
La mia gestione di questo blog è alquanto squilibrata. Nessun articolo per giorni e giorni e poi due di fila. So che non si fa così, che dovrei cadenzarli, ma io mi sento piena di libertà, qui, quindi me ne sbatto.
O meglio, me ne sbatticchio.
Dopo aver incontrato, per caso, durante la bellissima iniziativa del mio piccolo comune di pagare la metà dei libri comprati sotto l’albero, Vera Gheno. Non l’ho incontrata dal vivo (avrei potuto se solo fossi andata il giorno prima, ma si vede prima dovevo leggerla e poi allora vorrò vederla e ascoltarla), ma ho incontrato, con enorme piacere, i suoi libri. Per ora due, Potere alle parole e Le ragioni del dubbio. Ma dubito (ho imparato subito, visto?)che resteranno da soli sullo scaffale della libreria.
Era tanto che non provavo entusiasmo per un libro. Mi ha ricordato il buon vecchio D.F. Wallace che in effetti cita a profusione.
Ma i contenuti mi hanno fatto vacillare alquanto.
Leggendola mi sembra di dover camminare sulle uova ogni volta che prendo la penna in mano. Io, che qui sono la regista del mio piccolo mondo lunare, che scrivo non correggendo i refusi, che improvviso, che butto qui e là acronimi incomprensibili e neologismi improbabili, che, insomma, sono una scrittrice confusionaria, mi sono sentita colpita nel vivo. Sebbene io creda di essere comprensibile ai più, il dubbio, che finora avevo ignorato, mi morde le caviglie.
E quindi ecco che torno, grazie a Vera, alla mia elletta Pragmatica della comunicazione, che tanto mi aveva dato ai tempi del caro Watzlavick. Ma oggi arriva a gamba tesa Grice (Herbert Paul), di cui ignoravo l’esistenza. Il che mi fa riflettere sulla marea di cose che ancora non so e mi sgomento perché so che non riuscirò mai a colmare un cavolo, sono troppe e io non ho la capacità cerebrale (complice il mononeurone) per contenere tutto. Già contengo moltitudini, citando Walt, non Disney, ma Whitman, e qui lo spazio non è accogliente.
Comunque, tornando a bomba, ci sono quattro massime conversazionali enunciate da Grice. Le analizzerò con voi e le riferirò al Moon World.
- La massima del modo. Ovvero, ricerca la maggior chiarezza possibile, trova la parola giusta, un po’ come fa fare Murakami a tre quarti dei suoi personaggi (che sono gli unici che hanno il tempo di star lì a cercare le parole giuste prima di parlare: a voi capita mai? A me di rado. Al limite se mi viene un attacco di afasia). Beh, ne ho già parlato: uso acronimi senza ragione (TDL, AS, per esempio), sono prolifica di forestierismi non necessari, uso a volte parole desuete (ma lo faccio per amore, non per posizionarmi). Scelgo le parole come faccio i sorpassi: a istinto. Quindi? Bocciata!
- Massima della relazione. Occorre imparare a stare sul pezzo, a non scrivere strabordando. Occorre selezionare ciò che serve e ciò che non serve. L’unica inerenza che vedo nei miei scritti è quella che sono usciti dalle mie dita… Bocciata!
- Massima della quantità. Forse mi salvo, almeno un po’? non essere né troppo stringati né troppo prolissi. Una giusta via di mezzo. Beh, se ci rientro è un caso. Riesco a concentrarmi al massimo per due paginette. Poi mollo. Una mezza vittoria? Mah…
- La massima della qualità. Ovvero Sii sincero. Credevo di vincere almeno sul punto quattro. Ma poi, pochi giorni fa, ho parlato con il Mentore (vi rimando qui se non ve lo ricordate, perché non lo vedevo e sentivo da tanto). E lui mi dice: Moon, manchi di sincerità nel tuo blog, devi rompere il vetro. Non sei tu, continua. Vero. Questo blog è solo una parte di me. Me differenti per momenti differenti. La totale sincerità è possibile? In ogni parte della giornata e della vita? Dove con Sincerità non si deve leggere banalmente dire o non dire bugie. Cosa significa essere se stessi? Cosa significa rompere il vetro? Dirvi il mio nome e cognome? Il mio profilo social? O farvi vedere anche tutti gli altri lati di me, anche quelli più oscuri? Oppure scrivere qui, per me, è come darmi una visione di ciò che vorrei essere sempre e non solo quell’oretta che mi metto a pesticciare sulla tastiera? Questa è una versione edulcorata di me o la versione che voglio disegnarmi?
Se io fossi una brava comunicatrice, una Grice-comunicatrice direi, mi capireste di più. Ma soprattutto, io mi capirei di più? Non è che manco di comunicazione interiore, fallisco alla fonte, quindi? Non mi so comunicare?
Non mi faccio queste domande a caso. Sono frustrata a livello comunicativo di recente. Forse perché parlo molto ( o provo a parlare) con il mio collega Osaro, che ancora non sa l’italiano e non capisce un tubo; parlo con mio padre che dopo una visita geriatrica ammette: non c’ho capito un tubo di quello che ha detto; parlo con la badante nigeriana di mio padre che, anche se l’italiano lo sa, a volte qualcosa gli sfugge. Mi manca essere capita al volo, mi manca la facilità. E quindi non vorrei farlo a nessuno, questo torto: essere contorta.
Ma mi piace così tanto giocare con le parole…
Magari il corso della Holden mi farà, tra le altre cose, tornare in carreggiata.
O magari posso rinunciare a essere una Grice-comunicatrice e mettermi nell’angolo, dietro la lavagna, sopra i ceci. Rinunciando all’idea di aver fatto il mio dovere a livello comunicativo, ovvero di sviluppare circostanze che sono utili per l’altro. La grande legge che regola la vita nel cosmo è quella della collaborazione tra tutti gli esseri viventi, scrive Roberta Covelli.
Con questo articolo ho fallito anche la massima numero 3: bocciata! Sto arrivando!