L’ordinario in un mondo straordinario

Praticamente ogni giorno penso al carattere straordinario di questo lungo periodo.

Dal più banale non essere a lavoro (una cosa che mi qualifica come persona, non tanto il lavoro che faccio, ma lavorare in sé per sé, non ricordo di aver mai passato del tempo a non lavorare, forse quando Little era appena nata, ma in ogni caso mi davo da fare tutto il giorno), alle mascherine obbligatorie per uscire che puzzano e non mi fanno respirare; dal deserto in mezzo alla strada alla fila al supermercato; dalla cassa integrazione 8che chissà come/quando arriverò) ai buoni spesa (come sopra); dalle più simpatiche videochiamate in gruppo su Whatsapp (sulle videochiamate ho letto un pezzo di Wallace in Infinite Jest che se non fosse lunghissimo dovrei riportare…ma ne trovate molti pezzi in giro, anche qui per esempio)ai miliardi di messaggi con: foto, video, link…tutti o quasi inutili (anche se sporadicamente divertenti); dai quintali di tv che mi ingurgito ogni giorno( spesso con Little, il che è consolante: vi rinvio al pezzo in cui non amo guardare la tv da sola) alla voglia matta che ho di mettere il naso fuori per farmi due passi (e questo sì che è straordinario, io detesto l’attività fisica, ma ora che non ne faccio mai sento che il mio corpo ne avrebbe bisogno).

E poi invece mi fermo a riflettere sull’ordinarietà delle mie giornate, fatte sempre della stessa pasta. Riscaldata, a volte. La sveglia prima della sveglia, la colazione a Little Boss, la lettura delle ultime notizie (sia mai che mettano un altro foglio per l’autocertificazione e l’ignoranza non paga, anzi, spende), una telefonata (spesso due, facciamo tre), un’ora di potenziamento di inglese, un po’ di libro, la tv, due parole con Little su quanto è figo Tizio oggi, Caio domani, Sempronio dopodomani… e poi la cucina. Passo giorni in cui anche versare l’insalata già lavata nel piatto e condirla mi fa fatica e giorni in cui mi metto a tirare la sfoglia a mano per fare le tagliatelle, giorni in cui i bastoncini Findus sono anche troppo complicati e altri dove faccio la pizza “senza fretta” (non è una definizione mia) che deve lievitare prima 12 ore e poi altre 6, prolungando ad oltranza il mio senso del compiuto.

Ho la bizzarra sensazione di essere bipolare, dove varie me coesistono e si scontrano durante la giornata, ingaggiando una dura lotta per la sopravvivenza.

In un mondo straordinario, l’ordinario mi arriva alle spalle e mi distrugge, mi frammenta.

Pezzi di me si attaccano ovunque, in attesa che li spolveri, cadendo giù e riprendendo vigore e via da capo, in un infinito girotondo.