Alessa

Nel dì di festa…

Mi alzo controvoglia alle sette e mezzo, ben due ore e mezzo dopo la mia sveglia abituale. Nonostante ciò le gambe sembrano stones, la schiena non vuole raddrizzarsi, sotto gli occhi ho due Fosse delle Marianne. 

Prendo il mio caffè con latte di soia, ingurgito l’integratore che assomiglia a una sostanza con dentro la criptonite e mi sento un po’ meglio. Giusto due minuti due. Poi il cervello si attiva, si ricorda quello che deve fare in giornata e allora ciao, vorrei tornare dritta dritta a letto.

E vabbè, invece mi vesto, indosso semi compiaciuta i jeans che non stavano più dal pre-lockdown, esco senza essere del tutto preparata al freddo e me ne vado nella città del mare da mio padre (mi sono ricordata questo post… e ora tutto sembra chiaro. O quasi). Mentre guido mi ripeto gli obiettivi del giorno: portare scatole per trasloco, chiamare la sua dottoressa per riferire dati della pressione, recuperare e inviare i documenti per il nuovo contratto di affitto e…convincerlo a mettersi un pannolone per anziani. 

Arrivo alle nove e mezzo e alle dieci e mezzo ho già fatto tutto, compreso il convincimento. Mi guardo allo specchio del suo bagno (che ho appena pulito per onore alla decenza) e mi dico: ci sei, Moon, oggi è andata bene. Soddisfatta di me per un Serenity extralarge.

Torno giusto per prendere Little a scuola (che a scuola non era perché sciopero) e poi a casa. Perché nel pomeriggio devo fare il cambio dell’armadio, chiamare di nuovo la dottoressa di mio padre, organizzare con mia madre la cena per il mio compleanno… e poi arriva lei. Arriva Alexa.

L’amore tra me e questo gioco per adulti (non chiamiamolo in altri modi, è così e basta: è un gioco) inizia mesi fa a casa di mia sorella. Lei e le mie nipotine la chiamano per ogni cavolata: Alexa, metti le luci rosse; Alexa, fammi sentire Nella vecchia fattoria; Alexa, di che colore era il cavallo bianco di Napoleone?E via discorrendo. 

Nonostante ciò immagino le sue potenzialità. Alexa, accendi la lavatrice; Alexa, fammi vedere cosa succede nel mio soggiorno. E poi sì, anche, Alexa, metti la mia compilation preferita su Spoty

Ma è solo negli ultimi giorni che Alexa è tornata nel mio cuore, quando la FDC l’ha portata al laboratorio di pasticceria per il mio Capo. 

Ora. Il mio Capo spesso le urla contro: ALEXA, DIMMI LA FREQUENZA DI RMC! Come se Alexa fosse il vecchietto sordo che l’altra mattina, quando l’ho visto sedersi al tavolo e gli ho chiesto se avesse il Green Pass mi ha risposto: sì, grazie, un caffè macchiato. Misteri dell’udito.

Comunque, l’Alexa del lavoro è chiamatissima. Anche Osaro, il mio collega nigeriano, a volte prova a chiamarla. Solo che la X non gli viene. Alessa, fa lui. Alessa!!! E lei zitta. Lui mi guarda, fa spallucce. Alessa no funziona, dice(il suo italiano è quasi come il mio nigeriano, va detto, nonostante i millemila corsi di lingua che frequenta. Ciò mi spinge a dire: ma chi li fa, questi corsi???)

L’altro giorno Osaro ha visto due mosche, una sopra all’altra. Mi batte su una spalla e mi fa: Moon, pure mosca ha fidanzata! Perché io no fidanzata? Così il mio Capo ha chiesto a Alexa: Alexa, lo vuoi Osaro come fidanzato? Lei ha risposto: sono felicemente single, grazie. 

Povero Os… nessuna speranza! Va detto che il ragazzo è bello, ma pretenzioso: la vuole bianca (no nera, perché io no nero– see, ok, Os, se ti copri con tutta la farina della pizzeria, forse-), la vuole giovane e bella, intelligente, italiana, che lavora…

Eh, gli faccio io, se la vuoi italiana sarà meglio che lo impari, prima, l’italiano, no? 

Ma se è intelligente, mi risponde, studia e impara inglese, come te. 

Pinato*, gli rispondo.

Pentolina, mi dice lui (perché ogni tanto borbotto)

Intanto abbiamo raggiunto il compromesso. Lui continua a dire le cose in inglese anche al mio Capo e se lei non lo capisce invita Alexa a fare da traduttrice.

Un interprete come un altro…

*in gergo: duro come le pigne (o pine, in toscano) verdi

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