Ultimamente penso molto alla salute mentale. Credo che la società stia virando verso questa direzione, trascinandoci dietro. E così mi trovo sempre più spesso a sentire podcast (Le basi, ad esempio, che consiglio) o a leggere articoli sull’ansia, la depressione, lo stress. Anche se voglio cercare di dimenticarlo, specialmente qui, sto ormai vivendo un periodo ad alto stress da più di un anno: in pole position c’è mio padre, con Parkinson e demenza vascolare. Cade, dà fuoco alla cucina, confonde il giorno con la notte, non cammina quasi più. Io so alcune cose: la prima è che non è colpa mia se è in quelle condizioni; la seconda è che io non posso assisterlo tutto il giorno (ha una badante part time, che è il massimo che possiamo concederci ad oggi); la terza è che sto facendo il massimo per lui. Nonostante ciò mi sento sempre in ansia e mi trascino addosso una sensazione di fallimento propria del mio essere una crocerossina. La notte dormo male, la mattina a lavoro fatico a concentrarmi, quando finisco di lavorare, dopo una visita a casa sua per assicurarmi che sia ancora integro, torno a casa e mi passa la voglia di fare qualsiasi cosa.
Ho fatto alcuni passi: ho chiamato l’assistenza psicologica rivolta ai caregiver (che mi ha confermato che sì, sto facendo tutto bene, che devo avere pazienza, che la strada futura sarà in discesa, che non sono in un vicolo cieco) e poi ho richiesto il bonus psicologo (a giorni ci sarà la famigerata lista). Sono anche andata dal mio medico e gli ho chiesto un aiutino per l’ansia. È un mese che ho in casa questa roba che ancora non ho toccato (mezza pasticca, mi raccomando Monica, ha detto il Doc). La tengo lì come salvagente, non si sa mai. Ma poi la sera non ho il coraggio di prenderla, ho paura di aggiungere disagio al disagio. E così mi sento come in un vicolo cieco, invece, ma non per mio padre e la sua situazione, ma per me stessa. Sento come se non riuscissi più a concludere nulla di buono.
Ma ecco che poi la rivelazione arriva dopo aver visto un documentario sulle pillole (Adderal, Xanax, questa roba qui). Viviamo in una società che ci spinge ad essere sempre al top: sul lavoro devi essere efficiente (vedi anche il mio ultimo articolo), a casa devi essere efficiente (lava, pulisci, prepara una cena sana), le difficoltà devi saperle affrontare al meglio, senza scoraggiarti, ma guardandole come qualcosa che ti renderà una persona migliore, devi migliorarti sempre, studia, leggi, non accontentarti mai, devi trovare il tempo per divertirti, anche, devi essere divertente, allegra. Insomma, io ci metto del mio con questi DEVI, ma non sarà che tutti i discorsi che mi circondano ci mettono del suo? Non sarà che ha ragione l’Amico Speciale quando dice: qualcuno deve pur essere l’ultimo? Tutti a cercare di essere il primo…
Vorrei riuscire a pensarla così, mentre invece sono stata educata ad essere sempre combattiva e competitiva con la classica frase Non vorrai finire come me(mia madre, ma pure mio padre, ai tempi). E io per non finire come loro mi sa che alla fine, se non cambio sistema, finisco peggio di loro. A pensare ogni giorno che sono un fallimento.
Come se ne esce?
Intanto mettendolo nero su bianco. E poi pensando che nessuno si salva da solo (non mi piace la Mazzantini né questo libro, ma trovo il titolo molto azzeccato)