Un baule pieno di gente

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Di questo pomeriggio avevo proprio bisogno, questa settimana. 

Dopo il tentativo fallito di staccare la spina con la superficialità, oggi ho trovato il mio modo. 

Che in effetti ci voleva poco, per capirlo, Moon… (ho letto in giro che parlare a se stesso in terza persona tende a calmare l’ansia). 

Un pomeriggio di solitudine. 

Che poi è capitato del tutto casualmente, visto che in realtà avevo un appuntamento con un amico che è stato candidato allo Strega per festeggiare. Ma l’amico si è bloccato con la schiena e, sebbene avessi una certa curiosità di sapere i dettagli, cosa ne pensava eccetera, è stato un bene (per me, ovvio, per lui no, affatto. Come ha detto lui, forse è il colpo dello Strega). 

E così ho tutto il tempo per fermarmi, oggi, riflettere senza ansia, ascoltando una compilation acustica (sono proprio stressata se preferisco questa roba agli Offspring) e scrivendo. 

Mi preoccupa ancora l’Amico Speciale. Sebbene ora pare che l’abbia presa bene, dopo svariati ripensamenti (Devo starti lontano per un po’. Ok. Voglio far parte della tua vita. Ok), in realtà ho l’impressione che mi stia tallonando per farmi cambiare idea. Anche se, ovvio, dice tutto il contrario. E quindi sono messaggi, telefonate, mi aspetta quando esco da lavoro per fumare una sigaretta, mi chiede di accompagnarlo a prendere l’auto nuova, mi offre caffè. Non che la cosa mi dispiaccia o mi dia fastidio, solo che la vedo come sospetta. E quindi sto con le orecchie dritte. 

E poi c’è il famoso racconto che, sebbene abbia finito, devo correggere. E allora ieri ho mandato un messaggio: non lo voglio finire, scrivo. Ma è finito, risponde l’Amico Scrittore (che mi ha coinvolto nel progetto). 

Il fatto è che non trovo il significato in quello che sto facendo. Credo che il punto sia tutto lì. Non so dove voglio arrivare, con la scrittura, penso al mio amico candidato allo Strega con il suo romanzo (che non mi piace) e alle case editrici, e ai profitti, e alle mode, e poi penso che io voglio scrivere quello che mi pare, voglio che la scrittura abbia un senso nella mia vita, e non posso dargli un senso con i soldi, con le pubblicazioni, voglio che quello che scrivo abbia un senso per me. 

Voglio arrivare a conoscere la verità attraverso la mia penna, come diceva Norman Mailer (più o meno, eh, la citazione non è esatta). E non lo sto facendo. Non più. Oh, l’ho fatto. Eccome. E ho scoperto un sacco di cose di me, attraverso i miei racconti. Ma ora invece sto solo imitando me stessa. Sono la mia brutta copia. E lo leggo, è evidente. E mi infastidisco. 

Ed ecco perché mi sembra di aver fatto un compitino e non di aver scritto un racconto. E mi sono delusa. E forse sì, lo finirò, tenterò di dargli una forma corretta, ma non sarà per me, sarà per altro, per altri. 

È che la scrittura, come la voglio io, deve nascere da una parte che non ha a che fare solo con il cervello. Non può essere programmata. Non può essere piena di paletti. Nasce da una necessità. La mia, di scrivere. 

E questo credo sia il manifesto del mio fallimento come scrittrice. 

Ma nonostante la parola fallimento abbia una connotazione negativa, non gliela do, in questo caso. 

Il fatto che sia una scrittrice fallita non significa che magari abbia scritto, in passato,  o che scriverò, in futuro,  qualcosa di bello. 

Magari quando sarò morta Little Boss troverà Un baule pieno di gente

27 pensieri riguardo “Un baule pieno di gente

          1. Per dire che il tuo manifesto non fa di te una scrittrice fallita.
            Scrivere per se stessi non è un ragionamento sbagliato, anche se poi magari ad altri non interessa quello che scrivi, quindi non vendi.
            L’ostacolo maggiore (quello che poi porta a fallire) deriva dal mercato e da quella (grande) fetta di lettori che richiede libri con contenuti di bassa qualità, prodotti apposta per compiacere chi compra.

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          2. Conosci la vita delle Woolf? lei. Lei era una scrittrice. Eppure pubblicava perché suo marito le aveva regalato una casa editrice (più o meno). ma lei pensava da scrittrice. E lo era

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          3. Oh, beh. Certo. Fallire per me non è fallire. Nel senso che fallisco agli occhi di chi vede questa cosa come qualcosa che possa darmi dei soldi. E sono tantissimi. Tantissimi.
            Ma il vero fallimento per me è non trovare la strada.
            Cavolo. L’ho realizzato solo ora, scrivendolo a te. ora.
            Ecco. quello che mi fa stare male è che non trovo la strada, ora.
            Grazie Vittorio di avermici fatto arrivare 🙂

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    1. Lo so Giuliana. Ma resta un fatto importante un po’ sottovalutato: non si scrive per se stessi e basta. nemmeno io qui lo faccio… Un altro conflitto… uff…i miei conflitti mi sono venuti a noia!

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      1. Ma no cara! Se non c’è riscontro per quello che scriviamo rimane una cosa morta! È normale condividere per capire se quello che scriviamo arriva agli altri e quindi ha un senso, un valore.

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  1. Tu continua a scrivere sempre e comunque quello che ti dice il cuore , quello che hai dentro, scrivi sempre, fa male tenersi dentro le parole, e vedrai che un giorno arriverà qualcuno che saprà leggere dentro alle tue parole, al tuo scrivere e ti apprezzerà 😘😘❤️❤️ sei brava 😍

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  2. Non vorrei fare il cinico della situazione, ma se non sei un giornalista affermato, un attore, un deejay, un cantante, un politico, un personaggio televisivo, un calciatore, uno sportivo (che è diverso da calciatore) o una merda qualsiasi che ha dato il culo in qualche programma TV per idioti (tra cui a volte mi ci metto anch’io), non pubblicherai mai un libro, neanche fosse un capolavoro…
    Non so a quale categoria appartenga il tuo amico, mi scuso con lui a priori (che comunque bisogna tenersi buoni tutti).
    E, tra l’altro, se quello che scrivi ti piace, allora devi esserne fiera, che piaccia ad altri oppure no. Se non ti piace, non so, prova a dipingere..
    Scusa lo sfogo, è un periodo così…

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  3. Ad un certo punto della loro carriera (ero un grande fan) gli U2 dissero qualcosa di simile. Non possiamo fare le cover di noi stessi. Le cover e le imitazioni degli U2 le faranno gli altri…

    Alla fine però, secondo me, non è andata così, da Zooropa in poi.

    Però in quel momento di lucidità e, credo, di scarsa necessità economica, mi sono sembrati onesti.

    Io in realtà poi ho preferito considerare i Coldplay, per un po’, il mio prosieguo ideale degli U2 “giusti”.

    Quindi? Sei in buona compagnia.

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