Questioni di linguaggio

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Stavo passando lo straccio in pasticceria, oggi. Forse potrebbe non sembrare importante questo dettaglio, ma invece lo è, perché se c’è un attimo di respiro nel mio lavoro è quando compio i gesti ripetitivi, e se c’è un attimo di respiro io penso. Spesso penso a caso, spesso mi faccio venire l’ansia per le cose più stupide, ma oggi pensavo al linguaggio.

Tutto è nato da un piccolo screzio (bonario, certo) che ho avuto con il mio collega giovane, Micro(bo). Il mio collega giovane ama musica inascoltabile. Lui dice lo stesso, ma è meno diplomatico e afferma che non ci capisco un cazzo. E così Nostalgia ci offre spunti continui per continuare a battibeccarci. La cosa prosegue anche fuori dal lavoro (io cerco di dargli lezioni, una Guida all’educazione musicale, soprattutto dopo che, avendo ascoltato una canzone dei Doors, ha detto: a qualcuno sta suonando un telefono?Era il pezzo strumentale di Light my fire…). E insomma, l’altra sera io ho azzardato un Lou Reed e lui ha risposto con… Mengoni. E siccome il patto è che la canzone va ascoltata, io l’ho ascoltata. E il testo è la cosa più banale che ci sia. Di una banalità scandalosa. Pure la melodia secondo me lascia il tempo che trova, ma visto che lui si bea del fatto che ascolta musica italiana soprattutto per il testo (non sa l’inglese, povero cristo), beh, ecco, il testo di Essere umani fa venire i brividi di banalità. Esisteranno dei brividi di banalità? Forse li ha creati Mengoni con quella canzone.

Ma il punto non è il linguaggio di Mengoni, ma il mio. Perché lui mi ha chiesto spiegazioni. E io gli ho dato una Moon spiegazione: questo testo non mi aggiunge nulla, non fa Moon+1, dice cose che hanno già detto in milioni, ma con disonestà intellettuale, perché perlomeno Ti amodi Tozzi non finge di avere un impegno sociale, non finge di avere un significato nascosto sotto al guerriero di carta igienica, è un (voluto, spero) nonsensefatto di immagini, mentre il testo di Mengoni finge di voler dire qualcosa di impegnato.

E qui l’ho perso. Per minuti buoni. E poi mi ha scritto: io mica ti capisco, sai, quando parli

E lo so, che non mi capisci, Micro(bo). E nemmeno sei il solo.

Nel senso, intendiamoci, non è che non sono capace di fare una sana conversazione metereologica (Oggi è freddo, eh? Ma sì, il termometro fa meno 9!, Beata l’estate. Io preferisco l’inverno, basta che non nevichi, e roba del genere), dopotutto lavoro al pubblico e va da sé che non mi metto a parlare dell’onestà intellettuale di Mengoni con i miei clienti. Solo che ci sono delle volte che sento il bisogno di potermi esprimere come sono. Di essere me anche nel linguaggio. Non sono certo la prima che si pone il problema del linguaggio, ovvio, Pasolini ci ha centrato la sua poetica (altrimenti non si spiegherebbero le dannate poesie in friulano), solo che il linguaggio del quale parlo è il mio. È il linguaggio del Moonverso, che risponde Rogerinvece di Ok, che utilizza termini desueti per non farli sentire soli e abbandonati (è proprio una questione filologica, dove filologico lo intendo al pari di filantropico, ma con le parole al posto degli uomini), che cita in latino perché ci è abituata. Perché io parlo così, a me. Mi parlo citando, mi parlo neologizzando, mi parlo rielaborando le parole. Solo che poi la gente, giustamente, non mi capisce.

Quindi forse il mio è un problema di linguaggio condiviso. Ma nel senso che non so con chi condividerlo, appunto. Forse è anche per questo che preferisco scrivere, specialmente qui: della serie, che mi capiate o no, mica siete obbligati a leggere. Non mi capite, passate avanti. Questo fa già di me una scrittrice fallita, perché è nella definizione perlomenola comprensione, ma non me ne preoccupo perché ho maniavantizzato nel nome del blog. In ogni caso mi preoccupa dovermi frenare, cioè, dover modulare il mio linguaggio con alcune persone che mi stanno accanto.

Ma ovvio. Ovvio. Ci sono persone che mi capiscono eccome. Che è una questione di conoscenza (di me) e basta. Ad esempio mia figlia mi capisce sempre al volo. E non è la sola.

Ma mi chiedo quanto sia giusto far fatica per capirmi.

87 pensieri riguardo “Questioni di linguaggio

          1. Allora dirò che ogni cd di Marco Mengoni dovrebbe essere accompagnato da un sacchetto di prugne e una scatola di Imodium che non si sa mai.

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          2. Nononò, non è così che funziona! Tu devi fare così: ti prendi il suo disco e lo lasci lì. Poi quando capita – che prima o poi capita a tutti – il periodo in cui proprio non viene, passa un giorno, ne passano due, cominci a stare male, ad essere nervoso e irritabile, allora ti ascolti il MM una volta, due nei casi ostinati, e ti liberi.
            NOTA: si raccomanda di non superare le dosi indicate.

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          3. E se il tappo non stappa si può aggiungere a ciò – ma SOLO IN CASI ECCEZIONALI e per non più di 4 secondi – una canzone qualunque del duo Ermal Meta/Fabrizio Moro. Fatto questo non ci sarà più bisogno nemmeno dell’autospurgo.

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    1. Sì, per la musica è proprio … peggio di mia figlia. Lei perlomeno ha 12 anni e può ancora trovare il tempo di vergognarsi quando sarà grande delle pessime scelte musicali di ora… e poi Little boss ama tutti i grandi, è molto ben educata. Cade nelle mode alla Alvaro Soler, ma poi ascolta anche Cash…

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  1. Hai distrutto il povero Mengoni e non è giusto per tanti altri, ma tanti tanti, che si sentiranno esclusi 😁. Ma la musica è tutta bella, più o meno. L’orecchio va educato, come il gusto per il cibo o per l’accostamento dei colori, per l’arte. Non tutti hanno avuto questa possibilità e credo sia un po’ ingiusto colpevolizzarli.

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    1. Non voglio colpevolizzare il mio Micro(bo) , ma fargli capire la differenza tra un banalissimo Fellini e la pubblicità del Kinder Bueno (musicalmente parlando). Perché Micro(bo) è sveglio. Un ragazzo davvero in gamba. Il classico Intelligente ma non si applica . O non è consono all’applicazione (qualcosa del genere)

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  2. Il linguaggio si è ridotto all’osso, nessuno capisce più nessuno perché tutti stanno perdendo l’abitudine a leggere e riflettere. Cose normali che ci hanno insegnato a scuola ma che oggi non insegnano più. E poi cosa devono capire con il cellulare sempre nelle mani? Oddio Mengoni… No comment!

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  3. In questo articolo c’è tutto: ironia, autoironia e, soprattutto, l’espressione del bisogno di condividere idee, pensieri e saperi con il presupposto dello scambio e non delle posizioni arroccate.
    Spesso vivo il tuo stesso disagio, quindi ti capisco, caspita se ti capisco! Un saluto.

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  4. Scherzo eh, io ti capisco… ti capisco? sì, dai, cioè… basta che non fai troppe citazioni… che se mi spari un Pasolini… ti rispondo con un 883:
    “non me la menare, non capisco cosa vuoi, tanto lo sapevi che non sono come voi…”
    😉
    🙂

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    1. Il punto Wal non è chi ha detto cosa, ma cosa ha detto. Se una cosa io la trovo vera, e l’ha detta qualcuno prima, io la uso perché è vera, non perché l’ha detta Qualcuno. Nel caso specifico della citazione, conta la citazione, non il citato. Potrei anche non dire chi l’ha detto, potrei non saperlo, non ricordarlo (che lo so o me lo ricordo è solo un incidente), ma quello che conta per me è ciò che ha detto.
      in ogni caso : “non me la menare, non capisco cosa vuoi, tanto lo sapevi che non ERO come voi”: perché io, gli 883, li so tutti…

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  5. Eppure sarebbe bellissimo sai. Dico, sarebbe bellissimo se di punto in bianco ti mettessi a parlare dell’onestà intellettuale di Mengoni (o del suo staff, siamo seri) ai tuoi clienti. Io verrei apposta al bar dove c’è la barista che percula i clienti in questo modo. Lo so che è un modo snob e saccente. Ma checcazzo, infondo loro non credo si peroccupino di questo aspetto quando ti fanno per la 3459ma volta una battuta. Sarebbe carino essere li mentre gli rispondi con Guy De Montpassant o con Esopo tradotto letteralmente. Ma a proposito, eh. Mica a caso. Cioè una persona che capisca, troverebbe la citazione appropriata. Vista la mia sterminata cultura io non posso che citarti EDIKA, il fumetto. Edika mi faceva impazzire perché era come me: 95% erano stronzate sul sesso. Ma in mezzo era tutto un fluire di “altro”. La gente in spiaggia, ma quella sullo sfondo, disquisiva in secondo piano di cose dettagliatamente settoriali. Una di queste la conoscevo: era perfetta, giusta. E faceva morir da ridere questo contrasto e questo fuori-contesto.
    Ma ti capisco. Questo genere di conversazione ti distacca dalla “gente”. E ovviamente, giustamente, ti ricordi da sola che il linguaggio serve per comunicare. Ma serve anche per pensare. E quando si pensa si pensa da soli. Qualcuno (orwell) sul fatto che la complessità di linguaggio riflette la complessità di pensiero ci ha fatto su un lavoro distopico: se cancello la possibilità di esprimere i concetti cancellando le parole, le persone non penseranno più a certe cose. Quindi ti prego. Non mollare. Ma ora per favore premi “MODIFICA” sul tuo blog e separa le parole in corsivo da quelle non in corsivo con uno spazio. Tu non puoi lasciarle così 🙂 ahahahahahah 🙂 Noi umani possiamo. Tu scrittora no.
    Ma certo che questo è un problema, anche di generazioni. E che riflette, tanto, tantissimo, lo stato di disfacimento dell’Italia. E’ che a me certe persone piacciono comunque e mi sento un cagacazzi a stare a fargli le pulci sul linguaggio. Perché quello che stiamo discutendo è “la finezza” del linguaggio. La sua capacità di esprimere sfumature, la sua capacità di essere bello, non solo efficace. Quindi io mi sono ritirato sui bastioni del SIGNIFICATO. Su questo si non mollo, non ce la faccio. La base del linguaggio condiviso è il significato delle parole. Quindi non tollero e non tollererò, mai, ho deciso, il “Secondo me” e l’”io indendevo” se usi parole che hanno significati chiari, quelli al numero uno del dizionario, quelli perlomeno compresi nella definizione di quel vocabolo nel dizionario.
    Woody Allen fonda tutto un suo genere di umorismo sul contrasto tra l’elevato, colto, ed il quotidiano più banale. E infatti non fa più ridere. Perché nessuno coglie la parte alta. Nessuno riuscirebbe ad afferrare il contrasto perché l’ignoranza glielo impedisce.
    Il background condiviso, paradossalmente, oggi è un freno a questo tipo di comunicazione. Pensa solo alla TV. Se io non ho netflix e tu si. Se io vedo la Rai e tu no. Se tu hai Sky e tu no. Perché è la stessa identica cosa di quando tu segui il calcio e io no. Tu guardi il grandepisello e io no. Non abbiamo argomenti comuni. La citazione non si coglie. Un tempo tutti avevano Manzoni, Dante, Virgilio, Ovidio ed altre due o tre cose comuni. Tutti. Citazioni chiare, sempre valide.
    La produzione di contenuto è moltiplicata all’infinito. Se puoi regala a tua figlia un po’ della tua conoscenza “vecchia” oltre a quella nuova che si fa lei. Aiuta molto. Certo, forse la aiuterà solo a farsi un ragazzo vecchio. Ma tanto lo farà comunque. AHAHAHAHHAHA!!!!!!! Tié! 🙂

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    1. A me Woody piace… in ogni caso sul linguaggio condiviso dovrei espandermi e qui, in un commento, non posso. Pensa solo a questo: stai leggendo un libro di un autore iraniano. e tu non sai nulla sulla politica iraniana. Ti perdi mezza roba. Oppure: sei un americano che guarda Zelig: ma davvero pensi di poter ridere? no, non credo.
      Ecco, forse, perché credo che sia giusto modulare. Anche se mi sento castrata, incompresa, affaticata. Ma Roger, per me, significa comunque Ok. E quindi non c’entra nulla quello che so io, c’entra piuttosto la chiave di lettura. Ecco, avere una chiave di lettura , rendersi conto di doverla dare, mi fa sentire strana. Ma non posso farci nulla. Se non modulare

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    1. Massimo, facciamo questo gioco. Per mettere alla prova la fondatezza di un’argomento, rivoltiamolo un attimo: la frase funziona lo stesso, il significato è inverso. cosa manca?

      “il linguaggio di ciascuno è l’abito con cui ci si presenta agli altri: ognuno ci può star dentro comodo, estroso o convenzionale che sia, deve innanzitutto piacere agli altri e solo in seconda linea anche a noi.”

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      1. manca l’anello di congiunzione tra noi e gli altri che davo per scontato: il linguaggio deve essere comprensibile, come un vestito deve sottostare ad alcune regole sociali, ma detto questo, ognuno deve parlare, vestire e scrivere secondo un proprio codice che soddisfi se stesso prima degli altri

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        1. Ok. Io mi soddisfo. Ma poi non soddisfo gli altri. Soddisferei una come me, però. E infatti sono qui che la cerco… il concetto è questo: non trovo giusto al 100% isolarmi nel mio linguaggio. Anche se a volte con persone molto vicine a me mi è inevitabile esprimermi in un certo modo. E il colpo duro lo ricevo qui: non ti capisco . E io, cavolo, credevo di sì …

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      2. Il fatto è che il linguaggio non è un abito: è uno strumento. La mia macchina mi piace perché è rossa, perché è grande, perché ha una linea sportiva ecc. ecc., ma non me ne farei niente di tutta questa piacevolezza se non avesse un motore funzionante e un serbatoio e un acceleratore e una frizione… La macchina è fatta per correre, il linguaggio per comunicare, per trasmettere messaggi, per farsi capire. Tutto il resto è un accessorio.

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        1. e anche se tristemente, io credo che con un po’ di onestà intellettuale chiunque qui debba concordare.
          Un conto però è quanto detto da moon (al bar con un collega) un conto invece è un’opera letteraria. Non è necessaria, non deve essere utile. Esiste in primo luogo come atto di espressione (e ok, l’espressione è rivolta a ? ) del suo autore e solo dopo al lettore. Quindi come alcune opere visive o musicali o di qualsiasi altro genere di espressione artistica, condividere un background significa diventare potenziali fruitori di quell’opera, altrimenti no. Del resto la base è la stessa del linguaggio: LUI stesso è il background comune 🙂
          Io in effetti ho rinunciato al parlare corretto con alcune persone che amo. Perché devo triturargli la minchia con finezze che sono piacevoli all’udito e soddisfano delle regolette che rendono il percorso di quel discorso fluido come su una strada tra te e me? Che me ne frega se quello che mi devono dire inciampa, urta su tutti gli angoli del corridoio, sbatacchia e si prende un sacco di botte ma poi alla fine arriva ed è chiaro? Sono fatti miei, estetici. Quello su cui NON posso transigere – e però ci siamo arrivati da tempo a questo casino – è il significato dei vocaboli. Quello *è* il background culturale comune di base, ciò su cui dobbiamo convenire, che quel significato e significante sono OK per entrambi. E invece no, ormai siamo arrivati ad un sacco di “io intendevo che” o “ma io lo intendo così”. Se verde è verde, non è rosso. Non puoi intendere che.
          E invece succede. E i “piuttosto che” usati con valore disgiuntivo sono di quel tipo. Sono SBAGLIATI, non si tratta di finezze estetiche. E così via. Posso capire congiuntivi e condizionali, verbi a cazzo, coniugazioni stortignaccole. Ma non delle cose che servono a capire: la logica, la causalità, il significato convenuto di una lingua comune.

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          1. Ho ingenuamente dato vita a una bella discussione. Siamo arrivati in un posto che secondo me è un po’ diverso da quello in cui avevo messo il mio post, oppure, semplicemente, il mio linguaggio caotico vi ha portati qui… in ogni caso vi leggo con vivo interesse: continuate , ragazzi, continuate …

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          2. @cavallogoloso: Per grammatica sintassi eccetera dipende. Se mi dici “se lo sapevo non venivo” ci può stare, ma se mi dici “se lo avrei saputo” ti prendo a randellate sulle gengive. Poi mettici la punteggiatura: c’è chi è capace di scrivere un intero capitolo di decine di pagine senza un solo segno di interpunzione senza che tu abbia il minimo dubbio su come interpretare ogni frase e ogni periodo e c’è mia cugina (laureata, tengo a precisare, non operaia con la quinta elementare) di cui devi rileggere ogni frase quattro volte prima di cominciare a farti un’idea su chi fa che cosa, ma qualche dubbio comunque ti rimane (d’altra parte poverina è una psicologa: niente di cui meravigliarsi dunque). Perfettamente d’accordo sul lessico. Quello che mi pretendeva che mellifluo avesse significato positivo perché viene da miele che è una cosa buonissima, e che comunque lui lo intende positivo e quindi quando lo usa lui devo capirlo così, le randellate gliele ho dato solo metaforiche perché è lontano, altrimenti gliele avrei date materiali: se tu parli CON ME, devi farti capire DA ME, quindi usi le parole col loro significato normale. Naturalmente narrativa e poesia possono fare quello che vogliono – fermo restando che io sono libera di dire che la tale o la tal altra opera è, come dice un mio geniale lettore, una Corazzata Potiomkin pazzesca.
            PS: per piuttosto che propongo settecento frustate seguite, per chi sopravvive, dalla tortura dell’olio bollente.

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          3. @cavallogoloso: Che ha passato un quarto di secolo a scopare come una lupa famelica e poi improvvisamente è stata investita dalla folgorazione e ha visto La Luce: “secondo me sai il sesso è sopravvalutato”. Vabbè, psicologa dicevamo.

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          4. @moon: tesoromio, se tu metti al mondo un figlio e poi lo abbandoni a se stesso non puoi meravigliarti se qualche anima caritatevole decide di raccattarlo e di conseguenza lo ritrovi da un’altra parte, e con le attitudini e gli atteggiamenti dei genitori adottivi.

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          5. Ho abbandonato mio figlio a se stesso 😱 oltre ad essere una persona incomprensibile sono pure una madre degenere … ohmygod! (Ehi… stai spalleggiando il mio ex!)

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          6. @cavallogolooso: una volta c’è stata una discussione con un blogger che sosteneva questa bizzarria, aggiungendo che lo ha sentito anche da alcune donne, madri di famiglia, i cui mariti invece fantasticavano di notti di sesso selvaggio, “ma, intendiamoci, uomini che fanno volontariato, passano le notti sulle ambulanze”. Ho risposto che in effetti ho sentito più di un neopadre lamentarsi del fatto che le mogli, dopo la nascita dei figli, diventano molto meno disponibili, e ai poveretti non resta che rifugiarsi nelle fantasie di sesso selvaggio. O praticarlo con donne più disponibili, e in questo caso, quale alibi migliore di una bella notte di volontariato sulle ambulanze? Magari con la telefonata improvvisa del collega di turno che è a letto con 39 di febbre e chiede gentilmente di essere sostituito…

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          7. Non sto capendo bene come mai diciamo questo. Amo il sesso selvaggio. Anche non selvaggio. Ma non amo chi smette di farlo dopo aver figliato. Mi dispiaccio per la loro condizione, di entrambi. Ma scelta loro.
            Poi, proseguo, ma non vedo il nesso, mi parli di un sistema buffo di mascherare un tradimento, in cui tu però trasformi l’affermazione (discutibile, vedi sottio) di un tizio, con meccanismo sarcastico, in menzognera giustificazione da te sgamata.
            Smontiamo ora l’affermazione discutibile: sono dei traditori si, ma perché la moglie non è più disponibile, ma non sono cattive persone PERCHE’ FANNO VOLONTARIATO. Il giudice di solito fa così: separa i crimini e li giudica uno per uno. Il ladro ti voleva rubare la borsetta, tu lo hai colpito ed è morto. Tu finisci dentro per omicidio di un qualche tipo, lui, morto, ha un’accusa pendente di tentato furto.

            Senza il meccanismo del sarcasmo, o di un qualsiasi meccanismo comico, rimane sempre un messaggio.

            E il messaggio è triste: spesso la gente si sposa con una persona e poi questa scompare e ne appare un’altra, mentre tu non hai fatto questo tradimento basilare: tu sei rimasto tu, hai mantenuto la tua promessa.
            Vietato cambiare? No, nessuno lo ha detto.

            Solo che non ho capito come diavolo siamo arrivati a questo 😀

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          8. Bello questo dilagare, però. Questo mio articolo ha suscitato un sacco di reazioni. Si vede che dunque non sono l’unica a sollevarsi il problema del linguaggio. Anche se poi qui abbiamo sollevato il problema del sesso. e delle corna. e pure dei poveri volontari della misericordia. Che se penso a quelli che sono qui nel mio paese mi vengono i conati di vomito al pensiero che stiano cercando altro oltre al trasportare qualcuno all’ospedale.

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          9. @cavallogolooso: ok, provo a spiegarmi meglio (poi spero che ti spiegherai meglio anche tu, perché non è che abbia capito granché, e soprattutto trovo cose, come il riferimento al sarcasmo, che davvero non ho idea da dove tu le abbia tirate fuori). Allora: il tizio sostiene che il sesso è sopravvalutato (qualunque cosa possa significare), e per avvalorare questa tesi dice che lo sostengono anche diverse donne – aggiungendo che si tratta di madri di famiglia, forse per dare loro maggiore dignità. Prosegue dicendo che i mariti delle suddette donne invece non fanno che fantasticare di notti di sesso selvaggio, precisando che però (però!) sono bravissime persone, che fanno volontariato e passano le notti sulle ambulanze. Arrivo io, che gli spiego che molte donne, dopo la nascita dei figli, hanno un consistente calo di desiderio sessuale (cosa che – questo lo dico per te – non è né da amare né da non amare, ma un puro e semplice dato di fatto determinato dalla natura, con cui l’unica cosa da fare è prenderne atto, punto); i mariti, che non hanno un medesimo calo di desiderio, si trovano in difficoltà; quelli che sono capaci di fare a meno del sesso, o di ridurlo drasticamente, si accontentano di fantasticare e restano fedeli, quelli che non ce la fanno trovano altri sbocchi, e non escludo che qualcuno di quelli di cui sopra, che restano fuori casa tutta la notte per fare volontariato sulle ambulanze, possa far parte della seconda categoria. Tutto qui.

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          1. Si, vabbè, ok… ma io non sono a questi livelli. Nel senso che conosco il linguaggio condivisibile … e lo uso, anche. Specie dal medico. O alle riunioni a scuola . O al supermercato reparto macelleria

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          2. Certo, se tu fai un discorso serio, o una citazione colta, magari dopo esserti fatta l’idea che io sia sufficientemente acculturata da capirla – magari da qualche classico italiano, mica da un poeta di nicchia islandese – e io non la colgo, magari la prendo per una battuta di spirito, non succede niente di drammatico, però resti frustrata. E la frustrazione, ecco quella sì, è un abito nel quale non ci si sente per niente comodi.

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          3. Si, ok, io non mi frustro però per questo… non è il punto. Mica mi interessa se sai che è Pascoli. Io mi esprimo come scrivo qui. E non so nulla, non ho sta gran cultura, solo che a volte mescolo le cose. Per abito mentale (ecco, esempio : abito mentale si capisce? )

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          1. prego! Cercavo una semplice citrazione di Primo Levi che mi “rimette a posto” quando ho questo genere di desideri del bel parlare… e non l’ho trovata, ma era più precisa, concisa e sufficiente di questo articolo. Se la dovessi trovare, ve la sottoporrò volentieri.
            Ciao!

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  6. c’era un paragrafetto bellissimo di Primo Levi che invitava ad una maggiore umiltà in questo; ora non lo trovo, ma in un certo modo ti riportava all’onestà (eh?) del tuo sentimento quando vuoi parlar forbito o goderti qualcosa che tu sai “in più” di altri.
    Del resto se confronto questo linguaggio con quello musicale, mi pare chiaro che si possa fare tutto e apprezzare tutto, quanto anche disprezzare. All’ultima rappresentazione operistica alla quale sono stato c’erano i sottotitoli belli luminosi proiettati in grande sopra la scena. Questo si spiega da solo.
    Ma parliamo della musica in sé. Il virtuosismo, l’abbellimento, un trillo. Non sono necessari. Non sono necessarie 14 voci, controcanti, canoni, mille modi di intersecarsi, 50 strumenti, 100 coristi. Nulla è “necessario”. Basta uno xilofono o una chitarra del supermercato. O la voce, che non cito per sottovalutare la difficoltà di usarla con perizia, ma può – fortunatamente – essere usata con efficacia e piacere da chiunque per il solo fatto di avere le corde vocali.
    La Callas è un’altra cosa. La Callas però magari non mi piace. Magari mi piace Tom Waits. E magari quando Waits canta non capisco un cazzo 😀

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