliarla allora mia madre mise su un sistema di ricompense: se ti rifai il letto allora ti do una fetta in più di pane e Nutella, se ti cambi le lenzuola puoi stare alzata un’ora in più, cose del genere. Presa dalla frenesia del sistema di ricompense, iniziai a svolgere altri compiti in casa: pulire il bagno, apparecchiare e sparecchiare, rifare il letto dei miei. Ora, non so perché ma tra tutti questo lo trovavo il compito più importante, quello che mi avrebbe lanciato come super star tra le figlie. Insomma, ero io quella brava e diligente e volevo dimostrarlo. Fatto sta che a causa delle mie braccette corte, il compito mi si rivelava assai arduo: tiravo su le lenzuola, le ripregavo per bene sopra il copriletto da una parte, poi correvo dall’altra e irrimediabilmente creavo una nuova piega dalla parte opposta. Facevo di nuovo il giro e via dicendo, mille volte fino a che mi sembrava di aver fatto un buon lavoro (era un lavoro mediocre, in realtà). 

Sono sempre stata ossessionata dai letti rifatti. Una volta sposata era la prima cosa che facevo suonata la sveglia, le lenzuola dovevano essere tirate, perfette, senza una piega. Questa mia mania (che ammetto si unisse ad altre al tempo, come la fissa per l’ordine) con il tempo mi ha lasciato un po’ di spazio. Ora la mia casa è caotica quanto basta e non ho più crisi isteriche se vedo qualcosa fuori posto (anche perché sennò sverrei ogni volta che entro in camera di Little, alla quale non metto mano per principio, anche se a volte…). 

Per semplificarmi la vita con il letto qualche anno fa ho comprato il famoso sacco dell’Ikea. Avete presente? Il piumone si infila dentro il lenzuolo e la mattina basta stendere quello di sotto e tirare su. Un gioco da ragazzi! Solo che infilare il piumone nel suo sacco non è così immediato… soprattutto se come me si hanno, in pieno inverno, due piumoni agganciati l’uno sull’altro tramite quelle piccole clip. Il risultato è che stendi, stendi e stendi e alla fine c’è sempre una gobba da qualche parte. È un letto con i bozzi. Dopo l’acuirsi della mia artrosi ho iniziato a chiedere aiuto. In due il compito è decisamente più facile e veloce. All’inizio c’era solo Little, poi, da un anno a questa parte, abbiamo iniziato a farlo io e l’Amico Speciale. Di solito lo aspetto per rimettere le lenzuola pulite. 

Ma ieri invece mi ero messa in testa di farlo da sola. Forse c’entra la storia del post precedente, questo mio bisogno di dimostrare che sono autosufficiente, o forse solo il fatto che le lenzuola non ne potevano più e io non sapevo quando e se l’A.S. sarebbe tornato.  Inizio, infilo, sbatto e risbatto. Una fatica enorme per le mie spalle. Si apre la porta. È l’A.S. Aspetta, ti aiuto, dice. Ma io ero partita per la tangente del Ce la faccio da sola. Sbatto di nuovo, ancora bozzi. Mi infilo dentro il lenzuolo per stenderlo a mano, esco e la situazione è peggio di prima. Inizio a sudare. Tiro e destra, tiro a sinistra, il bozzo si sposta e basta, non vuole andarsene. Sto annaspando, sono sfinita. Guardo il letto e dico: ok, adesso stai così, ti stenderai per bene quando ci saremo dentro. L’A.S. è rimasto tutto il tempo appoggiato allo stipite della porta guardandomi e sogghignando. Mi abbraccia, mi dà un bacio sulla fronte sudaticcia e di quell’abbraccio ne avevo proprio bisogno. Dura una vita e mi fa bene al cuore. Poi mi fa: faccio una doccia e preparo qualcosa da mangiare io, ok?

Quindi ok. 

Nonostante siano passati anni il sistema ricompense è sempre valido. 

Mi piace il sistema delle ricompense.

Forse un giorno imparerò

Torno a scrivere dopo una lunga settimana di lavoro che seguiva una lunghissima settimana di lavoro. 

Non so perché, ma ultimamente lavorare mi richiede degli sforzi notevoli. Non mi alzo volentieri, quando sono lì sono meno concentrata del solito, i rapporti con i colleghi li trovo difficoltosi, soprattutto con la Figlia del Capo, che a volte è insopportabile. Il Capo invece è stanco, confuso, sbaglia di continuo. Ho l’impressione che si senta un pesce fuor d’acqua e siccome mi sento così anche io ci deve essere qualcosa che non va. 

Tutti questi pensieri, che mi assillano giorno e notte (ed è il mio maledetto difetto, quando mi fisso su una cosa…) mi portano, la mattina, a guardare sempre e solo annunci di lavoro. Ho, è vero, il Progetto Comune, ma sto studiando poco e le prove sono rimandate a data da destinarsi e io spero sempre che un annuncio salvi la mia quotidianità. 

Eppure so che sono solo io a dover muovere qualcosa, senza dover aspettare che mi scenda giù dal cielo. 

Ed ecco perché, approfittando di un’altra settimana di ferie che avrò a fine mese (sì, lo so, a voi sembra che sia sempre in ferie, in realtà devo smaltire ancora 94 giorni delle suddette, sono più di tre mesi, e un giorno qui e una settimana là non assottigliano affatto la fetta) ho deciso di prendermi tre giorni per me. Me ne vado via, anche se sono ancora indecisa sulla destinazione. 

(E siccome sono solo le nove di mattina di un lunedì e mia madre mi ha chiamato tre volte e mio padre mi ha mandato quattro messaggi, direi che scappo in una terra dove non esistono ripetitori).

Quando l’ho detto a mia madre mi ha chiesto: e l’Amico Speciale cosa dice che vai via da sola?

E che deve dire? Mi deve forse autorizzare? L’ho chiesto a Little, se per lei andava bene, e tanto basta, no?

Quella sua semplice domanda, fatta senza pensare, mi ha però fatto capire delle cose. Che poi ho scritto parzialmente in un commento qui in giro. 

Essere nati e cresciuti dentro la mente del patriarcato a volte ti rene difficile capire che ci sei dentro. Cerco di spiegarmi. Mi sono sempre ribellata all’idea che dovesse comandare qualcuno in famiglia, salvo poi rendermi conto che avevo una famiglia esattamente così. Dove eri già fortunata se tuo marito ti permetteva di, che ne so, fare un corso di scrittura (pagato con i tuoi soldi) o riprendere a studiare (sempre con i tuoi soldi). Queste sono state le parole esatte del padre del mio ex quando l’ho lasciato. Ma dopotutto il suddetto padre ha i suoi anni, insomma è di un’altra generazione. Peccato che anche il mio ex al tempo se ne uscì con una frase simile. E lo stesso fece mia sorella. In quel periodo credevo di essere pazza, nessuno la pensava come me, tutti mi dicevano di restare con mio marito perché alla fine lui non mi aveva mai picchiato e mi aveva permesso di fare quello che volevo. Nessuno che mi chiedesse se l’amassi ancora o lo rispettassi o lui rispettasse me. Addirittura, un conoscente una mattina mi chiese perché avessi la faccia lunga. Dopotutto, disse, hai un bel lavoro, una bella casa, una bella famiglia. Non risposi. Ma mi riproposi di non fare mai quello che stava facendo lui, giudicare una vita senza conoscerla. 

Forse sono stata sfortunata, forse mi sono cercata quello che mia madre mi aveva sempre detto tra le righe di cercare, non saprei. Resta il fatto che ora, purtroppo, sono invece passata sull’altra sponda (o bianco o nero, Moon, giusto?) e non tollero più che mi si dica quello che devo fare. se ho imparato qualcosa dalla storia con il mio ex è stato essere autosufficiente. E lo sono. Non solo, ho cresciuto praticamente da sola Little, per anni l’ho tirata su solo con il mio stipendio e sono arrivata al punto di essere io la donna e l’uomo di casa. 

E quindi l’Amico Speciale perché dovrebbe autorizzarmi a prendermi una vacanza di tre giorni? 

Ora, lui, l’A.S., ovviamente mi dice che esagero. Di lasciar perdere mia madre. Ma io sono approdata all’altra sponda. E a lasciar perdere ho paura di tornare indietro. 

Forse arriverà anche il giorno in cui riuscirò a stare con i piedi in mezzo al fiume, né su una sponda, né sull’altra. Sì. Forse un giorno imparerò. 

L’oroscopo della Bilancia aveva ragione

L’altro giorno leggevo l’oroscopo del mio segno per il 2023. Gennaio inizia con difficoltà, diceva, nella prima quindicina potresti essere un po’ sotto stress. 

Uhm, ho pensato, non sarà peggio di Dicembre. 

Era meglio se stavo zitta.

Iniziamo l’anno con il Covid (l’Amico Speciale, che però sta bene) e un’influenzetta bastarda che fa stare male, ma senza febbre alta (io). Al lavoro iniziamo l’anno con -4 persone, tutte con la febbre alta, loro. Quindi io, che non ho né il Covid né la febbre alta, devo lavorare con turni doppi. E in un orario che per me è poco gestibile, pomeriggio-notte (io sono il tipo che si sveglia presto e alle nove e mezzo va a letto, come si chiama quel cronotipo? Il gallo?). Inoltre mi tocca la settimana delle feste, quindi ogni sera c’è un sacco di gente, tanti americani ancora in giro e ieri sera mi è toccata una cena di un diciottesimo con trenta ragazzini urlanti (amici di Little) che alle undici ancora mangiavano la pizza… insomma, un disastro. 

Mio padre invece deve avere il ciclo, che ne so, questa settimana ne combina a diritto. Prima si inventa che la badante lo picchia, poi si sveglia di notte e cena per la seconda volta, poi prende le medicine di tre giorni in uno solo. Ieri si era piccato di volere una certa tovaglia stirata. Gli ho detto di dirlo alla badante. Ma lui stamani mi ha scritto che l’ha fatto da solo. Sono qui che aspetto che faccia effetto il caffè poi andrò a controllare cosa ha bruciato. 

In compenso avere l’Amico Speciale fermo a casa proprio questa settimana ha il suo perché. È vero che non può uscire, quindi non può aiutarmi nelle commissioni, ma quando torno a casa a mezzanotte lui è lì che mi aspetta con la cena scaldata, le lavatrici sono sempre fatte, la lavastoviglie idem. Se avessimo lavorato entrambi questa settimana avremmo vissuto come barboni. 

Inoltre abbiamo del tempo per stare insieme e abbiamo scoperto una nuova serie tv, The witcher, che non è affatto male. Un po’ sboccata, devo dire, strano per il genere che è, un fantasy. 

E ora il tempo stringe, mi sono alzata tardi e dovrò rientrare a lavoro presto anche oggi, immagino (appena il mio Capo risponde).

Aggiornamento: il mio Capo ha risposto: Sarà meglio che mi muova. 

Andrà meglio eh…

Iniziare l’anno alla grande! Polemizzando

Anno nuovo, polemica vecchia. 

I social

Mi ricordo gli albori di Facebook. O almeno, quando lo conobbi io. Ricordo che dissi al mio ex, primi anni dieci del 2000: perché non ci iscriviamo? Mi pare di aver capito che per le aziende è come avere pubblicità gratis. 

Non lo so cosa avevo capito. Quello che so è ciò che poi è successo, ovvero che su Facebook l’azienda è stata quasi invisibile e i nostri profili personali invece hanno iniziato a crescere. Era da poco nata Little e dopo aver sperimentato una macchina fotografica digitale con tanto di piccola stampante inclusa, ho ricevuto invece il mio primissimo smartphone. Da quel momento in poi ho sempre avuto le foto su un device e ho stampato solo poche copie (giusto per sentirmi un po’ vintage). E le foto le pubblicavo, a volte, su Facebook. Ho considerato questo luogo come una cameretta per anni, un modo per attaccare un poster al muro, come facevo da ragazzina con quelli di Johnny Deep in regalo su Cioè, solo che ora avevo iniziato ad appendere poster di David Foster Wallace, di Little, a rigirare link dei finalisti dello Strega o a ricevere link dalle riviste letterarie con le quali collaboravo. Mi sentivo come se essere su Facebook mi desse la giusta visibilità nel mondo, in un mondo che a me era precluso per ragioni geografiche. Insomma, fossi vissuta a Milano o a Torino forse…, mi dicevo. Ma il mondo doveva conoscermi, conoscere la mia vita, leggere quello che scrivevo. E Facebook mi sembrava al mio servizio. 

Poi è arrivato Instagram. 

Ricordo di aver parlato con un fotografo di una certa importanza, avevo un progetto con lui per scrivere qualcosa sotto alle sue foto in una mostra. Un progetto che, come molti dei miei, non è andato a segno. Comunque lui mi chiese se avessi Instagram. Sì, lo avevo, risposi, ma non lo capivo molto e lo usavo poco. mi rimproverò. Instagram è il social che conta, Facebook ormai è solo per i vecchi. Erano passati sì e no 5 anni dalla mia iscrizione a Facebook e già era in marcescenza. 

E poi arriva il lavoro, quello al Ristorante. Sin dal primo giorno mi danno l’accesso al Facebook aziendale per gestirlo. Creo anche la pagina Instagram, pubblico foto, ripubblico spesso sul mio profilo. A un certo punto smetto di pubblicare contenuti miei su Facebook e Instagram. Mi sento esposta, mi sembra inutile far sapere alla gente cosa faccio per Natale o per le vacanze, sono sempre più invisibile. Ma accedo lo stesso ai social. Accedo per vedere i post delle pagine che seguo e dei gruppi a cui sono iscritta. A volte leggo bella roba, ma sempre più spesso leggo inutili discussioni, aggressioni gratuite (soprattutto nei gruppi settoriali, come che ne so, Il barista incazzato per dirvene una,  il che mi risulta ancora incomprensibile), tanta tanta violenza verbale oppure, al contrario, tanto menefreghismo. Guardo sempre meno. A volte trovo gruppi degni di esistere, come uno di gelatai che condivide ricette professionali senza tirarsela, altre volte invece mi capita di vedere il perbenismo e la falsità all’ennesima potenza. Mi disgusto sempre più. 

Sono talmente disgustata che non riesco più neanche a gestire le pagine del Ristorante, le mollo piano piano, entro a fare post solo se costretta dal Capo o dalla Figlia del Capo. Sul mio profilo invece pubblico rarissimamente e di solito per ringraziare qualcuno.

L’altro giorno non sapevo cosa fare e ho aperto l’app. Nella home page c’erano solo foto natalizie, una uguale all’altra, tutti abbracciati sotto l’albero, tutte didascalie fotocopia: per Natale ciò che conta non sono i regali, ma la famiglia. E poi vedo un post di mia sorella, uguale a quelli sopra. Lei che dice la famiglia… si vede che una sorella non si considera più famiglia. E neanche un padre.  

E allora mi chiedo a cosa servano, ‘sti social. A riempire il web di falsità o a provare ad apparire buoni e felici? 

Personalmente continuerò ad usarlo come strumento, quando me la sentirò, esattamente come pensavo all’inizio. Cercando di evitare di essere io, di nuovo,  quella strumentalizzata. 

Benvenuto(?) 2023- In diretta

Sono sopravvissuta anche a Capodanno, sono le otto e mezza del primo gennaio e io sono in coma perché non ho dormito quasi. Non perché io abbia fatto cenoni e fuochi, anzi. Il mio programma per ieri sera era il SSN, che non è il Servizio Sanitario Nazionale, ma Sushi, Sesso e Nanna (il piano di riserva era RSA, Risveglio, Sesso e Allegria, ma stamani sento che all’RSA potrei andarci io). Comunque, idea: nanna presto. Che ho fatto, tra parentesi. Alle dieci e quaranta ero già sotto le coperte e mi sono detta: speriamo di svegliarsi già nel 2023. E così è stato, solo che non ho specificato l’ora, e quindi a mezzanotte e un minuto mi ha chiamato mio padre, per farmi gli auguri. Ho deciso di non rispondere, capirà, mi dico. E no, l’ultima telefonata è stata a mezzanotte e quarantaquattro.

Ho un sonno leggerissimo in questi ultimi tempi, se mi sveglio poi non mi riaddormento più, e così è stato stanotte, ovviamente, compreso il russare dell’Amico Speciale, che ha il raffreddore, per carità, ma fa tremare i muri, domani gli compro un camion di Vicks Sinex. 

Abbiamo deciso di fare il cenone in ritardo di un giorno, cioè stasera, perché come ho già detto in tempi non sospetti, ho amici che lavorano nella ristorazione e non erano disponibili per il 31. Festeggeremo stasera, a mezzanotte faremo i finti tonti e stapperemo una bottiglia di prosecco. Per fare questa cena ho speso quasi uno stipendio. Non solo ho svuotato i mari dai suoi pesci, ma ho avuto la malsana idea di fare una vellutata di ceci come primo. E non ho voluto accontentarmi dei ceci già cotti, come avrei fatto normalmente, ma ho fatto la sborona, ho preso i ceci bio e ho letto la ricetta: 600 grammi di ceci, rosmarino, carota… guardo la mia busta e leggo 400 grammi. Metto a bagno due buste, 800 grammi. Poi capisco la cazzata che ho fatto. I 600 grammi si riferivano ai ceci cotti, non secchi. Mi armo di pazienza, metto a bollire i ceci in due pentole. E qui arriva la telefonata di Putin che mi ringrazia: cinque ore per cuocere ‘sti ceci. E poi, siccome ne ho cotti un esercito, sono dovuta andare a comprare dei vasetti per metterli in sottovuoto, ma al ferramenta hanno sbagliato a darmi i tappi (che io avevo già aperto e lavato), quindi torna a comprarne di nuovi, falli bollire di nuovo, insomma, questa vellutata mi è costata più del pesce. Non la farò mai più. 

In compenso mio padre mi ha già chiamata. 

Buongiorno e buon anno!, mi fa. I vecchi non dormono mai… nessun commento al fatto che non ho risposto stanotte, per fortuna.

Hai fatto colazione?, chiedo (gli argomenti di conversazione tra noi si sono ridotti a domanda e risposta quando va bene e di solito io chiedo (hai mangiato? Hai preso le medicine?) e lui monosillaba.

No, non ce l’ho la colazione.

Sì, babbo, è nel frigo.

Non c’è. Risposta secca, ostinata.

Guarda bene. 

Non c’è!, risponde piccato.

Sospiro e aspetto. Gli do direttive per trovarla (è davanti ai tuoi occhi, babbo, guarda bene, l’ho vista ieri sera), poi aspetto che mi risponda che sì, avevo ragione, è nel frigo. 

A volte la mia pazienza vacilla… 

Comunque direi che l’anno è iniziato nel migliore dei modi, no? Devo solo fare in modo di arrivare a fine giornata senza sbroccare ed è fatta. 

Vado a finire la vellutata di ceci. Sì, deve ancora cuocere. Di questo passo tanto vale che mi trasferisca in Russia direttamente. Chissà se a Putin piace la vellutata…