Dhe, oh, varda ua’ com’è leggero!

Ho quaranta minuti, la cottura del dolce che ho fatto, un cioccolato e mele, rivisitazione dei poveri di cioccolato e pere, che non avevo. Oggi invito a pranzo mio padre e la badante georgiana, più che altro perché così evito di insegnarle a fare il ragù (lo farò, eh, che mio padre ormai associa la domenica al ragù) e approfitto di essere a casa, una domenica ogni tanto. 

Ieri ho comprato lo scooter per Little. Un piccolo affare (o una piccola fregatura, chi può dirlo? Dopotutto era nelle premesse il fatto che non me ne intendo). Il giorno prima chiamo questo numero che è su Subito. Mi risponde un ragazzo giovane, mi dice che il mezzo che avevo adocchiato lo ha già venduto, ma ne ha un altro, un po’ meno potente, ma adatto alle ragazze (proprio così dice lui) perché leggero. Mi manda le foto: carino, in effetti, sella nuova, colore celeste, gomme nuove, revisionato, cinghia rifatta, 12 mesi di garanzia. Vecchiotto, ma prezzo buono. 

Prima di andare a vederlo faccio un altro giro di telefonate ai concessionari. Avete scooter 125 usati, cambio automatico?

Si susseguono una serie di no. Solo nuovi. E poca scelta, ovvio, solo Piaggio, qui siamo nella culla della Piaggio. Della serie: o Liberty o Liberty. Quindi io e l’A.S. partiamo per andare a vedere questo benedetto scooter. Non so per quale motivo intraprendiamo una strada tra le colline che mi fa risuonare in testa per tutto il tempo la voce di max Pezzali. Rotta per casa di Dio. Arriviamo dopo 40 minuti e 400 curve strette. Google ci dice dove è questo rivenditore e noi non lo vediamo: niente cartelli, nulla. girottoliamo a caso nel paesino per dieci minuti, chiediamo info: nessuno sa nulla. Alla fine oltrepassiamo il cancello di una villa, per chiedere, e vediamo lo scooter. Il rivenditore non è altro che un ragazzetto che da anni armeggia ai motorini e ne ha fatto una specie di lavoro dentro casa: compra, sistema, rivende. E stop. Ci fa provare il motorino, ci spiega diligentemente le caratteristiche (deh, oh, varda ua’ com’è leggero!) e poi aspetta. Io lo comprerei anche solo per mancanza di alternative, ma poi ci penso ancora su e decido che in effetti per Little è perfetto: non nuovo, visto che sa andare solo in bici per ora, leggero, un po’ meno potente. E in pronta consegna (a casa) la settimana prossima con foglio di circolazione provvisorio e pure un bauletto nuovo. Ci stringiamo la mano e la decisione è presa. 

Io e l’A.S. andiamo a mangiare il sushi.

Nel pomeriggio arrivano i primi messaggi: Little che è contenta oltremodo (per lei l’importante è avere qualcosa da guidare per essere autonoma) e gli improperi del mio ex, come da copione perché Fate sempre come vi pare, voi. Ebbene sì, stavolta ho fatto come mi pare, visto che lui non ha fatto nulla, come mi ricorda giustamente Little, che è la prima a schivare i suoi proiettili. Al limite non mi darà la metà dei soldi, ma per ora non me ne frega, visto che intesto il mezzo a me. 

E così sapremo cosa fare il sabato pomeriggio da qui in avanti. Prove su pista, sperando che non cada troppe volte. 

Alexa mi dice che al mio timer del dolce mancano dieci minuti. Il profumo è buono, il vecchio gradirà. Se non avessi il dolore al fianco sarebbe pure una bella giornata.

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Forse un giorno imparerò

Torno a scrivere dopo una lunga settimana di lavoro che seguiva una lunghissima settimana di lavoro. 

Non so perché, ma ultimamente lavorare mi richiede degli sforzi notevoli. Non mi alzo volentieri, quando sono lì sono meno concentrata del solito, i rapporti con i colleghi li trovo difficoltosi, soprattutto con la Figlia del Capo, che a volte è insopportabile. Il Capo invece è stanco, confuso, sbaglia di continuo. Ho l’impressione che si senta un pesce fuor d’acqua e siccome mi sento così anche io ci deve essere qualcosa che non va. 

Tutti questi pensieri, che mi assillano giorno e notte (ed è il mio maledetto difetto, quando mi fisso su una cosa…) mi portano, la mattina, a guardare sempre e solo annunci di lavoro. Ho, è vero, il Progetto Comune, ma sto studiando poco e le prove sono rimandate a data da destinarsi e io spero sempre che un annuncio salvi la mia quotidianità. 

Eppure so che sono solo io a dover muovere qualcosa, senza dover aspettare che mi scenda giù dal cielo. 

Ed ecco perché, approfittando di un’altra settimana di ferie che avrò a fine mese (sì, lo so, a voi sembra che sia sempre in ferie, in realtà devo smaltire ancora 94 giorni delle suddette, sono più di tre mesi, e un giorno qui e una settimana là non assottigliano affatto la fetta) ho deciso di prendermi tre giorni per me. Me ne vado via, anche se sono ancora indecisa sulla destinazione. 

(E siccome sono solo le nove di mattina di un lunedì e mia madre mi ha chiamato tre volte e mio padre mi ha mandato quattro messaggi, direi che scappo in una terra dove non esistono ripetitori).

Quando l’ho detto a mia madre mi ha chiesto: e l’Amico Speciale cosa dice che vai via da sola?

E che deve dire? Mi deve forse autorizzare? L’ho chiesto a Little, se per lei andava bene, e tanto basta, no?

Quella sua semplice domanda, fatta senza pensare, mi ha però fatto capire delle cose. Che poi ho scritto parzialmente in un commento qui in giro. 

Essere nati e cresciuti dentro la mente del patriarcato a volte ti rene difficile capire che ci sei dentro. Cerco di spiegarmi. Mi sono sempre ribellata all’idea che dovesse comandare qualcuno in famiglia, salvo poi rendermi conto che avevo una famiglia esattamente così. Dove eri già fortunata se tuo marito ti permetteva di, che ne so, fare un corso di scrittura (pagato con i tuoi soldi) o riprendere a studiare (sempre con i tuoi soldi). Queste sono state le parole esatte del padre del mio ex quando l’ho lasciato. Ma dopotutto il suddetto padre ha i suoi anni, insomma è di un’altra generazione. Peccato che anche il mio ex al tempo se ne uscì con una frase simile. E lo stesso fece mia sorella. In quel periodo credevo di essere pazza, nessuno la pensava come me, tutti mi dicevano di restare con mio marito perché alla fine lui non mi aveva mai picchiato e mi aveva permesso di fare quello che volevo. Nessuno che mi chiedesse se l’amassi ancora o lo rispettassi o lui rispettasse me. Addirittura, un conoscente una mattina mi chiese perché avessi la faccia lunga. Dopotutto, disse, hai un bel lavoro, una bella casa, una bella famiglia. Non risposi. Ma mi riproposi di non fare mai quello che stava facendo lui, giudicare una vita senza conoscerla. 

Forse sono stata sfortunata, forse mi sono cercata quello che mia madre mi aveva sempre detto tra le righe di cercare, non saprei. Resta il fatto che ora, purtroppo, sono invece passata sull’altra sponda (o bianco o nero, Moon, giusto?) e non tollero più che mi si dica quello che devo fare. se ho imparato qualcosa dalla storia con il mio ex è stato essere autosufficiente. E lo sono. Non solo, ho cresciuto praticamente da sola Little, per anni l’ho tirata su solo con il mio stipendio e sono arrivata al punto di essere io la donna e l’uomo di casa. 

E quindi l’Amico Speciale perché dovrebbe autorizzarmi a prendermi una vacanza di tre giorni? 

Ora, lui, l’A.S., ovviamente mi dice che esagero. Di lasciar perdere mia madre. Ma io sono approdata all’altra sponda. E a lasciar perdere ho paura di tornare indietro. 

Forse arriverà anche il giorno in cui riuscirò a stare con i piedi in mezzo al fiume, né su una sponda, né sull’altra. Sì. Forse un giorno imparerò. 

Cose da non fare a un concerto di Natale

È un lunedì mattina come tanti (ho ricominciato a scrivere in differita), ho dormito uno sbotto di ore e mi sono ripresa dalla giornata maratonica di ieri. Lavoro, occhiatina a babbo, doccia e concerto di Natale della scuola di musica di Little Boss. 

Dopo un paio di anni incerti, finalmente il concerto torna in presenza e al chiuso, una quasi normalità disturbata solo dall’influenza che ha decimato gran parte dei partecipanti. Ogni anno, dalla separazione con il mio ex, vado lì da sola, mi metto su una seggiolina nell’angolo e cerco di evitare i suoi parenti e amici. Il posto dove si svolge il concerto è il suo territorio, come mi ha spesso ribadito. Non che sia più del tutto vero, intendiamoci, ma l’Amico Speciale non ce lo porto, vogliamo evitare imbarazzi per Little (il mio ex sarebbe capacissimo di fare una scenata davanti a tutti, nonostante tra poco siano dieci anni che siamo separati). 

Quindi nulla, ieri faccio come sempre: mi metto in fondo, da sola seduta nell’angolino. Dietro di me si siede una famiglia di cui riconosco solo la mamma (è stato il mio avvocato, anni fa, in una causa di lavoro, ma non mi saluta perché sul suo territorio a volte funziona così). 

Il concerto ritarda e la Tizia Maleducata dietro di me inizia a parlare. Lo farà per tutto il tempo. Si mette una gomma in bocca e biascicando parte: ma insomma, questo concerto quando inizia? Che poi dobbiamo andare a fare l’aperitivo con X, sennò facciamo tardi. Scopro poco dopo che è la sorella della mamma/avvocato. Così come scopro il suo numero di scarpe, a quanto tiene la temperatura del termosifone a casa, dove lavora e molto altro. Tutto in quindici minuti. 

Le luci si spengono e inizia la classe di pianoforte. Un bambino delizioso sui 10 anni suona e canta Jingle Bells. La Tizia Maleducata continua a parlare ad alta voce dei fatti suoi durante tutto il tempo. scroscio di applausi e lei dice: ha sbagliato qualche nota, però

È il turno delle percussioni. Sono quattro ragazzi che fanno un’esibizione straordinaria, credo sia la prima volta che la scuola organizza per loro un’esibizione in solitaria, di solito mettono i percussionisti ad accompagnare altri strumenti. Sono bravissimi, ma va da sé che non è una canzone. Lei non perde tempo e fa: eh, però questa che noia che è…

Scuola di canto. Una signora sulla cinquantina canta una canzone. Te esotoy buscando…te quiero…eccetera.

Che lingua è, questa? Chiede la Tizia Maleducata. La tristezza è l’uomo accanto a lei che risponde: portoghese. 

Comunque non era per nulla brava, aggiunge alla fine. 

Finalmente arriva una coppia di cantanti che incontrano il suo favore, cantando una canzone di Baglioni. 

Questi sì che sono bravi, era l’ora. Di una delicatezza assoluta.

È il turno di Little che canta con altre tre ragazze. Sono molto presa ad ascoltare quindi non è che faccia caso alla Tizia Maleducata, ma siccome parla a voce alta non mi riesce del tutto, così scopro altri dettagli della sua vita mentre parla con l’uomo accanto a lei. non commenta l’esibizione ( o se lo fa non la sento) ed è la sua fortuna. 

Il concerto sta per finire, c’è l’esibizione del coro che canta canzoni popolari. Lei non si lascia sfuggire l’ultima occasione per lamentarsi.

Uff, anche il coro, adesso, ma sono quasi le sei!

E io lo so che lì avrei dovuto girarmi, guardarla in faccia per la prima volta e dirle: ma che cazzo ci sei venuta a fare? Tua nipote l’hai vista? Presenza l’hai fatta? Ora vattene affanculo fuori di qui

Ma prima di tutto l’ho detto che è stata fortunata a non commentare Little (che comunque è stata bravissima, n.d.r), e poi che faccio? Una scenata davanti a tutti? tanto valeva allora che portassi al concerto anche l’Amico Speciale. Ho atteso la fine del concerto, sono uscita dalla mia postazione senza voltarmi. Non volevo vederla in faccia, non volevo riconoscerla fuori da lì. Che poi lavora in ospedale e sia mai, visto che ci giro di continuo tra ospedali, che una volta mi tocchi proprio lei. 

Mi sono allontanata dal teatro, faceva un freddo cane, sono arrivata alla macchina e ho caricato su Spoty la canzone che ha cantato Little. E la Tizia Maleducata è scomparsa. 

La battaglia del sonno

post 215

 

 

Il mio turbine di pensieri sta prendendo forma, ma ciò non mi impedisce di vomitarne ogni sera di nuovi.

E quindi, mentre l’altra sera ero qui che scrivevo di nuove ricette da provare per il Ristorante e di cose da aggiungere o cambiare al romanzo, oggi sono qui per dire che sì, ho provato le mie ricette e sì ho scritto le mie (spero) migliorie.

Il risultato? Un gran mal di gambe (le piccole erano ferme da tanto, vanno capite, e poi ho accumulato in tre giorni le ore di lavoro che di solito faccio-dovrei fare– in una settimana e mezzo) e anche un po’ di sonno, visto che non voglio mollare il romanzo.

Ma il sonno lo tolgono anche le preoccupazioni.

Come sarà riaprire post Coronaquarantena?, Riuscirò a lavorare ancora come prima?, Come devo tagliare le Sacher per renderle più belle?, Riuscirò a pagare l’assicurazione della piccola Winny?, Riuscirò di nuovo a vedere l’Amico Speciale senza crollargli in braccio dalla stanchezza?, e via dicendo.

Tutti questi sassolini non riesco a toglierli dalla scarpa (metaforica) e la sera prima di dormire, già nel letto e già con Morfeo dolce che sta per prendermi tra le sue braccia dopo la lettura di trepaginetre di libro, ecco che tornano a tormentarmi. Che fare? Camomille? Sonniferi? Botte in testa?

Questo è l’ultimo tentativo che mi offro dopo 3 episodi di Gossip Girl insieme a Little Boss (dopo aver visto l’ultima stagione di Dark guardare Gossip Girl fa male al cuore: come dico sempre, cosa non si fa per amore).

L’Amico Speciale lo sto vedendo come in quarantena: mai. Domani sera sarebbe la nostra serata, ma io sabato ho il Gran Galà delle debuttanti, debutto sul palco del Ristorante, e invece della tastiera immaginaria che scrive parole sognerò bavaresi al mirtillo (che mi sono venute speciali) e mignon alle nocciole.

La piccola Boss invece è speciale come sempre: tifa per me, mi sostiene e capisce al volo quando non tira aria per chiedermi di fare gli straordinari anche a casa: si accontenta di una pizza surgelata per cena e non si lamenta se al posto delle sfoglie al cioccolato autoprodotte trova i biscotti del Mulino Bianco. Anzi, del discount. È una piccola santa. Da suo padre, il Re degli Inferi parte prima, ha preso solo gli occhi.

In questi giorni, già concitati di suo, ci ha messo il carico da undici, inondandomi di messaggi (l’ultima tranche è stata di ben 25 uno dopo l’altro) e costringendomi così a sfogarmi: dovevo parlarne con qualcuno. Ma siccome tutti quelli che mi conoscono sono arcistufi di sentire sempre le stesse cose (e anche di dirmi sempre le stesse cose) e, inoltre, ogni volta che mi manda fuori di testa io mi incazzo principalmente con me stessa e ciò non mi piace affatto, mi sono risolta per il 1522. Devo dire che ho fatto una bella scoperta. In pratica quelle donne (porette) stanno lì solo per sentire gli sfoghi di altre donne che sono troppo inette per fare la cosa giusta (come lo sono io). Ma ora so che se voglio sfogarmi e urlare che lui è un demente e che è un prepotente eccetera, posso fare 4 semplici numeri. È una cosa che devo tenere presente.

Io non so come Little possa essere così fantastica: nata da una madre inetta e un padre stronzo.

Quando si dice che la natura fa miracoli…

Adesso devo proprio andare.

Ora sono curiosa di sapere chi vincerà stanotte: le parole sulla tastiera o un’ipotetica mousse al mango?

Chi vivrà vedrà.

Un segno invisibile e mio (cit.)

post 192

 

 

 

Prefazione postfatta:

Devo dire che tutti questi ricordi sono assai poco piacevoli. Il mio masochismo sta forse buttando benzina sul fuoco? Oppure è necessario ricordare e mettere in ordine i pensieri, proprio ora che ne ho il tempo?

Scrivere non serve forse a questo, a rimettere in fila i pensieri?

La prefazione postfatta è zeppa di domande… ai posteri eccetera eccetera

 

Spesso mi fisso a pensare, ecco da dove vengono i ricordi, sono circondata da questi, qui chiusa.

Fisso il mio personale centrotavola. È qui da prima di me, anche se l’ho comprato io, un lunedì mattina all’Ikea con Ale. La mediatrice familiare (quella stronza a cui ancora vorrei tirare il collo) mi aveva detto di aspettare a dare comunicazione a Little Boss della separazione. Avrei prima dovuto: A) cercarmi un lavoro; B) cercarmi una casa; C) preparare la notizia insieme al mio ex, di comune accordo.

Ricordo come se fosse ieri il giorno in cui ho comunicato al mio ex che volevo lasciarlo (definitivamente, stavolta, niente Una pausa a casa di mia madre per una settimana, come era successo 5 anni prima). Era il primo maggio, un giorno caldo, c’era il sole. Ci siamo trovati (udite udite) fuori dal Ristorante che poi mi avrebbe assunta. Ricordo di aver preso una lattina di coca, lui una birra. Ho cercato di dirgli quello che gli ripetevo da anni (%, per l’esattezza), che non ce la facevo più, che vivere con lui era diventato impossibile, che non lo amavo più, che non c’era speranza di ricostruire un rapporto (sa solo il cielo se ho provato di tutto), che separarci era l’unica soluzione, per me, per stare bene. Quante parole buttate al vento. Lui ha solo incamerato il messaggio (ti lascio) e, se già gli stavo un po’ sulle balle anche prima, da lì ha iniziato a bruciare il suo odio.

Beh, da quel primo di maggio, grazie alla mediatrice, avrebbero dovuto passare altri 6 mesi prima che io potessi andarmene da casa sua. Ecco, di quei mesi ho dei ricordi piuttosto confusi, devo dirlo. Vivere con una persona che ti odia e che tu non ami più, nello stesso letto, mangiando alla stessa tavola. Un vero incubo. Ma dovevo tener duro, a quanto diceva la mediatrice ne andava della felicità di Little Boss. Ho tenuto duro, ho sopportato tutto (certo poi ogni tanto crollavo, ricordo una sera, già lavoravo al Ristorante, che a fine turno iniziai a piangere, così, mentre asciugavo i bicchieri; e il mio Boss era lì: imbarazzante ancora oggi a ripensarci) e alla fine, trovato il lavoro, ho trovato anche una casa: questa. L’ho trovata per caso, mentre andavo con Ale a vederne un’altra, è stata lei a indicarmi il cartello, è stata lei a dirmi: chiama. Io l’ho vista e amata, sin da subito. Certo, il mio buchetto è carino, va detto, molto curato per essere così piccolo, al tempo, per una come me (lavoro precario- il contratto sarebbe arrivato solo dopo due mesi- e zero soldi in tasca) rasentava la perfezione.

Mi mancava tutto, però, o quasi. Qui avevo i mobili (lavatrice e lavastoviglie comprese), ma tutte le mie cose, dalle coperte ai piatti, dovevo lasciarle a casa del mio ex.

Ed ecco che un lunedì mattina io e Ale siamo partite con una lista piuttosto lunga e una macchina (la mia) piuttosto piccola. La missione doveva inserirsi nello spazio della scuola di Little Boss (sempre grazie ai consigli della mediatrice).

Al reparto candele ho visto questo. Ci ho comprato tre candele da piazzarci sopra e ho infilato tutto nella borsa blu (avete fatto caso che più roba mettete in quelle borse e più roba ci va? Sembra la borsa di Mary Poppins). Siamo tornate giusto in tempo per caricare tutto e filare a scuola a prendere la piccola.

Quindi, verso settembre, avevo ormai il punto A) e il punto B). Ma mancava il punto C). Il punto C) è stata lo scoglio più grande. Ci sarebbero voluti quasi due mesi ancora. In questi due mesi ho pagato il mio affitto e venivo qui ogni tanto per sistemare. Insieme a un amico ho addirittura riverniciato le pareti (ogni stanza ha un colore diverso, non è stato facilissimo). Qualche serata l’ho passata qui con Ale (nottata, più che altro, venivamo qui alla fine del mio turno e al tempo lavoravo solo la sera). Appena aprivo la porta il profumo di quelle tre candele mi faceva sentire a casa. Era qualcosa di indiscutibilmente mio. E solo mio. Sentirsi a casa non è certo una questione di luogo, ma di sensazioni, di affetti, di emozioni. Quelle stupide candele riuscivano a darmi questo, riuscivano a farmi sentire giusta, mi davano la forza di andare avanti. Mi dicevano: siamo qui e ti aspettiamo.

Quanta forza hanno gli oggetti. Tanta quanta noi riusciamo a dargliela.

Le candele ormai sono bruciate, insieme alle mie paure (quasi tutte). Resta questo centrotavola, dove comunque infilo un incenso dietro l’altro. Mia madre dice che tutte le mie case profumano nello stesso modo. Io invece sono certa del contrario.

Qui c’è sempre profumo di buono: un segno invisibile e mio.

Sostiene Moon

post 172

 

Un piccolo omaggio blasfemo a un grandissimo scrittore a me vicino… spero mi perdoni la messa in burla. Ma sono certa che lo farà. 

 

 

Sostiene Moon che la mattina sente una canzone nella testa, I’m strong enought, che non si ricorda le parole, ma solo questo pezzetto del ritornello e se lo ripete all’infinito, nuovo mantra, per darsi forza.

Moon sostiene che la vita sta facendo la difficile, le tiene il muso, fa le bizze come una bambina viziata, ma lei, sostiene, non si farà prendere per i capelli.

Sostiene Moon che da quel cunicolo c’è già passata e che l’età a qualcosa servirà pure, diamine!, o deve solo servire a farsi dire da Little Boss che è vecchia perché non chiude le finestre sul telefonino? Moon racconta di serate troppo brevi e notti un po’ inquiete, di risvegli con il cuore che batte come un tamburo e di analisi che ancora vanno male. Ma sostiene, Moon, che nonostante tutto tiene botta, che le cose sa che si aggiusteranno. E lo sa perché, quando è in macchina, parcheggiata sotto la casa del suo ex, e le vengono in mente mille pensieri e si preoccupa per Little Boss e si preoccupa per sé e il suo futuro e le cose sembrano diventare grigie, ecco che arriva lei, Little Boss; la piccola sfodera un sorriso, le fa la linguaccia e gli occhi storti, apre la macchina e inizia a parlare come se non ci fosse un domani e deve raccontarle tutto, ma tutto tutto(avete presente la scena dei Goonies?)e poi è vero che il cervello di Moon è sovraccarico di info, ma è anche felice, felice come non mai, ha un tesoro che la accompagna giorno dopo giorno, che brilla tanto forte da riuscire a donarle un po’ di quella luce, e allora tutto, ma tutto tutto, passa in secondo piano, si rende conto che ciò che conta lei lo ha già. E dito medio a quelli che la odiano. Perché Moon sente l’oroscopo la mattina, mentre scende dal suo monticello per portare Little Boss a scuola, su RDS c’è Branco (con quella voce odiosa, diciamocelo, e quelle parole che non sanno né di me né di te) e lui dice che ci sono persone che la odiano e che riescono a metterle, anche oggi, i bastoni tra le ruote. Ma Moon, sostiene, fa il dito medio anche a Branco, e se la ride per una piccola vittoria legale: se qualcuno mi odia (non ha dubbi, Moon, che sia così, e potrebbe tranquillamente fare il nome del suo ex) io ho fatto tanto per costruire ciò che ho e è talmente solido che non riuscirà a sfondarlo, nonostante sia un Ariete. Tiè, aggiunge Moon, sostenendolo.

Moon sostiene, ancora, che le serate se ne vanno via come le noccioline all’aperitivo, tra un ripasso dell’Illuminismo (che poi Little Boss ha il compito) e la spiegazione delle subordinate, i pomeriggi scappano tra la palestra* e il circolo di lettura, tra le lezioni di chitarra e l’orientamento per le superiori, tra le due ore per il sesso, rubate, (sempre due Wal, sono intransigente, amare ha bisogno del suo tempo) e la telefonata a un amico, tra il ragù, ché ogni tanto bisogna anche cucinare, e l’impasto per i biscotti di pan di zenzero a lavoro (sì, fuori orario, ma il lavoro è anche questo, metterci passione).

Sostiene Moon che le manca la tastiera, ma che quando vede il calendario sul telefono le piglia un colpo: ci sono più pallini grigi che numeri, lì. Ci sono le elezioni per il consiglio di istituto (e che, non si propone, Moon, come presidente, visto che non lo fa nessuno?), le riunioni a scuola, gli scioperi, il dentista, le cresime…

Ma Moon sostiene anche che domenica chiappa l’Amico Speciale e lo porta a teatro. Giusto per…

Mi gonfierà il cervello?, chiede lui.

Lo spero proprio, sennò che ci andiamo a fare?, risponde Moon.

Moon sostiene che l’esproprio della tastiera è solo un momento, una cosa che finirà. Il suo Capo le dice: Come farai, poi, quando non avrai tutti questi impegni? Sentirai un gran vuoto.

Moon sostiene che lo riempirà con la scrittura.

 

ah… lascio la canzone. Eh. Il meglio sarebbe leggere ascoltando la canzone.

Manco mi piace tanto… (troppo discotecara), ma ci sta.

Ci sta.

 

 

 

 

 

Varie ed eventuali: più meno mi trovo sempre qui…

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Questo articolo ha bisogno di una prefazione postfazionata: nel senso che è una follia prefatoria, in puro stile pasoliniano, ma scritta dopo aver finito. Che poi, se ci penso, ogni prefazione è scritta dopo aver terminato la stesura, quindi è una prefazione che va bene. No?

In ogni caso ciò che tento di esprimere saltando di palo in frasca, come spesso mi accade, facendo impazzire il povero Wal, è che non lo dico spesso (ma qualche volta sì), un buon 50 per cento della motivazione che mi spinge a scrivere qui è per la mia Ale. È lei il mio lettore ideale di questo blog. È per lei che cerco di tenerlo aggiornato tanto da non farla preoccupare (anche se sa che meno scrivo più sto bene), è per lei che racconto le piccole cazzate della mia giornata. È il mio modo, spesso, di rispondere alle sue mail, alle sue bellissime mail che mi strappano lacrime, che mi tengono incollata al telefono leggendo e rileggendo. Ale, tesoro, sa solo il cielo quanto mi manchi…

La mia follia prefatoria ha bisogno di un’altra precisazione: questo articolo ha più gusto, a mio avviso, se si legge contestualmente alla canzone in appendice. Billie… quante cavolo di canzoni hai scritto e cantato che mi hanno toccato il cuore?

 

 

 

Più o meno mi trovo sempre qui: a una certa ora della sera o del mattino, con un sottofondo musicale bassissimo, giusto volto a contrastare le canzoni di Coez di Little Boss e le notifiche dei messaggi del mio ex, che si stanno intensificando in modo direttamente proporzionale alla vicinanza dell’udienza per la causa di affido. Lui urla e sbraita con la piccola, sbatte porte, le manda messaggi al limite della tollerabilità, minaccia me e lei, fa il famoso diavolo a 4, ma siccome è lui, lo fa anche a 6, ‘sto diavolo. È il classico uomo che se solo avesse le palle mi avrebbe già buttato una boccetta di acido sul viso. Meno male non ha le palle…

Ma insomma, come ho detto spesso, questi sono solo i soliti cazzi. I soliti cazzi da 5 anni, dal giorno in cui ho detto basta. E, come ho detto ieri al mio avvocato, alla fine ci sto facendo l’abitudine (come è buffo fare l’abitudine alla violenza, non è vero?) e sono comunque stranamente felice, ho tutto quello che mi serve. Ho una figlia bellissima, simpatica e intelligente, un lavoro che mi affatica sì, a volte, ma mi dà soddisfazioni e tanti sorrisi, ho un bel po’ di amici importanti, roba che non si trova facilmente, devo dire, molti di questi a volte non li nomino neanche qui, ma questo non perché non siano importanti, tutt’altro. Sono la mia rete. Ho l’Amico Speciale, ora, bello avere qualcuno che ti fa stare bene senza assecondarti, che sa come prenderti per farti sorridere anche nelle difficoltà, che poi mi chiedo come fa, lui, con una come me che manderebbe sempre tutto in tragedia, manco fossi un Eschilo o Sofocle, ma sa come pigiare i pulsanti giusti.

Insomma, povera, incasinata, ma felice.

E da oggi anche allenata. Alla fine il primo giorno di palestra è arrivato. Devo dire che un pelino di ansia lo avevo, il terrore di non riuscire a muovermi il giorno successivo aleggiava nella mia testa, già immaginavo il dolore ogni volta che alzavo un piatto o per ogni pizza infornata. Ma il ragazzo, Michele (che tra l’altro, come metà delle persone che ho visto lì, è un mio cliente; tranne una che invece è una mia collega. Quindi come stare al Ristorante… ma con più attrezzi) è stato clemente. Avevo dato un’occhiata alla mia app per sapere quanti chilometri avevo fatto a lavoro e già ero a 7 e mezzo. Ho chiesto venia, quindi, e posso quasi affermare con quasi sicurezza (quasi) che domani non avrò ripercussioni. Vabbè, domani ve lo dico.

Io e Little Boss siamo una bella squadra. Alla fine lei si è impegnata tanto e abbiamo riso tanto ed è stata una bella idea, devo dire.

È la prima volta che facciamo qualcosa insieme, mi ha detto.

Certo che potevamo iniziare con yoga, ho ribattuto.

Ma eravamo entrambe entusiaste del pomeriggio.

Forse lei avrà qualche doloretto, domani, visto che abbiamo alzato gli stessi pesi.

E poi va detto che in effetti sono uscita da lì bella rilassata.

Vediamo come va.

Una frase che dico spesso di recente, che non è nel mio stile, ma che inizia a piacermi. Quel che di imprevedibilità, quel cosa che mi fa scivolare i problemi sulle spalle, quel quando che mi dice Adesso, non domani.

Mi godo i piccoli piaceri quando posso, quando il mio carattere impossibile mi consente: una cena con Little Boss in cui ridiamo di tutto, un bacio rubato all’Amico Speciale tra un caffè e l’altro, una telefonata a un amico lontano, una foto stupida, un abbraccio inaspettato, un messaggio che mi dice Quanto sei bella, un libro di King che non avevo ancora letto, un bicchiere del mio vino preferito, una canzone dei Green day che avevo dimenticato.

Come questa:

 

 

 

 

 

Costruire

 

post 132

 

Sulla decisione di tenere aperto o meno questo blog ha pesato un breve commento di Ale, detto a bassa voce, come solo lei sa fare, che a volte è al limite dell’udibile.

Secondo me dovresti tenerlo.

E siccome io mi fido di lei, moltissimo, più che di me, le darò retta. E vediamo come va.

Sì, Wal, anche il tuo parere ha influito.

Mi sono data, come forse ho già detto, un Tempo Massimodi Lutto (TML).Il lutto lo tengo per la Morte della Speranza. Non posso permettermi di far andare avanti il lutto a oltranza, e alla fine il mio lutto è solo un vestire di nero e poco più. Ma siccome sono Programmino, come mi hanno definito in tanti, il Mentore prima di tutti, ho deciso che il lutto finirà tal giorno alla tal ora. Non durerà un anno, niente 365 giorni stavolta, niente count down, niente pianti. Diciamo che sarà qualcosa che assomiglia di più alla riservatezza. Ma una volta finito questo lutto, basta. Quello che ho capito grazie allo Shogun è che ho risolto il conflitto spazio/armadio. Ora sono pronta a provarci.

E a tal proposito l’Amico Speciale si è presentato con un mazzo di fiori (metaforico. In realtà erano lampadine, che a casa mia la spesa delle lampadine va di pari passo con la bolletta del gas in pieno inverno, sarà perché detesto il buio e appena metto un piede in casa accendo tutte le luci accendibili manco fossimo a Las Vegas), un sorriso sincero e mi ha detto: non te lo dico che ti amo, preferisco dimostrartelo. E visto tutto quello che gli ho fatto passare direi che sta facendo un buon lavoro. Ma ho messo le mani avanti, come sempre, come mi viene bene fare: avrò il mio periodo di lutto; poi vediamo che succede. Per ora siamo quello che siamo stati sempre: due persone che si vogliono bene, e scusate se è poco.

Quindi non mi resta che tuffarmi a capofitto nel lavoro, e il periodo ricomincia a fiorire. Pure troppo. Oggi forse era San Sughero, non lo so, ma il Ristornate a pranzo era strapieno, quasi fosse una domenica. E il personale ridotto, ovvio, perché in realtà era solo mercoledì. Ridotto a due, cioè: io e la cuoca. Le mie gambette hanno corso, le mie braccia hanno sfornato pizze e portato piatti alla velocità della luce, ma ho avuto anche il tempo di far due chiacchiere. Ha pranzato da me una Signora che conosco da tanto tempo, che mi ha conosciuto sposata in realtà e ora passa volentieri anche solo per salutare (e darmi laute mance, a dire il vero). La Signora è molto ricca. E lo specifico perché è del tipo che mi piace, che sa di avere tanti soldi, ma non è dimenticata di cosa vuol dire non averli. Sono queste le persone che mi piacciono, quelle che non ti fanno sentire mai una serva solo perché porti loro i piatti. E fidatevi: dell’altra categoria il mondo è pieno. Insomma, tra una chiacchiera e l’altra, la Signora mi chiede di Little Boss, che ha visto nascere. Ha quasi 13 anni, le dico, ormai è una signorina. Lei mi guarda e chiede: ma ti sei risposata?La risposta che mi viene di solito in automatico in queste occasioni è: ma che, mi credi scema? Ma chi me lo fa fare, sono così felice e libera ora, un uomo? No, grazie, ho già dato, di figli ne ho già, certo, ho qualcuno, non sono una suora, ma una relazione…

Ma stavolta ho risposto: non ancora. Forse in un futuro, non lo so.

Lei ha sorriso e ha detto:ho sempre pensato che meritassi di meglio.

Già. Frase standard di chi conosce me e il mio ex. Se avessi un euro per ogni volta che me lo hanno detto forse sarei ricca. Eravate una coppia squilibrata(che così pare pure la verità); non eravate fatti l’uno per l’altra; tu sei così intelligente; è stata una fortuna per te lasciarlo; la famiglia del tuo ex ha qualcosa che non va; non so come hai fatto a sopportare per tanti anni; ti vedo rinata; finalmente hai ricominciato a sorridere. Vabbè, ho un sacco pieno di queste frasi che si sono accumulate in quasi 4 anni. Sono certa che a lui dicano lo stesso. Ma che io meriti di meglio, mah, chi lo sa, alla fine ognuno non ha ciò che si merita? Mia sorella continua a dirmi che nella vita mi sono lasciata scappare tante occasioni. Io alla fine ho avuto tante cose belle, e siccome non sono ancora alla resa dei conti, voglio credere che ci siano ancora tante occasioni per me.

In sintesi: barcollo, ma non mollo.

Oppure Se mi rilasso, collasso.

O ancora: nel mezzo c’è tutto il resto, e tutto il resto è giorno dopo giorno.

La canzone sceglietela voi.

Io ho scelto la mia…

Riuscire a vedere la bellezza

post 120

 

 

La giornata odierna è iniziata nei peggiori dei modi, con una velata minaccia del mio ex, Non la passerai liscia, che non so perché ma ha innescato tutta una serie di pensieri negativi terribili e odiosi rivolti a me, soprattutto, su come io mi senta un po’ come la Maga Magò della Spada della roccia, avete presente quando tocca il fiorellino e quello si incenerisce? Ecco, a volte mi sembra di essere questo. Ma certo, non è che invento tutto tutto, non sono solo seghe mentali venute dal nulla, è roba che mi viene detta e ripetuta spesso. Certo, mi viene detta dai miei haters, ma solo il fatto che io ne abbia più di uno non è perlomeno strano? Lo Shogun mi dice che in effetti passo pure per occhio, non sono in politica, non sono iscritta ad associazioni strane, tipo archeosofica (che manco so cosa sia, ma so che c’è) o massoneria, non vado a bere l’aperitivo al bar come abitudine, non mi metto a ballare per la strada, quando arrivo a casa di solito scendo dall’auto e entro (veloce) in casa e lì resto fino al mattino dopo, tengo la musica e la tv bassa negli orari proibiti… insomma non rompo le balle a nessuno. Mi pare. Però respiro. E penso. Anche se nei social non ostento quasi mai pensieri forti o decisi, per scelta (i social mi servono per il lavoro non pagato e, a volte, per quello pagato). Forse, dico, faccio pensieri rumorosi…

In ogni caso, il turbine di pensieri negativi mi ha portato anche a piangere sulla frolla versata, cioè, sulla frolla impastata per i dessert di domani, che come sapete è Pasqua e quindi si lavora come schegge impazzite. E il mio capo mi ha guardata e mi ha detto: non ci perdere energie, per quello stronzo. Ma io piangevo per quella stronza di me. E questo non l’ho detto.

Ma si sa… a volte le giornate cambiano. E stavolta è stata Little Boss a dare la svolta decisiva. Perché, nonostante un messaggio inquietante di suo padre ricevuto alle 2 di notte, lei è sempre allegra, positiva, distaccata (sì, lo so, meglio che scriva sempre apparentemente) e con tanta voglia di vivere. E allora mi sono lasciata trasportare dalla sua onda, mi ha presa proprio per mano, letteralmente, e mi ha portata a giocare. Il gioco è Geo caching , il suo nuovo trip. Per le spiegazioni vi mando qui.

E quindi oggi abbiamo approfittato del sole pieno, dei 23 gradi, ci siamo immerse nella natura (farlo, qui da me, è semplicissimo, basta farsi due metri oltre un qualsiasi paesello), abbiamo passeggiato in boschi, giardini, stradine, punti panoramici, e abbiamo cercato le sue scatoline(non ditele che le chiamo così).

Due su tre i ritrovamenti. Ma si sa che non è mai l’arrivo, ma il viaggio. E il viaggio è stato dannatamente divertente. Un po’ perché io, con Little Boss, mi diverto sempre tanto, mi tira fuori la parte bambina si vede, ma spiritosa e intelligente lo è davvero, insomma è sul serio una bella compagnia.

E dopo tutto questo camminare, scavare, cercare in posti tanto belli che fatico ancora ad abituarmici il risultato è stato che i pensieri negativi sono tornati nel buco dal quale erano usciti. Quasi del tutto. E sono stanca (metteteci anche il lavoro) e i piedi mi fanno tanto male che sto scalza per riprendere contatto con la terra, ma il cuore mi fa molto meno male.

E poi Little Boss ama David Gilmour e alziamo a palla tutte le canzoni in macchina e una volta tornata a casa mi lascia scrivere e… ora devo andare. Devo portarla da suo padre. E anche se stasera sarò sola (e non lo sono spesso, ormai, di sera) ho un’altra cosa da attendere e alla fine la bellezza c’è davvero. In mezzo a tanta merda (sterco, direbbe la mia collega) c’è pura bellezza. Allora dicevo bene, anni fa: ognuno deve spalare la propria per riuscire a vedere la bellezza.

Illusione…

post 30

Io per scrivere uso il Courier. Ho rubato questo carattere al Mentore e non ne ho potuto più fare a meno. Mi ricorda la typewriter, come mi disse una volta l’insegnante di inglese all’università. Adoro la macchina da scrivere, forse perché è lì che ho cominciato a muovere i primi passi, o forse solo perché sono una fanatica del vintage.

TDL si lamentava sempre del Courier. Non lo leggo bene, diceva. Ma non l’ho cambiato. Mai. Una sorta di piccola ripicca personale, qualcosa del tipo: ehi, guarda che io, per te, non voglio cambiare nulla della mia vita. Ed è andata a finire che invece, la vita me l’ha stravolta… e nemmeno so come ha fatto. 

È che rifletto su un articolo che ho letto qui. Questo articolo. Il blog di Viviana Chinello mi piace, sono sempre stata affascinata dalla mente umana e la psicologia a volte mi ha dato una mano a capire, a indagare. La pragmatica della comunicazione, ad esempio: non farebbe male a nessuno darci un’occhiata.

Ma divago, come sempre. Dicevo dell’articolo. Amare una persona o illusione?

La fase dell’innamoramento può provare seri danni, scrive. Ci rende ciechi, ci fa vedere una persona diversa da quella che abbiamo davanti. La realtà è adulterata dalle nostre emozioni, aspettative e illusioni. 

Ecco, nulla che io non sapessi già, credo di averci riflettuto moltissimo e prima di scrivere qui ne ho scritto per mesi nelle Pagine del Mattino, un quaderno dove ho vomitato parole per mesi prima di conoscere TDL. Dopo un matrimonio andato a carte quarantotto mi sono costruita il mio piccolo muro di cinta, cercando di tenere fuori un po’ tutti, amici compresi. Come se avessi bisogno, in un certo senso, di leccarmi le ferite prima di mostrarmi di nuovo al mondo. E il mio leccarmi le ferite era un Non hai fatto nulla di male, non sei quello che dice il to ex, hai migliorato la tua vita, quella di tua figlia, hai preso la Decisione Giusta. È solo ora che inizio a pensarla davvero così. Ho preso la Decisione Giusta, lasciandolo, mentre finora mi sono detta che non avevo altra scelta. Che non è la stessa cosa. 

Ma torniamo alla fase dell’innamoramento. Credo ormai di aver capito molte cose del mio matrimonio, ma la fase dell’innamoramento, quella cecità assoluta, con il mio ex non l’ho mai passata. La sto decisamente passando con il Tizio della Luna. E questo mi riporta all’illusione. Ovvero, mi sono solo illusa che lui fosse quello giusto? Era solo un’illusione, non realtà, quello che eravamo? Quello che ancora dice che siamo? Due persone che saranno comunque legate per sempre? Non ho voluto vederli, i suoi difetti? Non l’ho mia visto per quello che è? 

Ecco, oggi, pensandoci, mi sa che è vero, che non ho visto. Ho voluto ascoltare le sue dolci parole, ho voluto vivere nei sogni, mi sono sottratta alla realtà, ho voluto cedere all’inganno. 

La realtà me la vado ripetendo da giorni, ormai: lui non ti ama, dimenticalo. Lascialo perdere e fai in modo che lui ti lasci perdere, sopratutto, che la smetta di giocare con te. 

Sono solo un giocattolo per sopperire alla monotonia della sua vita. 

Forse, scriverlo, scriverlo anche qui, me lo farà entrare in testa più velocemente. Forse posso scontarmi altri giorni. Forse questo blog finirà prima del previsto. 

Certo.

Ma con l’amaro in bocca.